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BEA ATTURA LA SCOPERTA

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COVER STORY - DI GIULIA ARTURI

DI LEI SI SAPEVA POCO: I 20 PUNTI DA GRANDE GIOCATRICE IN MAGLIA AZZURRACONTRO LA REPUBBLICA CECA L’HANNO POSTA ALL’ATTENZIONE DI TUTTI. SENTIAMOLA RACCONTARE LA SUA STORIA CHE COMINCIA COSÌ: “SONO NATA A ROMA DA GENITORI ITALIANI, MA POI...”

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Attura chi? Il suo arrivo nel nostro campionato, nella stagione scorsa, ha destato molte domande. Si sapeva poco del suo passato cestistico e perfino della sua nazionalità: italiana o americana? Anche sul piano del gioco i segnali erano un po’ contraddittori: a prima vista pareva un play d’ordine, con un fisico come tanti; poi però, all’improvviso, la vedevi accendersi in gesti esplosivi da attaccante di razza, che ti confondevano le idee, e segnava tanto. Insomma, quanto vale questa Attura? E chi è davvero? Che passato ha?

Nel frattempo, dopo una stagione convincente a Vigarano, chiusa a 12 punti di media, la ragazza passa alla Reyer, società che tende a scegliere il meglio, e viene convocata in Nazionale: due indizi fanno una prova. È una signora giocatrice, allora. Il mistero, almeno quello tecnico, cade del tutto la sera del 15 novembre, nella bolla di Riga, dove la nuova compagine di Lino Lardo affronta la seconda partita della miniserie per le qualificazioni agli europei: il successo di due giorni prima con la Romania è stato rassicurante ma non del tutto probante, considerato il non eccelso livello tecnico delle avversarie, per di più in formazione rimaneggiata.

Le ceche sono un’altra cosa e lo dimostreranno per tutta la durata dell’incontro, duro, teso. Finché arriva Beatrice, che è poi il nome di battesimo di Attura. Un’epifania, addirittura: 20 punti, in poco più di 18 minuti, con 5 su 6 da due e 2 su 4 da tre. Imprendibile in entrata, pericolosa dall’arco, tenacissima nella difesa a tutto campo. Mvp senza discussioni per una meritata vittoria finale di capitale importanza. “Attura chi” diventa una giocatrice chiave della Nazionale. La nostra Beatrice.

Correre a conoscerla meglio è un obbligo. Il suo italiano è perfetto, qui siamo in presenza di un’italiana, orgogliosa di esserlo e di indossare la maglia azzurra. Com’è stato qualche anno fa per Maria Laterza, la pugliese di Brooklyn o, per chi conosce qualcosa della storia del nostro sport, per Luigina Agostinelli, la brasiliana di Vittorio Veneto che caratterizzò il primo ciclo vincente di Vicenza negli anni 60. Ma ora è tempo di sentire proprio da lei la sua storia.

Raccontaci la tua storia.

“Sono nata in Italia, a Roma, da genitori italiani. Mio papà è un ingegnere e quando avevo un anno ci siamo trasferiti a Dallas per il suo lavoro. E lì sono cresciuta, ho la doppia cittadinanza. Ovviamente a scuola parlavo solo inglese, ma i miei genitori hanno sempre parlato italiano in casa così sono cresciuta bilingue. Mi sono sempre sentita 50 e 50, le radici del mio paese di origine sono state sempre molto forti: d’estate tornavamo spesso, andavamo al mare con i nonni, e a casa si cucinava sempre italiano”.

Come è nata la tua passione per la pallacanestro?

“Quando ero piccola i miei genitori mi hanno iscritta a tanti sport diversi, e a casa se ne guardava molto. Ho sempre seguito i Dallas Mavericks, in cui giocava Nowitzki, un giocatore europeo anche lui. E da lì mi sono innamorata del basket”.

Com’è stata la tua carriera universitaria?

“Sono andata alla Northwestern State University, in Louisiana. Sono stati anni tosti, mi allenavano marito e moglie e ho imparato tantissimo. I primi due anni siamo riuscite a vincere la nostra Conference, un risultato senza precedenti nella storia dell’università. E al mio secondo anno sono stata Mvp della Conference, quindi davvero un bel percorso”.

Quando hai cominciato a pensare che la pallacanestro potesse diventare l’opportunità che ti avrebbe riportato in Europa?

“Appena il basket è iniziato a diventare una cosa seria nella mia vita, nella mia testa c’era il sogno di tornare in Italia, un posto che sento essere casa, a giocare a pallacanestro”.

Il primo step è stato la Germania.

“Sì, e in questa scelta è stato determinante l’aiuto del mio procuratore. Anche lui sapeva che l’obiettivo era riuscire a venire in Italia, ma era difficile fare il salto subito, in un campionato così importante. La scelta più ragionevole per un percorso di crescita è stata appunto la Germania, all’Herner TC. È stata una decisione che si è rivelata giusta: mi sono trovata benissimo, sono maturata, e al secondo anno, confermata tutta la squadra, abbiamo vinto il campionato e la coppa. Sono migliorata tanto dal punto di vista atletico, mi sono preparata a campionati più fisici”.

A quel punto eri pronta per l’Italia?

“Si è presentata l’occasione di Vigarano, la squadra ideale per continuare il mio percorso, in cui potevo esprimere al meglio le mie caratteristiche, con un gioco molto libero, basato soprattutto sulla velocità. È stata una grande emozione poter tornare in Italia per giocare una stagione intera, nonostante sia stato un anno strano, interrotto a metà a causa dell’emergenza Covid-19. Mi è piaciuto tutto, anche l’atmosfera fuori dal campo, io che sono grande appassionata di vino e del cibo italiano. Appena sono arrivata, per i primi tempi, appena potevo andavo fuori a cena! Durante la pausa di Natale sono riuscita ad andare a trovare mia nonna a Roma, e ho rivissuto tutte le emozioni di sempre”.

A proposito di cucina, qual è il tuo piatto preferito?

“La carbonara! Certo non è molto leggero, ma è buonissima”.

Qual è stato il bilancio della tua prima stagione in Italia dal punto di vista cestistico?

“Ho avuto l’opportunità di giocare tanti minuti. A Vigarano ho avuto un ruolo più importante in campo, rispetto a quello che avevo ricoperto in Germania. Era una squadra dove Bocchetti, Miccoli ed io eravamo le giocatrici più esperte in un gruppo con molte giovani e rookie. Così ho potuto crescere anche dal punto di vista della leadership sul campo. Per farlo penso sia importante riuscire a gestire i momenti di difficoltà con calma, parlando con le compagne, senza lasciare che la situazione arrivi ad un punto in cui è difficile rimetterla a posto. In campo il modo giusto è far vedere come fare le cose, dare l’esempio”.

Secondo te qual è la qualità più importante che una giocatrice deve avere? E la tua qual è?

“Dare sempre tutto in campo, il 100%. Questo non dipende dal ruolo che si ha in una squadra: ognuno nel suo può farlo, prendendo i rimbalzi, facendo i blocchi, facendo le piccole cose. Una squadra è vincente quando tutti danno il loro massimo. Penso che la grinta sia una cosa che metto sempre in campo. Se una giocatrice non ha quel fuoco dentro di sé, manca proprio l’energia vincente. Succede spesso che atleti, anche con meno talento, ma con tanta determinazione riescano a fare la differenza”.

E invece quello che ti dà più soddisfazione fare in campo?

“Direi fare pressione in difesa. Perché è qualcosa che una giocatrice può sempre fare, anche quando il tiro non va perché è una giornata storta in attacco, in difesa si può sempre dare il massimo”.

Ora sei una delle protagoniste del grande inizio della Reyer. È stato difficile l’approdo ad un club di grandi ambizioni come Venezia?

“C’è sempre stata l’ambizione di giocare in una squadra così importante. È stato gratificante che una società come la Reyer mi abbia voluto fortemente e ringrazio il Club per questa opportunità. Penso che dovrebbe essere l’aspirazione di ogni giocatrice: per poter migliorare al massimo bisogna sognare in grande. Ovviamente sapevo che avrei avuto un ruolo diverso rispetto all’anno scorso, ma è stato facile. Tante compagne sono in squadra da diversi anni, ho capito subito come inserirmi in campo. Sto lavorando sul mio tiro da tre, perché sia più consistente e sulle letture delle situazioni in campo, per non giocare completamente d’istinto, come mi succedeva a Vigarano”.

Hai appena vestito la maglia azzurra nelle due partite di qualificazione che la Nazionale ha giocato in vista di Eurobasket 2021. Cosa significa per te?

“È stato veramente sempre un sogno, già da quando ero piccola. Quando è arrivata la convocazione è stato un momento davvero molto emozionante. E lo è stato ancora di più per mia mamma che ha sempre condiviso con me questo sogno. I miei genitori mi seguono sempre: per fortuna giochiamo di sabato o di domenica sera, e nonostante la differenza del fuso orario si riescono a collegare in streaming. Queste ultime partite di qualificazione sono state anche molto divertenti da giocare, si vedeva che ci tenevamo molto a vincere: abbiamo espresso un bel gioco di squadra, senza nessun protagonismo, e con un gruppo così è davvero bello stare in campo”.

Con la Nazionale abbiamo espresso un bel gioco di squadra, senza nessun protagonismo, e con un gruppo così è davvero bello stare in campo.

Sei una grande appassionata anche di altri sport. C’è qualcosa che guardi in particolare?

“Sì, guardo un po’ di tutto, ma in particolare il football americano. Crescendo a Dallas è impossibile non tifare i Cowboys, franchigia di NFL. Sono la squadra più importante della città e di tutto il Texas e ogni domenica da piccola c’era l’appuntamento fisso con il football. Ancora adesso, nonostante la differenza di fuso orario lo renda un po’ complicato, quando posso cerco di continuare a seguirli”.

Nba o Eurolega?

“Entrambe. Quando sono in Europa ho l’abbonamento per seguire l’Nba, in diretta è impossibile, ma mi tengo sempre aggiornata. Anche l’Eurolega la guardo spesso, come pure l’Eurocup dove gioca la nostra squadra maschile. Non ho una preferenza, mi piacciono entrambe”.

Difficile pensare a Dallas senza arrivare a Luka Doncic per un appassionato di pallacanestro. Cosa gli ruberesti se potessi?

“Sicuramente il suo step back da 3 punti! Nessuno lo riesce a contenere!”.

La Reyer ha grandi ambizioni in campionato. Come si gestiscono le aspettative?

“È sempre una bella sfida trovarsi in una realtà che ha grandi aspettative dalla stagione. Sono stata fortunata in carriera, ho giocato al college con un gruppo che ha vinto, lo stesso vale per la mia esperienza in Germania. Non voglio dire che sono abituata a giocare per vincere, ma le esperienze passate mi aiutano. È difficile ma anche divertente, ogni volta superarsi per raggiungere un obiettivo più ambizioso”.

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