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Classificazione degli agenti biologici e rischio correlato ai sensi del D. Lgs. 81/07
Conoscere i pericoli ai quali il lavoratore è esposto e poterli classificare in base alla pericolosità è il presupposto fondamentale per la “messa in sicurezza” dell’individuo e delle sue attività
di Giorgio Liguori * e Marco Guida **
Gli agenti biologici costituiscono una presenza imprescindibile e costante dell’ambiente nel quale viviamo tant’è che, secondo alcuni AA, “l’uomo è specie animale che vive immersa nei microrganismi”.
Nel tempo, gli esseri umani hanno imparato a convivere con la maggior parte delle specie microbiche, e queste con lui, trovando diverse soluzioni di pacifica convivenza: indifferenza (vita libera), commensalismo, saprofitismo, simbiosi.
Se si considera poi che obiettivo primario di tutti gli organismi viventi è l’evoluzione in termini di miglioramento e diffusione della specie sul pianeta, con garanzia di progenie fertili, risulta chiaro che la conflittualità tra specie, costituendo tutt’altro che un vantaggio ai fini della sopravvivenza, non facilita tale percorso evolutivo.
L’uomo impara da subito, appena dopo la nascita, a convivere con il microcosmo (colonizzazione) ed a concordare alleanze (commensalismo e simbiosi mutualistiche) così che molte specie, batteriche, micotiche, protozoarie, diventano gli “alleati” più fedeli nel
* Professore Ordinario di Igiene generale e applicata, Dipartimento di Scienze Motorie e del Benessere, Università degli Studi di Napoli “Parthenope”. ** Professore Ordinario di Igiene generale e applicata, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”. difenderlo dagli insulti infettivi provenienti dall’esterno. Se si considera la molteplicità e la varietà dei microrganismi oggi conosciuti, risulta evidente come le specie patogene ne costituiscano solo una piccola parte, veramente “poca cosa” rispetto a quante presenti sul pianeta. La patogenicità ed il parassitismo, soprattutto quello obbligato, rappresentano dunque uno svantaggio ai fini del progetto di evoluzione di ciascuna specie vivente.
Queste semplici considerazioni rappresentano il presupposto con il quale è stato affrontato anche dal legislatore il problema dei rischi infettivi (rischio biologico) sui luoghi di vita e di lavoro. Conoscere i pericoli, in questo caso gli agenti patogeni ai quali il lavoratore è esposto, poterli classificare in base ad un gradiente di pericolosità (patogenicità, contagiosità, disponibilità di presidi farmacologici) e valutare il livello di esposizione (anche solo potenziale) rappresentano i presupposti fondamentali per l’implementazione delle strategie, misure ed azioni orientate alla “messa in sicurezza” del lavoratore e delle sue attività. Cos’è la sicurezza?
La mission dell’Igiene è diffondere la cultura della “Salute” quale bene fondamentale da tutelare e mantenere il più a lungo possibile. Uno stato di benessere psico-fisico e sociale che può essere reso migliore anche attraverso l’eliminazione, se realizzabile, la riduzione ed il contenimento dei molteplici rischi per la salute. Qual è la differenza tra pericolo e rischio?
Mentre per pericolo si definisce una caratteristica “intrinseca” di un agente fisico, chimico o biologico capace di arrecare danno
ad ospiti umani, per rischio va intesa invece la probabilità di venirne esposti in condizioni di vulnerabilità (assenza di misure di prevenzione e protezione). Quanto più il rischio è elevato, tanto più probabili saranno gli effetti (i danni) che ne deriveranno a seguito dell’esposizione. In altre parole, il danno, così come la sua gravità, dipendono dalle probabilità che hanno i percoli di “estrinsecarsi” se non individuati e contenuti. Il pericolo è una “caratteristica certa” che bisogna conoscere; il rischio è una variabile, la probabilità che il pericolo dia evidenza di sé provocando effetti negativi, una variabile da gestire nel modo migliore (risk management).
Il Valore è dunque: Sicurezza uguale Salute. Sicurezza intesa come salubrità degli ambienti (sia outdoor che indoor), idoneità di strutture, macchine, attrezzature, presidi, organizzazione del lavoro, ecc. Sicurezza intesa, anche e soprattutto, come conoscenza di pericoli-rischi e consapevolezza del ruolo che ciascun lavoratore, ciascuna persona, può giocare nel gestire la propria Salute.
Ultima premessa funzionale a ciò che segue è che la Sicurezza sui luoghi di lavoro deve essere intesa ed elaborata come “professionalità”. “La sicurezza è questione culturale, di approccio alla professione. Spesso siamo noi stessi artefici della nostra sicurezza e dunque la garanzia della nostra salute. Non é ammissibile, né giustificabile affidare la sicurezza solo alla disponibilità ad investire risorse materiali. Non ci riusciremmo”.
In tale ottica, la formazione e l’aggiornamento continuo sulle conoscenze dei pericoli e delle misure utili a ridurre/contenere i rischi derivanti dalla potenziale esposizione a questi, assume un ruolo decisivo ed irrinunciabile ed un preciso compito al quale il datore di lavoro deve assolvere, caricandosi obblighi e responsabilità ed a cui il lavoratore deve approcciare in modo consapevole ed atteggiamento positivo. La valutazione del rischio biologico
Da anni il rischio biologico è normato dal titolo X del D.Lgs 81/08 “Tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”, che ha aggiornato quanto promulgato con il D.Lgs. 626/94 (Titolo VIII - Rischi da agenti biologici).
In esso, gli agenti biologici potenzialmente pericolosi per i lavoratori vengono presi in esame secondo la capacità complessiva di provocare infezione, allergia o intossicazione; sulla base di tali caratteristiche vengono classificati in 4 gruppi, di cui il quarto assomma tutte le peculiarità negative (Tabella 1).
Esistono evidenti criticità nel valutare il rischio biologico perché, al contrario di quanto accade per altri rischi (chimico, fisico, movimentazione dei carichi, ecc), numerose e interdipendenti tra loro sono le variabili che entrano in gioco dal momento dell’esposizione a quello dell’eventuale danno conclamato (malattia). Tra queste vanno distinte quelle proprie dell’agente biologico (carica infettante, patogenicità e Tabella 1. Tabella 2.
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virulenza), quelle riferite all’ospite umano (età, sesso, costituzione, stato di salute, efficienza del sistema immunitario, ecc.), nonché ulteriori variabili correlate alle vie di trasmissione (contagiosità) e all’ambiente fisico (outdoor/indoor) e sociale (relazioni, comportamenti). La tabella 2 ne riassume le principali criticità.
La principale criticità nell’applicare la metodologia è l’assenza di valori-soglia; altre di riscontro frequente sono l’insufficienza di dati epidemiologici e le analogie tra l’accertamento del rischio biologico ed quello relativo ad altre tipologie di rischio, ad esempio cancerogeno.
Sempre ai fini della valutazione, altro aspetto essenziale è l’identificazione preliminare delle attività lavorative per le quali è previsto l’uso deliberato di agenti biologici (rischio noto) rispetto a quelle per le quali il rischio di esposizione è sporadico e/o imprevedibile (legato ad imprevisti/incidenti).
Tra queste ultime vanno annoverate, ad esempio, le attività professionali che comportano un rischio di esposizione per manipolazione e impiego di materiali biologici potenzialmente contaminati oppure la presenza di microrganismi nell’ambiente stesso di lavoro
(laboratorio biomedico e veterinario). In entrambi i casi, ma soprattutto per le attività e gli ambienti lavorativi per i quali non è previsto il contatto diretto con sorgenti di infezione (soggetti e animali malati), la sottostima del rischio reale è di per sé il rischio maggiore che si può presentare.
Il laboratorio rappresenta una delle aree a maggior rischio di trasmissione di agenti infettivi. Secondo dati dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma di qualche anno fa, sarebbero oltre 5.000 i casi di infezioni segnalate in laboratorio, con una letalità media del 4% circa. L’aumento dei carichi di lavoro e l’introduzione di nuove tecnologie, verificatisi soprattutto nell’ultimo trentennio, hanno ampliato in modo significativo la necessità di integrare le tecniche di processazione dei campioni biologici con le procedure di sicurezza.
Va precisato che la valutazione è solo un momento dell’intera filiera di “gestione del rischio” che è attività complessa ed articolata in fasi distinte che, in riferimento a quanto fin qui descritto, possono essere così riassunte: - individuazione dei pericoli - valutazione dei rischi - adozione delle misure e degli interventi efficaci per il contenimento (eliminazione/riduzione dei rischi, protezione dall’esposizione).
Nel laboratorio biomedico, le modalità di trasmissione degli agenti biologici possono essere ricondotte alle seguenti 4 modalità: 1. inalazione 2. ingestione 3. inoculazione 4. contaminazione
Per ciascuna di queste, il legislatore individua una serie di variabili che entrano in gioco ma delle quali, come mostrato nella Tabella 3, solo 4 devono essere considerate in ogni caso (voci in corsivo sottolineate). Per quanto attiene la tipologia degli agenti biologici ed i criteri adoperati per la loro classificazione, il legislatore considera, come già ricordato in premessa, le seguenti caratteristiche proprie di ciascun microrganismo: carica infettante, patogenicità e virulenza.
Mentre la patogenicità definisce il meccanismo di azione con cui
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l’agente biologico può provocare danno in ospiti umani (ad esempio: produzione di tossine, distruzione di particolari cloni cellulari, ecc.), la virulenza rappresenta la severità del danno procurato. Si sa come ceppi diversi di una stessa specie microbica, dotati dell’identico meccanismo di azione patogena, possano invece avere variabile grado di virulenza e con differenze anche significative nella valutazione dell’impatto in termini di morbosità e mortalità (ad esempio, i virus influenzali)
Le altre tre variabili presenti in tutte e quattro le modalità di trasmissione (formazione, sistemi di protezione, procedure di lavoro) attengono invece all’organizzazione e gestione delle attività lavorative, nonché a precisi obblighi e responsabilità a carico del datore di lavoro e del lavoratore.
Sulla base di tali elementi e della classificazione delle modalità di trasmissione degli agenti biologici in 4 gruppi, il legislatore ha realizzato uno strumento con il quale essere in grado di “classificare oggettivamente” qualsiasi luogo di lavoro, e conseguentemente, ai fini della sicurezza, predisporre, organizzare ed intervenire su ambienti e strutture, impianti e attrezzature, procedure e organizzazione delle attività.
Il punto essenziale resta la classificazione dei microrganismi (i pericoli) sulla base della quale consegue tutto l’approccio successivo. A tale scopo, tutti i microrganismi conosciuti per essere causa potenziale di infezione/malattia nell’uomo vengono ripartiti in classi (2-4 in Tabella 1) sulla base dei seguenti 3 criteri: 1. patogenicità, ovvero la possibilità di costituire rischio (serio, per quelli delle classi 3-4) per i lavoratori e causare malattie (gravi, per quelli delle classi 3 e 4); 2. contagiosità, ovvero la possibilità di diffondere tra i lavoratori e che, dunque, a seguito del caso primario (caso indice) possano verificarsene degli altri (focolaio epidemico, epidemia, pandemia). Anche in questo caso esiste un gradiente: classe 2 microrganismi con poca attitudine alla propagazione in comunità; classe 3 con probabilità di propagazione; classe 4, con elevato rischio di propagazione. 3. gestione farmacologia, ovvero la disponibilità di farmaci efficaci da impiegare ai fini profilattici (sieri e vaccini) e terapeutici (medicinali). Alla classe 4 appartengono i microrganismi per i quali tale tipo di approccio è impossibile perché non disponibili farmaci adeguati. (Tabella 1).
Nell’allegato XLVII, parte integrante, del D. Lvo 81/08 (ex allegato XI del D Lgs 626/04) sono elencati (con riferimento a Genere e specie) tutti gli agenti biologici delle classi 2, 3 e 4, con indicati, per ciascuno con lettera maiuscola dell’alfabeto e 1-2 asterischi, a seconda dei casi, talune peculiarità. In particolare, alle lettere è attribuito il significato:
A: agente biologico che può causare possibili effetti allergici;
D: agenti che possono provocare effetti a distanza di anni; il datore di lavoro è tenuto a conservare l’elenco dei lavoratori esposti a tale agente biologico per almeno 10 anni dalla cessazione dell’ultima attività comportante la potenziale esposizione;
T: agente che produce tossina/e; V: disponibilità di vaccino efficace.
Il doppio asterisco è presente per taluni agenti classificabili per caratteristiche al Gruppo 3 (vi
rus dell’epatite B e C, virus HIV) ma nei confronti dei quali, non essendo ad oggi dimostrata la possibile trasmissione per via aerea, possono venir implementate le misure di biosicurezza previste per quelli appartenenti alla classe precedente (classe 2).
Nell’allegato XLVII sono riportati in elenco unicamente gli agenti biologici di cui è noto che possono provocare malattie infettive in soggetti umani (classi 2-4). Poiché, come descritto, non è applicabile il concetto di dose (concentrazione integrata sul tempo di esposizione), anche per capacità di autoreplicazione dei microrganismi, il parametro che assume maggior significato ai fini preventivi e di valutazione del rischio è l’esistenza o meno di una carica infettante minima, cioè il numero minimo di unità biologiche in grado di infettare il soggetto con esito patologico; essa dipende poi anche dalle condizioni ambientali e dallo stato di salute del soggetto esposto (in particolare dalle sue caratteristiche immunologiche). (Figura 1)
È bene ribadire che la classificazione degli agenti patogeni si basa sull’effetto esercitato dagli stessi sui lavoratori sani e non tiene conto dei particolari effetti a carico di quei lavoratori la cui sensibilità potrebbe essere modificata da altre cause quali malattie preesistenti, uso di medicinali, immunità compromessa, etc.
Il legislatore dunque individua, per ciascuno dei 4 gruppi di microrganismi, livelli di rischio differente e, in relazione a questi, 4 livelli di bio-contenimento del rischio, da implementare quando possibile già in fase progettuale, alla luce di quanto emerso e riportato nel documento di valutazione del rischio biologico.
Per ciascun tipo di laboratorio, classificati anch’essi in 4 classi corrispondenti a quelle degli agenti biologici cui il lavoratore è potenzialmente esposto, dovranno essere messe in atto misure di contenimento individuale (Dispositivi di Protezione Individuale - DPI), organizzative e di contenimento ambientale, secondo le indicazioni presentate in Tabella 4. In questo modo, sulla base dei criteri e della metodologia adoperati, risulta possibile distinguere per ciascuna tipologia di microrganismo, e relativo gruppo di appartenenza, il livello di rischio individuale e collettivo cui sono potenzialmente esposti i lavoratori (Tabella 5). In relazione a come effettuare la valutazione del rischio biologico, esistono criteri generali ed a riguardo anche l’Unione Europea si è espressa anche attraverso documenti tecnici molto recenti. L’orientamento, in tal senso, è che la valutazione della probabilità e della gravità di possibili lesioni derivanti da una situazione lavorativa “a rischio” costituisca il presupposto sulla cui base implementare le misure di sicurezza più idonee ed adeguate e programmare i tempi di intervento.
La formula che viene generalmente impiegata è R = P x D nella quale: R indica il rischio, P la probabilità o la frequenza di accadimento dell’evento dannoso e D l’entità degli effetti da questo procurati.
La formula conduce a 3 diversi livelli di rischio (alto, medio e trascurabile) in relazione ai quali viene formulato un giudizio e stabilita la priorità degli interventi da realizzare (fascia A - urgente; fascia B - nel medio periodo; fascia C - programmabile).
Il valore del rischio (R) può variare da 1 a 9 in ragione del punteggio assegnato a D (da 1 a 3) e a P (da 1 a 3) in seguito ai rilievi effettuati in fase di verifica/sopralluogo presso l’ambiente di lavoro. Per quanto attiene D, i criteri di attribuzione dello score sono: 1 gli esposti sono in numero limitato e comunque gli effetti non comportano danni; 2 il fattore di rischio può coinvolgere un numero limitato di lavoratori e il danno è limitato e reversibile; 3 il fattore di rischio può coinvolgere un numero consistente
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* solo per attività di sperimentazione su animali ** disponibile ° se l’infezione è veicolata dall’aria R = raccomandato F = facoltativo
Tabella 4. Misure di contenimento individuale, organizzative ed ambientali da implementare in relazione alla classe di rischio.
di lavoratori e/o il danno essere irreversibile. I criteri con cui si assegna il punteggio all’indice P sono invece: 1. non sono noti episodi in cui si sia verificato un danno (rischio trascurabile); 2. il fattore di rischio può provocare un danno solo in circostanze occasionali. Non sono noti o sono noti solo rari episodi già verificatisi. Non esiste una correlazione tra l’attività e un migliore andamento infortunistico e/o di malattie professionali su un periodo significativo (3-5 anni); 3. il fattore rischio può provocare un danno, anche se non in maniera automatica o diretta. È noto qualche episodio che, per la tipologia considerata, ha dato luogo a danno. Esiste una correlazione tra l’attività e un migliore andamento infortunistico e/o segnalazione di malattie professionali su un periodo significativo (3-5 anni).
Dalle possibili combinazioni, in applicazione alla precedente formula, si ricava l’indice R, vale a dire l’entità del rischio e dunque la fascia di priorità dell’intervento da implementare.
Tabella 5.
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Dal punto di vista metodologico, e come indicato chiaramente nel D.Lgs. 81/08, il datore di lavoro, nel valutare il rischio biologico, deve pertanto tener conto di tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche degli agenti e delle modalità lavorative, con particolare riferimento alla classificazione riportata nell’allegato XLVII o, in assenza di questa, sulla base delle conoscenze disponibili. Tali informazioni devono essere integrate adeguatamente con i dati inerenti il processo lavorativo in tutte le sue fasi, i lavoratori esposti, l’organizzazione della prevenzione, le misure di contenimento adottate ed il piano di emergenza, nell’eventualità di esposizione ad agenti biologici di classe III e IV.
A tale scopo va predisposta una check-list sulla cui base esaminare, per ogni singola realtà lavorativa, tutte le variabili che possono entrare in gioco. Obiettivo dell’analisi della check-list è individuare la classe di rischio e conseguentemente valutare l’adeguatezza delle misure di prevenzione e delle procedure esistenti e, ove necessario, la necessità di ulteriori misure di prevenzione da adottare.
La valutazione del rischio biologico è dunque attività “di campo”, che va realizzata mediante sopralluoghi e rilievi effettuati preliminarmente e periodicamente durante lo svolgimento delle attività per verificare le effettive condizioni di lavoro della specifica realtà e comprenderne appieno le dinamiche.
Tabella 6.
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Tabella 7. Esempio di check-list per l’individuazione della classe di rischio ai fini della valutazione del rischio biologico.
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Foto 1. Storia naturale di una malattia.
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Non esistono modelli precostituiti né è lecito o possibile far riferimento esclusivamente a documenti “standard” (protocolli e procedure) oppure attenersi a quanto dichiarato da responsabili, preposti e lavoratori. Per valutare adeguatamente tipologia e livello di rischio legata ad una specifica attività, necessita che questa sia vagliata “in loco”, attraverso momenti di analisi e monitoraggio, considerando prioritariamente gli aspetti organizzativi, di distribuzione dei carichi lavorativi, delle mansioni e delle responsabilità.
Tutto quanto fin qui esposto, richiama e rafforza il principio, per altro già espresso, secondo il quale la sicurezza deve essere, per ogni realtà e singolo lavoratore, innanzitutto elemento “culturale” fondato sui principi di conoscenza e consapevolezza, orientata alla prevenzione e finalizzata alla “professionalità”.
Bibliografia essenziale
- D. Lgs. 9 aprile 2008 n.81. Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. GU n. 101 del 30.4.2008 - Suppl. Ordinario n.108. - INAIL. Il rischio biologico nei luoghi di lavoro; schede tecnico-informative. Milano, 2011. - Frusteri L, De Grandis D, Scarlini F, Pontuale G. Manuale per la valutazione del rischio biologico. EPC Editore, 2019. - Direttiva UE 2019/1833 della Commissione del 24.10.2019 che modifica agli allegati I, III, V e VI della Direttiva 2000/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio per quanto riguarda gli adattamenti di ordine strettamente tecnico. G.U. L279/54 del 31.10.2019.
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Anno III - N. 5 maggio 2020
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Maggio 2020 | Anno III - N. 5 | www.onb.it
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Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132
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SALUTE ED ECONOMIA NELL’ITALIA CHE RIPARTE Riprendono le attvità commerciali in tutto il Paese nel rispetto delle norme sulla sicurezza sanitaria dei cittadini
Hanno collaborato: Barbara Ciardullo, Carla Cimmino, Chiara Di Martino, Domenico Esposito, Giada Fedri, Felicia Frisi, Carmine Gazzanni, Marco Guida, Giorgio Liguori, Sara Lorusso, Biancamaria Mancini, Riccardo Mazzoni, Marco Modugno, Gianpaolo Palazzo, Antonino Palumbo, Stefania Papa, Carmen Paradiso, Maria Carlotta Rizzuto, Daniele Ruscitti, Pasquale Santilio, Pietro Sapia, Giacomo Talignani.
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