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ROSA IN PANCHINA

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LA LOTTA E' TOTALE

LA LOTTA E' TOTALE

FOCUS di Alice Pedrazzi e Massimo Mattacheo

IN SERIE A1 E A2 CRESCE IL NUMERO DI ALLENATRICI. MOLTE DI LORO, CON UNA ESPERIENZA PREGRESSA IN CAMPO, DA GIOCATRICI DI ALTO LIVELLO. TUTTO, NEL SEGNO DELLA PASSIONE PER LA PALLACANESTRO, CHE LE ACCOMPAGNA DA SEMPRE E PER SEMPRE.

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Rosa in testa. O meglio in panca. Se ne vede ancora troppo poco, eppur qualcosa si muove. O forse si tinge, soprattutto nella serie cadetta del nostro basket femminile. In serie A2, infatti, cominciano a vedersi sempre più panchine affidate alla gestione di allenatrici che vestono i panni da head-coach con una competenza tecnica, e non solo, di assoluta qualità. Avremmo voglia di non scriverli più, questi pezzi, che raccontano di come le donne, debbano faticosamente e a colpi di bravura e risultati, ritagliarsi ancora a fatica tutti gli spazi che in realtà meritano. Ancor più quando si parla di discipline femminili. Avremmo voglia di non scriverli più, perché solo quando non saranno più necessari, al pari delle “quote rosa” nei cda delle aziende o in politica, vorrà dire che davvero la questione di genere sarà superata e che avremo una parità raggiunta, con scelte fatte non per equilibrare a tavolino una presenza di uomini e donne, ma solo ed esclusivamente sulla base delle competenze. Sulle competenze tecnico-tattiche e motivazionali sono basate le scelte delle società che hanno deciso di affidare le loro squadre alle sapienti (è il caso di dirlo) mani delle allenatrici.

Così, dopo il caso globale di Becky Hammon, diventata la prima donna a guidare da head-coach una partita NBA, quando nella gara contro i Los Angeles Lakers ha preso in mano i suoi San Antonio Spurs, sostituendo coach Popovich, espulso, e quello nazionale di Cinzia Zanotti, unica donna ad essere capo-allenatrice di una squadra di A1 (femminile) ed in attesa (speriamo non lunga) che una delle tante (bravissime e preparate) allenatrici nostrane, possa essere messa nelle condizioni di mostrare tutto il proprio valore anche in una squadra professionista maschile, proviamo ad accontentarci nel veder crescere il numero delle capo-allenatrici donne nella nostra serie cadetta. Ma sempre tenendo a mente le parole di Ligabue…”Chi si accontenta, gode. Così così…”, augurandoci, dunque, che questo sia solo l’inizio di un trend che porti al definitivo riconoscimento delle competenze che molte donne allenatrici mostrano, al pari – se non di più – dei colleghi maschi. Possiamo dirlo? E diciamolo… Anche, e forse soprattutto, in termini di comprensione della complessità della gestione dei rapporti di spogliatoio.

Francesca Zara, Monica Stazzonelli, Mara Buzzanca, Anna Zimerle. Rispettivamente: Castelnuovo Scrivia, Albino, Patti e Sarcedo. Sono loro le head-coach del campionato di serie A2 nostrano, divise tra il girone nord (Zara, Stazzonelli e Zimerle) e quello sud (Buzzanca). Minimo comun denominatore? Ex giocatrici di alto livello. Tutte. Come pure, diciamolo, le già citate Zanotti e Hammon. Anche questo qualcosa dovrà pur significare e, soprattutto, probabilmente meriterebbe più di una riflessione.

Francesca Zara, che di esperienza come assistant ne vanta già parecchia, al suo prima anno da head-coach ha centrato la prima storica qualificazione alla Coppa Italia per Castelnuovo Scrivia ed ha portato la sua profonda competenza tecnica al servizio di un club che ha voglia di crescere, puntando su una allenatrice dal pedigree indiscusso per raggiungere risultati importanti. “Da capo allenatrice hai molte più responsabilità che da vice, sei la responsabile dell’area sportiva della squadra, ti confronti con lo staff e prendi le decisioni, organizzando il piano di allenamenti e di crescita nel corso della stagione. E soprattutto, puoi esprimere e sviluppare la tua idea di pallacanestro. Che nel mio caso richiede tempo per potere essere messa pienamente in pratica”.

La prima storica qualificazione alla Final Eight di Coppa Italia – racconta Zara - “è un traguardo molto importante per la società. Per me, l’obiettivo rimangono i playoff, perché credo che possiamo competere alla pari con tutte le altre squadre del nostro girone”. A Brescia, teatro della tre giorni di Coppa, le “Giraffe” affronteranno San Giovanni Valdarno nei quarti di finale. In campionato, gli scalpi contro Crema e Moncalieri, e le sconfitte in volata contro Vicenza e Udine nel girone di andata, chiuso al quarto posto (nove vittorie in tredici incontri) confermano la tesi espressa dall’allenatrice, che riconosce che uno dei punti di forza della sua squadra sia che lo zoccolo”gioca insieme da diversi anni, in cui Fabio Pozzi è stato il capo allenatore: a lui e alla società vanno i meriti per la crescita avuta stagione dopo stagione”. Da grande ex playmaker, Zara ha le idee chiare su come le giocatrici che allena debbano interpretare il ruolo: ”Da loro mi aspetto personalità e leadership in campo, voglio che leggano le partite e ne capiscano i momenti. Devono essere libere di potere esprimere il proprio talento e guidare la squadra nel modo più opportuno”.

Anna Zimerle, che con Franci Zara ha giocato in nazionale (giovanile e non solo) e ha vinto la medaglia d’argento ai Giochi del Mediterraneo di Tunisi del 2001, ha raccontato di come passare dal campo alla panca sia stato, per lei, un fatto del tutto naturale: “Quando ho smesso di giocare – ha detto Zimerle - mi hanno chiesto di iniziare ad allenare i bimbi… per me un mondo sconosciuto, ma ho accettato con entusiasmo ed ho iniziato a formarmi così, lavorando e studiando, perché l’approccio non è semplice né scontato”. Voglia di imparare e di migliorarsi, attenzione ai dettagli e cura di quel che si fa, ogni giorno. Così Anna Zimerle, dai bambini del minibasket è arrivata, in fretta, alla serie A2 di Sarcedo, non rinnegando mai la sua anima da giocatrice e riconoscendo che “è più difficile allenare – ammette – senza dubbio! Ma anche più stimolante, forse. Perché devi cambiare setting mentale, devi approcciarti alle cose in modo differente. La dimensione da giocatrice è quella in cui sono cresciuta, possiamo dire che fosse la mia dimensione naturale, quella in cui meglio mi riconoscevo e mi sapevo esprimere anche come persona. Ora allenando, la prospettiva cambia e sto crescendo molto anche a livello personale”.

Il passaggio da giocatrice ad allenatrice, dal legno del campo al legno della panca, che per molti profani potrebbe essere scontato ma che richiede un grande lavoro, sia di studio, che di crescita personale, è al centro delle riflessioni anche di Mara Buzzanca, siciliana doc, sulla panchina della sua Patti: “Credo che una atleta – dice Buzzanca – possa diventare allenatrice solo quando nella sua testa è convinta di togliersi davvero la canotta di dosso, per abbracciare, in modo consapevole, un nuovo ruolo”. Un passaggio che prima – e più – che formale, deve essere dunque sostanziale, interiore: abbandonare (ma non dimenticare) la testa ed i riflessi mentali della giocatrice, per accogliere quelli di chi deve gestire. Quelli di chi ha la responsabilità delle scelte collettive, mentre il giocatore è responsabile solo di quelle individuali. Ecco, una delle differenze è proprio questa: assumersi la responsabilità, tecnica ed emotiva, del gruppo squadra e delle prestazioni di tutti, non solo delle proprie.

Una gran bella differenza. Una differenza che Buzzanca riconosce anche in molte altre sue colleghe: “Ho conosciuto tante allenatrici – racconta -. Credo che Cinzia Zanotti e Monica Stazzonelli siano due ottime coach. E Francesca Zara, con cui ho fatto il corso a Bormio due anni fa, ama come me, in modo viscerale questo sport. Anche io sono così: la pallacanestro è l’amore della mia vita. Il pallone è sempre stato tra le mie mani. Anche per questo sono contenta di vedere sempre più colleghe assumere ruoli di responsabilità in panchina: ci meritiamo sempre più spazio, in tutti i settori ed in tutti i ruoli della nostra pallacanestro”. Già, e come si diceva prima, non per mere rivendicazioni di genere, ma per competenza e professionalità.

Il trait d’union tra campo e panchina lo incarna Monica Stazzonelli, quest’anno head-coach di Albino, che dice: “Ho sempre allenato, anche quando giocavo. Ho iniziato da giovanissima, avevo 19 anni e allenavo, fra le altre, anche Raffaella Masciadri. Quando ho smesso di giocare, dopo una breve pausa, non ho potuto far altro che tornare alla pallacanestro”. Uno di quegli amori che, alle volte, fanno dei giri immensi ma poi ritornano, insomma. “Sì – conferma Stazzonelli – anche se la differenza tra giocare ed allenare è tanta: io ho avuto la fortuna, nella mia carriera da giocatrice di avere grandi allenatori, ai quali ho cercato di rubare molto…ma la visione che un allenatore deve avere è completamente differente da quella di chi sta in campo”. Essere state giocatrici, soprattutto di alto livello, indubbiamente rappresenta un vantaggio, però… ”Certamente – conferma Stazzonelli -, soprattutto perché si conoscono molto bene le dinamiche dello spogliatoio”.

Una memoria non solo tecnica, ma anche emotiva, che guida scelte e comportamenti e che certamente diventa il tratto distintivo di chi ha giocato ed ora allena. Alla quale, però, vanno uniti studio e competenze nuove. Quelle che le donne del nostro basket hanno mostrato di possedere. Al basket stesso ora l’onere, ma soprattutto l’onore, di valorizzarle.

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