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GIORGIA II D'ORIENTE
from PINK BASKET N.04
by Pink Basket
COVER STORY di Giulia Arturi
SOTTANA DAL SUO NUOVO REGNO DI ISTANBUL PARLA SENZA CENSURE: LA LEZIONE DI CAPOBIANCO, LA SVOLTA IN NAZIONALE, LO STREAMING DELLE PARTITE ITALIANE A PAGAMENTO… “E SU CRESPI SI È ESAGERATO”
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La magnifica Istanbul domina lo stretto del Bosforo. È l’unica città al mondo a stendersi su due continenti: una parte in Europa, l’altra in Asia; una posizione chiave per controllare buona parte dei traffici tra oriente e occidente. Fondata dai greci con il nome di Bisanzio, rinominata Costantinopoli da Costantino il Grande, fu la capitale dell’impero bizantino fino al 1453, poi quella dell’impero ottomano. Una storia di egemonia. Da qualche anno anche nel basket, dove si è imposta come una delle grandi potenze europee, sia maschile, sia femminile. Il Fenerbahce è la realtà più prestigiosa: per tanti giocatori un punto di arrivo. Ed è proprio questo il nuovo regno di Giorgia II, 30 anni appena compiuti, che si è lasciata alle spalle Giorgia I e il suo trono d’Italia. Dopo aver vinto 4 scudetti in 5 anni a Schio, Sottana ha salutato il suo Veneto, per affrontare nuove avventure. In Francia con Montpellier prima, in Turchia poi. “Mi sono ormai adattata alla vita da “straniera”. Per la persona e l’atleta che sono, l’impegno che metto in quello che faccio è sempre lo stesso, qualsiasi sia il mio status. Cambia poco dunque. Sono alla mia seconda stagione qua, mi sento sempre meno straniera, sono semplicemente parte di una squadra. Giocare in una società come il Fener, dovrebbe tirare fuori sempre il 100%: per me è scontato garantire il massimo impegno, sempre”.
Un viaggio da predestinata, ma senza strada spianata. Giorgia è una persona di carattere: lasciare che due gravi infortuni cambiassero la sua rotta non era da prendere in considerazione. Seguo da vicino la sua carriera da quasi 15 anni: prima come compagna nelle nazionali giovanili, poi da avversaria, ora da giornalista. Non ho mai dubitato che l’avremmo vista arrivare lontano. Da quando, al primo raduno a Pesaro, neanche 16enne, prendeva due palloni e si metteva a lavorare da sola, concentrata sul suo basket, prima ancora che tutte le altre avessero messo piede in campo.
Del tuo Veneto cosa ti manca di più?
“Casa. Gli affetti, le persone a me più vicine, gli amici. Tutto il resto lo ritrovi, ma i rapporti e l’ambiente famigliare ogni tanto mi mancano”.
A che punto è la tua squadra rispetto alle attese e agli obbiettivi prefissati?
“Siamo ancora un po’ indietro. Non è un segreto che puntiamo in alto, le Final Four di Eurolega sono un nostro obiettivo. Siamo partite un po’ a rilento e dobbiamo lavorare, anche in campionato abbiamo avuto qualche battuta di arresto, ma ora è più tranquilla la situazione. In Eurolega ancora non siamo al top”.
In questi momenti di difficoltà cosa puoi dare di più?
“Quando c’è necessità dico la mia, ma preferisco dare l’esempio facendo. Impegnarmi di più e parlare di meno. Abbiamo tante giovani, che hanno ancora molto da imparare su come funzionano certe dinamiche. Cerco di dialogare, ma sempre in modo positivo e costruttivo. Se qualche anno fa mi arrabbiavo e sbraitavo, adesso ho un approccio più centrato e tranquillo. È l’esperienza”.
È la tua ottava Eurolega. Hai giocato sei campionati europei, e hai incontrato centinaia di giocatrici. Chi ti ha colpito di più?
“Quella che più mi sta a cuore è Taurasi, giocatrice di livello top, ma anche persona molto alla mano. Ho avuto questa impressione tutte le volte che mi sono avvicinata per scambiare due chiacchiere”.

La Nazionale si è qualificata ai prossimi Europei, in Serbia la prossima estate: eppure dopo la sconfitta interna contro la Croazia, tutto sembrava molto in salita. Riesci ad individuare un momento di svolta?
“Sì, subito dopo la partita contro la Croazia. Con ‘subito dopo’ intendo letteralmente i minuti che hanno seguito il fischio finale. Quando siamo tornati in spogliatoio, Marco (Crespi, l’allenatore ndr) ha parlato, e c’è stato uno scambio di opinioni. Nei giorni seguenti ho avuto modo di continuare il dialogo con il coach, sentendolo al telefono: si è costruito un rapporto che andava anche oltre le semplici situazioni in campo; questo si è rivelato un traino per tutto e per tutti. C’è da tenere presente che il gruppo arrivava dall’esperienza con Andrea Capobianco, un carattere completamente diverso. Crespi ha fatto irruzione come un uragano di entusiasmo, quando noi eravamo abituate ad un approccio più tranquillo. C’è voluto un tempo fisiologico per trovare la quadra. Paura di non farcela? Onestamente no, ma c’è sempre un po’ la preoccupazione di mancare l’obiettivo. Quando tieni tanto a qualcosa, il pensiero di perderla spaventa”.
Che cosa ti aspetti dalle azzurre e da te stessa ai prossimi Europei?
“Intanto il nostro è un girone molto difficile. Non ci sarà nessuna partita scontata, e non c’è la squadra materasso. Tengo tantissimo alla Nazionale, come non mi stancherò mai di sottolineare. Nel gruppo si è creato un rapporto che sa di casa, di famiglia. Quando ci ritroviamo stiamo bene insieme, anche se magari è passato un anno dall’ultima volta che ci siamo viste. Quando si riesce a costruire qualcosa del genere, l’unica cosa che vuoi è vincere e dare tutto quello che hai. Questo sarà il mio obiettivo”.
Che opinione hai sulle polemiche che si sono scatenate su coach Crespi dopo la partita contro la Svezia?
“Si è sollevato un polverone che ritengo esagerato. Le critiche per non aver fatto entrare Masciadri riguardano una questione di gioco, di campo. Questo discorso può avere una sua ragionevolezza, le critiche argomentate in tal senso erano legittime. Il focus si è però spostato su altro. Siamo scivolati su tematiche come sessismo e discriminazione. Valutazioni di questo tipo ricadono completamente sulla persona Marco Crespi, non sull’allenatore Marco Crespi. È stata una faccenda sovradimensionata e scollegata con la realtà. Siamo tutte grandi abbastanza da affrontare eventuali problemi con lui direttamente, se qualcuna avesse avuto qualcosa da dirgli l’avrebbe fatto di persona”.
A proposito di discriminazioni di genere, che percezione hai della questione?
“Mi viene posta spessissimo questa domanda. Io da atleta non ci penso. La mia concentrazione è tutta orientata nel fare il mio lavoro, quello che amo, al meglio. Penso che si tratti di un fatto oggettivo: lo sport al maschile in questo momento attrae più soldi, più sponsor e di conseguenza un’attenzione completamente diversa. Questo è un dato, e non potrà cambiare dall’oggi al domani”.
Riesci a seguire il campionato italiano? Che opinione ne hai quest’anno?
“Seguo i risultati, la classifica e mi piace leggere e tenermi aggiornata sull’andamento. Ci sono tante mie ex compagne che giocano, quindi mi fa piacere. Onestamente non ho condiviso la decisione di rendere a pagamento la LBFTV, penso che abbia allontanato tifosi. Per il movimento lo streaming gratuito era una risorsa, un modo per coinvolgere. Anche la Fiba trasmette gratuitamente le partite di Eurolega, per esempio. Se una delle questioni chiave è generare interesse nei confronti del basket femminile, non penso che questa sia una mossa che guarda nella giusta direzione”.
Chi è l’allenatore che ti ha lasciato di più in carriera?
“Quelli che ad oggi ricordo con più affetto sono sicuramente Andrea Capobianco e il suo vice Antonio Bocchino. Il nostro rapporto non è stato un idillio dal principio, anzi, è iniziato decisamente in salita. Andrea mi lasciò in panchina tutta una partita nelle prime due gare di qualificazione agli ultimi Europei. Non riuscivo a spiegarmi il motivo di questo trattamento, e dunque ho iniziato a guardarmi dentro. In quel momento ho capito che forse prima di criticare il suo modo di utilizzarmi, dovevo rivolgere lo sguardo a me stessa, al mio modo di comportarmi. Da quel momento è nato un rapporto bellissimo, voglio a entrambi un bene dell’anima, e ci sentiamo spesso. Loro sono stati un punto di svolta per me: ho iniziato a guardarmi dentro per cambiare e migliorare. E per questo sono loro grata, glielo dico sempre”.

Giorgia parla schiettamente. Si esprime decisa, concreta, con fiducia. Una ex ragazza, ormai donna, dalle idee chiare. Il botta e risposta è sempre vivace, difficilmente ci si imbatte in qualcosa di scontato nelle sue affermazioni. Come non è scontato guardare a se stessi prima che agli altri. “La vocazione di ognuno di noi è conoscere sé stessi”, scriveva Herman Hesse. Dunque, conoscersi abbastanza bene da ammettere i propri sbagli, prima di scaricare le responsabilità su altri. Un atteggiamento da campioni, una delle tante cose che si possono imparare su un campo da basket e poi riutilizzare nella vita di tutti i giorni.
Nei giorni di riposo, Giorgia esplora Istanbul. “Amo viaggiare, avrò un’estate pienissima, mi piacerebbe andare in Africa o in Messico. Anche il Giappone è in corsa, vedremo. Istanbul è una città bellissima, ogni angolo è una scoperta. In particolare, mi ha affascinato il quartiere Balat, che mi ispira tanto: è lì che vado a scrivere. Pensieri che presto potrebbero prendere la forma di un libro, vedremo”. Balat è lo storico quartiere ebraico, incantevole e pittoresco, dal quale si può godere una vista mozzafiato sul Corno d’oro. Magari abbandonandosi a qualche riflessione: “Comincio anche io a fare due conti su quello che vorrò fare dopo, e un po’ di paura c’è. Dovremmo tutte noi reinventarci e capire come andare avanti nella prossima vita… e sarà completamente un’altra vita”. Ma al momento non sono altro che pensieri, nel presente c’è solo il Fener e l’azzurro.