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Il mondo caldissimo che avremo nel 2070
Come sarà la Terra fra cinquant’anni? In diverse parti del mondo sarà un vero e proprio forno, con temperature paragonabili a quelle di un deserto. Dall’India al Pakistan, il surriscaldamento globale rischia di stravolgere nel 2070 la vita di 3,5 miliardi di persone costrette a vivere, in futuro, in zone paragonabili al deserto del Sahara per condizioni e temperature. Questo genererà, oltre alla scarsità di cibo e di risorse, sempre più rifugiati climatici, persone che saranno costrette a spostarsi altrove per trovare condizioni di vita migliori.
Questo scenario, per certi versi apocalittico ma potenzialmente molto reale, soprattutto se non riusciremo ad arginare le emissioni e la conseguente avanzata della crisi climatica, è stato descritto da un rapporto apparso sulla rivista scientifica americana Proceedings of the National Academy of Science (Pnas) e redatto da diversi esperti internazionali. Secondo lo studio in quasi un quinto della Terra il clima sarà caratterizzato da caldo insopportabile e un terzo della popolazione mondiale si ritroverà a vivere in situazioni al limite della sopravvivenza dato che il caldo avrà impatti rilevanti su ecosistemi, economie e vita delle comunità.
Nel documento curato da ricercatori cinesi, americani ed europei, viene descritto come ben prima della fine del secolo la temperatura media crescerà di oltre 3 gradi e «in alcune aree si potrebbe arrivare a 7,5, in assenza di azioni di mitigazione». Come se non bastasse, le temperature elevate si registreranno probabilmente in zone densamente popolate e fra le più povere al mondo, come ad esempio l’India, la Nigeria, il Pakistan, l’Indonesia e il Sudan, dove oggi vivono quasi due miliardi di persone e in futuro probabilmente molte di più. I territori dove oggi vivono e che vengono usati per le produzioni agricole e coltivare cibo
IL MONDO CALDISSIMO CHE AVREMO NEL 2070 Il nuovo studio su Pnas sulla crisi climatica: l’aumento delle emissioni renderà la Terra invivibile
con l’avanzare della crisi climatica e del surriscaldamento potrebbero trasformarsi infatti in territori praticamente inabitabili, dato che tra calore e siccità sarà sempre più complesso garantire l’approvvigionamento a cibo e risorse idriche.
Già oggi, dati alla mano, purtroppo siamo lontani dalla riduzione di emissioni di CO2 decisa per esempio negli accordi di Parigi del 2015. Se in questo periodo di lockdown mondiale dovuto alla pandemia si è registrato un calo del 17% delle emissioni, questo non significa e non basta per poter dire che siamo sulla buona strada: gli obiettivi di contenere il surriscaldamento a +1,5 gradi, e
Tra cinquant’anni il surriscaldamento globale rischierà di stravolgere la vita di 3,5 miliardi di persone
anche quello di 2 gradi, sono infatti ancora lontani dall’essere centrati e nel 2100 potremmo comunque trovarci con una temperatura media globale a +3,2 gradi.
Chi oggi abita in zone con temperature temperate in futuro potrebbe vivere con 20 gradi di media, pari all’Africa settentrionale, mentre chi si trova già in zone con temperature elevate potrebbe ritrovarsi in aree con quasi 30 gradi di media.
Secondo i dati della ricerca Pnas, basata su una analisi delle temperature globali negli ultimi 6.000 anni, la fascia di fluttuazioni climatiche ha una temperatura media annuale di 55.3 gradi Fahrenheit e le colture, gli allevamen

ti o i sistemi di irrigazione e produzione di cibo sono sviluppati e progettati all’interno di questi vincoli di temperature. Fuori dalle normali condizioni ambientali ci si ritroverebbe ad operare e vivere in zone come il Sahara che oggi rappresentano meno dell’1% della superficie terrestre ma che in futuro diventeranno il 20%, se non riusciremo ad abbassare le emissioni climalteranti.
Il rapido aumento porterebbe infatti il 30% della popolazione mondiale ad abitare in posti con una temperatura media superiore ai 29 gradi (condizione climatica che oggi è sperimentata sullo 1% della superficie delle terre emerse) mentre nel 2070 questa condizione potrebbe riguardare il 19% della superficie.
Lo scenario che si prospetta porterà, in futuro, scarsità di cibo, di risorse e sempre più rifugiati climatici
«I cambiamenti si manifesterebbero meno velocemente che con l’attuale pandemia da Covid-19, ma sarebbero ancor più deleteri perché alcune zone del Pianeta si riscalderebbero a livelli a malapena accettabili per la sopravvivenza umana, e non si raffredderebbero mai più» ha spiegato Marten Scheffern dell’Università di Wageningen, coordinatore dello studio assieme a Xu Chi dell’università di Nanjing. Secondo i ricercatori non solo milioni di persone sarebbero costrette a migrare, ma inoltre c’è il rischio che avvenga presto un possibile spopolamento delle aree costiere dovuto allo scioglimento dei ghiacci e il conseguente innalzamento del livello del mare.
«Visto che le nostre scoperte erano così rilevanti - ha spiegato Xu Chi dell’Università di Nanjing - ci siamo presi un anno in più per verificare attentamente tutte le supposizioni e i calcoli. Inoltre, abbiamo deciso di pubblicare tutti i dati e i codici informatici, per trasparenza e per agevolare qualunque attività di follow-up da parte di altri studiosi. Avremo bisogno di un approccio globale per salvaguardare le generazioni future dalle significative tensioni sociali che il cambiamento previsto potrebbe causare».
Non tutto però è perduto. Per Tim Lenton, coautore dello studio, climatologo e direttore del Global Systems Institute dell’Università di Exeter, «la buona notizia è che questi effetti si possono ridurre enormemente nel caso in cui la specie umana riesca a frenare il surriscaldamento globale. I nostri calcoli dimostrano che ogni grado al di sopra dei livelli attuali corrisponde all’incirca a un miliardo di persone che finiranno fuori dalla nicchia climatica. È importante dimostrare i benefici ottenuti dalla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra in termini di migliori condizioni di vita per gli esseri umani prima ancora che in termini monetari». (G. T.).