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Panico, ansia, traumi: come il cervello collega eventi distanti nel tempo

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Un odore, un suono, anche una semplice parola: anche a distanza di molto tempo basta poco, a volte, per richiamare alla mente un brutto ricordo e, con lui, gli effetti originari sulla nostra psiche. Ansia, per esempio, ma anche attacchi di panico. Perché questo accade oggi sembra essere un po’ più chiaro grazie a uno studio dello Zuckerman Institute della Columbia pubblicato su Neuron.

Tutto è iniziato da un racconto raccolto dallo psichiatra clinico (coautore dello studio) Mohsin Ahmed, assistente professore al Vagelos College of Physicians and Surgeons della Columbia: una donna cammina per strada, sente un botto; alcuni istanti dopo scopre che il suo ragazzo, che le camminava davanti, è stato colpito da un proiettile. Un mese dopo la donna si presenta al Pronto soccorso: i rumori emessi dai camion della spazzatura, dice, le stanno causando attacchi di panico.

Il suo cervello sembrava avere formato una connessione profonda e duratura tra suoni forti e l’evento traumatico a cui aveva assistito. Cosa ha scoperto il gruppo di ricerca? Un meccanismo sorprendente attraverso il quale l’ippocampo, la parte del cervello situata nella regione interna del lobo temporale – considerata la “sede” della memoria - costruisce “ponti” nel tempo: lo fa sparando scariche di attività che sembrano casuali, ma in realtà formano un modello complesso che, nel tempo, aiuta il cervello ad apprendere associazioni. Rivelando i circuiti sottostanti l’apprendimento associativo, i risultati dello studio gettano le basi per una migliore comprensione dell’ansia e dei disturbi legati al trauma e allo stress, come il panico e i disturbi da stress post-traumatico, in cui un evento apparentemente neutro può suscitare una risposta negativa.

«Sappiamo che l’ippocampo è importante nelle forme di apprendimento che implicano il collegamento di due eventi che

PANICO, ANSIA, TRAUMI: COME IL CERVELLO COLLEGA EVENTI DISTANTI NEL TEMPO Uno studio dello Zuckerman Institute della Columbia pubblicato su Neuron

si verificano anche fino a 10-30 secondi di distanza - ha detto Attila Losonczy, ricercatore del Mortimer B. Zuckerman Mind Brain Behaviour Institute della Columbia e professore di neuroscienze al Vagelos College of Physicians and Surgeons, autore co-senior del documento -. Questa capacità è un fattore chiave per sopravvivere, ma i meccanismi che nascono si sono finora rivelati sfuggenti. Con lo studio di oggi, abbiamo mappato i complessi calcoli che il cervello esegue per collegare eventi distinti che sono anche separati nel tempo».

«L’opinione prevalente è che le cellule dell’ippocampo mantengano un livello di attività persistente per associare eventi distanti nel tempo – ha detto Ahmed -. La disattivazione di queste celle interromperebbe così l’apprendimento».

Gli studiosi hanno “immortalato” parti dell’ippocampo durante l’esposizione a diversi stimoli

Nell’esperimento, gli studiosi hanno “immortalato” parti dell’ippocampo durante l’esposizione a due diversi stimoli: un suono neutro seguito da un piccolo ma spiacevole sbuffo d’aria, distanti circa 15 secondi. Gli scienziati hanno ripetuto questo esperimento attraverso diverse prove. Nel corso del tempo, si è creata l’associazione tra i due stimoli. Usando la microscopia a due fotoni avanzata e l’imaging funzionale del calcio, hanno registrato l’attività simultanea di migliaia di neuroni nell’ippocampo nel corso di ogni prova per molti giorni. «Con questo approccio, potremmo simulare, seppur in modo più semplice, il processo che il nostro cervello subisce quando impariamo a collegare due eventi» ha detto Losonczy. Per trovare un filo ancora più lineare alle informazioni raccolte, i ricercatori

© Tero Vesalainen/www.shutterstock.com

“Enormi” le potenzialità legate a questa scoperta per mappare i circuiti dell’apprendimento

hanno poi collaborato con neuroscienziati computazionali che sviluppano strumenti matematici per analizzare enormi quantità di dati sperimentali.

«Ci aspettavamo di vedere un’attività neurale continua e ripetitiva persistente durante il gap di quindici secondi, un’indicazione dell’ippocampo al lavoro che collegasse il tono uditivo e il soffio d’aria - ha detto il neuroscienziato computazionale Stefano Fusi, ricercatore allo Zuckerman e coautore senior del documento -. Ma quando abbiamo iniziato ad analizzare i dati, non abbiamo visto tale attività».

L’attività neurale registrata durante l’intervallo era effettivamente scarsa. Solo un piccolo numero di neuroni si era “acceso” e sembrava farlo apparentemente a caso. «L’attività sembra avvenire a intervalli intermittenti e casuali – ha dichiarato il dottorando James Priestley, tra gli autori dello studio -. Per comprendere il meccanismo, abbiamo dovuto cambiare il modo in cui stavamo analizzando i dati e utilizzare strumenti progettati per dare un senso ai processi casuali». Alla fine, il modello è stato individuato: invece di comunicare costantemente tra loro, i neuroni risparmiano energia, forse codificando le informazioni nelle sinapsi, piuttosto che attraverso l’attività elettrica delle cellule. Un segno di grande efficienza, da parte del cervello. Le potenzialità di questa scoperta per mappare i circuiti coinvolti nell’apprendimento associativo sono enormi, altrettanto quelle per esplorare più profondamente i disturbi che coinvolgono disfunzioni nella memoria associativa, come il panico e il disturbo da stress post-traumatico. (C. D. M.)

© BlurryMe/www.shutterstock.com

I numeri

L’ emergenza sanitaria che coinvolge (anche) il nostro Paese ha messo a dura prova la stabilità psicologica di circa il 63% degli italiani, secondo un’indagine del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi. Quello che viene “misurato” oggi, però, è un fenomeno attestatosi in crescita negli ultimi anni, anche prima della pandemia e del conseguente lockdown, che ne hanno certamente acuito l’espressione. Un’indagine 2019 dell’Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico (Eurodap) aveva già registrato un forte aumento di italiani alle prese con ansia e attacchi di panico: ben il 79% dei soggetti che hanno risposto al sondaggio aveva avuto, nel mese precedente, manifestazioni fisiche frequenti e intense di ansia, mentre il 73% del campione ha dichiarato di percepirsi come una persona molto apprensiva. Il 68% ha riferito di vivere con disagio lo stare lontano da casa o dai luoghi familiari e il 91% ha dichiarato di avere non poche difficoltà nel rilassarsi. Secondo gli esperti, gli attacchi di panico si manifestano generalmente tra i 15 e i 35 anni, con un nuovo picco tra i 44 e i 55 anni.

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