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Impronta digitale microbica: tale madre tale figlio?
di Chiara Di Martino T ale madre, tale figlio. L’antico detto popolare sembra essere valido anche quando si parla di microbioma intestinale, cioè quelle comunità microbiche nell’intestino vitali per la digestione umana, il metabolismo e la resistenza alla colonizzazione da parte di agenti patogeni. Nei neonati e nei bambini fino a tre anni d’età, la sua composizione cambia frequentemente. Ma da dove provengono questi microbi?
Fino a poco tempo fa, gli scienziati erano stati in grado di analizzare il microbioma intestinale tra le 500 e le 1.000 diverse specie batteriche che hanno principalmente un’influenza benefica: tanto per fare qualche esempio, stimolano il sistema immunitario, mantengono la regolare funzionalità intestinale, agiscono da barriera contro le infezioni, attivano diverse funzioni metaboliche utili per la salute, assorbono nutrienti e minerali. Solo più recentemente i ricercatori sono stati in grado di identificare singoli ceppi all’interno di una singola specie usando potenti strumenti genomici e supercomputer che analizzano enormi quantità di dati genetici.
Dagli Stati Uniti, in particolare dalla University of Alabama at Birmingham, arriva un nuovo tassello per lo studio di queste “comunità”: i ricercatori hanno infatti utilizzato il loro metodo “fingerprint” per scoprire che un mosaico individualizzato di ceppi microbici viene trasmesso al microbioma dell’intestino infantile da una madre che partorisca attraverso il parto vaginale. Per arrivare a questo risultato, hanno analizzato i database metagenomici esistenti di campioni fecali da coppie madre-bambino, confrontandoli con la medesima trasmissione nel topo. Si parla di “impronta digitale” perché l’insieme dei microrganismi presente nel tratto gastrointestinale può essere considerato il nostro secondo codice genetico: differisce da persona a persona in base all’a
limentazione, allo stile di vita e ad eventuali farmaci assunti.
«I risultati della nostra analisi dimostrano che molteplici ceppi di microbi materni (anche quelli presenti in minore quantità nella comunità fecale materna) possono essere trasmessi durante la nascita per stabilire una diversa comunità microbica dell’intestino infantile - ha affermato Casey Morrow, professore emerito del Dipartimento di Biologia cellulare, evolutiva e integrativa dell’UAB -. La nostra analisi fornisce nuove intuizioni sull’origine dei ceppi microbici nella complessa comunità microbica del bambino». Alla ricerca hanno lavorato anche Hyunmin Koo, del Dipartimento di genetica e genomica dell’UAB, e Braden McFarland, assistente professore al Dipartimento di biologia cellulare, dello svi
Dalla University of Alabama at Birmingham, arriva un nuovo tassello per lo studio di queste “comunità” luppo e integrativa dell’ateneo statunitense.
Lo studio ha utilizzato uno strumento bioinformatico di tracciamento dei ceppi precedentemente sviluppato presso la UAB, chiamato “Window-based Similarity Single-nucleotide-variant o “WSS”. La coppia madre-figlio non è infatti il primo oggetto di ricerca del gruppo, che ha già esplorato questa trasmissione in altre relazioni: nel 2017, hanno scoperto che i microbi fecali di un donatore - usati per trattare i pazienti con infezioni ricorrenti da Clostridium - sono rimasti nei riceventi per mesi o anni dopo il trapianto. Nel 2018, hanno dimostrato che i cambiamenti nel tratto gastrointestinale superiore attraverso la chirurgia dell’obesità hanno portato alla nascita di nuovi ceppi di microbi. Nel 2019, hanno analizzato la stabilità di nuovi ceppi
IMPRONTA DIGITALE MICROBICA: TALE MADRE TALE FIGLIO? Come avviene la trasmissione del microbioma intestinale

© Manjurul Haque/www.shutterstock.com
Ora va riconsiderato il contributo di diversi microbi materni alla comunità microbica enterica infantile
negli individui dopo i trattamenti antibiotici e, all’inizio di quest’anno, hanno scoperto che i gemelli adulti, di età compresa tra 36 e 80 anni, condividevano un certo ceppo o più ceppi per periodi di anni e persino decenni, dopo aver iniziato a vivere separati gli uni dagli altri.
Una tendenza confermata anche da quest’ultimo studio, in cui sono stati trovati diversi modelli individuali specifici di condivisione del ceppo microbico tra madri e bambini. Tre coppie madre-bambino hanno mostrato solo ceppi correlati, mentre una dozzina di bambini presentavano un mosaico di microbi correlati e microbi non correlati. È possibile che questi ultimi provenissero comunque dalla madre, ma in lei non erano il ceppo dominante e per questo non erano stati rilevati.
In un secondo studio, usando un set di dati di nove donne presi in momenti diversi durante la gravidanza, è emerso che in sette donne si sono verificate variazioni di ceppi nelle singole specie.
«I risultati dei nostri studi supportano una riconsiderazione del contributo di diversi microbi materni alla comunità microbica enterica infantile - ha detto Morrow -. La costellazione di ceppi microbici che abbiamo rilevato nei neonati ereditati dalla madre era diversa in ogni coppia madre-bambino. Dato il ruolo riconosciuto del microbioma nelle malattie metaboliche come l’obesità e il diabete di tipo 2, i risultati del nostro studio potrebbero aiutare per spiegare ulteriormente la suscettibilità del bambino alle malattie metaboliche riscontrate nella madre».
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La “nuvola” di microbi
L’ impronta digitale microbica è talmente unica da poter essere utilizzata, potenzialmente, anche… dalla polizia scientifica: uno studio del 2015 dell’Università dell’Oregon ha infatti studiato la “nuvola personalizzata” di microbi lasciata da ogni essere umano, talmente univoca da poter condurre al legittimo “proprietario”. Il team di ricerca ha studiato l’aria di una stanza sanificata in cui si trovavano 11 persone. «Ci aspettavamo di rilevare il microbioma umano nell’aria attorno a ciascuno, ma siamo rimasti sorpresi dal riuscire a identificare la maggior parte degli occupanti della stanza - ha spiegato all’epoca il primo autore dello studio James Meadow - provando per la prima volta che ciascuno emette la propria nuvola personalizzata di microbi». Lo studio ha dato risultati entro le 4 ore dal passaggio di una persona in una stanza ed è stato condotto analizzando microbi presenti nel corpo, per esempio lo streptococco che si trova in bocca, il propionibacterium e il corynebacterium che invece abitano sulla pelle. Il lavoro ha evidenziato come la chiave per l’identificazione del singolo individuo sia la diversa combinazione di questi batteri.