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IL FONDO DEI DIRITTI
from PINK BASKET N.13
by Pink Basket
FOCUS di Caterina Caparello
IL FONDO DEI DIRITTI
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È STATO APPROVATO IL FONDO MATERNITÀ PER LE ATLETE.UN FONDO ATTESO DA ANNI, TROPPI ANNI, CON CUI FINALMENTE SI INIZIA A DARE DIGNITÀ ALLE DONNE CHE PRATICANO UN VERO E PROPRIO LAVORO, LO SPORT
“Ogni volta che una donna lotta per se stessa, lotta per tutte le donne” diceva la grande poetessa Maya Angelou. E così è stato. Il 23 ottobre 2019 il Governo ha finalmente dato vita al Fondo maternità per le atlete. Per questa nuova manovra, finanziata dall’Ufficio per lo sport, è stato messo a disposizione un fondo di 1 milione di euro per sostenere la maternità delle atlete: 1000 euro al mese per 10 mesi. Parliamo di sport femminile, parliamo di donne dello sport ad alti livelli che ogni giorno praticano con passione e dedizione il loro lavoro. Perché di lavoro si parla. Il fondo maternità è il risultato di anni di battaglie per i diritti delle atlete le quali, da sempre, si sentono messe da parte e non considerate da una società che le dovrebbe invece tutelare. Prima della manovra alle atlete, se rimanevano incinte, non era garantito nessun sussidio da parte della società sportiva per cui lavoravano. Rimanevano semplicemente a casa, senza stipendio, per poi, passati i mesi di gravidanza, riprendere l’attività tornando in palestra, come se nulla fosse successo.
L’associazione Assist, dal 2000, si occupa di tutelare le atlete di tutte le discipline agonistiche e ha saputo diventare un baluardo dei diritti. Proprio Assist, nella persona della sua presidentessa, Luisa Rizzitelli, ha portato avanti la lotta per il fondo maternità.
"Ci sono ancora tante battaglie da combattere, ma questa è importante due volte perché, intanto, dà completezza e, secondariamente, abbiamo ottenuto qualcosa di concreto proprio perché di fatto viene riconosciuto il lavoro” afferma Rizzitelli.
Cos’è il fondo e come si richiede?
Il fondo maternità è un fondo messo a disposizione dallo Stato, con il quale le atlete possono disporre per 10 mesi di contributo pari a 1000 euro. Possono disporne facendo una domanda all’Ufficio sport, attraverso il sito ufficiale dell’ufficio sport della Presidenza del Consiglio, compilare una domanda alla quale allegare i documenti che dimostrino che sono atlete, professioniste di fatto e che quello che fanno rappresenta il loro reddito prevalente. Per cui, manderanno la copia del contratto, i documenti, il loro tesseramento, in tutto questo l’ufficio sport le accompagna nell’invio dei materiali, ne farà la valutazione e poi assegnerà il contributo.
È previsto un aumento del fondo?
Si, il capo di Gabinetto Salzano, con cui abbiamo fatto la conferenza stampa di presentazione, aveva annunciato l’intenzione del Governo di aumentare il fondo, può essere che sarà più cospicuo. Per ora sembra che il milione di euro riesca a coprire il fabbisogno delle richieste arrivate. Al momento hanno fatto richiesta già una ventina di atlete, ma con la campagna curata da Assist con Eleonora Lo Bianco, testimonial, credo che molte più atlete sapranno di questa opportunità e potranno attingervi.
Assist è capofila di questa battaglia dal 2000.
Si, siamo sempre stati convinti che questa fosse una delle cose inaccettabili che andavano superate. Abbiamo sostenuto questa battaglia dal 2000 denunciando le clausole anti maternità, che io stessa ho firmato da ex atleta, pallavolista: clausole inserite e che si trovavano nelle scritture private, nei propriamente detti “contratti”, perché non si parla di contratti visto che siamo considerate “dilettanti”; se eri incinta andavi a casa senza nessun diritto. Questa cosa il mondo sportivo, e io stessa quando ero atleta, non la percepivamo come anticostituzionale, personalmente mi sembrava quasi normale. Mi è servito studiare, conoscere altre donne che combattevano per i soldi che il calcio muoveva. Oggi abbiamo una realtà completamente differente, oggi abbiamo migliaia di atleti e atlete che vivono di sport e questa legge deve saper dare loro diritti e doveri, in particolare le tutele che sono veramente elementari. Non esiste infatti una lista delle professioniste perché non esistono le professioniste. Giuridicamente in Italia nessun’atleta può definirsi tale; il punto è che, se nessuna disciplina sportiva è stata ammessa all’utilizzo della legge 91, sono tutte atlete dilettanti dalla più forte alla meno forte e questa assurdità coinvolge anche gli uomini, perché ci sono tantissime discipline maschili che sono nelle stesse condizioni (ad esempio, pallavolo A1, rugby ecc), ovvero discipline non professionistiche con atleti che vivono di quello per anni. Questa grande bugia dello sport italiano è ora che venga risolta una volta per tutte.
Ipocrisia e paradossi dato che le atlete partecipano anche a manifestazioni nazionali e internazionali importantissime.
Ipocrisia che non è casuale e che regge ancora, perché mantiene un impianto, a mio parere, da un lato di poca trasparenza, e questo non ci fa onore, dall’altro mantiene la tranquillità delle società sportive di poter sostenere dei costi. È vero, perché sono stata anche manager sportiva e lo sono ancora quando capita, che le società farebbero una gran fatica a sopportare immediatamente un costo che aumenta da quello di uno sportivo dilettante a quello di un lavoratore parasubordinato, ma proprio per questo i diritti, per capire che questo era uno scempio ed una cosa vergognosa. Assist ha avuto il coraggio di denunciare questa pratica e di avere avuto al suo fianco poche ma grandissime atlete, con questo abbiamo iniziato la nostra battaglia senza mai mollare un secondo.
Prossima sfida: la modifica della Legge 91/1981, dove le donne non sono considerate professioniste ma praticanti “per diletto”.
La cosa che si sta facendo è di combattere per una riforma. L’ultima legge nella quale c’era la grande riforma di sport e salute, operata dal Governo Lega-5stelle, parlava proprio di riformare la legge 91 e della necessità che venisse corretta, che non ci fossero discriminazioni di sorta; però servono i decreti attuativi: la legge è stata emanata ma senza i decreti attuativi è ferma, per cui quello che serve oggi sulla legge 91 è di salvare quello che ha di buono ma rinnovarla completamente. Infatti ormai non corrisponde più alla realtà dei fatti, è una legge vecchia di 40 anni fa studiata per il calcio e per questo serve un aiuto dello Stato, serve un periodo di transizione, un fondo e un aiuto per arrivare a questa regolarizzazione. Però i diritti elementari, le tutele che sono sancite dalla Costituzione non possono essere assoggettate a quanto un datore di lavoro è capace economicamente, o a quanto può gestire finanziariamente un rapporto di lavoro, se le tutele sono basilari devono esserci. Non vedo come mai, solo perché atlete, non debbano avere i diritti di qualsiasi altro lavoratore.
Le prossime battaglie da vincere?
La prima, la madre di tutte le battaglie, è la riforma della Legge 91, affinché non sia più possibile che non ci sia sancito nella nostra legge l’impossibilità di creare discriminazioni, questo è quello che vogliamo e che continuiamo a chiedere a gran voce.
Speriamo di poter fare presto un lavoro riguardante il sessismo nello sport, le molestie nello sport, riguardante tutto quel mondo degli stereotipi che ancora ci ingabbia e che ci costringe a dover spiegare come sia ridicolo pensare che una calciatrice, nell’immaginario di certa gente magari che va anche in tv a parlare, sia incompetente o lesbica, come se essere lesbica fosse un’offesa. A tal proposito, il 7 dicembre faremo un grande evento con il Comune di Bologna, per sensibilizzare e per avere sempre più persone al nostro fianco, da giornalisti ad appassionati e amanti dello sport, sia uomini che donne.
Cosa non viene ancora riconosciuto alle atlete?
Le stesse opportunità che si riconoscono agli uomini. Questo accade semplicemente nell’ambito dell’attività motoria. A mio parere, basta approfondire e vedere come nelle scuole ancora si parla di sport da maschi e sport da femmine; ancora troppo spesso, nell’ora di motoria, i ragazzi giocano a calcio o a qualunque sport e alle ragazze viene lasciato il piacere, se così si può definire ma che in realtà non lo è, di star sedute e rinunciare a fare attività. C’è un mondo e una cultura che ancora non ha messo sullo stesso piano, secondo me, uomini e donne sin da quando sono ragazzini. Sappiamo che c’è una grande percentuale di atlete che lascia molto presto l’attività e questo ci deve interrogare, perché? Abbiamo un montepremi diverso, investimenti delle federazioni diversi tra lo sport maschile e femminile, per non parlare della rappresentanza nei luoghi apicali dello sport italiano che è risibile, infatti non arriviamo al 10%, quando ci va bene al 15 ma non di più, nei consigli federali nei comparti regionali di federazioni e Coni. Se in 70 anni non abbiamo mai avuto una presidentessa del Coni donna, una presidentessa di federazione sportiva nazionale vuol dire che qualche problema c’è.
Discriminazione e disparità, come fermare tutto questo?
In due modi: indignandoci, facendo sentire la nostra voce, e costruendo. Una strada è più rivendicativa e porta alla denuncia e al coraggio di dire quali cosa non vanno, l’altra è offrire soluzioni attraverso l’intelligenza di sedersi al tavolo con chi lo sport lo governa, e con la politica che non deve lavarsi le mani di quello che ha, e costruire insieme le soluzioni. Questa è la chiave e noi ci muoviamo per passione e con grande libertà, Assist non ha mai avuto padroni, ecco perché siamo libere e liberi, i nostri volontari e le nostre volontarie sono rispettati ovunque, perché per noi l’unica legge è quella della giustizia e dello star bene tra uomini e donne, quando c’è parità e rispetto.
Testimonial ufficiale della battaglia per il fondo maternità è l’ex pallavolista, e capitana azzurra, Eleonora Lo Bianco, da poco mamma
Credo che la maternità sia un miracolo per ogni donna. Essere atlete non vuol dire dover rinunciare ad essere madre. Si possono avere figli e poi tornare a fare sport ad altissimi livelli, così come hanno dimostrato molte campionesse. Il fondo per la maternità è un primo importante passo, un sostegno fondamentale per vivere con gioia e serenità questo bellissimo momento. Sono molto onorata di essere stata testimonial di questa campagna perché, se da una parte ho rappresentato con orgoglio il mio paese nel mondo per molti anni, dall’altra ho anche vissuto la mancanza di rispetto e tutela in fatto di maternità.
Ma ci sono molte altre battaglie da vincere per le atlete. Tra le più importanti: l’essere finalmente riconosciute come professioniste e non come dilettanti, con tutte le garanzie previste a livello di sanità, contratti e previdenza.
Tra le fila del basket, anche Benedetta Bagnara, giocatrice del Ponzano e nuovamente in dolce attesa, ha fermamente creduto nel fondo maternità
Ho già ottenuto tutto, la Giba (l’associazione dei giocatori italiani di basket, ndr) è stata preziosa perché mi ha aiutata molto indirizzandomi bene e velocemente, infatti la Fip ha accettato subito la mia richiesta e sono riuscita ad ottenere il sussidio.
Prima del fondo, come hai fatto con il primo figlio?
Nulla, sono rimasta senza niente. Praticamente ero rimasta incinta a maggio e nell’ultima partita ero già di un mese, non me n’ero accorta. Il mio contratto era scaduto a giugno e quindi nulla.
Cos’è quindi per te il fondo e perché è giusto?
Mi dà valore come giocatrice e soprattutto come donna: rimanere incinta, avere un contratto che si straccia vuol dire non essere valorizzata, è una cosa che ti discrimina. Quando feci il corso preparto, con tutte le altre ragazze lavoratrici, tutte prendevano qualcosa dal lavoro, io invece ero l’unica che non aveva nulla. Mi facevano mille domande: “ma perché?”, mi sentivo diversa. La mia sensazione non è stata quella della nullafacente, anzi, il basket è il mio lavoro passionale, è la mia vita da 15-18 anni, in cui ho sempre messo il cuore; ma visto dall’esterno qualcuno può dire “Tanto fa sport, cosa vuoi che faccia”. Ecco, in quel caso mi sono sentita un po’ discriminata, ma non do colpe a nessuno, io stessa ero consapevole da anni di questa condizione, quindi ero comunque tranquilla, però un po’ sentivo diversa. Dopo la gravidanza ho deciso di ricominciare a giocare, ho fatto 2 partite, 3 con tornei annessi ed è capitato di rimanere nuovamente incinta. Così il mio agente e Marzoli (presidente Giba) mi hanno informata del fondo e ho pensato di provarci. La Fip è stata disponibile, ma soprattutto la Giba che mi è stata dietro ogni giorno senza mai mollarmi e lì io mi sono sentita protetta.
Cosa serve alle atlete?
Di essere giuridicamente professioniste, di garantire le necessità primarie. Perché no? Perché la pallacanestro no? Noi davvero spendiamo, ogni giorno tra allenamenti, partite, impegni, rischiamo anche nel fisico, ed è fatica, perché è un vero e proprio lavoro. Spero che molte cose cambino, so che per il fondo maternità ci sono voluti anni e sinceramente spero che si impeghi di meno per renderci giuridicamente professioniste. Spero ci sia un interesse maggiore e un valore maggiore. Il fondo maternità è quindi sinonimo di dignità, è considerazione delle donne e sostegno in ciò che fanno e come lo fanno, è un diritto inalienabile. Ma non è finita, altre lotte ci attendono e le vinceremo, più unite che mai.