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PLAYMAKER A 360°
from PINK BASKET N.11
by Pink Basket
PLAYMAKER A 360°
UNA GIOCATRICE CHE NON HA MAI AVUTO PAURA DI CRESCERE, DI IMPARARE DAGLIALTRI E DAI PROPRI ERRORI, CHE HA SEMPRE GIOCATO CON COSTANZA E TENACIA AFFRONTANDO LE SFIDE SENZA PAURA. TUTTO QUESTO È VALENTINA GARDELLIN, PLAYMAKER IERI E COACH OGGI
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STORIE di Marco Taminelli
L'arte del playmaking senza tempo, la passione sconfinata che permette un rientro, ad ottimi livelli, anche a 49 anni. Ragione e sentimento di una delle grandi registe della storia del basket italiano, Valentina Gardellin.
Veneziana di nascita, il tuo inizio con il basket non è immediato, altri sport ed esperienze prima di arrivare alla, poi, tanto amata palla a spicchi.
“La scoperta della pallacanestro arriva sostanzialmente tardi per una giovane sportiva, avevo già dodici anni. Prima del basket mi ero iscritta alle più svariate discipline non solo legate allo sport: ginnastica artistica, nuoto, pianoforte. La passione per la palla a spicchi è coincisa con il fatto che sul parquet potevo scatenarmi e correre con la palla, mi divertivo e non sentivo per nulla la fatica. Forse – sorride Gardellin ndr – se non avessi fatto la cestista probabilmente sarei diventata una velocista nell’atletica leggera. A Marghera ho fatto i miei primi anni con le giovanili, nel giro di poco tempo a 14 anni sono stata richiesta da Spinea che militava in A1. Lì c’è stato l’incontro con Caterina Seguso, allenatrice ed ispiratrice di una parte molto importante della mia crescita. A 14 anni mi trovo sostanzialmente a giocare in prima squadra in serie C, oltre agli impegni con juniores, cadette ed, ovviamente, la scuola. Avevo le giornate a dir poco piene”.
Impatto forte con il basket che ti ha fatto “crescere” molto presto, da diversi punti di vista. Svolta che ti ha fatto diventare già una giovane professionista.
“Come ti spiegavo la grande passione che mi ha trasmesso Caterina Seguso mi ha fornito lo stimolo e gli imput per capire, ed indirizzare, i miei sforzi e le mie energie. Un primo straordinario risultato è stato quello di giocare un grande torneo: “Decio Scuri”, ovvero l’odierno Trofeo delle Regioni. Un evento giovanile importantissimo dove ho avuto l’onore di essere inserita nel quintetto ideale della manifestazione, insieme a eccellenti giocatrici come Strazzabosco e Marcelli.

Insomma la prima volta della mia carriera. A 16 anni arriva infatti la prima chiamata che mi porta lontano da casa, a Cesena, allora targata Unicar. Una scelta ponderata e condivisa con la mia famiglia, che mi ha sempre appoggiato e sostenuto in ogni parte della mia avventura con il basket”.
Lì trovi un allenatore come Paolo Rossi, un rapporto non idilliaco ma che fa parte di quel percorso di crescita di cui parlavi.
“Sicuramente non è stato un rapporto facile quello con Paolo Rossi. Non è stato quello che definiremmo un “amore a prima vista”. È stato un impatto duro, in allenamento ed anche in partita. Venivo dalla serie C, un balzo enorme, mi sentivo inadeguata. Mi veniva richiesto di prendere in mano la squadra, sino a quel momento ero più portata a far correre ed a segnare. Responsabilità ed ottica da playmaker che dovevano ancora completare la loro crescita dentro di me. È stato un momento anche lì importante per non mollare, per tenere duro”.
Costanza, tenacia e capacità di imparare che sono un denominatore comune della tua carriera, che prosegue ad Ancona.
“Non mi sono mancati davvero i maestri nel mio percorso. Ad Ancona un altro passaggio importante con l’incontro con Gianni Zappi e Giovanni Lucchesi. Lucchesi grande allenatore sul campo, preparazione maniacale delle partite, mai un allenamento uguale. Mi hanno stimolato ancora di più la voglia di imparare ed ascoltare. Poi a Faenza dove ho trovato Maresi, un maestro che veniva dalla maschile e che mi ha insegnato a prendere in mano le redini della squadra. A come davvero fare il playmaker nel senso più pieno del termine. Ed a proposito di grandissimi allenatori provenienti dal maschile, ho avuto il privilegio di conoscere un maestro come Alberto Bucci. Da lui ho imparato tantissimo, non conosceva il femminile ma ha avuto la capacità di imparare subito come far rendere al meglio una squadra. Anche lui mi ha insegnato molto su come rendermi utile per un gruppo ed una squadra dentro e fuori il parquet, a come creare uno spirito collettivo di spessore”.
Ed a proposito di grandi maestri la tua straordinaria esperienza con la Nazionale. Culminata con il meraviglioso argento di Brno nel gruppo guidato da coach Riccardo Sales.
“La Nazionale è un ricordo indelebile della mia carriera. All’epoca il play titolare della squadra azzurra era Silvia Todeschini. Coach Sales mi convocò e mi chiarì subito, con il suo stile inconfonibile e diretto, che gli piaceva il mio modo di interpretare il ruolo di playmaker. Che voleva però vedere un ulteriore scatto in avanti, un’ancora maggiore personalità nel condurre la squadra. Mi ha dato fiducia e spinta, che ho cercato di ripagare con tutte le mie forze durante gli Europei di Brno nel 1995. Lì davvero ho forse tirato fuori il meglio di me in Nazionale, numeri importanti in un’impresa davvero entusiasmante. Eravamo un gruppo incredibile, con tanta forza interiore, una squadra coesa e vincente, coperta in ogni ruolo. Si creò un’atmosfera unica, una medaglia d’argento davvero strameritata. E poi coach Riccardo Sales, collante di tutte queste qualità che, grazie al suo carisma ed alla sua capacità di trascinarci verso ogni impresa, dentro e fuori dal campo con una sintonia perfetta, sapeva utilizzare sempre le parole giuste per stimolarci al meglio”.
A volte ritornano, altra tappa a Parma e ritrovi Paolo Rossi. Questa volta sono solo successi, con scudetto e coppa Ronchetti.
“Ricordo l’annata dello scudetto come fosse ieri, un’emozione indescrivibile. Parma lottava da tempo contro l’egemonia di Como, che faceva incetta di successi in campo nazionale ed internazionale. Volevamo strappare loro il titolo, avevamo grandi motivazioni e voglia di vincere. Anno strepitoso sotto tutti gli aspetti. Ho riavuto come coach Paolo Rossi, ma arrivai a Parma più matura e consapevole. Ero sicuramente una giocatrice più completa. Con lui ho fatto un ulteriore salto di qualità, disputando credo un campionato eccellente, ricevendo anche il premio di MVP tra le giocatrici italiane. La società lavorò benissimo sia dal punto di vista ambientale che tecnico. L’anno dopo lo scudetto arrivò la coppa Ronchetti. Altra finale pazzesca, a Las Palmas per la gara decisiva c’erano 5mila persone impazzite di entusiasmo che spingevano la squadra di casa. C’era un’atmosfera incredibile, tutto colorato di gialloblu come i nostri colori. Facemmo davvero una grande impresa”.
Sei sempre stata considerata una grande interprete del ruolo di regista, quali sono stati i tuoi punti di riferimento e come vedi stia cambiando il playmaker nel basket attuale.
“Credo di aver sempre cercato di interpretare, ed a tratti emulare, le grandissime playmaker del passato. Il mio idolo assoluto era sempre stato Lidia Gorlin. Adoravo il suo modo di condurre, trascinare, gestire la squadra. Sapeva sempre recapitare il passaggio al momento giusto, con un tempismo semplicemente perfetto. Mi piaceva tantissimo anche Anna Costalunga, altro grande talento nel ruolo. Oltre alle mie “contemporanee” come Todeschini e Zocco, due splendidi interpreti della mia generazione. Oggi onestamente si gioca in modo molto diverso, compreso il playmaker. Si fa tanto 1vs1, si cerca molto la conclusione personale, ci sono molte combo guard più che registe nel senso classico del termine”.
Una carriera splendida chiusa nel 2003. Anzi no, 15 anni dopo il tuo rientro in campo, una scelta davvero a dir poco sorprendente.
“Una scelta che, rivendendomi, ha sorpreso per prima anche me. Dopo 15 anni senza basket giocato, tre splendidi figli, mi arriva la proposta della Magik Rosa di Parma. Insistevano già da anni, mi chiedevano di rientrare ma sinceramente consideravo chiusa la mia esperienza come giocatrice. Avevo giocato da professionista, anche a grandi livelli, non pensavo di riuscire ad adattarmi dopo tanti anni ad una scelta così diversa. Ed invece mi feci convincere, è stata Rossella Rossi a darmi la spinta e le motivazioni giuste. Pura passione che mi ha riacceso di nuovo, trovando un gruppo di ragazze stupende di diverse età che mi hanno subito coinvolta, dimostrandomi un rispetto ed un affetto sincero. Con zero allenamenti da anni, senza basket giocato, quasi una nuova carriera, davvero una grande sfida in cui mi sono divertita tantissimo”.
Gruppo che oggi guidi dalla panchina, l’ennesima pagina e nuova grande avventura.
“Il protagonista questa volta è Davide Malinverni, è lui ad offrirmi la possibilità di andare in panchina. Non ho esperienza ma è un’altra di quelle sfide appassionanti che non puoi perdere. Fare il coach è difficile, ci sono equilibri nuovi, non conta la categoria. Io sono una perfezionista, che non lascia niente al caso. È stato fondamentale il contributo di Tiziano Raffin, un vice di grande esperienza che conosce bene la serie B e mi ha guidata con intelligenza. È bellissimo vedere queste ragazze, di ogni età, che ti seguono, ascoltano e che vivono con grande partecipazione ogni allenamento. Partecipo anche io, spiego, racconto, mi cimento con loro. Arrivo a fine allenamento anche io distrutta, ma felice di poter trasmettere sempre la stessa passione e lo stesso entusiasmo di sempre”.