(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN
Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
ANNO VIII SETTEMBRE 2020 RIVISTA MENSILE N. 88
P. 18
P. 32
P. 36
Silvana De Mari
Giulia Tanel
Francesca Romana Poleggi
I ricordi peggiori della vita
I genitori di fronte a una scuola in crisi
Fare scuola, ovvero l’arte di arrangiarsi
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Notizie Pro Vita & Famiglia
ÂŤPer questo non smetteremo mai di protestare, a costo di finire in galera, come vorrebbe la proposta Zan: i bambini non si toccano!Âť.
settembre 2020
Editoriale
Nel momento in cui questa Rivista va in stampa non sappiamo ancora come ricomincerà la scuola in questo anno 2020-2021. Siamo preoccupati dall’incertezza, dalla situazione grave in cui versano le paritarie (scuole pubbliche, ricordiamolo, come quelle statali), e da molte altre questioni: dagli “imbuti da riempire” della Azzolina, ai trespoli a rotelle di Arcuri (trespoli, non banchi: vanno bene per prendere appunti in una sala conferenze, ma non per fare scuola, con libro, quaderno, squadra e riga… Ha detto bene qualcuno che saranno ottimi strumenti di svago: avremo le giostre e l’autoscontro in classe). Ma soprattutto siamo preoccupati per la sorte della proposta di legge Boldrini-ZanScalfarotto, quella sull’omotransfobia, contro la quale abbiamo protestato tutto il mese di luglio (potete vedere una rassegna di foto al centro della rivista, un piccolo tributo per tutti coloro che sono scesi in piazza con noi, in tutta Italia). Guardando all’ambito scolastico, se la proposta in questione passasse così com’è, all’art. 5 del testo unificato in discussione si prevede l’«Istituzione della giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia», in occasione della quale dovranno essere «organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado»: il che vorrà dire porte aperte a tutte le associazioni Lgbtqia(…) che verranno a spiegare ai nostri figli, anche ai bambini dell’asilo, il loro stile di vita “inclusivo”. Questo non lo accetteremo mai. Per questo non smetteremo mai di protestare, a costo di finire in galera, come vorrebbe la proposta Zan: i bambini non si toccano!
Toni Brandi
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Sommario 3
Editoriale
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Lo sapevi che...
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Dillo @ Pro Vita & Famiglia
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Versi per la vita Silvio Ghielmi
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La cultura della vita e della famiglia in azione Mirko Ciminiello
MILANO
#restiamoliberi p. 24
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settembre 2020
«Bum! Bum! Bum!»
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La storia di Rosa
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I ricordi peggiori della vita
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Andrea Beccalli
Angela Pappalardo
Silvana De Mari
#restiamoliberi
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Quando i bambini andavano a scuola da soli
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Claudio Vergamini
I genitori di fronte a una scuola in crisi
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Fare scuola, ovvero l’arte di arrangiarsi
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La Dichiarazione di Nairobi e il martirio
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Nutrire il malato con scienza e carità
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Giulia Tanel
Francesca Romana Poleggi
Tommaso Scandroglio
Anna Porrelli
Diritto naturale e diritto positivo (Parte II/3)
In biblioteca
Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi
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Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia
Luciano Leone
In cineteca
RIVISTA MENSILE N. 88 — Anno VIII Settembre 2020
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Distribuzione Caliari Legatoria Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Andrea Beccalli, Mirko Ciminiello, Silvana De Mari, Luciano Leone, Angela Pappalardo, Francesca Romana Poleggi, Anna Porrelli, Tommaso Scandroglio, Giulia Tanel, Claudio Vergamini.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Lo sapevi che... Ex drag queen vittima della Gaystapo L’associazione MassResistance, in Texas, è una potente forza pro-famiglia. Ha sventato nelle città di tutto lo stato il tentativo di organizzare le Drag Queen Story Hours, vigila sul sistema scolastico e sostiene i politici e le politiche pro famiglia del Goveno federato. Uno dei principali protagonisti delle vittorie di Mass Resistance è Kevin Whitt, un ex drag queen che ha vissuto da omosessuale e transessuale per oltre 22 anni. La sua testimonianza è stata fondamentale anche per evitare l’approvazione di leggi che vietano le terapie riparative per chi vuole abbandonare lo stile di vita omosessuale. Preso di mira dagli Antifa (il
braccio violento della Gaystapo), è divenuto vittima di doxing (divulgazione di informazioni personali) molestie, gogna mass mediatica, boicottaggio, che ha portato una sensibile diminuzione della sua clientela (è parrucchiere). Sono persino riusciti a chiudere la pagina GoFundMe di Kevin, che si trova in serie difficoltà economiche e sarà costretto a trasferirsi in un altro Stato. Esprimiamo la nostra solidarietà a Kevin, che nell’ottobre scorso ha dato il suo contributo anche per questa nostra Rivista.
La legalizzazione del poliamore Una città del Massachusetts, Somerville, ha adottato un’ordinanza che garantisce ai gruppi poliamorosi gli stessi diritti delle coppie sposate, inclusa la possibilità di fruire delle assicurazioni sanitarie del “coniuge”.
«Non spetta alla legge decidere che cosa è famiglia», ha detto il consigliere Scott, autore della bella trovata, che dice anche di conoscere almeno due dozzine di famiglie poliamorose nella città, che conta 80.000 abitanti.
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Autismo o disforia di genere? Una nuova ricerca indica che gli individui "transgender e non binari" (soprattutto donne) hanno una probabilità significativamente maggiore di soffrire di autismo o di mostrare tratti autistici (difficoltà nell’empatia e dipendenza eccessiva dal ragionamento sistematico e basato su regole) rispetto alla media della popolazione. Lo studio, condotto dal dottor Steven Stagg dell’Università Anglia Ruskin (ARU) e pubblicato
sulla rivista European Psychiatry, suggerisce che è importante che le cliniche che operano i “cambiamenti di sesso” valutino attentamente lo spettro autistico dei pazienti e li sottopongano a idonea terapia, invece di procedere alla somministrazione di ormoni e chirurgia che potrebbero avere conseguenze, per gli autistici, devastanti.
Uomini e donne Sarebbe da ridere, ma purtroppo è roba seria. Una frase come: «Solo le donne possono contrarre il cancro alla cervice» è considerata carica di odio transfobico (c’è stata una querelle infinita sui media inglesi). Quindi, anche qui da noi, secondo la pdl Zan (che quando andiamo in stampa è ancora in discussione alla Camera) chi dicesse una cosa del genere sarebbe passibile di galera. Nel Regno Unito gli attivisti trans
sono decisamente scatenati e impongono sui media e sui social la loro neolingua: non più “donne” incinte, mestruate, o con problemi all’utero, alle ovaie o alla cervice, si deve dire “persone”, o - meglio - bisogna ammettere che anche gli uomini hanno diritto - per esempio - allo screening per la prevenzione dei tumori femminili… ops, pardon.… dei tumori… ??? ... come si dovrà dire?
La vita di una donna di colore che non conta molto Una discussione accesa su Twitter ha preso una svolta violenta quando Alicia Strada (pseudonimo), di Filadelfia, è stata picchiata da tre donne, a casa sua. Alicia aveva iniziato a mettere in discussione l’idea che chiunque possa effettivamente cambiare il proprio sesso biologico quando un suo amico, Emanuel “Manny” Pabon, ha cominciato a pretendere che Alicia lo considerasse una vera donna. Poiché ha rifiutato, Alicia ha detto che Manny ha inviato una spedizione punitiva
a casa sua: tre ex amiche, che già la perseguitavano, l’hanno picchiata e le hanno strappato l’orecchino dal naso. La cosa è stata twittata dagli attivisti trans come una vittoria. Alicia è una donna di colore. Ma in questo caso la violenza su una donna, e su una donna di colore, non è stata stigmatizzata da nessuno dei sostenitori di Black Lives Matter, né dai giornali sempre pronti a condannare i femminicidi. Chissà perché.
Piccoli omicidi silenziati La biologa Kathy Niakan e il suo team presso il Francis Crick Institute hanno usato la tecnologia di editing genetico Crispr (“taglia e incolla”, per dirla facile) per fare un esperimento su 25 embrioni umani, tutti con meno di 14 giorni. Hanno rimosso un gene noto come Pou5F1 in 18 degli embrioni. Successivamente li hanno confrontati con i sette di cui non avevano modificato il Dna, e hanno riscontrato che circa la metà presentava gravi anomalie: impreviste, perché riguardavano sia l’area intorno al gene modificato, sia il gene “bersaglio” centrato precisamente.
Dopo l’esperimento, gli scienziati hanno dichiarato di aver distrutto tutti e 25 gli embrioni. Se è vero che parte del mondo scientifico è giustamente insorta stigmatizzando questi esperimenti sugli esseri umani, è anche vero che le cliniche per la fertilità non vedono l’ora di ampliare il loro business miliardario fornendo ai clienti ricchi - ed esigenti - bambini con caratteristiche sempre più rispondenti all’ordine dei compratori. Perciò continueranno a morire bambini nell’indifferenza generale. Forse perché sono piccoli piccoli. Ma noi, almeno, recitiamo un requiem per loro.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Buongiorno, sono una mamma sola con un figlio di 18 anni. Da quando il bambino aveva 5 mesi circa, rendendomi conto della scelta sbagliata che avevo fatto, ho deciso di rompere la convivenza con suo padre. Tre erano le strade da seguire: tornare nel paese di origine, cercare un uomo per essere mantenuta (come tante persone sono abituate a fare), oppure rimboccarmi le maniche e accettare lavori umili ma onesti e mettermi seriamente a lavorare. Ho scelto la terza via, la strada più difficile che però mi dava, e mi ha dato, soddisfazioni e libertà interiore. Il grande aiuto è stato quello di aver iniziato un percorso di fede e pian piano è iniziata la mia conversione che durerà per tutta la vita. Ho avuto, nel periodo di crisi durante e dopo la pandemia, tanti aiuti perché ci sono persone che mi conoscono da anni e mi vogliono bene. Prego per tutti quelli che non sono fortunati come me e vi ringrazio per quello che state facendo. Vi auguro ogni bene. Flavia
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Versi per la vita EROSIONE Tempo ci fu per il prodotto lordo come esclusivo massimo traguardo, e un mondo baldanzoso ed infingardo faceva il tonto, il cieco ed anche il sordo. Tempo ci fu che con disinvoltura, si prese a contrastare la natura. Adesso la sociale previdenza, si allarma per spiacevole carenza, Anche se il virus taglia certi costi per certi investimenti mal riposti, per mantenere arrugginiti anziani. Cosa diranno, adesso, i ciarlatani, dapprima così fervidi e contenti nel togliere la vita agli innocenti, che nel futuro avrebbero dovuto creare un mondo sano ed evoluto?
SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
La cultura della vita e della famiglia in azione a cura di Mirko Ciminiello Questo spazio è dedicato alle principali attività dei circa 80 circoli di Pro Vita & Famiglia attivi sul territorio, durante gli ultimi mesi. Siamo grati a tutti i volontari che si prodigano per trasformare “la cultura della vita in azione”. La pandemia e le disposizioni sanitarie hanno stravolto la vita di tutti e anche le nostre attività, che - come i nostri Lettori hanno avuto modo di leggere nei numeri passati - si sono concentrate soprattutto nella campagna #AttiviamociPerIlBeneComune, conclusa nella seconda metà di giugno, a Roma, con la consegna da parte di Pro Vita & Famiglia di beni di prima necessità a 50 famiglie bisognose e in seria difficoltà.
A Genova, però, il nostro volontario Carlo ha presentato nell’abbazia di Santo Stefano la nuova associazione di sostegno alimentare Compagnia di Ettore Vernazza o del Mandiletto, che è un’ideale prosecuzione della campagna #AttiviamociperilBeneComune e del servizio #tifacciolaspesa. A Roma, in piazza Montecitorio, abbiamo partecipato al flashmob #LiberidiEducare per sostenere le scuole paritarie e la libertà di scelta educativa dei genitori. A Reggio Calabria, il nostro volontario Giorgio ha partecipato alla presentazione della lista “Ama Reggio”, creata dal presidente di Stanza101 Pasquale Morisani. #LiberiDiEducare
settembre 2020
A Venafro (IS) è stata avviata la collaborazione di Pro Vita & Famiglia con Angela, la responsabile del Consultorio Familiare Il Girasole. Poi, la presentazione della proposta di legge Boldrini-Zan-Scalfarotto contro l’omotransfobia ci ha imposto di organizzare immediatamente una protesta ferma e corale che ancora non è sopita.
Abbiamo realizzato e distribuito un video che spiega i pericoli insiti nel testo di legge in questione e poi, in collaborazione con tante altre realtà associative, abbiamo avviato, nel mese di luglio, la campagna #RestiamoLiberi in 100 piazze e 100 città: ve ne offriamo una rassegna fotografica nelle pagine da 24 a 28 di questo numero.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
«Bum! Bum! Bum!»
24/7/2020
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Andrea Beccalli
https://drive.google.com/file/d/19Zhw7MM1Hp-nyIyMlm2aVRnabNh2x5fK/view
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Un papà ci racconta del suo primo incontro con il figlio.
Dopo l’esito positivo del test di gravidanza mia moglie e io prendemmo appuntamento con il ginecologo. Era metà febbraio. Eravamo emozionati, e anche un po’ dubbiosi: una piccola parte della nostra ragione non voleva ancora ammettere la meraviglia dinanzi alla quale ci trovavamo. Pensavamo: «E se il test avesse dato per sbaglio risultato positivo? E se in realtà non ci fosse nessun bambino?». I dubbi continuavano ad affliggerci anche nella sala d’attesa. Finalmente toccò a noi. Il professionista raccolse i nostri dati e, dissolvendo i nostri nervosismi, ci spiegò che il bambino era ben presente nella pancia di mia moglie, da sette settimane (l’atmosfera natalizia è davvero magica!). Ci diede le prime informazioni relative alla nuova situazione in cui ci trovavamo e gli sottoponemmo a nostra volta parecchie domande. Fece poi accomodare mia moglie sul lettino per l’ecografia. Io rimasi seduto alla scrivania, distante cinque passi dal lettino, con cappotti e sciarpe sulle gambe. Il ginecologo spalmò il gel sulla pancia di mia moglie, seguitando a raccontarci aneddoti medici sulla gravidanza. Accese lo schermo e cominciò a passare il puntatore sulla pancia. Si videro immagini senza senso, luci e ombre. Mia moglie mi guardò sorridendo e io ricambiai il sorriso. Poi il ginecologo fermò il puntatore, si avvicinò allo schermo, mosse ancora un poco la mano con il puntatore per ottenere un’immagine migliore. Indicò un punto preciso e dichiarò soddisfatto: «Eccolo!».
La legge italiana ci avrebbe tranquillamente consentito di sopprimere quell’essere lungo 16 millimetri, se mia moglie l’avesse voluto. Anche contro la mia volontà.
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«Bum! Bum! Bum!»: c’era un pallino luminoso sullo schermo che si espandeva e si contraeva.
«Bum! Bum! Bum!»: c’era un pallino luminoso sullo schermo che si espandeva e si contraeva, si espandeva e si contraeva, a un ritmo sostenuto. Il dottore aggiunse: «È il cuore». Rimasi pietrificato. Quello che stavo guardando era il cuore di mio figlio? Che emozione immensa provai in quell’istante! Dovetti quasi ricordarmi di respirare. Rimasi così spiazzato che stetti seduto al mio posto, a cinque passi di distanza da mia moglie e dal dottore, con i cappotti e le sciarpe sulle gambe. Ero frastornato. Mia moglie mi guardò di nuovo, al limite della commozione, e io rispondei con un’espressione da ebete. Sentii qualcuno che diceva: «Può alzarsi, venga più vicino a vedere». Chi? Cosa? Dove? Tornai lucido. Era stato il
ginecologo a parlare, ovviamente. Osservai quanto avevo sulle gambe e me ne liberai stizzito, come se fossero state giacche e sciarpe ad impedirmi di accostarmi a mio figlio. Mi avvicinai, presi per mano mia moglie e guardai da vicino quel pallino pulsante. Attorno ad esso era visibile un minuscolo essere umano, dai contorni non ben definiti. Ero diventato padre di quella creatura fin dall’istante del suo concepimento, ma solo in quel momento, solo quando vidi quel frenetico martellare del suo cuore, me ne resi davvero conto. La legge italiana ci avrebbe tranquillamente consentito di sopprimere quell’essere lungo 16 millimetri, se mia moglie l’avesse voluto. Anche contro la mia volontà.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
La storia di Rosa Angela Pappalardo
La testimonianza di una bioeticista, responsabile del Centro di Aiuto alla Vita Santa Gianna, a Cava dei Tirreni.
Questa è la storia, rigorosamente vera, di un salvataggio da un aborto già programmato. Naturalmente sono stati cambiati i nomi e alcune circostanze che potevano far individuare i protagonisti. https://drive.google.com/file/d/1w2BZRS6Yfs4tW8KAmUbsbhRWOQ41CegT/view
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Accade spesso di doversi improvvisare “detective per la vita”. Fu necessario anche quella volta. Avevamo ricevuto una notizia in forma anonima e misteriosa: Rosa, già madre di un bambino di un anno, stava per ricorrere all’aborto volontario, e per completare l’“iter della morte” le mancava solo la visita anestesiologica. I dati in nostro possesso erano ben pochi: il nome - tra l’altro piuttosto comune - il fatto che avesse capelli lunghi, ricci e scuri, e il suo lavoro come cameriera in una pizzeria o ristorante. Noi volontari per la vita ci mettemmo subito al lavoro: sapevamo che non era molto semplice, anche perché nel richiedere informazioni naturalmente non potevamo svelare il motivo della nostra indagine.
Questa storia è tratta dal libro Abbiamo detto sì di Angela Pappalardo, ediz. Punto Famiglia. In esso sono raccolte 18 storie vere di mamme che hanno rinunciato all’aborto già prenotato in ospedale. Il loro «Sì» alla vita è scaturito dall’incontro con i volontari del Centro di Aiuto alla Vita che le hanno rese pienamente consapevoli del gesto che stavano per compiere, e che hanno saputo dimostrare loro empatia e solidarietà, hanno saputo condividere i loro problemi. Nel testo è compreso anche un commento alla legge 194 che permette l’interruzione di gravidanza in Italia. Il ricavato della vendita del libro (prezzo € 9,00) verrà interamente utilizzato a beneficio di donne incinte in difficoltà.
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«In tutta questa situazione, in tutto questo buio, vedo un’unica luce, ed è dentro di te, e viene proprio dal figlio che attendi. Vedrai: sarà la tua vera forza, la tua speranza per una vita più piena e veramente felice».
Impiegammo qualche giorno tra stressanti ricerche (quante pizzerie e ristoranti nella nostra città!) e finalmente ricevemmo un’informazione preziosa da una collega di Rosa: la giovane mamma abitava in una frazione, nei pressi di un ufficio postale. Mi recai da sola presso la sua abitazione, che tra l’altro non era neppure molto distante dalla zona dove abito io. Dopo aver chiesto un po’ in giro, individuai la casa di Rosa: aveva un aspetto piuttosto fatiscente, e vi si accedeva tramite una lunga scala un po’ in pendenza. Devo ammettere che ero un po’ timorosa, ma fui accolta con una certa cortesia e familiarità: non mi furono fatte molte domande, e anzi sembrava quasi che già ci conoscessimo. Ci fermammo a parlare nel piccolo soggiorno, mentre nella stanza accanto si sentiva una voce di uomo discutere animatamente, col sottofondo di un lamento di bimbo. Rosa aveva il grembiule da cucina annodato in vita, e l’atmosfera era piuttosto tesa: forse non era il momento più opportuno per una
visita, ma c’era una vera e propria urgenza, un’emergenza per la vita. La giovane donna andò a prendere il bimbo nella stanza accanto e, restando in piedi mentre lo cullava tra le braccia, sembrava ascoltarmi. Mi resi conto che avevo poco tempo, ma riuscii a farle vedere l’immagine di un cuoricino di un embrione di sole tre settimane, tratta dall’opuscolo La vita umana prima meraviglia, che porto sempre con me in queste occasioni. «È il cuore del bambino che stai aspettando: questo tuo nuovo figlio è unico e irripetibile fin dal primo istante del concepimento…». Rosa aveva gli occhi lucidi, ma mi accennò che stava attraversando un momento davvero difficile, da cui non sapeva proprio come uscire; anzi, asserì che non c’erano vie di uscita, e che io non avrei potuto aiutarla in alcun modo. «Ahi, ahi», pensai, «le cose si stanno mettendo veramente male per il nuovo arrivato»: ma non mi sarei certo arresa facilmente e, assicuratami che per l’intervento di aborto c’erano comunque ancora quasi due settimane di tempo, chiesi e ottenni un nuovo incontro.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
In realtà tornai dopo appena due giorni perché sapevo che non sempre ci si può fidare delle date di prenotazione. Questa volta Rosa mi accolse con un po’ più di freddezza, continuava a ribadire che oramai la decisione era presa, ma poi a poco a poco mi aprì il suo cuore. Venne fuori, tra gli altri, il grosso problema della dipendenza dal gioco da cui era affetto il marito, e di conseguenza il mare dei debiti che inesorabilmente stava crescendo davanti ai loro occhi. «Quelle terribili macchinette che fanno uscire i soldi», continuava a ripetere Rosa, «mi stanno portando via mio marito e la pace della mia famiglia!». La giovane mamma continuava a raccontarmi dei tanti debiti, e di conseguenza delle tante incomprensioni, anzi di veri e propri scontri col marito, fino ad arrivare, pochi mesi addietro, al proposito di separarsi. Paolo però non si rassegnava a perdere lei e la sua famiglia, e prometteva di smettere. Alla fine, nel vedere il marito supplichevole, si era arresa, credendo che stesse cambiando. Pura illusione: continuava a “tradirla” con quelle “dannate macchinette per fare soldi”, come continuava a chiamarle. Intanto, l’amore ritrovato aveva dato i suoi frutti con un nuovo bimbo in arrivo. Rosa però aveva subito pensato: «Figuriamoci, con i debiti, i contrasti col marito che comunque continuavano, in tutta quella instabilità, con tutti quei problemi… questo nuovo figlio era proprio uno scomodo intruso, che proprio non ci voleva». Anche questa volta si sentiva discutere animatamente nella stanza a fianco: lei mi spiegò che si trattava del marito che litigava con i suoi genitori, sempre per problemi di tipo economico. Confesso che ebbi un attimo di timore e di esitazione, ma poi dal mio cuore uscirono di getto queste parole: «Rosa», le dissi, «in tutta questa situazione, in tutto questo buio, vedo un’unica luce, ed è dentro di te, e viene proprio dal figlio che attendi. Vedrai sarà la tua vera forza, la tua speranza per una vita più piena e veramente felice». Me ne andai promettendole che sarei ritornata, e che avrei cercato di aiutarla concretamente.
Per aiutare le madri a scegliere per la vita ci sono due preziose armi: consegnare alla mamma la consapevolezza - smarrita in un momento di difficoltà - che si tratta di un bambino, suo figlio, e dimostrare concreta solidarietà.
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Scesi di corsa le scale, col cuore gonfio dei tanti problemi di Rosa, ma con gli occhi pieni di speranza. Dovevo agire presto: quel giorno di maggio, giorno dell’“esecuzione”, cioè dell’aborto volontario, si stava avvicinando inesorabilmente. Mi attaccai subito al telefono per informare amici, volontari per la vita e non, di quella situazione. Predisponemmo così subito un “piano” di aiuti concreti per Rosa. E così fu: i debiti di Rosa e del marito in parte vennero alleggeriti, e così anche i loro cuori! I due coniugi si sentirono presto più tranquilli: quei gesti di solidarietà, anche se non sufficienti a risolvere completamente i loro problemi economici, avevano acceso in loro nuove speranze, e quel bambino poteva ora cominciare a contare su una giusta accoglienza. Infatti, in una amena serata di metà maggio, la bella mamma dai lunghi capelli neri e ricci ci comunicò la magnifica notizia: non si sarebbe più recata in ospedale per abortire. Circa sette mesi dopo nacque una bellissima
bambina. Ci mantenemmo in contatto, e incontrammo Rosa anche qualche anno dopo: ci disse che in realtà i problemi economici in parte si erano ripresentati, ma lei era comunque più serena, e trovava sempre la forza giorno per giorno nei suoi figli. E, nel mentre ci parlava, stringeva a sé con tenerezza la più piccola. Ci presentò con orgoglio la piccola Donatella, il cui volto bello e paffutello, incorniciato da folti ricci, somigliava molto a quello della mamma. Nulla faceva trapelare quell’antica e terribile decisione. Evidentemente, le mamme che hanno cambiato idea riguardo al proposito di abortire, vogliono tenere lontano quel doloroso ricordo. Del resto, l’importante è scegliere sempre per la vita e, come ci dimostra anche questa storia, ci sono due preziose armi per sventare un aborto: consegnare alla mamma la consapevolezza - smarrita in un momento di difficoltà - che si tratta di un bambino, suo figlio, e dimostrare concreta solidarietà.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
I peggiori ricordi della vita «Quando vuoi fregare qualcuno, devi convincerlo che la sua distruzione sia un suo diritto»
Silvana De Mari
«Quali sono i ricordi peggiori della sua vita?»: questa domanda permette in psicoterapia di ottenere notizie sul paziente in un tempo minimo. Permette al terapeuta di sapere quali sono state le ferite e, soprattutto, permette al paziente di metterle a fuoco. Quando, invece, raccogliamo la storia del paziente in maniera lineare, domandando se è successo qualcosa di traumatico o semplicemente particolare nella prima infanzia, nel periodo delle scuole elementari, nel periodo delle scuole medie e così via, molte cose non “vengono nella mente”. Questa domanda le fa riaffiorare. Giovanna è una bella donna. A 55 anni è molto curata, brillante, intelligente, anche se spesso, nella solitudine, arriva una tristezza opaca, che lei descrive con la strana metafora di una gomma da masticare che si appiccica dappertutto. Quando ho raccolto la sua storia mi ha raccontato di una separazione e di un divorzio subiti. Il marito se n’è andato, ovviamente con una donna più giovane, e lei si trova a dover vivere da sola una vita che aveva preventivato sarebbe stata vissuta in due, con qualcuno che dorme nell’altra metà del lettone, con i lunghi viaggi verso l’amata Sicilia fatti guidando metà per uno.
Con la domanda sui ricordi peggiori della sua vita affiora l’aborto, quel bimbetto non nato, che è il primo ricordo doloroso, quello di gran lunga peggiore. Molto distanti, sullo sfondo, gli altri ricordi fatti di dolore e perdita, la morte del padre, il marito che se ne va... «Finalmente sono rimasta incinta. Non me l’aspettavo. Però sono stata contenta. Ma mio marito non lo ha voluto. Eravamo troppo vecchi secondo lui. Lui in particolare si sentiva troppo vecchio. E poi tutta la parte bella della nostra vita sarebbe saltata: i viaggi in Sicilia,
la montagna, il semplice essere liberi e andare spesso ristorante. Un gesto di grande egoismo anche nei confronti del figlio, che si sarebbe trovato con due genitori annoiati e distratti. Lui comunque non se la sentiva, e con questo discorso ha chiuso. “Se lo tieni, me ne vado”, mi ha detto. Allora ho abortito. In effetti era l’unica scelta logica. O comunque sembrava l’unica scelta logica. Sono andata in ospedale tristissima. Se in quell’ospedale qualcuno mi avesse detto una frase buona, mi sarei fermata. Sei mesi dopo mio marito se n’è andato. Lui con l’altra
Che la mente possa restare stabile mentre gli organi vengono usati in senso antifisiologico è un’idea bizzarra che può venire in mente solo a gente molto ingenua.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
ha avuto un figlio. Quando io ho abortito l’altra c’era già. Io adesso sono sola. Secondo lei, ho fatto una stupidaggine?». Sì, ha fatto la stupidaggine. Le creature umane sono fragili, e con infinita facilità possono fare stupidaggini infinite. Non era una scelta logica. Era una scelta sbagliata come sempre sono sbagliate le scelte antifisiologiche. La creatura umana è fatta di mente e corpo, in realtà c’è anche l’anima ma poi finiamo in un discorso religioso, teologico e metafisico, e tutto si complica. Non c’è bisogno di religione, di teologia e di metafisica per comprendere la biologia. Il nostro corpo è fatto di organi e accoglie una mente. Che la mente possa restare stabile mentre gli organi vengono usati in senso antifisiologico è un’idea bizzarra che può venire in mente solo a gente molto ingenua. È antifisiologica la bulimia, il mangiare seguito da vomito autoindotto. L’esofago ha una precisa funzione di organo che conduce il cibo dalla bocca lo stomaco. Contrariamente allo stomaco che è rivestito da una mucosa in grado di resistere all’acido dei succhi gastrici, quella dell’esofago non lo è. Il vomito autoindotto porta contenuto acido a contatto con la mucosa esofagea
Il corpo delle donne deve dare la vita. Nessuno pensi che la scelta di dare la morte possa lasciare la vita e la mente intatti.
e con i denti. L’esofagite cronica e la carie sono le due conseguenza più ovvie, cui se ne aggiungono altre, la grave perdita di elettroliti, che può portare ad aritmie anche pericolose, la rara ma potenzialmente mortale frattura dell’esofago, ma soprattutto alla distruzione della mente, che viene invasa. La persona che ha acquisito il comportamento di mangiarevomitare e ne è diventata dipendente, non pensa ad altro. Mangiare è una necessità primaria. L’essere umano viene al mondo con un'unica competenza: un pianto disperato che attira l’attenzione di qualcuno che lo nutre, mentre lo tiene tra le braccia. Nella mente della creatura umana essere amato ed essere nutrito sono profondamente intrecciati. All’inizio il vomito autoindotto è una scelta, una scelta nauseante, poi c’è l’inversione del senso del piacere e del dolore, una reazione teoricamente di difesa che diventa di dipendenza. Anche riprodursi è un istinto primario.
Quando fu varata la legge 194 tutti assicuravano che serviva per sanare situazioni estreme, e che doveva essere sempre preceduto da una qualche difesa della vita. Al contrario è stato trasformato in una comoda strada in discesa, mentre la gravidanza è una strada in salita.
L’utero è un organo predisposto a contenere la vita e a custodirla fino al momento del parto. Non è predisposto a vedere questo processo interrotto in maniera brutale e violenta. Non è “l’unica scelta logica”, ma un terrificante gesto antifisiologico. È antifisiologico che una donna abortisca. È antifisiologico che uno Stato favorisca in tutte le maniere l’aborto, rendendolo gratuito, cioè a spese dei contribuenti, qualsiasi siano le ragioni della cosiddetta “scelta”, anche quando si tratti di
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ragioni assolutamente voluttuarie. Quando fu varata la legge tutti assicuravano che l’aborto serviva per sanare situazioni estreme, e che doveva essere sempre preceduto da una qualche difesa della vita. Al contrario è stato trasformato in una comoda strada in discesa, mentre la gravidanza è una strada in salita. Se quell’interruzione di gravidanza fosse stata banalmente a pagamento, il dubbio che già esisteva nella mente di Giovanna di star facendo la scelta maledetta della sua vita sarebbe probabilmente cresciuto abbastanza da diventare consapevolezza. Invece l’assoluta gratuità ha avvalorato l’impressione di starsi levando un tumore, un parassita, qualcosa di sbagliato che si trova nel posto sbagliato e invece è stato tolto è stato qualcosa di giusto che si trovava al posto giusto. Incredibilmente il dolore del post aborto è sotto censura. Pochissimi libri di psicologia parlano della sindrome post aborto, i siti internet che ne accennano spesso lo fanno
Questo camion vela è stato parte della campagna “Per la salute delle donne” di Pro Vita
per chiarire che si tratta di una mitica falsa notizia, creata dai pro life per fare terrorismo psicologico. Io ho ascoltato innumerevoli volte un dolore e un rimpianto da spezzare il cuore. Altre volte non c’era alcun rimpianto. «Dopo che ho abortito, in effetti ci sono stata male. Ero più triste. Ovviamente il secondo aborto, quello fatto a 26 anni. C’è stato un primo aborto, a 18 anni, ma quello è ovvio. Dovevo dare la maturità. Quella è stata una scelta talmente ovvia che, veramente, non ci ho più pensato». Certo, non ci ha più pensato. Peccato che la sua vita abbia un andamento strano. Dai 18 anni in poi c’è una lunga e ininterrotta serie di scelte sbagliate, scelte inequivocabilmente autodistruttive. Facoltà cominciate e abbandonate, uomini sempre più problematici, lavori assurdi, tatuaggi e piercing in numero impressionante. Il corpo delle donne deve dare la vita. Nessuno
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pensi che la scelta di dare la morte possa lasciare la vita e la mente intatti. L’aborto è cultura di morte. Anche partecipare alla Prima guerra mondiale è stata cultura di morte. Come siamo arrivati alla Prima guerra mondiale? Per l’Italia è stata una catastrofe. Anche per altre nazioni, se è per questo. Noi però abbiamo l’ulteriore aggravante di essere entrati in guerra un anno dopo gli altri, quando ormai chiunque non fosse completamente idiota avrebbe potuto rendersi conto che si trattava di un mostruoso bagno di sangue che avrebbe distrutto corpi, menti e popoli. Ci siamo andati per una tragica forma di corruzione dei nostri uomini politici, che hanno ceduto a lusinghe franco-inglesi di verosimile matrice massonica, ma l’ingresso in guerra dell’Italia non sarebbe stato possibile senza gli interventisti. Affascinati da una propaganda che era alle prime armi, da libri infarciti di retorica risorgimentale, da D’Annunzio, e da qualche tronfio film, uomini e ragazzi sono andati per strada a urlare il loro diritto di andare in guerra, a morire, a restare mutilati, a distruggere l’economia della nazione, a impazzire. Quando vuoi fregare qualcuno, devi convincerlo che la sua distruzione sia un suo diritto. È un tuo diritto la droga. È un tuo diritto l’aborto. È un tuo diritto abortire con la pericolosissima pillola Ru486 a casa tua. Con l’aborto chirurgico tutto avviene in una sala operatoria e dura 15 minuti. Il grumetto di cellule che ha già gambine, braccine, piccole dita e un cuoricino che batte, e che prima o poi diventerebbe un bimbo che dice «Mamma», almeno impiega pochi minuti a morire. Invece, con l’aborto farmacologico, dopo la prima pillola di antiprogestinico il bimbo agonizza per ore dentro il corpo della madre, poi finalmente muore e la madre ne diventa il sarcofago. A questo punto si arriva all’espulsione. Se ti hanno sbagliato la datazione, cosa non inverosimile se nessuno si è preso il disturbo di fare un’ecografia, se nessuno si è accorto di una gravidanza extrauterina, se nessuno si è accorto, per esempio perché non sono stati fatti gli esami, di un qualsiasi disturbo coagulativo, possono esserci complicanze anche gravi che sarebbe infinitamente meglio che avvenissero in ospedale. In ospedale inoltre è ancora possibile cambiare idea: somministrando subito grandi dosi di progestinico si annulla l’effetto dell’antiprogestinico e si salva il piccolo.
Le donne quindi stanno marciando per correre più rischi e avere più dolore. La propaganda può tutto.
1916: in una trincea it (Fondazione Luigi Mic Brescia, in cooperazio Wikimedia Italia. Autore: Carlo Bonardi
taliana cheletti di one con
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A casa non è possibile. È anche possibile l’espulsione del feto a casa, con una serie di problemi pratici. Dove si butta? Nel water? Nel biologico? Nell’indifferenziato? L’aborto è sempre una scelta tragica, ma da un punto di vista tecnico l’aborto chirurgico è meglio di quello chimico. Sempre da un punto di vista tecnico, una volta che è stata fatta la doppia scelta sbagliata, aborto e aborto chimico, meglio negli ospedali che a casa. Eppure le donne per strada urlano che vogliono abortire a casa. La propaganda può tutto. Perché, se esiste l’aborto chirurgico, tecnicamente migliore, ci si rivolge a quello chimico? Perché costa meno. E se fatto a casa costa ancora meno. Le donne quindi stanno marciando per correre più rischi e avere più dolore. La propaganda può tutto. E Giovanna? Giovanna deve prendere coscienza della perdita, deve compensarla, aiutando altre piccole vite. Iscriversi a un Centro Aiuto alla Vita, adottare un bambino a distanza o, meglio, in vicinanza, un bambino da poter seguire, da poter aiutare, di cui potrà diventare una zia benevola. Perché il corpo delle donne è in grado di dare la vita. Il corpo delle donne accoglie una mente che vuole dare la vita. Esattamente come il corpo degli uomini accoglie una mente che in realtà non vuole morire in guerra. La mente degli esseri umani però è fragile e può deragliare per la propaganda e per le menzogne. Questo articolo in Francia mi sarebbe costato l’imputazione di intralcio all’aborto. Anche chi diceva la verità sulla guerra veniva punito.
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# res t i a m ol ib e r i 100 piazze e 100 città per la famiglia, per i bambini, per la libertà, per la verità. Abbiamo descritto in mille occasioni le criticità - gravi - della proposta di legge Boldrini - Zan - Scalfarotto contro l’omotransfobia. Ricordiamo qui, rapidamente, che - tra le tante - non è una legge che serve a ottenere parità di diritti, ma serve per creare una categoria di persone privilegiate: chi venisse licenziato, o sfrattato o bocciato a un esame, se Lgbtqia(…) può dire che è stato un «atto di discriminazione fondato sull’orientamento sessuale» e mandare in galera il datore di lavoro, il padrone di casa o il professore (e comunque lo può denunciare e far processare); una coppietta si scambia effusioni troppo osé davanti a tutti? Se sono un maschio e una femmina, si tratta di “atti osceni in luogo pubblico”; se sono due maschi o due femmine, chi protestasse e invocasse l’intervento delle forze dell’ordine sarebbe omofobo (è già successo, su una spiaggia di Fregene, vicino a Roma, questa estate) e quindi passibile di galera. A noi, ai pro life in genere, ci riempiono di insulti e minacce violente, ma non ci spetta alcuna tutela speciale: gli Lgbtqia(…) oltre alla protezione delle comuni norme contro le ingiurie e la diffamazione hanno la legge Zan. Anche senza una legge vigente abbiamo centinaia di casi di ingiuste persecuzioni subite da chi dice la verità. Ma c’è di più e forse di peggio: le disposizioni del testo unificato danno alle associazioni Lgbt il diritto di indottrinare i bambini nelle scuole di ogni ordine e grado (art. 5.3) e di imporre la loro agenda ideologica nell’ambito dell’educazione, dell’istruzione, del lavoro, della sicurezza, anche con riferimento alla situazione carceraria, della comunicazione e dei media (art. 6). Cari Lettori, qui è in ballo la libertà di dire la verità sull’uomo, la donna, la famiglia, la natura. È in ballo non solo la libertà educativa, come spiega bene Toni Brandi nell’editoriale. È in ballo la salute psicofisica delle nuove generazioni. Perciò, queste belle immagini colorate delle nostre (e vostre) proteste pacifiche sono solo un esempio di una buona battaglia - anzitutto culturale - che non potrà mai cessare: perché la tutela dei bambini e la libertà di dire la verità non sono solo un diritto, ma anche un dovere che bisogna adempiere a costo del martirio.
ro ma- # re sti amo l i b e r i
#res tiamoliberi - vero n a
c atan i a - # re sti amo l i b e r i
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Quando i bambini andavano a scuola da soli Claudio Vergamini
“Amarcord” di un tempo spensierato in cui i bambini crescevano e imparavano a vivere con semplicità Prima della pandemia ero stato invitato a un compleanno. La cena si svolse in un ristorante a Monte Mario, poco distante dalla scuola dove feci gli ultimi tre anni delle elementari, i primi furono nella vecchia scuola, poi dismessa. Quando andai a parcheggiare, nelle sue vicinanze, non potei fare a meno di rivedere, proiettato nella mia mente, il film di quegli anni della mia infanzia spensierata. Ho ripensato a quante volte, uscito da scuola, tornavo a casa, o salendo sui bus a noi riservati, che ci avrebbero accompagnato direttamente alla piazza, davanti alla parrocchia, da dove ognuno sarebbe tornato a casa, oppure facendo il tragitto di ritorno a piedi con i miei compagni di scuola, dove si rideva, si scherzava, ci si “sfotteva”, si faceva a gara a chi arrivava prima alla sbarra che delimitava una strada interdetta al traffico, si giocava a pallone con la prima lattina che si trovava per terra...
Ho rivissuto nella mia mente quando allungavo il tragitto per andare a vedere, con occhi sognanti, una stazioncina di servizio per macchinine al negozio di giocattoli, e mi sono chiesto cosa avrà pensato il giocattolaio, vedendomi praticamente tutti i giorni, alla solita ora, un po’ come fanno i gatti quando vengono a cercare da mangiare. Mi ricordo anche di quando suonavamo ai citofoni e rispondevamo con sonore pernacchie, per poi scappare alla velocità della luce facendo delle sgommate pazzesche e consumando mezza suola delle scarpe, specialmente quando, un giorno, una signora anziana si affacciò gridandoci: «Se v’acchiappo, ve stacco la testa!». Camminando sul marciapiede per arrivare al ristorante ho anche ripensato ai vari personaggi naif che non di rado incontravamo, tra i quali, per esempio, una signora che abitava nella casa di fronte alla mia e che, un bel giorno, pensò bene di uscire con un coltello da cucina in mano.
Perché mai i bambini di oggi non possono fare nemmeno mezzo metro da soli?
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Oltre alla signora, che oltretutto veniva spesso a farci visita a casa, c’erano anche diverse persone che stavano a Santa Maria della Pietà, che era nelle vicinanze, e che ospitava persone inferme di mente, alcune anche poco raccomandabili, le quali giravano per strada e facevano, a pieno titolo, parte del quartiere; e non ho potuto fare a meno di ricordare quando andavamo a scuola calcio, e dovevamo passare proprio all’interno di Santa Maria della Pietà: anche qui, non di rado, noi bambini eravamo da soli, senza genitori né accompagnatori, ma solo con la voglia di stare in compagnia e di divertirci insieme. Certo, poteva capitare di incontrare qualche ragazzotto un po’ prepotente, o, come è successo a uno degli amici, di essere rincorsi e azzannati ai glutei da un cane probabilmente randagio e non vaccinato, o di trovare qualche giornaletto pornografico lasciato per terra chissà da chi. E mentre rivedevo questo film, mi sono chiesto tante volte perché mai i bambini di oggi non
Andando in giro da solo ho imparato a non avere timore del quartiere e degli altri, ad avere un minimo di autonomia, a responsabilizzarmi.
possono fare nemmeno mezzo metro da soli. Lo so, le situazioni rischiose ci sono sempre, come ce n’erano all’epoca, e io stesso in una circostanza rischiai grosso. Però di quegli anni ho il ricordo della spensieratezza con cui andavo per il quartiere, anche da solo, imparando a conoscere, uno per uno, tutti i negozianti di zona, a ricordarmi i nomi di tutte le strade, senza quindi essermi mai perso nemmeno una volta. Ho imparato anche ad attraversare la strada senza incappare in situazioni di pericolo, e le macchine c’erano anche allora e gli incidenti non mancavano: ricordo ancora quando, vicino a casa mia, una moto fece un volo impressionante perché urtata da una macchina che non osservò la precedenza. All’epoca mia madre era casalinga, quindi di tempo per accompagnarmi a scuola, a calcio, a nuoto, a catechismo, dagli amici, etc. ne aveva, e qualche volta lo ha fatto, ma, saggiamente, molto spesso, mi lasciava andare da solo.
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Questo mi ha insegnato a non avere timore del quartiere e degli altri, ad avere un minimo di autonomia, a responsabilizzarmi, per esempio quando mi mandava a comprare il pane, il latte, il giornale, e controllava che non mi sbagliassi col resto. Ora mi domando se un bambino di oggi è capace di andare a comprare qualcosa e di trovare la strada del ritorno senza usare le mappe sul cellulare. Sento dire da tanti genitori che all’epoca si poteva fare, oggi no, e ripenso a tutte le volte che ho camminato, da solo, o con gli amichetti, sui marciapiedi o in zone sterrate, con accanto una consistente quantità di siringhe, e i nostri genitori lo sapevano, ma ci hanno insegnato cos’erano e a non toccarle. A quei tempi il problema della droga era veramente sentito, e ne girava non poca, e, come oggi, c'era un po' la fobia dei pedofili: ci raccomandavano di non prendere caramelle dagli sconosciuti perché poteva esserci la droga dentro, solo che non mi ricordo uno che sia stato uno che mi abbia
offerto una caramella... Mi chiedo se proteggere sempre i bambini da qualunque situazione sia la cosa migliore. Ho ripensato quando, qualche volta, o sul bus, o per il quartiere, ci scappava qualche scazzottata (e io non ero né Mike Tyson, né Bruce Lee), o quando qualcuno ci sgridava per qualche marachella andata storta, oppure quando, qualche tempo dopo, mi trasferii in una periferia dove, per andare a prendere il latte, dovevo andare alle case popolari spesso al buio, in contesti da film noir, con in giro ceffi inquietanti: sarebbe stato meglio se mia madre fosse stata lì, oppure ciò mi ha messo in condizione di sviluppare i miei anticorpi, di vincere la paura, di affrontare con coraggio il futuro? Chissà se, tra 20 anni, nel tragitto per andare a una festa di compleanno, ai futuri quarantenni brilleranno gli occhi e prenderà un dolce nodo alla gola rivedendo il film di quando erano bambini, come è preso a me.
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I genitori di fronte a una scuola in crisi La scuola è importante nella formazione delle persone, ma più il tempo passa, più si evidenziano le criticità di un sistema cui i genitori hanno delegato in modo eccessivo il loro ruolo educativo. L’epidemia sanitaria Covid-19 ha avuto ripercussioni importanti anche sul sistema scolastico italiano: l’impossibilità di riunirsi in presenza all’interno di un’aula e la didattica a distanza, infatti, hanno fatto emergere da un lato i limiti della scuola odierna, mentre dall’altra hanno aiutato a individuare i punti su cui sarebbe bene investire nel prossimo futuro. TRA EDUCAZIONE E ISTRUZIONE Educazione e istruzione, due termini che nel linguaggio comune vengono spesso utilizzati in maniera indiscriminata, ma che in realtà sono portatori di significati differenti tra loro. Per comprenderlo, è sufficiente guardare all’etimologia: ex-ducere, da cui il verbo “educare”, rivela fin dal suffisso il fatto che si tratta di un’opera volta a far sviluppare la
Giulia Tanel
persona, a “tirarne fuori” il meglio; in-struere, da cui “istruire”, che già dal suffisso “in” parla di un “mettere dentro”, di un trasmettere conoscenze. Ebbene, senza entrare in ambito strettamente pedagogico, solamente guardando a queste due parole è possibile proporre alcune riflessioni. Innanzitutto, la situazione di emergenza degli ultimi mesi ha evidenziato tutti i limiti della didattica frontale, privata del coinvolgimento esperienziale: una situazione, questa, che si vede(va) anche nelle aule scolastiche, ma che con il lockdown è stata ulteriormente accentuata: la video-lezione è per forza di cose una lezione frontale, ancor più “disumana” della lezione frontale in classe. Accanto a questo, per i più piccoli vi è stato spesso un grande problema organizzativo e di
Sarebbe auspicabile che ogni famiglia potesse decidere autonomamente come investire i soldi che lo Stato stanzia per ogni studente.
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gestione del carico di lavoro, tra genitori non sempre disponibili a seguire i figli e una mole di compiti spesso eccessiva. Per i più grandi, invece, una delle fatiche più grandi è stata quella della gestione dei (necessari) mezzi tecnologici da parte di adolescenti ancora incapaci, a livello neurologico, di utilizzarli con cognizione di causa: la gioventù 2.0, in grado di trascorrere ore messaggiando sul telefonino o navigando tra i social media, ha trovato molto difficile - molto più di quanto si possa immaginare - seguire con attenzione un’ora di lezione attraverso uno schermo. Per tutti, infine, vi è stato il grande problema della socializzazione con i pari: i bambini sono stati di certo quelli ad aver sofferto di più l’isolamento, mentre per certi aspetti ai ragazzi ha fatto gioco potersi rintanare nella propria camera nascosti dietro uno schermo… ma la realtà rimane che siamo esseri umani che vivono della e nella relazione, che rimane un aspetto imprescindibile del vivere.
Passando quindi alla questione educativa, il punto fondamentale e imprescindibile è che la prima agenzia educativa è, e deve rimanere, la famiglia: sono i genitori, e non gli insegnanti, ad avere il dovere e il diritto di “educare” e far crescere i propri figli secondo una determinata scala di valori. Questa affermazione appare quasi scontata, ma la prova dei fatti ci dimostra che non è così: troppo spesso, infatti, abbiamo genitori fragili, disorientati, narcisisti e, in definitiva, disarmati di fronte al loro ruolo educante, che delegano in maniera quasi totale a figure terze, esterne al nucleo familiare ristretto il loro compito. Questo naturalmente genera dei problemi: per i figli, che vengono privati di una guida sicura (i genitori, stretti in un’alleanza educativa che va oltre la loro relazione), ma anche per le figure terze, indebitamente rivestite di una responsabilità che va oltre il loro ruolo. Vi è poi un ulteriore tassello di criticità generato da questa situazione, subdolo ma
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di primaria importanza. Come è noto, infatti, la scuola è un potente veicolo di indottrinamento, dal momento che ha molte ore al giorno per agire sulle menti plastiche e governabili degli adulti del domani. Ebbene, in un contesto sociale in cui la delega di responsabilità nei confronti della scuola è pressoché acritica, da parte appunto di una generazione di genitori debole e disattenta, il gioco risulta piuttosto facile: ed ecco quindi che la storia viene raccontata sempre secondo una determinata ottica, che l’evoluzionismo è un dogma indiscutibile, che il Medioevo è stato un “periodo buio”… e che il sesso non è biologicamente determinato e che già fin dalle elementari si parla e si mostrano immagini di rapporti sessuali. I genitori, nella maggior parte dei casi, accettano tutto questo acriticamente, nascondendosi dietro una fiducia illimitata nei confronti dell’istituzione: «La scuola sa cosa è bene per mio figlio!». UN’ALTERNATIVA POSSIBILE: LA SCUOLA PARENTALE Tuttavia, con un incremento di visibilità e interesse in relazione al Covid-19, con le derive che si è portato dietro in chiave di controllo del pensiero e delle opinioni, ma anche in relazione alla discussione in atto sui tema dei diritti civili, con il ddl Boldrini-ZanScalfarotto che pende come una spada di Damocle su chi segue la legge naturale, molti genitori hanno iniziato ad aprire gli occhi e a rendersi conto che forse non sempre «la scuola sa!» e che forse è ora e tempo di riprendere il timone - con fatica e dedizione, consapevoli delle onde e della fatica di remare controcorrente - nella crescita dei figli che si sono messi al mondo. È questa l’idea alla base della scuola parentale. Scuola parentale che non è Homeschooling, la quale prevede che il figlio stia a casa e che i genitori, solitamente la mamma, provvedano alla sua formazione: la scuola parentale invece ha un suo luogo fisico esterno all’abitazione,
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richiede la figura degli insegnanti o dei professori, preserva la socializzazione con la creazione di classi (non sempre omogenee per età), ma si differenzia dalla scuola comunemente intesa in quanto retta da un’associazione costituita dai genitori, che hanno dunque il pieno controllo sull’educazione e sull’istruzione che viene impartita ai loro figli. IL PORTAFOGLIO DEGLI STUDENTI In tutto questo ovviamente ci sono molti “ma”. Su tutti, il tempo e le energie mentali che comporta seguire i figli nel percorso della scuola parentale e il costo economico. Sul primo aspetto, c’è poco da dire: i figli sono un impegno e una responsabilità, e anche se la società oggi riconosce solo in minima parte la missione genitoriale, occorre farsene carico. Sul secondo aspetto, invece, un’idea interessante appare quella del cosiddetto “portafoglio dello studente”. In sintesi, questo significa che lo Stato stanzia, come già fa, dei soldi per ogni singolo studente, che però potrà decidere autonomamente se investirli in una scuola statale, in una scuola paritaria o in una scuola parentale. In questo modo, tutti ne avrebbero dei vantaggi: lo studente, perché avrebbe la possibilità di scegliere liberamente a quale scuola iscriversi e troverebbe di certo un’offerta (secondo le logiche di mercato, per cui chi dà di più, ottiene di più) qualitativamente superiore; le famiglie, perché sarebbero veramente libere di scegliere il percorso scolastico che ritengono più vicino alle proprie esigenze e ai propri valori; ma anche le scuole e lo Stato, che probabilmente avrebbero a disposizione più risorse a fronte di una spesa inferiore. Tutti ne avrebbero vantaggi, dunque. Allora come mai non si procede in questa direzione? Forse per il motivo di cui sopra: la scuola serve allo Stato perché permette di controllare l’oggi… e il domani.
Troppo spesso abbiamo genitori fragili, disorientati, narcisisti e, in definitiva, disarmati di fronte al loro ruolo educante.
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Fare scuola, ovvero l’arte di arrangiarsi Francesca Romana Poleggi
L’esperienza, le riflessioni - e lo sfogo - di un’insegnante in tempo di Covid
Sono 33 anni che faccio il mestiere più bello del mondo: insegno nella scuola secondaria di secondo grado, nei dintorni di Roma. Non è una professione gratificante nell’immediato (forse è un po’ per masochisti), ma è una professione che consente di contemplare la preziosità infinita dell’essere umano, specie nell’età evolutiva, e consiste nell’intessere rapporti umani spesso difficili, ma sempre e comunque arricchenti. Sono, però, 33 anni che imparo l’arte di arrangiarmi. Cambiano i presidi (pardon: i dirigenti scolastici o, meglio, ancora i Ds), cambiano i ministri, ma alla fine l’insegnante è lì, da solo, a dover intessere un “dialogo educativo” con studenti sempre più distratti, a doversi rapportare con famiglie sempre più inconsistenti, che quando intervengono
La Dad penalizza i più poveri (quelli con strumenti tecnici e connessione internet insufficienti) e i più deboli, per quanto diligenti e volenterosi.
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di solito lo fanno per difendere a spada tratta anche gli atteggiamenti più indifendibili dei ragazzi, con colleghi e colleghe sempre più stanchi, incompetenti e demotivati e a doversi destreggiare in mezzo alle scartoffie di una burocrazia borbonica che si modernizza creando acronimi (Ptof, Pei, Pia, Pai…), creando commissioni e sottocommissioni che si parlano addosso e fanno compilare chilate di documenti, schede e relazioni: bisogna accumulare chilate di carta (o di file). Non importa quello che c’è scritto, tanto non le leggerà mai nessuno. I docenti fortunati sono quelli che trovano all’interno del Consiglio di classe due o tre colleghi che credono davvero nell’importanza sostanziale del loro ruolo, che credono davvero che la scuola sia una cosa seria, una palestra di vita dove i giovani imparano innanzitutto ad affrontare le difficoltà con impegno e - diciamo una parola divenuta tabù - sacrificio. Perché studiare è una ginnastica per la mente: a prescindere dai contenuti, offre gli strumenti per capire quello che si legge e che si dice intorno a noi e quindi per sviluppare il senso critico, valutare, scegliere, e - in sostanza conquistare la libertà. La scuola deve “insegnare a studiare”. Tutto il resto è secondario. Si sa - da che mondo è mondo - che i ragazzi tendono a essere un po’ scansafatiche: è fisiologico e per certi versi anche sano. Quindi il lavoro, la fatica vera dell’insegnante è quella di trovare un canale di comunicazione, di creare un briciolo di curiosità, di interesse, di far capire che, se apparentemente le equazioni o le “poesie scritte da gente morta” non “servono a niente”, in realtà sono utilissime per crearsi un bagaglio culturale, cioè per costruirsi una personalità, per vivere da persone libere e non da burattini di chi tiene i fili dell’informazione e gestisce le armi di distrazione di massa. La scuola perciò ha un potere immenso sulle giovani menti, tanto più grande quanto più la famiglia risulta disgregata o addirittura “liquefatta”. Attraverso la scuola, i libri scolastici e la formazione dei docenti lo Stato può davvero istruire, educare o indottrinare con estrema efficacia. Oppure può consentire che le nuove generazioni crescano prive di quel bagaglio culturale e di quelle capacità critiche di cui sopra: cittadini ignoranti si trasformano facilmente in sudditi docili e obbedienti. Gli insegnanti che combattono contro questa deriva sono tanti, ma sempre più soli: è sempre più difficile trovare
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Cambiano i ministri, cambiano i dirigenti scolastici, ma alla fine l’insegnante è lì, da solo, a dover intessere un “dialogo educativo” con studenti sempre più distratti, a doversi rapportare con famiglie sempre più inconsistenti.
colleghi e dirigenti che sostengono fino alla fine il brutto voto o la nota disciplinare, quindi devono arrangiarsi a trovare strategie comunicative con i ragazzi, trovare l’interruttore affinché si accenda la loro attenzione. Non è facile, e col passare del tempo il gap generazionale è sempre più ampio. Ho imparato a parlare di calcio e di “musica” rap, eppure vedo che funziona sempre meno. Non posso - gentilmente - “costringere” a studiare e convincerli è un’impresa sempre più disperata. Non si boccia più, non si sospende più perché i votacci e i provvedimenti disciplinari sono considerati “punizioni” ingiuste per ragazzi che si comportano male “non per colpa loro”, ma per colpa della società. Quindi vengono a mancare gli unici strumenti che hanno gli insegnanti, non per “punire”, ma per trasmettere la legge delle logiche conseguenze ed educare alla responsabilità. Fino a qualche anno fa chi preferiva farsi una passeggiata piuttosto che studiare sapeva di “trasgredire” e sapeva che poi arrivava il “quattro” e le prediche di contorno a casa e a scuola. Oggi, innanzitutto è la mamma che tiene a casa il figlio che non ha studiato per il compito in classe; e poi, se arriva il “quattro” la colpa è del docente. Tanto poi, in qualche modo, il “debito” si recupera, e anche se non si recupera ci sono buone probabilità di sfangarla ugualmente per “voto di consiglio”. Oppure, gli insuccessi scolastici sono presentati
come tragedie esistenziali. Cosa stupida, sbagliata e pericolosa. Nella vita bisogna imparare a fare le cose e a superare gli ostacoli: non sempre ci si riesce. Bisogna imparare a fallire, cadere e rialzarsi. La palestra migliore per questo allenamento è la scuola, dove il votaccio o persino la bocciatura, alla fine, non fanno poi male davvero e si superano: quando poi la vita darà - inevitabilmente - le sue batoste, sarà più facile rialzarsi. È utilissimo persino imparare a “mandar giù” le piccole-grandi ingiustizie commesse dal docente e a rapportarsi con l’insegnante e i compagni antipatici. Morale della favola: il docente deve instaurare il dialogo educativo, deve trasmettere (o “tirar fuori”, e-ducere!) conoscenze e competenze senza strumenti idonei a farsi ascoltare. Si arrangerà (i nomi dei calciatori, in fondo, li imparo facilmente, ma quelli dei rapper proprio non mi entrano in testa). Certamente le generalizzazioni lasciano sempre il tempo che trovano. Certamente esistono “scuole serie” dove ci sono solo insegnanti seri e famiglie presenti e responsabili. Ma altrettanto certamente l’esperienza di chi scrive non è un caso limite. La “didattica a distanza” (Dad) sperimentata in tempo di pandemia è stata la cartina tornasole di quanto detto in questa lunga premessa. Da subito sono mancate direttive chiare e univoche su come affrontare l’emergenza. Chi ha fatto in streaming lezioni “regolari” dalle 8 alle 14, come niente fosse, spiegando, interrogando e mettendo voti; chi ha ricevuto l’ordine di non stressare i ragazzi e quindi di non cominciare le lezioni troppo presto e non farle durare troppo a lungo; chi è stato ammonito: guai a mettere voti che in un contesto tale non hanno alcun valore legale; guai a chiedere a minorenni di registrarsi online: c’è la privacy. Allora, usare piattaforme che non prevedono la registrazione, che siano semplici da usare (non solo per i docenti “antichi” che hanno ancora poca pratica del pc, ma anche per tanti discenti che sono bravissimi a messaggiare col telefonino sui social, ma che più spesso di quanto si creda - hanno - o dicono di avere - difficoltà a inviare o ricevere e-mail, a fare login e a usare piattaforme dedicate).
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Nella mia esperienza, dopo aver fatto diversi tentativi e aver constatato pregi e difetti delle piattaforme online, ho scelto la più gradita ai ragazzi, tra quelle consigliate dalla scuola. Ma mi sono arrangiata soprattutto con lo strumento di comunicazione da loro prediletto e perciò di gran lunga più efficace: WhatsApp, videochiamate comprese (in due o tre massimo), quando è servito: ciò ha comportato di fatto una disponibilità h24 per 7 giorni su 7 nei confronti degli alunni. Certamente, avevo posto un orario e delle regole, ma di fatto, quando arrivava il messaggino di sera o di domenica, mi è sembrato doveroso rispondere ugualmente: era necessario per non chiudere quel canale di comunicazione che è tanto difficile trovare in classe, quando ci si parla guardandosi negli occhi, e che è del tutto inconsistente quando di mezzo c’è un dispositivo elettronico.
connessione internet insufficienti) e i più deboli.
Alcuni ragazzi, infatti, sono letteralmente spariti. Molti si connettevano, spegnevano la telecamera (non funzionava mai! Poverini, sono stati mesi senza farsi selfie?) e si facevano i fatti loro. Tra quelli che si sono prestati davvero, i più bravi, intelligenti e capaci hanno seguito le lezioni online, e hanno interagito: qualcuno ha anche lavorato seriamente e con profitto. Ma quelli più fragili, per quanto diligenti, hanno perso totalmente la bussola. La Dad penalizza i più poveri (quelli con strumenti tecnici e
Ci sarà ancora pericolo di contagio (l’hanno decretato per Dpcm...), bisognerà ricominciare in sicurezza, secondo le regole del “distanziamento sociale”. Bene. Una persona normale dirà: si dimezzano le classi numerose e si assumono più insegnanti. Si sarà messa mano all’edilizia scolastica per creare gli spazi laddove necessario, ristrutturare, organizzare le strutture... Macché. Al Ministero fanno una commissione che dopo tanti proclami delegherà alle Regioni, che delegano ai Comuni, che delegano ai (poveri) presidi, i quali, senza mezzi idonei diranno: «Professori, arrangiatevi».
Nella vita bisogna imparare a fare le cose e a superare gli ostacoli: non sempre ci si riesce. Bisogna imparare a fallire, cadere e rialzarsi. La palestra migliore per questo allenamento è la scuola.
Poi, sempre dopo tante voci di corridoio che giravano già alla fine di marzo e che certamente non hanno invogliato i ragazzi a impegnarsi nella Dad, si viene a sapere che si faranno gli scrutini e si metteranno dei voti, ma saranno tutti promossi. Quelli che proprio se lo meritano avranno un “debito” che recupereranno durante il corso dell’anno prossimo. Come? Professori, arrangiatevi. Organizzatevi in classe con una didattica doppia, un po’ per chi sa e ha raggiunto determinati obiettivi, un po’ per chi non sa assolutamente niente e non ha le basi per capire e imparare cose nuove. Per di più, mentre questa Rivista va in stampa, ancora dalle alte sfere non è stato detto come comincerà in concreto il prossimo anno scolastico.
Se poi, come si sente dire - perché sono mesi che andiamo avanti per sentito dire - alle superiori si farà un po’ in classe e un po’ a distanza, vorrò vedere quante scuole saranno attrezzate con una connessione internet efficiente e i dispositivi idonei in tutte le classi. Forse al Ministero hanno presenti le scuole dei quartieri bene delle città, ma l’Italia è fatta anche di periferie, di borgate, di zone rurali, di zone di montagna. E allora? Non c’è problema, in fin dei conti: qualsiasi cosa decideranno (o non decideranno, così non si prendono la responsabilità), possono star tranquilli: ci arrangeremo.
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La Dichiarazione di Nairobi e il martirio Tommaso Scandroglio
La cultura della morte dilaga nell’ambito delle organizzazioni internazionali. Che fare?
L’Unfpa ha approvato la Dichiarazione del vertice di Nairobi, che chiede «accesso all'aborto nella misura massima consentita dalla legge» perché serve alla «salute sessuale e riproduttiva», nella quale vanno comprese anche l’omosessualità e la transessualità.
Il Consiglio direttivo del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (Unfpa) ha approvato una modifica al piano strategico del Fondo stesso che permetterà di diffondere ancor di più nel mondo le pratiche abortive, presentandole come “diritti umanitari”. Infatti il 5 giugno scorso l’Unfpa ha approvato un documento intitolato: Dichiarazione del vertice di Nairobi, vertice tenuto mesi prima. Questa dichiarazione apre all’«accesso all’aborto nella misura massima consentita dalla legge» perché facente parte del «diritto ai servizi di salute sessuale e riproduttiva [aborto e contraccezione] in contesti umanitari e fragili». Inoltre ha ricompreso nell’espressione «salute sessuale e riproduttiva» anche l’omosessualità e la transessualità, così come richiesto dal Guttmacher Institute (pro aborto) e dalla rivista medicoscientifica Lancet.
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L’Unfpa, negli anni Ottanta, ha fornito assistenza concreta e know-how alla Cina per implementare la sua brutale politica del figlio unico.
C’è da sottolineare che la Dichiarazione di Nairobi ha avuto una genesi che dal punto di vista formale è apparsa ai più non proprio limpidissima. Infatti, organizzazioni pro life e pro family non hanno potuto partecipare ai lavori e, come conseguenza, molti Paesi si sono rifiutati di sottoscrivere il documento finale proprio perché poco rispettoso del tanto celebrato pluralismo. Infine l’Assemblea generale dell’Onu non ha adottato la Dichiarazione, anche perché il tema aborto, in linea molto teorica, non potrebbe essere trattato dalle agenzie Onu, bensì demandato alle legislazioni nazionali.
Nel novembre del 2019 l’amministrazione Trump si era opposta alla Dichiarazione di Nairobi, insieme ad altri Paesi, ma senza successo. A inizio giugno sempre l’amministrazione Trump era tornata alla carica tentando di inserire nella Dichiarazione un riferimento a una decisione del 2017 del Consiglio esecutivo del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione in cui si stabiliva che il piano strategico dell’Unfpa può essere redatto solo «in conformità con i diritti umani riconosciuti a livello internazionale». La notizia ha una sua rilevanza perché inserire
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l’aborto, inteso come “diritto umanitario”, nel piano strategico dell’Unfpa vorrebbe dire istituzionalizzare ancora di più l’aborto, e quindi diffonderlo nel mondo con sempre maggior facilità. Di fronte a questo ennesimo attacco alla vita nascente sorge sempre, almeno nella coscienza degli uomini di buona volontà, un quesito assai semplice: cosa fare? Come impedire che l’aborto dilaghi sempre più, anche a causa delle decisioni di questi organismi sovranazionali? Le risposte sarebbero delle più diverse: la formazione e l’informazione, le proteste di piazza, le petizioni pubbliche, l’impegno di sensibilizzazione dei politici, il confronto con i propri parenti, amici, etc., l’impegno nelle associazioni pro life e soprattutto l’offerta a Dio di preghiere e sacrifici. Qui però vogliamo mettere l’accento su uno strumento che sempre più appare decisivo: la testimonianza personale. Tale strumento ha oggi una caratteristica che è imprescindibile: l’eroicità o il martirio. Cerchiamo di spiegarci meglio, al fine di non essere fraintesi. Non stiamo affermando che chi si schiera a favore dei bambini non nati sarà chiesto sicuramente di dare la vita per questo ideale. È accaduto e potrà accadere in futuro, ma è realisticamente eventualità marginale. Ciò che invece vogliamo sottolineare sta nel fatto che oggi la difesa della vita non può mai avvenire a costo zero. Ciò dipende dal fatto che non si può essere neutrali in questa battaglia, ma è inevitabile
schierarsi: o in difesa della vita o all’attacco della stessa. Una volta schierati a favore dei bambini il nemico tenterà di toglierti di mezzo e riuscirà prima o poi ad infliggerti qualche ferita. Potrà essere l’incomprensione del coniuge, del fidanzato, dei parenti, dei colleghi, degli amici. Potrà essere un licenziamento o l’impossibilità di accedere ad alcuni ruoli professionali. Potrà essere una denuncia o una querela, le quali daranno vita a una vertenza giudiziaria che, con buona probabilità, il pro life perderà. Potrà essere trovarsi vittima di una critica feroce da parte dei media o la presa in giro a mezzo stampa, senza ovviamente il diritto di replica. Potrà essere la perdita della buona fama perché infangare il buon nome di una persona con la menzogna è strategia spesso vincente. Da qui una seconda domanda: siamo disposti a pagare questo prezzo? Detto tutto ciò, però, la testimonianza personale - declinata oggi come inevitabile martirio - è una delle armi più efficaci per illuminare le coscienze. Perché il testimone parla con i fatti e i fatti hanno un potenziale di persuasione enorme. E solo quando la coscienza collettiva avrà mutato orientamento, anche grazie al sacrificio di molti, le agenzie governative come l’Unfpa non potranno più fare orecchie da mercante sulle tematiche eticamente sensibili, sebbene tali organismi siano composti da tecnocrati oligarchi che, costituzionalmente, sono portati a passare sopra alle istanze della base come uno schiacciasassi.
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Nutrire il malato con scienza e carità Anna Porrelli
Nel cinquantesimo anniversario della morte, ricordiamo Giancarlo Rastelli, nato a Pescara il 25-06-1933, internista, cardiochirurgo e ricercatore, fervente cattolico, di quelli che integrano perfettamente la vita, la fede e la professione, con specchiata coerenza. Negli anni Sessanta, dopo aver vinto una borsa di studio, visse negli Stati Uniti e lavorò presso la famosa Mayo Clinic, dove fece due importantissime scoperte: Rastelli I e Rastelli II, tecniche operatorie sui vasi sanguigni. Si ammalò (per cause di servizio) nel 1964, di ritorno dal viaggio di nozze e - senza mai lamentarsi del suo male, e continuando a vivere e a lavorare intensamente fino alla fine - morì nel 1970. Fu sepolto ad honorem nella cappella universitaria del cimitero di Parma, sua città d’adozione, accanto a Pietro Giordani. Sulla lapide sta scritto: «Vita mutatur, non tollitur». Il 30 settembre 2005 la Santa Sede ha concesso il nulla osta per l’avvio della causa di beatificazione. «Anche se sai di avere pochi minuti per la visita all’ammalato, entra, siediti accanto a lui, sorridi, prendigli la mano. Incontralo come fratello di un comune destino, non come un numero o come un carcerato dell’Ospedale! [...]». A proferir parola è Giancarlo Rastelli, medico, ricercatore brillante nel campo della
cardiochirurgia che ha saputo inabissarsi nel cuore del malato fino a tradurne, perfettamente, i vitali palpiti. Un monito, il suo, impregnato di saggezza, così fortemente inzuppato di considerazione umana da sembrare la ferma esternazione dell’iterato e silente grido di un sofferente verso il proprio curante.
«Gian era stato educato in famiglia ai principi della fede cristiana, e questi principi e questi ideali, vissuti in maniera gioiosa, adulta, senza pietismi ma con profonda convinzione, sono stati la bussola e i mezzi di discernimento di tutta la sua vita» (Umberto Squarcia).
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La storia di Giancarlo Rastelli, oltre a essere quella di uno scienziato riconosciuto in tutto il mondo per i risultati delle sue ricerche cardiovascolari, colpisce più di tutto per l’esaltazione della normalità. Il grido di ferite profonde che oggi, a 50 anni dalla morte di “Gian”, continuano copiosamente a sanguinare (perché perenne, e spesso così cronicamente insoddisfatto, è il bisogno umano di considerazione). Quante volte le già gelide mura degli Ospedali impietriscono dinanzi alle continue sollecitazioni di rimbombi altisonanti d’intensa e inappagata sete di attenzione. Quanti i tentativi di parola stroncati sul nascere da modi di fare paternalistici, non certamente paterni. Quante volte orecchie desiderose di risposte intercettano il vuoto, perché le sbrigative elencazioni in “medichese”, che di comunicativo difettano pure in parvenza, si riducono a freddi monologhi che si dissolvono, inesorabilmente, nell’aria. Un’aria sempre più gelida, un paziente sempre più solo. Eppure è proprio lì, nella relazione di cura, che si gioca la partita più importante per la vittoria finale; perché solo nell’incontro improntato ad una vera alleanza che la terapia trova terreno fertile e la guarigione diviene il traguardo agognato, perché l’esito di un prendersi cura effettivamente compiuto e totalizzante. Un prendersi cura che non si arresta neppure dinanzi alla sofferenza più estrema di un esito
infausto, che sa guardare ben oltre l’apparenza di un malato che sta lì a scontare pena per una sentenza ormai passata in giudicato. Sentenza irrevocabile - linfoma di Hodgkin che ha portato Rastelli a percepire ancor più nitidamente le pulsazioni di un cuore malato, perché il suo ha iniziato a battere all’unisono; in quel mirabile “comune destino” che rende il medico, ad un tratto, veramente paziente. Un tracciato perfettamente sovrapponibile, una conformazione interna minuziosamente esaminata ed appresa che hanno trovato, in un puntuale dosaggio di scienza e carità, la medicina curativa, pur in presenza di un male “incurabile”. Perché “to care” è la parola d’ordine, il punto di partenza, la metodica vincente, quella macchina cuore-polmone che consente d’intervenire con efficacia risolutiva. Una carità, infatti, da veicolare prontamente, mediante l’abile incisione del cardiochirurgo che ripristina il tunnel dell’autentica relazione medico-paziente, in circolazione sistemica, in modo da ossigenare e nutrire l’intera persona; cicatrizzando ogni ferita.
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Diritto naturale e diritto positivo (parte II/3) Luciano Leone
Continuiamo la riflessione cominciata nello scorso numero sulla legge, sulla sua potenza e sui suoi limiti. In questa seconda parte, con le parole di Autori, anche pre-cristiani, si dimostra che la retta ragione, indipendentemente dalla fede, conduce a riconoscere l’esistenza del diritto naturale: una legge superiore, eterna e immodificabile, cui lo Stato dovrebbe uniformarsi per perseguire fini di giustizia e di equità. Giuseppe Diotti, Antigone condannata a morte da Creonte, 1845 (non esposto).
«L’errore del positivismo giuridico è alla base dell’assolutismo di Stato, che equivale a una deificazione dello Stato medesimo» (Pio XII)
Il diritto positivo è definito come il diritto posto da chi ha il potere in un determinato ambito spaziotemporale, ed è soggetto quindi a variazioni in rapporto con le necessità della società, variabili nel corso del tempo. Esso corrisponde all’ordinamento giuridico vigente. Come già ricordato (Parte I), qui il termine “positivo” significa soltanto “posto” e non ha alcuna correlazione col giudizio di valore (positivonegativo, buono-cattivo). Il problema che si pone è se lo Stato, e quindi il legislatore, abbia completa libertà nello stabilire le leggi positive (teoria del positivismo giuridico), oppure se ciascun uomo detenga per sua natura diritti inalienabili e intangibili da altri, cosicché il legislatore stesso dovrà tenere presenti e rispettare
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tali diritti nel redigere le leggi, facendo riferimento a un diritto non scritto, ma innato e comprensibile alla retta coscienza, che viene definito “diritto naturale”. In altri termini: i “buoni selvaggi cannibali” di Rousseau, i quali decidono in base alle loro leggi positive di cucinarvi nel pentolone, violano dei vostri inalienabili diritti? Coloro che applicano eugenetica, sterilizzazione forzata, eutanasia in base alle leggi positive vigenti, violano i diritti inalienabili delle persone, che vengono mutilate o assassinate? Sofocle (circa 497-406 a.C.) nella tragedia Antigone mostra Creonte, che detiene il potere in Tebe, vietare sotto pena di morte di dare sepoltura a Polinice, caduto mentre combatteva contro la sua stessa città e bollato quindi come traditore. Antigone, sorella di Polinice, violando il divieto di Creonte, offre sepoltura al fratello in nome della pietas verso gli dèi. Ella viene catturata e condotta al cospetto di Creonte, il quale, pur essendo zio di Antigone e di
Polinice, le rinfaccia la violazione della legge (incidentalmente: ai tempi della rivoluzione francese una delle martiri di Orange venne condannata a morte dallo zio rivoluzionario). Nel confronto con Creonte, Antigone afferma: «Non Zeus né Dike (la dea della Giustizia) hanno promulgato il divieto. Non per odiare, ma per amare io nacqui». Creonte condanna a morte Antigone per inedia, facendola murare viva in una grotta. Aristotele (384-322 a.C.) nell’Etica Nicomachea (V, 1135a) con molta concretezza scrive: «Le norme di giustizia stabilite per convenzione e per fini utili sono simili alle misure: infatti, le misure per il vino e per il grano non sono uguali dappertutto, ma dove si compra all’ingrosso sono più grandi, dove si rivende sono più piccole. Parimenti, anche le norme di giustizia che non derivano dalla natura ma dall’uomo non sono uguali dappertutto, perché non sono uguali le costituzioni, ma una soltanto è dappertutto la legge
Raffaello Sanzio, La virtù e la legge, 1511, Stanza della Segantura, Musei Vaticani, Roma.
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migliore per natura». E nella Retorica (I, 13,2) precisa che il carattere innato della legge naturale ne stabilisce l’immutabilità. Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) nel De Legibus (I, 6,18) scrive: «La legge è la ragione suprema insita nella natura, la quale comanda ciò che si deve fare e proibisce il contrario. Questa stessa ragione, poiché è radicata e perfetta nella mente dell’uomo, è appunto legge». E nel De Republica (III, 22,33): «Certamente esiste una vera legge: è la retta ragione; essa è conforme alla natura, la si riscontra in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti richiamano al dovere, i suoi divieti trattengono dall’errore. A questa legge non è lecito apportare modifiche, né togliere alcunché, né annullarla in blocco, e non possiamo esserne esonerati né dal Senato né dal popolo, né si deve far ricorso ai commenti o alle interpretazioni di (un grande giureconsulto quale) Sesto Elio; essa non sarà diversa da Roma ad Atene o dall’oggi al domani, ma come unica, eterna, immutabile legge governerà tutti i popoli e in ogni tempo, e un solo Dio sarà comune guida e capo di tutti: quegli cioè che elaborò e sanzionò questa legge;
Bibliografia: 1. Vitaliano Mattioli, I fondamenti del diritto naturale, www. culturacattolica.it 2. Pio XII, Discorso alla Rota Romana 13.11.1949, in AAS 41 (1949), pp. 604608, consultabile on-line in bibliotecacanonica.net 3. Vittorio Mathieu, Perché punire? Il collasso della giustizia penale, Liberilibri, Macerata 2008
e chi non le obbedirà, fuggirà sé stesso e, per aver rinnegato la stessa natura umana, sconterà le più gravi pene». Cicerone ha così magistralmente definito l’origine e le prerogative del diritto naturale e la sua indipendenza dal potere politico e dalle sue leggi, sia che queste derivino dal governo (Senato), sia che siano conformi al consenso popolare. Risulta evidente che già molto tempo prima dell’era cristiana con il solo aiuto della ragione persone dotate di intelligenza e di moralità erano in grado di dedurre dalla realtà dell’essere l’esistenza di un diritto naturale, innato nella comune natura umana e nella sua razionalità. Il diritto naturale si presenta così come norma oggettiva dell’agire, norma che ogni uomo porta dentro di sé, e diventa vincolante per la retta condotta, indipendentemente da ciò che lo Stato possa stabilire col suo diritto positivo. Lattanzio (fine II-III sec. d.C.), retore pagano convertito al Cristianesimo, riteneva piano comune di accordo tra pagani e Cristiani il riferimento al diritto naturale, e così Gaio, giureconsulto pagano (II sec. d.C.), nelle Institutiones riprende più volte concetti analoghi: «Ciò che invero la ragione naturale stabilisce per tutti gli uomini, proprio questo presso tutti i popoli viene ugualmente osservato e viene denominato “diritto delle genti”, poiché di questo diritto si servono tutte le genti» (I, 158); «La legge civile può alterare i diritti civili, ma non i diritti naturali» e, soprattutto: «La legge civile non può abrogare i diritti naturali» (III, 1,1). San Tommaso d’Aquino (1225-1274), con la sua consueta chiarezza, specifica: «La legge naturale altro non è che la luce dell’intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie a essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce o questa legge Dio l’ha donata alla creazione» (Summa Theologiae, I-II, 91,2);
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e: «Nella creatura razionale si realizza una partecipazione alla ragione eterna in forza della quale essa ha un’inclinazione naturale al debito atto e fine. La legge naturale non è altro che tale partecipazione della legge eterna nella creatura razionale» (Collationes in decem praeceptis, 1). Dio infatti è Logos, non solo per i Cristiani ma per ogni persona ragionevole: Platone (428348 a.C.) nelle Leggi (IV, 716c) afferma: «Dio, in grado supremo, è misura universale di tutte le cose». La buona teologia insegna: «Intelligo ut credam, credo ut intelligam» («Comprendo per credere, credo per comprendere»). Papa Pio XII, indimenticabile per aver coraggiosamente contrastato tutti i totalitarismi del XX secolo e per la sua profonda dottrina,
«È un errore gravissimo del positivismo giuridico restringere il diritto a una emanazione dello Stato: se così fosse, quel che debba considerarsi come “diritto” sarebbe del tutto arbitrario, cioè l’opposto esatto del vero diritto. Lo Stato esiste in funzione del diritto e a esso deve chiedere che cosa debba essere» (Vittorio Mathieu)
parlando ai giudici della Sacra Rota il 13.11.1949, si esprime in questi termini: «Il semplice fatto di essere dichiarato dal potere legislativo norma obbligatoria dello Stato non basta a creare un vero diritto. L’errore del positivismo giuridico è alla base dell’assolutismo di Stato, che equivale a una deificazione dello Stato medesimo. Questo “diritto legale” toglie all’uomo ogni dignità personale; gli nega il diritto fondamentale alla vita e all’integrità delle sue membra, rimettendo l’una e l’altra all’arbitrio del partito e dello Stato; contesta ai genitori il diritto sui loro figli e il dovere della loro educazione; soprattutto considera il riconoscimento di Dio, supremo Signore, e la dipendenza dell’uomo da Lui, come senza interesse per lo Stato e per la comunità umana. Questo “diritto legale” ha
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sconvolto l’ordine stabilito dal Creatore; ha chiamato il disordine ordine, la tirannia autorità, la schiavitù libertà, il delitto virtù patriottica. Secondo i principî del positivismo giuridico, i processi (per i crimini dei nazionalsocialisti in particolare, ndA) avrebbero dovuto concludersi con altrettante assoluzioni, anche in caso di delitti, che ripugnano al senso umano e riempiono il mondo di orrore. Gli imputati si trovavano, per così dire, coperti dal “diritto vigente”». Gli Autori qui brevemente citati dimostrano che la retta ragione (la recta ratio di Cicerone), indipendentemente dalla fede, conduce a riconoscere l’esistenza del diritto naturale, il quale genera per ogni uomo il diritto alla vita, all’integrità psico-fisica, alla libertà, alla proprietà.
Già Cicerone (106-43 a.C.) aveva magistralmente definito l’origine e le prerogative del diritto naturale e la sua indipendenza dal potere politico e dalle sue leggi, sia che queste derivino dal governo (Senato), sia che siano conformi al consenso popolare. Se non si riconosce la preminenza della legge naturale su quella positiva, vengono considerati “diritti umani” interessi contingenti e particolari che nulla hanno a che fare con i veri diritti inviolabili dell’uomo.
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In Cineteca
Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.
Istant Family Titolo: Istant Family Produzione: Canada, 2018 Regia: Sean Anders Durata: 118 min. Genere: Commedia
Pete e Ellie sono una coppia affiatata, che vive e lavora assieme. Non più giovanissimi, decidono di diventare genitori e di farlo seguendo una via inconsueta, quella di adottare un bambino abbandonato dal proprio genitore naturale. In questo percorso, non privo di difficoltà e ripensamenti, la coppia si trova a confrontarsi con altre persone con il loro stesso desiderio: c’è chi lo fa per supplire all’infertilità, chi per puro altruismo, chi per egoismo… e, nel contempo, tra i candidati sono presentate coppie eterosessuali, ma anche omosessuali e perfino una single. Alla fine, la storia di Pete e Ellie li vede impegnati nella gestione di tre fratelli di sangue: Lizzy, un’adolescente cresciuta troppo in fretta e dalle idee molto chiare, e i piccoli Juan e Lita. Una gestione non facile né dal punto di vista organizzativo, né emotivo, né di coppia, ma che riserva molte sorprese… Il film, di cui volutamente non sveliamo altri dettagli, presenta luci e ombre e va visto con sguardo critico.
Rispetto al tema dell’apertura alla vita, innanzitutto, se da un lato appare tutto incapsulato dietro a calcoli rispetto al “momento migliore per fare un figlio” e al “figlio migliore per noi”, dall’altra è innegabile l’insegnamento che il film lascia allo spettatore: nel donarsi all’altro, in questo caso ai figli, si alza lo sguardo dal proprio ombelico e ci si riscopre persone migliori. Per quanto riguarda invece il tema della famiglia, è da condannare fermamente il fatto che vengano presentati come possibili candidati all’adozione anche coppie omogenitoriali e single, tuttavia, nel contempo, dalla pellicola emerge altresì l’importanza della complementarietà delle figure paterna e materna, il valore imprescindibile dell’alleanza educativa all’interno della coppia e il bisogno che i bambini e i ragazzi hanno di avere guide solide che li accompagnino nella crescita.
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In biblioteca L’ultimo mago
Rankstrail, il Re “bastardo” degli Uomini, viene fatto prigioniero, schiavo dai nemici.
Silvana De Mari Ares
Ha il cuore pieno di odio. La sua anima è chiusa nelle tenebre di una notte infinita. Ma giunge fino a lui, grazie all’antico incantesimo dei “Maghi del Fuoco”, la fiamma delle migliaia di candele con cui il suo popolo piange la sua scomparsa. Si ricorda, allora, che lui è il Capitano che non lascia mai nessuno indietro... La potenza evocativa ed educativa del genere fantasy, con la penna magistrale di Silvana De Mari, per una lettura entusiasmante consigliata ai ragazzi e agli adulti: tutti abbiamo bisogno di coraggio e speranza.
La Contessa di Ferro Fabio Franceschetti Mimep-Docete
La storia narrata dal romanzo si svolge nell'anno 877 in una Europa cristiana assediata da Normanni e saraceni e divisa al suo interno da lotte di potere. Accanto a episodi storici, l'Autore descrive vicende di fantasia mettendo in rilievo anche la crisi culturale e spirituale della società di allora, simile a quella di oggi, l'abbandono delle radici cristiane per interesse politico ed economico, l'uso del potere e della forza come strumenti di dominio, l'avanzare dell'irrazionalità del neopaganesimo e dell'occultismo. Cinque cavalieri cristiani e la protagonista, la Contessa di Ferro, tengono vivi gli ideali di libertà e di fede cristiana tra mille avventure, battaglie e pericoli.
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Diretto da Maurizio Belpietro