febbraio 2021
Se solo si cambiasse prospettiva Anna Porrelli
Se la persona è al centro, l’eutanasia, inevitabilmente, si dissolve nella sua stessa terminologica contraddizione. In uno scenario costellato di rivendicazioni di libertà sempre più stringenti e discutibili, allestito sotto l’impulso pressante di richieste sociali di produttività, perfezione, ricerca spasmodica dell’approvazione di terzi, la raffigurazione del malato non autosufficiente non può che tingersi di colori cupi e il punto di fuga dell’intera rappresentazione diviene, tendenzialmente, eutanasico. Il pittore, al contempo artista e primo spettatore della sua creazione, imprime all’opera la sua profonda inquietudine: il tocco del pennello, deciso e fermo, traccia segni marcati e ripetuti di sofferenza. La tavolozza dei colori perde ogni gamma di sfumature. Si annullano le regole figurative e viene meno ogni schema cromatico. La paura del dolore e il terrore della disabilità si fondono in un connubio che non lascia scampo a fraintendimenti: protagonista è un oppressivo e terribile senso di “peso”. Inizia a insinuarsi, così, in modo tanto infido quanto erroneo, un asserito “diritto” a decidere della propria o dell’altrui morte. Il porre fine a un’esistenza segnata dalla malattia è l’aspirata e decretata “buona morte”. È l’evoluzione prevedibile di un’anomalia nel processo attentivo che, anziché focalizzarsi sul valore dell’essere, si proietta, pericolosamente, sulla qualità dell’esistenza. Emerge, cioè, in maniera lampante, l’errore prospettico.
Se il pittore, invece, ponesse al centro la persona vivente e non le sue compromesse funzioni? Che cosa accadrebbe se si recuperasse la visione antropologica? Quali i risvolti artistici di un razionale pensiero focalizzato sull’intima natura umana e, dunque, avulso da ragionamenti soggettivi ed opinabili? È il riconoscimento dell’ontologica dignità della persona vivente l’inevitabile punto di svolta del ragionamento e del conseguente agire; il centro di proiezione autentico per una rappresentazione realistica. Le capacità devono essere correttamente relegate a estrinsecazioni della persona, non a elementi fondativi della stessa. L’anima razionale, che informa il corpo, mai si corrompe a fronte del deterioramento delle capacità; ed è proprio per questo che la compromissione delle funzioni non può assolutamente scalfire il valore della persona; un valore inestimabile, nel pieno benessere come nella più grave e irreversibile disabilità.
Le capacità devono essere correttamente relegate a estrinsecazioni della persona, non a elementi fondativi della stessa..
23