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IL DISSESTO IDROGEOLOGICO, PROBLEMI E SOLUZIONI

a cura della redazione

L’impatto del cambiamento climatico e il processo di adeguamento per fronteggiare i suoi disastrosi effetti. Ne abbiamo parlato con Ilaria Falconi, tecnologo di ricerca III livello CREA presso il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste

Quanto accaduto in Emilia-Romagna ripropone il tema nevralgico dei cambiamenti climatici e delle fragilità del nostro territorio. Servono almeno 26,58 miliardi di euro, questo è il valore corrispondente alle richieste provenienti dagli Enti Locali registrati sulla piattaforma Rendis (Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo) che ammontano complessivamente a 7.811.

Abbiamo raggiunto il tecnologo III livello al Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’economia agraria (CREA) presso il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (MASAF), Ilaria Falconi, con cui abbiamo cercato di comprendere come i cambiamenti climatici incidano su eventi metereologici sempre più importanti.

Fenomeni eventi piovosi: qual è la correlazione tra tempo di ritorno e cambiamento climatico?

L’impatto del cambiamento climatico sul rischio geologico, idrologico ed idraulico si estrinseca principalmente attraverso il cambiamento delle temperature e del regime delle precipitazioni, che si verifica con modalità fortemente variabili nello spazio e nel tempo ed è influenzato da condizioni sia naturali sia antropiche locali.

Il cambiamento climatico può incidere sul tempo di ritorno, ovvero sulla probabilità (frequenza media) che un determinato evento alluvionale di una certa intensità si verifichi in un dato periodo.

Ciononostante, tale grandezza statistica non può essere impiegata per la valutazione e l’analisi dei fenomeni temporaleschi che interessano territori limitati come, ad esempio, le frazioni delle città.

Dall’analisi dei dati Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) si raffigura che, in Italia nel 2021, il territorio è interessato per il 5.4% (pari a 16.224 kmq) da aree aventi pericolosità idraulica elevata con un tempo di ritorno stimato tra i 20 e i 50 anni, per il 10% (30.194 kmq) e il 14% (42.376 kmq) da quelle aventi, rispettivamente, pericolosità media e bassa.

Le cause dei fenomeni alluvionali occorsi in Emilia-Romagna sono da ricercarsi nell’assetto urbano caratterizzato da superfici impermeabili ed edificate aventi proprietà termiche elevate; con una riduzione delle superfici evaporanti come gli specchi d’acqua, la vegetazione e i suoli umidi.

Introduzione della chiave adattamento climatico nella pianificazione di bacino e negli interventi di messa in sicurezza dei fiumi nelle aree urbane: come fare?

Nelle città i sottopassi (ad es. ponti ferroviari e rilevati stradali) rappresentano uno dei punti più pericolosi dell’assetto idrogeologico, in quanto causano deficit di funzionamento dal punto di vista della capacità di smaltimento delle acque durante le piene improvvise.

L’assetto idrogeologico urbano è, inoltre, influenzato dal pessimo stato di manutenzione delle opere idrauliche, dall’impermeabilizzazione/occupazione delle casse di espansione dei fiumi, dagli alvei impermeabilizzati e/o con flusso ristretto. Infatti, in un alveo ridotto tra le sponde artificiali, la velocità diviene elevata e il picco di esondazione viene raggiunto velocemente.

La rettificazione dei corsi d’acqua, incrementando la pendenza e la velocità di deflusso dell’acqua determina, conseguentemente, un aumento dell’energia e del rischio di esondazione. La realizzazione di edifici, strade e parcheggi impedisce alla pioggia di ricaricare le falde acquifere.

A questo riguardo si evidenziano due principali fattori di innesco connessi tra loro:

1) Il consumo di suolo determinato dalla sua impermeabilizzazione e dall’alterazione della sua composizione. L’impermeabilizzazione altera in modo drammatico il ciclo dell’acqua superficiale (determinando frane e alluvioni) e di quella sotterranea (riducendo la disponibilità delle falde).

2) Il non rispetto del principio di invarianza idraulica. Tale principio evidenzia che il deflusso risultante dal drenaggio di un’area deve rimanere invariato dopo una trasformazione dell’uso del suolo avvenuto nell’area stessa, ossia dopo lavori di edificazione e urbanizzazione. Bisogna, quindi, garantire all’acqua la capacità di laminare e di infiltrarsi nel terreno per alimentare la falda freatica.

Quali dovrebbero essere le azioni di prevenzione da eseguire per eliminare o quantomeno cercare di limitare i danni?

• Monitorare costantemente il territorio e tutelare le zone già sottoposte a vincolo idrogeologico e paesaggistico per evitare l’insediamento di nuovi elementi a rischio in aree allagabili (ad es. le zone R4 e R5 presenti nel Piano di assetto idrogeologico).

• Rispettare il principio di invarianza idraulica. Tale principio evidenzia che il deflusso risultante dal drenaggio di un’area deve rimanere invariato dopo una trasformazione dell’uso del suolo avvenuto nell’area stessa, ossia dopo lavori di edificazione e urbanizzazione. Bisogna, quindi, garantire all’acqua la capacità di laminare e di infiltrarsi nel terreno per alimentare la falda freatica.

• Approvare piani di monitoraggio e di tutela degli ecosistemi più sensibili ai cambiamenti climatici sul territorio. Subordinare al vincolo di inedificabilità le aree ancora libere dall’edificazione come quelle agricole, incolte e naturali o individuare dei limiti quantitativi stringenti di superfici libere trasformabili in aree urbane.

• Effettuare la pulizia delle caditoie e dei tombini in città; riqualificare o bonificare aree abbandonate, inquinate o degradate; tutelare, espandere e ridurre l’impermeabilizzazione nelle aree di espansione dei corpi idrici.

Per ridurre l’impatto di siccità e inondazioni, inoltre, serve ristabilire nelle città i flussi naturali dell’acqua in quanto l’acqua è una risorsa da proteggere e il suo utilizzo include sistemi di raccolta, trattamento e riciclaggio. Infatti, occorre restituire alle aree urbanizzate la capacità di laminare e infiltrare l’acqua di pioggia attraverso i Sistemi urbani di drenaggio sostenibili (Suds) come le vasche d’acqua, i giardini verdi, gli stagni e le aree di ritenzione vegetate, i canali vegetati, i box alberati filtranti e le pavimentazioni permeabili.

Le infrastrutture, quindi, dovranno essere realizzate in modo da consentire all’acqua di percolare nel terreno per alimentare la falda freatica.

È necessario, altresì, un adeguamento gestionale e tecnico delle infrastrutture idrauliche al mutare delle condizioni climatiche e demografiche, al fine di ridurre la dispersione nelle reti di distribuzione.

Le città, infatti, dovrebbero essere riprogettate come delle sponge cities in grado di assorbire l’acqua piovana e ridurre i rischi di allagamento determinati dall’eccessiva impermeabilizzazione.

Per quanto concerne la vegetazione presente nei corpi idrici è opportuno rimuovere esclusivamente i tronchi e i rami morti, specialmente in prossimità di ponti e/o restringimenti presenti sull’asta fluviale in quanto le infrastrutture verdi sulle rive sono in grado di garantire la stabilità dei fiumi, rallentare la velocità dell’acqua durante le piene e la capacità autodepurativa degli ecosistemi fluviali.

Infine, è necessario porre come obiettivo centrale dei Piani di assetto idrogeologico (PAI) la programmazione di misure di mitigazione dello stato di pericolo geologico-idraulico. Purtroppo, negli ultimi decenni si è assistito, invece, a una pianificazione territoriale e urbanistica insufficiente e non adeguata all’obiettivo primario. Sarebbe altresì auspicabile e urgente legiferare una normativa specifica in materia di consumo del suolo.

Il grado di esposizione al rischio frane e alluvioni

L’Ispra rileva che 6,8 milioni di abitanti risiedono in aree a rischio alluvionale medio e 2,4 milioni vivono in zone alluvionali ad alto rischio, complessivamente il 15% della popolazione.

Gli edifici in zone alluvionali ad alto e medio rischio sono 2,1 milioni, il 15% del totale. Le regioni a maggior rischio alluvionale sono l’Emilia-Romagna, la Toscana, la Campania, il Veneto, la Lombardia e la Liguria. Più di 3 milioni di famiglie (16% del totale) sono esposte a rischio alto o medio.

L’Emilia-Romagna, ad esempio, non ricade tra le aree a maggiore rischio ma a rischio medio. Tuttavia, quanto accaduto a metà maggio 2023 mette in evidenza che anche nelle zone non sottoposte a maggiore allerta gli eventi possono ormai essere disastrosi e impensabili (forse) anche per i più sofisticati modelli previsionali.

Tra il 1971 e il 2020 si sono registrati complessivamente 1.630 morti per frana o inondazione e oltre 320mila evacuati e senzatetto.

Centro studi Cni: la programmazione degli interventi

Nel 2021, la Corte dei conti ha svolto un’indagine inerente a “Gli interventi della Amministrazione dello Stato per la mitigazione del rischio idrogeologico”. E ha messo in luce alcuni elementi che meritano di essere riportati. Innanzitutto, lo squilibrio evidente della durata delle fasi per la realizzazione delle opere di mitigazione e di prevenzione. Nel nostro Paese, la durata media totale di realizzazione di opere di contrasto al rischio idrogeologico è di 4,8 anni. Snocciolando questo tempo ci si accorge che, in media, 2,3 anni sono assorbiti dalla fase di progettazione, 7 mesi per l’affidamento e 1,8 anni per l’esecuzione effettiva dell’opera. I tempi amministrativi e i tempi morti rappresentano il 48,6% del tempo totale.

Nel corso degli anni è emerso che le risorse pubbliche sono state impiegate maggiormente per interventi successivi a eventi catastrofici, sacrificando la prevenzione con una prospettiva di medio-lungo periodo. Ciò rappresenta un punto debole della programmazione del contrasto al rischio idrogeologico. Status quo di cui neanche il Piano ProteggItalia è riuscito a cambiare l’inerzia, visto che, come sottolinea la Corte dei conti, non ha individuato strumenti di pianificazione territoriali efficaci.

Illustriamo di seguito e per punti, altri rilievi contenuti nel rapporto della Corte dei conti.

• Il Piano ProteggItalia non ha unificato i criteri e le procedure di spesa di competenze di ministeri e dipartimenti diversi e non ha risolto il problema dell’unicità di interventi con sfumature e obiettivi diversi.

• Negli ultimi anni non sembra essersi registrata un’accelerazione nell’uso delle risorse finanziarie disponibili: il che chiama in causa complessità procedurali a monte, gestite dalle amministrazioni competenti per i singoli capitoli di spesa, fatta eccezione per il dipartimento della Protezione civile che opera in regime di emergenza.

• La Corte dei conti sottolinea inoltre la ridotta capacità progettuale e di spesa delle Regioni e degli stessi commissari straordinari/presidenti delle Regioni anche a causa della carenza di strutture tecniche dedicate alla programmazione e al monitoraggio degli interventi in ambito idrogeologico.

• Il consistente numero di strutture di indirizzo e gestionali (strutture di missione, cabine di regia, segreterie tecniche e task force), istituite negli anni, secondo la Corte dei conti non sembra avere contribuito in modo determinante a realizzare un piano efficace di interventi.

• Il ritardo con cui le autorità di bacino intervengono non ha aiutato secondo la Corte dei conti ad avviare un percorso di programmazione di cui il Paese necessita.

• La scarsa capacità di spesa delle amministrazioni pubbliche, in termini di interventi di prevenzione dal rischio idrogeologico, è il frutto di progetti di scarsa valenza pratica, perché basati su ipotesi di massima che poi non vengono approfondite per cambi di orientamento o per lunghezze autorizzative.

Persiste, dunque, la difficoltà da parte delle Istituzioni di attuare in modo rapido e di programmare efficacemente gli interventi di contrasto al rischio idrogeologico. Anche alla luce dei più recenti avvenimenti, occorrerebbe riformulare in tempi assai brevi le modalità di gestione di un piano nazionale di contrasto sistematico al rischio idrogeologico.

Nuovo progetto di PAI “Dissesti Geomorfologici”

I cambiamenti climatici hanno subito un’evidente evoluzione. Si assiste sempre con maggior frequenza a fenomeni meteo distruttivi e imprevedibili. La gestione del rischio da dissesti di natura geomorfologica è un’esigenza prioritaria.

Il Piano di bacino del distretto idrografico dell’Appennino settentrionale, stralcio Assetto idrogeologico (PAI), sta andando avanti nel suo iter esecutivo. Incassata una prima approvazione a fine novembre, e adottato nella Conferenza istituzionale permanente di fine dicembre, interessa I’intero territorio distrettuale, Toscana, Liguria e parte dell’Umbria, e copre 14 province, 455 comuni e 24.300 kmq di territorio.

Dopo la fase di consultazione, il nuovo PAI sarà operativo e subentrerà alla precedente normativa. Sarà un passo molto importante. I dissesti di natura geomorfologica saranno tenuti costantemente sotto controllo grazie a mappe elaborate con criteri omogenei alla scala distrettuale. E le mappe saranno sempre aggiornate attraverso un programma annuale di riesame e un unico pacchetto di norme e indirizzi, applicabile su tutte le aree a pericolosità del distretto, condiviso con le regioni, che ne dovranno garantire il raccordo e la traduzione nel settore urbanistico. Nel quadro generale dei succitati mutamenti climatici, infatti, la conoscenza approfondita e aggiornata del territorio – e delle sue criticità –diventa una conditio sine qua non

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