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BATTISODO SENZA FINE
from PINK BASKET N.25
by Pink Basket
Cover Story di Giulia Arturi
QUINDICI STAGIONI IN A1 ALLE SPALLE, IN TESTA E NELLE MANI IL MANUALE DEL PLAY: LA REGISTA DELLA VIRTUS BOLOGNA HA UNA CARRIERA STRAORDINARIA, CON FERMATE DA SCUDETTO A LUCCA E SCHIO. LA RIPERCORRIAMO PARTENDO DALLE GIORNATE INTERE PASSATE A GIOCARE A PIEDI NUDI SUI CAMPETTI DELLA SPIAGGIA DELLA SUA PESARO
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Il ruolo di playmaker è questione di equilibrio. Tra la squadra, l’allenatore, se stessi. Tra tirare, passare, gestire. Bisogna sapere chi sta segnando, chi deve entrare in ritmo, dove sono i vantaggi, quanto tempo manca, se è il momento di correre o quello di rallentare. Il manuale è corposo. Sembra che per centrarle tutte si debba abitare in un perenne stato di grazia, ma alla fine è tutta questione di consapevolezza. Il playmaker deve sentire dentro anche la responsabilità della squadra e contemporaneamente gestire se stessa come un quinto della squadra, quindi quasi sdoppiarsi. Le sfumature sono degne di un paesaggio impressionista: migliaia di pennellate si fondono in un colpo d’occhio di perfetta armonia.
Valeria Battisodo potrebbe teorizzare tutto questo anche dormendo: con il senso del gioco e della guida della squadra, ci è nata. Nella sua carriera ha avuto anche tante occasioni di “studiare” con delle grandi interpreti del ruolo, senza mai restarne nell’ombra, più spesso camminandoci a fianco. Avere occasioni di rubare qualche segreto ai saggi è sempre una fortuna. La buona sorte però ha poco a che fare quando si parla di una carriera che conta 15 stagioni di A1: Parma, Faenza, Umbertide, due scudetti a Schio e uno a Lucca, due anni di Eurolega e ora saldamente alla guida della Virtus Bologna. Alcune pennellate poi illuminano più delle altre: nello specifico andatevi a cercare il passaggio bowling da un canestro all’altro per lanciare la compagna in contropiede nella partita contro Lucca. Questo nel manuale lo trovate alla voce “colpi di genio”.
Tu sei di Pesaro, una delle capitali italiane del basket. Che cosa ti lega alla tua città e alla pallacanestro pesarese? Come sono stati i tuoi esordi?
“Ho iniziato da piccola a giocare al mare, nei campetti di fianco alla spiaggia con gli amici, a piedi scalzi. Si andava avanti fino a che non veniva buio alle nove e non arrivava qualche urlo dei genitori per cercare di riportarci a casa, era bellissimo. Passavo l’estate così e non ho più smesso. Pesaro è una città dove si respira basket, è difficile non essere coinvolti dalla passione. Poi a casa c’era mio papà che giocava e andare a vedere con i miei genitori le partite della “Scavo” era un appuntamento fisso. Poi sono approdata all’Olimpia Pesaro ed è iniziato il mio percorso”.
Il riepilogo della tua carriera ormai prende una schermata intera di video, ma nel grande basket hai esordito a Parma. Come sono state quelle prime tre stagioni?
“Mi sono trasferita a Parma l’anno della quarta superiore. Ho fatto lì gli ultimi anni di giovanili ma già ero in prima squadra appena arrivata. È stato difficile, io venivo dalla B regionale, non ho mai fatto neanche una stagione di A2 per esempio, il salto è stato grande. Mi divertivo: avevo il gruppo delle giovanili, ci allenavamo con la prima squadra e ho avuto comunque spazio e fiducia da parte di coach Scanzani. Giocavo a fianco di Monica Bello, e tante giocatrici di spessore con cui ho iniziato a crescere per davvero, e avevo già tante responsabilità in campo”.
Poi il passaggio a Umbertide, alla corte di quel Lollo Serventi che hai ritrovato quest’anno alla Virtus Bologna.
“Sì, una stagione di grande lavoro e di miglioramento grazie agli allenamenti individuali. Avevo vent’anni, ho fatto dei gran gradoni, su e giù nel palazzetto di Umbertide (risata). Mi sono fatta una bella corazza dal punto di vista mentale e l’anno seguente sono andata a Faenza”.
In Romagna ti trovi a giocare con Adriana, playmaker brasiliana, tra le più forti che il nostro campionato abbia mai visto.
“Esatto. Era un motorino instancabile. Mi ricordo gli allenamenti con Paolo Rossi, dei grandi uno contro uno in continuità: se la difesa subiva canestro cambiava l’attacco e si andava avanti. Diciamo che con Adriana, Modica, Alexander in squadra qualche giro in difesa in più me lo sono fatto (risata). Sono contenta di tutto quello che ho vissuto, sono cresciuta tantissimo grazie a queste sfide. Ripensandoci adesso è stato sia difficile che bello. Tutt’ora non mi spiego come facesse Adriana: non solo era una delle più forti del campionato, ma non mancava mai un’uscita post allenamento. E poi sempre fresca e decisiva come se nulla fosse!”.

Dopo Faenza il ritorno a Parma, stavolta da “grande” e per quattro stagioni: che cosa ricordi di quella cavalcata?
“Sono tornata a Parma e ho avuto spazio e responsabilità, ho messo in pratica tutto quello che avevo imparato. Per due stagioni ho giocato anche con Francesca Zara, ero ammirata dal suo modo di passare la palla in tutte le situazioni e da come vedeva il gioco. In più aveva un grandissimo carisma, una leader sia in campo che fuori, ma comunque una persona umilissima. Ho cercato di prendere tutto il buono che potevo. Lei poi aveva avuto già moltissime esperienze ovunque, dalla Wnba alla Russia, era veramente al top. La stagione con Harmon, Sonja Kireta, “Fra” Zara e coach Procaccini è stata forse la migliore della mia carriera, un campionato davvero indimenticabile. Mi ricordo ancora la vittoria in campionato contro Schio”.
Hai giocato in tante grandi squadre. Più le ambizioni sono alte, più la squadra è attrezzata e hai spesso condiviso il ruolo con grandi giocatrici.
“Sì, ho giocato con gente anche più forte di me, non è mai stato un peso, anzi, ho imparato a dare il mio contributo in qualsiasi situazione, che fosse entrando dalla panchina o in quintetto. Tutte esperienze che mi hanno dato la tranquillità di esser sempre pronta a prendermi responsabilità. Quando ti alleni con gente forte è sempre un momento di miglioramento. A Lucca con Francesca Dotto, per esempio, mi sono trovata a mio agio: eravamo complementari. Lei veloce, attaccante, istintiva. Io un po’ più ragionatrice, da gioco schierato che da transizione. Quindi molto diverse, ma ci siamo trovate benissimo insieme, anche fuori avevamo un bellissimo rapporto di amicizia e questo in campo ci è servito. C’era la rivalità giusta, quella che deve esserci in un gruppo, abbiamo appreso una dall’altra e poi abbiamo anche vinto”.
A proposito di Lucca. Quello scudetto è la soddisfazione più grande?
“Sì, è stato un momento veramente emozionante. Eravamo un gruppo unico anche per merito dell’allenatore Diamanti. Stavamo bene insieme anche fuori e questo in campo si sentiva: eravamo sempre unite e pronte a reagire di fronte a qualsiasi difficoltà. E lo ha dimostrato il modo con cui abbiamo vinto la finale contro Schio: era scritto, perché quel rimbalzo e canestro di Wojta ha dell’incredibile. E poi c’era il palazzetto strapieno, abbiamo festeggiato per una settimana in centro a Lucca con i ristoranti che ci davano da mangiare gratis!”.
Di partite tese e importanti ne hai giocate molte, ma come le affronti? Visto anche il tuo ruolo di responsabilità che non prevede passaggi a vuoto.
“Mi trovo a mio agio: giocare play richiede delle grandi responsabilità, ma quando riesci a reggerle le soddisfazioni sono altrettanto grandi. Ovviamente ogni volta è un banco di prova, ma quando riesci a guidare la squadra nelle scelte giuste per una vittoria, quello del play è il ruolo più bello. Mi è capitato di giocare minuti da guardia, ma se dovessi scegliere rinascerei tutta la vita playmaker!”.
Dopo Lucca sei tornata a Schio, dove avevi già giocato una stagione, com’è nata quella scelta?
“Mi aveva cercato proprio coach Vincent: sapevo che avrei avuto delle grandi responsabilità, sia in campionato che in Eurolega e volevo fare bene a tutti i costi, perché il coach si aspettava parecchio da me, quindi un po’ di pressione la sentivo. Ma mi ha aiutato molto, e penso sia stato il più bravo allenatore che abbia mai avuto: preparato, calmo, molto chiaro in quello che voleva da me. Mi ha fatto migliorare nelle cose in cui pensavo di non averne più bisogno. Anche il suo modo assolutamente professionale di relazionarsi con le giocatrici, come se fossero ‘colleghe’, mi ha colpito. È un allenatore molto intelligente, ogni esercizio ha uno scopo preciso: un’attenzione a tutti i dettagli che poi alla fine fa la differenza. Le due stagioni a Schio sono state una grande avventura, soprattutto l’Eurolega: un’esperienza che auguro a tutti”.
In cosa ti ha fatto fare un altro salto di qualità coach Vincent?
“Sul ritmo, sulla gestione della squadra, su cosa scegliere in ogni momento della partita. Certo, ci pensavo anche prima, ma sono andata oltre. Lui vuole dal playmaker un contributo preciso: selezione dei tiri, comprensione di quando si deve attaccare e quando no. È un approccio molto tattico e quindi in questo senso mi ha aiutato moltissimo”.
Hai avuto molti allenatori con approcci totalmente differenti. Sei sempre riuscita ad interagire nel modo giusto con ognuno di loro?
“Sì, per esempio Diamanti a Lucca era tutto difesa, un’ossessione! Ho avuto i miei momenti difficili, ma crescendo sono riuscita a trovare la chiave per rapportarmi con tutti. Ho sempre cercato di trarre il buono da ogni allenatore: bisogna imparare ad adattarsi al meglio ad ogni situazione in qualsiasi posto ti trovi, e vale sia per il basket sia per un luogo di lavoro”.

La compagna di squadra che più ti ha impressionato?
“Allie Quigley: aveva una facilità di tiro impressionante, anche quando era raddoppiata trovava sempre il giusto equilibrio. Faceva sempre canestro, era veramente il top. Abbiamo fatto una cena con la società alla fine della stagione per salutarla ed io e Dotto abbiamo scritto su un lenzuolo ‘Stay’ e glielo abbiamo lasciato di notte davanti a casa sul marciapiede! (risata). D’altra parte, lei ci toglieva sempre le castagne dal fuoco: un sogno per qualsiasi playmaker! Un talento indiscutibile”.
Hai mai pensato al dopo?
“Sono laureata in Scienze Motorie e sto facendo la magistrale, ma il mio sogno è quello di fare Fisioterapia. Ma a giocare mi diverto ancora parecchio”.
Il tuo rapporto con la Nazionale? Hai fatto molti europei giovanili e qualcosa di meno con la senior. Ti è mancato quest’ultimo passaggio?
“Con la Nazionale ho un rapporto molto strano. Ho fatto tutte le giovanili, anche con impegni doppi durante le estati con under 18 e 20, poi sono stata chiamata presto sia da Lambruschi che da Ticchi in quella senior: tanti raduni senza però mai partecipare a competizioni ufficiali. L’anno in cui, secondo il mio parere, dopo una bella stagione a Parma, avrei dovuto essere in Nazionale non fui convocata da Ricchini e da quella volta sono stata praticamente tagliata fuori, nonostante penso che un posto in quel momento me lo sarei veramente meritata. Ho fatto poi ancora qualche raduno, ma non sono mai riuscita ad essere presente a nessuna competizione ufficiale e mi è dispiaciuto molto, è l’unico rimpianto che ho”.
Ora Bologna, una città dove si respira basket come nella tua Pesaro.
“Sono contenta di essere in questa squadra. È un società dove si sta davvero molto bene, Bologna è una bellissima città, il gruppo è super: le italiane mi hanno fatto sentire da subito a casa e anche le straniere sono bravissime. Sono venuta alla Virtus con l’idea di portare tutto quello che ho imparato in questi anni e spero di esserci riuscita e di continuare a farlo, sono soddisfatta di come sono andate sinora le cose e dobbiamo dimostrare che quanto fatto non è stato un caso. Purtroppo la situazione Covid non mi permette di vivere al massimo la città, di vedere allenamenti e partite della Virtus maschile come vorrei, ma vale la pena di prendere sempre il buono delle situazioni”.