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CONSOLINI, LA PIÙ CHIARA
from PINK BASKET N.13
by Pink Basket
COVER STORY di Giulia Arturi
DALLE FINALI SCUDETTO AI 3X3 ESTIVI CON AMICHE STORICHE CHE RIESCE A COMMUOVERE CON I SUOI NUMERI: IL MONDO DI “SCONS” È PIENO DI APPREZZAMENTO UNANIME PER LA GIOCATRICE E LA PERSONA. RIVIVIAMO CON LEI LE TAPPE DI SCHIO, UMBERTIDE E RAGUSA. “MA CHE COLPO AVER PERSO LA NAZIONALE E POI RITROVARLA!”
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Riccione, luglio scorso, finali 3x3: le storiche amiche-compagne di Consolini si commuovono fino alle lacrime quando Chiara con un ultimo canestro prodigioso consegna loro una preziosa e inattesa vittoria. Non vale la finale scudetto quel “numero” ma umanamente è come un tesoro. Intanto sugli spalti fioriscono tanti ammirati “hai visto cos’ha fatto Scons!?”. È da questi piccoli particolari che si giudicano una giocatrice e una persona, rubando la mezza citazione a De Gregori: saper emozionare le compagne e affascinare il pubblico con una magia tecnica.
Un “no” istantaneo. Quando le chiederemo se si stacca mai dalla pallacanestro, la risposta sarà immancabilmente questa: secca, eloquente. Se bazzicate i campetti d’estate, non stupitevi di trovare Chiara giocare qualche torneo balneare. Due finali scudetto in due anni consecutivi significano stagioni lunghe, ma la pallacanestro non le basta mai. Non sorprendetevi inoltre quando non sentirete neanche una voce fuori dal coro di entusiasti: per tutti “Sconsi” è patrimonio nazionale. Come d’altra parte lo è il suo palleggio-arresto e tiro. Che sia una gara5 che vale il tricolore o un 3x3 con le amiche d’estate, stupisce.
Quella in corso è la tua quinta stagione a Ragusa. Sta diventando una seconda casa.
“E pensare che quando sono arrivata non avrei mai immaginato di rimanerci tutto questo tempo. Ma è stato inevitabile innamorarsi del posto: il calore della gente, i tifosi, la società con tutta la passione e la grande ambizione che ogni anno si rinnova. Insomma, è stato impossibile andare via. Sto vivendo un’esperienza stupenda anche fuori dal campo: quando parlo con i siciliani delle meraviglie della loro terra e delle loro tradizioni, è bellissimo vedere come gli si illuminino gli occhi. La squadra poi sente tanto il forte attaccamento dei tifosi: non solo per il supporto che mai ci fanno mancare al palazzetto, ma anche solo passeggiando per la città, spesso si incontra qualcuno che ti riconosce, ha una parola di incoraggiamento, ti chiede come vanno le cose. È qualcosa di positivo, che ti rimane dentro”.
Nelle ultime due stagioni avete raggiunto la finale scudetto, ma vi siete fermate lì. È un peso da levarsi o uno stimolo per fare meglio?
“Sono stati due finali di stagione abbastanza pesanti: siamo arrivate sempre a un centimetro, ma è mancato ancora qualcosa per riuscire a completare il lavoro e ottenere quel risultato che tutti qui stanno sognando. Queste due sconfitte, la prima in gara5 nel 2018 e la seconda in gara4 l’anno scorso, sono state diverse, ma dentro hanno lasciato entrambe una piccola crepa. Come si sistema? Al momento è ovviamente difficile da metabolizzare, ma ogni anno si ricomincia sempre con uno stimolo in più. Lo stimolo significa lavorare per riuscire a tornare lì e dimostrare che si è all’altezza di portare a casa il risultato”.
Tu personalmente come affronti questi momenti di difficoltà?
“Non è facile; per metabolizzare le sconfitte e trasformarle in energia positiva io semplicemente riparto lavorando. In queste due ultime estati mi sono chiusa in palestra e, con l’aiuto anche del mio fidanzato, mi sono messa a lavorare, lavorare e ancora lavorare per arrivare ancora più pronta al momento giusto”.
Se è vero che non si smette mai di migliorare, a questo punto della carriera cosa puoi aggiungere ancora al tuo bagaglio?
“Voglio migliorare nella reazione alle varie situazioni che una partita ti propone. Essere più preparata anche di testa all’errore: può capitare di sbagliare cinque tiri di fila, ma devo essere pronta a segnare il sesto. Accantonare l’errore e ripartire subito. Negli ultimi anni mi sento decisamente migliorata in questo e continuo a metterci concentrazione”.
Ti piacerebbe tornare a giocare le coppe?
“Mi piacerebbe tanto, sì. Qua a Ragusa per due anni abbiamo partecipato all’Eurocup. Nonostante le trasferte fossero molto pesanti e i viaggi faticosi da affrontare, l’emozione di quelle partite mi manca molto. Confrontarsi con squadre e realtà al di fuori dei confini italiani è un’esperienza che arricchisce ed è gratificante”.
Umbertide è stato un passaggio fondamentale nella tua carriera.
“Sicuramente. Lollo Serventi per me è stato molto importante: con lui ho costruito la fiducia in me stessa come giocatrice. Me ne ha data tanta, nel mio percorso di crescita è stato sicuramente un allenatore chiave”.
Nel 2011 sei tornata a Schio, nella società in cui hai esordito a 16 anni.
“Sì, è stato come tornare a casa. Purtroppo, ho dovuto fare i conti con l’infortunio al ginocchio che sicuramente mi ha rallentato. Entrambe le stagioni siamo arrivati a giocarci le Final Eight di Eurolega, abbiamo combattuto in finale il primo anno per lo scudetto contro Taranto, vincendolo poi l’anno seguente contro Lucca. È vero che non giocavo molto, ma sono riuscita a confrontarmi con delle realtà di alto livello, imparando molto”.
La tua carriera si è poi sviluppata lontano da Schio. Com’è stato allontanarsi di nuovo?
“Alla fine, andare via da Schio è stato importante per crescere ancora. Il pensiero era quello di tornare e non andarmene mai più, ma poi le cose sono andate in maniera diversa: non mi sentivo io al top, sono rientrata a Schio in un momento in cui forse per me sarebbe stato più giusto rimanere ancora fuori, giocare un po’ di più, trovare più scioltezza e consapevolezza in campo. L’esperienza è stata positiva: ho fatto comunque dei campionati di livello super, raggiungendo dei grandi obiettivi, ma mi mancava essere importante per una squadra, quella sensazione che solo tanto campo ti può dare”.
La compagna di squadra più forte che sinora hai incontrato?
“Difficile sceglierne una! Devo tornare al mio primo anno a Schio, 2004/05, e non posso che nominare la mia giocatrice preferita per eccellenza: Penny Taylor. Lei era una grandissima in campo e fuori, perché an dal punto di vista umano era veramente super. Quella stagione fu incredibile: erano appena arrivate Masciadri e Betta Moro e proprio con loro ho mosso i miei primi passi nel basket dei grandi e ho capito cosa avrei dovuto fare per diventare una giocatrice. Sono stati Esempi, sì, con la E maiuscola, di professionismo e di vita. Poi nella mia carriera ho avuto la fortuna di giocare con Zara e Ballardini a Umbertide, Rebekkah Brunson qua a Ragusa. Comunque, quei primi anni a Schio sono stati determinanti: c’era un gruppo di giocatrici che mi ha insegnato per davvero come vivere la pallacanestro in tutto e per tutto, dal modo di lavorare in palestra a come stare con le compagne”.
Capitolo Nazionale: sei tornata dopo due anni a vestire l’azzurro. Emozioni?
“Avrei preferito non tornare al posto di Martina (Crippa, ndr) a causa del suo infortunio. Ma dopo due anni fuori dal giro tornare anche solo per tre giorni è stato molto emozionante: a partire dalla chiamata di Marco Gatta, ricevuta il venerdì mattina, sino ai saluti in aeroporto il lunedì. Domenica, quando mi hanno dato la maglia azzurra per la partita, ho fatto il tragitto sino alla mia stanza rigirandomela tra le mani quasi incredula. In questi momenti la mente ti porta con sé in dei viaggi incredibili, sono riaffiorati tanti ricordi. Sono tornata diciasettenne al mio primo raduno con la Nazionale under 20, quando Gianni Lambruschi a Pesaro mi diede il soprannome Johnny Stecchino, a causa del mio fisico esile. E poi la prima partita con l’under 18 a Pescara, con Nani come allenatore; e poi ancora l’esordio a Cavalese con Ticchi con la Nazionale maggiore. Quel tragitto dal locale della consegna della divisa alla mia stanza è stato un tuffo nei ricordi in azzurro: erano pochi passi, ma nella mia testa ho rivissuto una galleria di momenti indimenticabili”.
Ti sei chiesta come mai per due anni non sei stata convocata in Nazionale? Come hai vissuto l’esclusione?
“La prima esclusione è avvenuta dopo la finale scudetto e ho scoperto leggendo le convocazioni di non essere stata inserita nelle 18 neanche come riserva a casa. Sinceramente devo dire che è stato un colpo tremendo: andare in Nazionale è sempre stato il mio sogno più grande e l’esclusione è stata pesante, anche perché veniva dopo la finale scudetto persa. È stata un’estate difficile insomma, due colpi duri. Ma sportivamente non c’è niente altro da fare che mettersi di impegno e cercare di riconquistare un posto il prima possibile, ed è quello che ho fatto. Le convocazioni erano appena uscite e già sentivo quanto mi mancava non andarci. Per questo, tornare in Nazionale rimane per me uno dei principali obiettivi personali”.
Vedi la pallacanestro anche nel futuro quando non sarai più una giocatrice?
“Sì, non come allenatrice, in quel ruolo non mi ci vedo, ma mi piacerebbe partecipare alla vita di una società da dirigente, team manager. Non so esattamente quale sarà la mia strada, ma è qualcosa che mi ispira molto”.
Cosa non può mancare nelle tue giornate?
“La verità è che anche nelle giornate libere il basket non è mai del tutto assente. Mi piace molto anche guardarlo, Eurolega in particolare, sia maschile che femminile. Quando ho un po’ di tempo libero mi godo qualche partita: sto seguendo Milano, stanno facendo bene e io ho un debole per Nedovic! (risata). In una delle rare giornate senza allenamento mi ritaglio sempre un po’ di tempo per me: mi piace uscire, andare al bar a fare colazione con calma a bermi il mio cappuccino; e qua come detto è un’esperienza: si interagisce con la città, con la gente. Poi ho la grande fortuna di avere il mare a meno di mezz’ora da casa e, quando c’è tempo, una passeggiata rilassante in spiaggia non me la toglie nessuno”.