TRAKS MAGAZINE #34

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Numero 34 - giugno 2020

MEZZALIBBRA brillare di luce propria ESC SYNTHAGMA PROJECT

RIO SAMUELE FORTUNATO


sommario 4 Mezzalibbra 10 ESC 14 Rio 18 Synthagma Project 22 Samuele Fortunato

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MEZZALIBBRA brillare di luce propria

“Cometa” è il nuovo singolo del cantautore , legato alle proprie origini, con modelli molto nobili e un altro singolo in arrivo a breve Ci racconti chi è Mezzalibbra? Mezzalibbra non è altro che il soprannome della famiglia di mio padre. Ho voluto prenderlo in prestito e utilizzarlo nel mio percorso musicale perché rimanda alle mie origini e al forte legame spirituale che ho con la natura.

Mezzalibbra rappresenta ciò che sono, ciò che sono stato e ciò che sarò ed è, quindi, il marchio che mi porterò sempre addosso. Raccontaci la genesi di “Cometa” “Cometa” è un messaggio di speranza e di coraggio di essere sé stessi ed è nato tutto una sera




d’estate mentre ero a cena con la mia attuale fidanzata. Dietro di lei passa una cometa, che non avevo mai visto prima, e mi ha sbalordito il modo in cui, abbia illuminato per un istante un cielo totalmente buio. Il messaggio di “Cometa” è proprio questo: brillare di luce propria anche se tutto intorno è spento. Non bisogna mai permettere a niente e nessuno di soffocare la propria luce. “Cometa” è accompagnata anche da un video. Dove te ne vai con quella Panda blu a fine clip? Per il primo video non ho voluto fare niente di particolare, soltanto una presentazione del personaggio e del mio primo singolo e la Panda è una sorta di reliquia per me. Mi è stata regalata da mio nonno e mi ha portato ovunque, non mi ha mai deluso. Ho voluto presentarmi a 360 gradi nel primo video, mettendo in risalto anche alcuni oggetti importanti per me. Comunque, ero alla fine delle riprese e quella è stata proprio l’ultima scena girata, quindi probabilmente ero in procinto di tornare a casa a mangiarmi un piatto di

pasta. Quali sono i tuoi punti di riferimento nella musica italiana di oggi? Stimo in particolare due artisti: Neffa e Max Gazzè. Neffa partì dal rap e ha toccato tantissimi generi in maniera geniale. Gazzè è un grande cantante nonché uno dei bassisti migliori in Italia, a mio avviso. Li stimo per il grande contributo che danno alla musica italiana, spero di poterli conoscere un giorno. Nel frattempo, mi limito ad ascoltarli tanto e anche prendere spunti dalla loro musica. Quali sono i tuoi prossimi progetti? A breve uscirà il secondo singolo intitolato “XXL” e sarà il singolo che anticiperà il primo album, che spero di far uscire in autunno. Io e la mia band stiamo lavorando sodo e sono davvero contento di condividere questo percorso insieme a loro. Sono sicuro che lavorando bene insieme potremo toglierci qualche bella soddisfazione e vivere diverse esperienze importanti. Ma intanto, lavoriamo umilmente ma sempre a testa alta. 7


ESC

“Argonauta” è il “disco 0” del cantautore romano, con un range di ispirazione che va da Battiato a Cremonini e tanti progetti in testa


Raccontaci chi è ESC Sono un ragazzo che è arrivato a laurearsi in ingegneria con la musica in testa e sentendo di avere delle cose da tirare fuori, e adesso ho iniziato a farlo. Vorrei capire alcune cose rispetto ad “Argonauta”: intanto perché questo titolo, e poi perché lo


definisci “disco 0” Argonauta è una parola alla quale sono legato da tanto tempo sia per la storia a cui rimanda sia perché rappresenta il mio legame con le persone con cui ho condiviso l’adolescenza. In più per me racchiude le due basi del disco, un approccio cantautorale e la ricerca di un suono che includesse influenze elettroniche. Mi è capitato di parlare di disco 0 perché Argonauta rappresenta un passaggio molto forte nella mia vita, per i cambiamenti che ha portato e la relativa velocità con cui sono avvenuti. Mi

sono tuffato, spinto dalle canzoni. Raccontami qualcosa anche de La principessa sul triciclo, il primo singolo È una delle canzoni più intime del disco, e una delle mie preferite. Ho cercato di esprimere protezione nei confronti dei momenti di fragilità delle persone e del rispetto delle loro scelte. Tre nomi che ti piacciono particolarmente della musica italiana Ce ne sono moltissimi. Mi è sempre piaciuto molto Battiato. Stimo molto le canzoni e il percorso di Cremonini e seguo i progetti di 10


Niccolò Contessa nelle sue varie vesti. Visto che “Argonauta” è il “disco 0”, hai già qualche idea rispetto al “disco 1”? Il periodo tra la scrittura e l’uscita di Argonauta è stato molto intenso, mi ha regalato una serie di nuove porte aperte da esplorare. Non ho smesso mai di scrivere in questo periodo ma sto iniziando a lavorare a nuove cose, al momento invertendo i passaggi rispetto al modo in cui ho realizzato Argonauta. Sento il bisogno di provare a partire dal suono. 11


RIO State of Mind è il nuovo album di un musicista esperto e con alle spalle numerose collaborazioni di grande prestigio


Ci racconti chi è Rio? Rio è il nome d’arte che scelsi quando nel 1991 entrai a far parte della Band dei Sold Out. Il motivo di questa scelta è stato semplicemente perché avevo bisogno di un nome facile da ricordare. Ebbi l’ispirazione da un film di Marlon Brando nel quale interpretava un


personaggio che si chiamava Rio. Rio è la parte di me con la quale convivo dall’età di 9 anni e che mi ha dato la possibilità di toccare i miei sogni musicali. Raccontaci di State of mind: come sono andate le lavorazioni? È cominciato tutto nel 2019 quan-

do incontrai Gino D’Ignazio, grande musicista, al quale spiegai cosa avevo in mente di fare. Così, dopo aver scambiato con lui alcuni punti di vista inerenti al progetto, decisi di affidargli la produzione artistica. Avevo già sei brani completi, gli altri 4 in ordine di 14


tempo sono venuti durante la lavorazione del disco e sono: Loving you is a bad affair, Your eyes, Don’t stop the rhithym e if you let me say. Durante la lavorazione dell’album ho voluto fortemente la collaborazione di grandi musicisti tra cui Sergio Orso, grandissimo organista residente a Miami. Aurelio De Stefanis, chitarrista di livello internazionale. Le batterie, invece, sono state registrate da Giancarlo Ippolito e Sergio Di Natale, due musicisti fantastici e di grande esperienza e Vincenzo Boemia, chitarrista eclettico. I cori sono stati eseguiti da due talentuosissime cantanti, Alessandra Cicceriello e Martina Doni. Perché hai scelto di cantare in inglese? Non è una vera e propria scelta, ma un ritorno naturale su un percorso tracciato con i Sold Out anni prima ma anche dettato dal fatto che ho sempre ascoltato i grandi artisti americani come i Platters, Stevie Wonder, Donny Hathaway eccetera Qual è la canzone del disco alla quale sei più legato?

Sono legato a tutte le canzoni del disco, ma se proprio fossi costretto a sceglierne una, sceglierei If you let me say l’ultima, in ordine di tempo che ho scritto e a cui sono particolarmente legato. Hai collaborato con tantissimi grandi musicisti. Qual è la collaborazione che ti è rimasta maggiormente nel cuore? Senza dubbio quella con Gigi Canu, Sergio Della Monica e Alessandro Sommella. I produttori dei Sold Out, oggi Planet Funk. Con loro ho vissuto l’arte della musica nel senso più profondo e costruttivo del termine calcando palchi come il teatro Hippodrome di Londra, trasmissioni televisive alla BBC One fino alla partecipazione al festival di Sanremo come gruppo ospite internazionale. Quali saranno i tuoi prossimi progetti? Per quanto riguarda i miei prossimi progetti, al momento non mi soffermo molto poiché sono concentrato su questo che ho in uscita e al quale sento di dedicare tutto il mio tempo e la cura di cui esso ha bisogno. 15


SYNTHAGMA PROJECT “Onirica” è il nuovo disco della formazione nata da una costola degli InChanto e con orizzonti molto liberi e variegati tipo di organico, abbiamo impostato il nostro repertorio, interamente originale, su partiture completamente scritte e rigide. Questo nel corso degli anni ha determinato un po’ una standardizzazione della nostra scrittura. Per evitare questa sorta di stagnazione e di ripetitività dei nostri cliché abbiamo sentito l’esigenza di un cambio di rotta. E’ nato così il progetto Synthagma con cui ci siamo voluti svincolare da questa sorta di gab-

Come nasce il progetto? E perché la necessità di “staccarvi” da InChanto? Quello di InChanto (a questo proposito quest’anno fanno 20 anni dal nostro debutto discografico con Muliermala) è un progetto nato alla fine degli anni ‘90. Con esso abbiamo avuto la possibilità di suonare in situazioni stimolanti e in contesti più disparati sia in Italia che all’estero. Sin dagli inizi, per una scelta progettuale e per il 16


Convention, da Debussy ai Led Zeppelin alle Cantigas de Santa Maria, dal Canterbury sound a Dvoràk. E in questo contesto è stato inevitabile prendere come base di partenza il progressive degli anni ’70, sia per l’intento di fondere più generi musicali rifuggendo dai canoni classici della forma “canzone”, che per l’attenzione al progetto grafico: quindi King Crimson, Van Der Graaf Generator, Gentle Giant, Genesis, Jethro Tull eccetera rivestono un ruolo di primo piano tra le nostre influenze. Per la composizione del repertorio non abbiamo fatto, in realtà, una scelta ragionata dei brani ma sono stati i brani che… hanno scelto noi. Il nostro progetto nasce fondamentalmente dall’esigenza di comporre musica originale. E’ successo, però, che ci siamo imbattuti in alcune composizioni di musica antica come Voi ch’amate o Huron carol con cui siamo entrati subito in sintonia facendoli praticamente nostri. Si è trattato anche di una sorta di sfida: “riscrivere” brani che hanno attraversato i secoli, dandone una diversa chiave

bia in modo da dare un taglio netto a quanto fatto in precedenza. Quindi via libera ad ampi spazi per l’improvvisazione cambiando completamente, se non addirittura rovesciando, il metodo di comporre e arrangiare i brani. Molti di essi nascono in studio, magari ispirati semplicemente da un suono o da un accordo venuto fuori quasi per caso e solo dopo viene fissata su carta una “traccia” di riferimento. In questo modo si aprono decine di strade: non resta che imboccare quella che più senti vicina in quel determinato attimo e che puoi scegliere di cambiare anche nel corso dei concerti. Mi sembra che le influenze in questo lavoro siano molto diversificate. Come avete scelto i brani da inserire? La curiosità deve essere la chiave di tutto quando si ha la voglia di proporre qualcosa di diverso e di personale. Questo in ambito artistico in generale e a maggior ragione in quello musicale. I nostri ascolti sono quindi molto variegati, passando senza preclusioni di sorta, da Miles Davis ai Fairport 17


di lettura che, speriamo, risulti altrettanto affascinante. Come nasce “Fragments” e perché l’avete scelta come singolo e video? Quando abbiamo dato vita al progetto una delle cose che più ci intrigavano era quella di “estrarre” sonorità inusuali da strumenti acustici che, pur con tutte le loro limitazioni come nel caso della ghironda, conservavano il loro fascino arcaico. Fragments, che è nato quasi per caso nel nostro studio di registrazione, nella sua brevità è quasi un “corpo estraneo” all’interno di un cd in cui la maggioranza dei brani sono strutturati in modo abbastanza esteso e complesso. Al tempo stesso esso costituisce una sorta di “compendio” della nostra filosofia musicale e del lavoro fatto per Onirica: al suo interno coesistono improvvisazione, suoni acustici e voce, il tutto modificato e filtrato. Il video, quindi, anziché “raccontare una 18

storia” legata al testo ci ha permesso piuttosto di esprimere anche per immagini le sensazioni e le atmosfere che vogliamo comunicare con la nostra musica. Siete musicisti esperti e collocati in posizione decisamente “alternativa” rispetto alle tendenze odierne. Qual è il vostro giudizio sulla musica italiana in questo momento? Abbiamo cominciato a suonare, purtroppo o per fortuna, quando ancora non c’erano talent o contest vari: l’unico modo per esibirsi erano sale da ballo, sagre e discoteche. Era la cosiddetta “gavetta”: situazioni spesso non molto esaltanti ma che ti permettevano di confrontarti con molti generi musicali diversi e di crescere “on the road”. Riuscivamo con fatica a ritagliarci comunque degli spazi dove poter fare ascoltare le nostre cose. I mezzi che abbiamo attualmente a disposizione (parlo di internet, ma anche di scuole di ottimo livello e di stage) hanno permesso a molti giovani musicisti di crescere molto più rapidamente e con un tasso tecnico im-


finalmente i brani di Onirica davanti a un pubblico “reale” e non solo virtuale. Purtroppo l’anno scorso abbiamo dovuto annullare, per motivi di salute, tutti le date fissate ritardando di conseguenza anche l’uscita del cd. Quest’anno, invece, con il disco appena stampato abbiamo dovuto affrontare un ulteriore stop forzato dovuto al Covid-19. La speranza è di poter iniziare già con l’estate. Inoltre vorremmo sviluppare nei nostri spettacoli dal vivo l’aspetto “immagine”, elemento fondamentale del nostro progetto, attraverso animazioni, magari partendo proprio dai disegni del booklet dove abbiamo contaminato foto, elaborazione grafica e disegno. Infine stiamo già pensando a un nuovo disco: infatti, oltre ad alcuni brani che pur essendo eseguiti regolarmente in concerto non hanno trovato posto nel Cd, abbiamo anche diverso materiale non utilizzato durante le registrazioni che potrà costituire una buona base di partenza per nuove composizioni. Ma per il momento... godiamoci Onirica.

pressionante: purtroppo la voglia di “sfondare” subito relega spesso in secondo piano la parte “creativa” della musica, sprecando così dei talenti notevoli. I fermenti creativi degli anni ‘70 e ‘80, la voglia di fare qualcosa di diverso si sono persi per strada, facendo posto, con l’instaurarsi della società dell’apparire, a un’omologazione verso il basso quale scorciatoia per il successo (effimero in molti casi). Questo grazie ad un’industria musicale sempre più miope ed interessata solo al profitto e ad una cultura musicale sempre più povera per il disinteresse della scuola e delle istituzioni. Però, cercando bene, riusciamo a scovare delle cose notevoli a cui andrebbe data la possibilità di avere più spazio e maggiore visibilità. In questo contesto è molto importante l’attività delle cosiddette “etichette indipendenti” che hanno il merito, nonostante le grosse difficoltà con cui si scontrano, di privilegiare l’aspetto creativo. Quali i vostri progetti futuri? Intanto vogliamo ricominciare a fare concerti in modo da portare 19


SAMUELE FORTUNATO

Di Chiara Orsetti 25 anni, originario di Como, Samuele Fortunato ha pubblicato il suo secondo ep, intitolato Ta Da! “Questo disco è la mia redenzione, nasce in un nuovo ciclo vitale che ho intrapreso”, racconta l’artista, che ha da poco deciso di dedicare completamente la sua vita alla musica


Ta Da! è il tuo secondo ep, un progetto semplice ma allo stesso tempo carico di significati… ci racconti come è nato e la tua esperienza in Val Bormida? Ta Da! nasce quasi per caso, sei tracce scritte di getto, alcune nel periodo appena precedente all’uscita del disco e altre scritte nel corso degli anni. In Val Bormida ci capitai per caso, fu la prima meta del mio viaggio alla Kerouac, senza un soldo in tasca e con le idee molto confuse. Scoprii Teatro Cantiere, un’associazione culturale, che mi ospitò e mi diede modo di registrare i pezzi. In quella casa ci vive Zeff, un musicista straordinario e completamente pazzo che mi è stato vicino durante le incisioni, è lui che suona la tromba in Lisbona – Pisa. I riferimenti letterari all’interno delle tue canzoni non mancano: oltre ai grandi classici, che tipo di lettura ti appassiona? Non saprei definire con esattezza un determinato tipo di letture “preferite”, vado a momenti e mi affido molto all’ispirazione. Mi piacciono quei libri dove ogni fra-

se è un macigno, una pugnalata, quei libri che ti fanno fissare il vuoto dopo ogni parola. Uno dei brani che ha maggiormente colpito la nostra attenzione è Baudelaire, per l’atmosfera, la malinconia e la sensazione di essere fuori dal tempo e dallo spazio. Ci racconti di come è nato il brano? Baudelaire nasce sette anni fa, in una cucina, in una casa, in una notte. Vivevo ancora con la madre di mia figlia, e una sera, dopo aver sistemato i giocattoli della bambina, mi misi seduto e il primo ver21


so (“riordino il disordine che hai lasciato dentro il cuore mio”) mi piombò addosso. Avevo accanto a me i Diari intimi di Baudelaire, così cominciai a leggere qualche frase qua e là e la canzone prese forma. Parla di due diverse donne che hanno fatto parte in modi diversi della mia vita, nella canzone

sono diventate una sola, per esigenze poetiche diciamo. Sei diventato padre giovanissimo, e nonostante le “responsabilità” leggo che da poco hai abbandonato tutto ciò che non riguarda la musica. Un salto importante, che sicuramente richiede un grande coraggio… 22


Cosa consiglieresti a chi non è ancora sicuro di “mollare tutto” per seguire la musica, o più in generale, un sogno? Lasciare tutto non è per forza la soluzione migliore, aiuta però, ecco tutto. Non avere un piano b ti sprona, o ce la fai o non mangi. Nel mio caso preferisco non avere neanche un piano a, se non hai un piano non può andarti male. La chitarra è stato il tuo primo strumento e una grande passione. Ci sono artisti a cui ti sei ispirato? Come sono cambiati i tuoi gusti nel corso degli anni? Sono cresciuto ascoltando Rino Gaetano e Battisti con mia madre, passando per Vasco e Venditti. Mio fra-

tello e mio padre mi contagiarono con la passione per i Doors. La figura di Morrison mi ha permesso di scoprire scrittori che sono poi diventati i miei punti di riferimento. La seconda moglie di mio padre mi fece scoprire Bowie, e non la ringrazierò mai abbastanza per questo. In breve tempo David Bowie divenne per me un idolo indiscusso. Mi ispiro molto però ai cantautori classici italiani, De Andrè, Capossela, cose così insomma. Chiara Orsetti

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