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Il futuro dell’ultravioletto per sanificare le mascherine

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Probabilmente, finché non si troverà un vaccino, le mascherine faranno parte delle nostre vite per molto tempo. Diventeranno capi protettivi da indossare ogni giorno forse perfino per anni, azzardano alcuni studi internazionali. Oggi, come indicano le disposizioni di legge, per evitare i contagi legati alla pandemia da Covid-19 ci stiamo già abituando a portarle mentre facciamo la spesa, camminiamo, ci spostiamo, facciamo shopping: praticamente in ogni occasione, con conseguenti rischi per l’ambiente se non le sapremo gestire. Alcuni cittadini infatti, un po’ come accaduto per la plastica monouso, si stanno abituando a gettare in natura, una volta usati, guanti e mascherine.

Se questa cattiva abitudine dovesse perdurare, con uno studio del Politecnico di Torino che stima che serviranno sino a 1 miliardo di mascherine al mese, se solo l’1% dei dispositivi di protezione finisse in natura ci ritroveremmo con 10 milioni di mascherine disperse nell’ambiente, pronte a inquinare i nostri mari. Un dramma, per gli oceani già soffocati da milioni di tonnellate di plastica. Ecco perché, per trovare un’altra via allo smaltimento e per cercare di evitare possibili danni all’ambiente, ultimamente si sta ragionando sulla possibilità del riuso delle mascherine dopo un processo di sanificazione.

Fra i vari modi presi in esame per poter sanificare e di conseguenza riutilizzare le mascherine, uno dei più efficaci finora è quello dei raggi ultravioletti. Soprattutto quelli più energetici, come i raggi Uv-C, hanno effetti igienizzanti efficaci solitamente anche sui virus, anche se siamo ancora in fase di sperimentazione per capire se davvero possono essere in grado di “sconfiggere” sempre il virus Sars-Cov-2 responsabile dell’attuale pandemia.

Ad esempio, ricercatori delle sedi di Brera, Merate e Padova dell’istituto nazio

IL FUTURO DELL’ULTRAVIOLETTO PER SANIFICARE LE MASCHERINE Il progresso delle tecnologie al servizio dell’ambiente e del mondo sanitario

© Mia Stendal/www.shutterstock.com

nale di astrofisica, in collaborazione con l’Università di Milano, stanno mirano a sviluppare dei dispositivi utili alla disinfezione che non solo potrebbero essere adatti per sanificare attraverso i raggi le mascherine, ma addirittura - cosa che è in fase di sperimentazione - per la disinfezione dell’aria e l’inattivazione del virus Sars-Cov-2.

Al momento si stanno sperimentando gli effetti a seconda dell’esposizione ai raggi, delle dosi, delle lunghezze d’onda. Sistemi di sanificazione, quelli attraverso i raggi Uv, che potrebbero essere usati anche come disinfezione per oggetti di uso comune, dalle banconote agli smartphone.

Il Politecnico di Torino stima che, nei prossimi tempi, serviranno 1 miliardo di mascherine al mese

A Milano, negli ospedali Sacco e San Raffaele, ma anche a Bergamo, in Piemonte e in Veneto, sulla scia degli Stati Uniti hanno sperimentato di recente robot “Light Strike” che è in grado, usando ultravioletti allo xeno, di sterminare in pochi minuti virus, batteri, spore e funghi e anche il Sars-Cov-2. Secondo uno studio effettuato nel Texas nel Biomedical Research Institute questo sistema è in grado di ridurre del 99,99% il carico patogeno su superfici complesse. Funziona con luce ultravioletta ad alta intensità che distrugge il Dna dei microrganismi.

Sempre dall’America arriva anche un sistema capace di sterilizzare e sanificare

© Vasyl Rohan/www.shutterstock.com

© Zigres/www.shutterstock.com

200 mascherine ogni otto minuti proprio grazie ai raggi Uv. E’ stato sviluppato da due team di ricercatori del Dipartimento di elettricità e ingegneria informatica (ECE) della Lehigh University e del St. Luke’s University Health Network. Grazie alle proprietà della luce ultravioletta, che in questa fase di pandemia è stata usata in diversi contesti, dagli ospedali sino agli aeroporti, è stato creato l’ High-Throughput Symmetrical and Non-Shadowing Ultraviolet Sterilization System (sistema di sterilizzazione ultravioletta simmetrica e non ombreggiante ad alto rendimento) detto “Bug Zapper”, capace di causare cambiamenti radicali nel DNA e nell’RNA di virus e di altri agenti patogeni.

Se solo l’1% dei dispositivi di protezione finisse in natura, ne ritroveremmo 10 milioni dispersi nell’ambiente

Potenzialmente, questo sistema, fatto di una struttura di metallo ottagonale con diverse fonti di luce, irradiando di ultravioletti è capace di decontaminare fino a 10mila mascherine al giorno.

Basati sugli ultravioletti, ci sono poi diversi progetti stanno pian piano diventando realtà negli States, come al Rensselaer Politechnic Institute di Troy nello Stato di New York, dove è già stato avviato un sistema automatizzato che attraverso l’uso degli ultravioletti sta sanificando migliaia di mascherine, già riutilizzate dagli operatori.

Anche in Italia ci si muove su questo fronte. Mentre i comuni (come Roma) cominciano a prevedere multe salate sino a 500 euro per chi getta a terra i dispositivi di protezione, dalla Lombardia alla Sicilia si stanno progettando nuove mascherine in grado proprio di ridurre l’impatto ambientale: per esempio modelli con filtri sostituibili o altri in “gomma”, altre ancora si potranno sterilizzare in microonde. Oppure, proprio con l’uso di ultravioletti UV-C e ozono, ci sono progetti di privati che permettono la sanificazione in un massimo di quindici minuti dalle mascherine ai guanti, passando per altri oggetti di uso comune. Superati ulteriori test, potremmo presto vedere in funzione questi macchinari: lo scopo è quello di unire scienza e tecnologia per aiutarci a proteggerci dal contagio e contemporaneamente proteggere l’ambiente. (G. T.).

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