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HOMEBREWING
BRASSARE IN CASA UNA KÖLSCH
Gli stili birrari non sono certo originati da ricette scolpite nel granito ma affondano le proprie radici nella storia, nell’economia di una regione e nei costanti sviluppi tecnologici. Grazie al miglioramento delle tecniche inoltre e anche in virtù dei mutamenti dei gusti dei consumatori, gli stili cambiano nel tempo, evolvono, si trasformano. Talvolta però si conservano punti fermi, che non hanno la possibilità di evolvere o modificarsi. Se consideriamo lo stile birrario di Colonia, Kölsch, il birraio che vuole interpretare fedelmente lo stile ha davanti a sé dei paletti obbligati che deve rispettare fedelmente; altrimenti il risultato sarebbe altra cosa, magari ottima, ma altra cosa. Questi paletti sono tratteggiati in un documento redatto nel 1986 e sottoscritto da 24 pro
duttori birrari della città di Colonia: la Kölsch Konvention. Questo contratto ha ratificato il lungo processo identitario di denominazione di origine della birra di Colonia, in atto forse da secoli. Tale processo è poi culminato nel 1997 con l’istituzione del marchio IGP a livello europeo che ha dettagliato con maggiore precisione lo stile: oggi solo i produttori che rispettano le caratteristiche del marchio, in primis avere sede produttiva nell’area metropolitana di Colonia o nelle vicine Bedburg, Bonn, Brühl, Dormagen, Frechen, Leverkusen, Monheim e Wiehl possono denominare Kölsch la propria birra. Kolsch Konvention riporta a grandi linee le caratteristiche fisiche e produttive necessarie per la denominazione: la birra deve essere una vollbier, ossia avere un grado zuccherino iniziale compreso tra 11 e 16 plato (tra 1.044 e 1.065), deve essere prodotta con un lievito ad alta fermentazione, deve poi avere un colore chiaro e brillante e non avere velature, quindi dovrebbe essere filtrata. Inoltre, l’attenuazione finale deve essere elevata e la birra avere un buon grado di amaro percepito: “ben luppolata” è la definizione presente nel documento. Infine, giusto per rimarcare la germanità del prodotto, deve aderire ai principi del Reinheitsgebot, quindi non avere altri ingredienti che acqua, malto, luppolo e lievito. Ma è il regolamento europeo IGP a mettere nero su bianco numeri precisi: il colore deve essere compreso tra i 5 e i 15 EBC, la densità deve essere ricompresa tra gli 11 e i 12,5 gradi Plato (OG 1.044- 1.050), gli zuccheri residui si attestano tra lo 0 e lo 0,5% in peso totale (*), il grado di amaro è compreso tra le 15 e le 30 unità (secondo la scala EBU, non molto lontana dalla IBU). La gradazione alcolica deve essere compresa tra 4,2 e 5,5% Vol. Il prodotto deve essere infine soggetto a filtrazione prima del confezionamento. Dal punto di vista degustativo, la Kölsch è una birra caratterizzata da
equilibrio e delicatezza, dove lievi note di malto e cereale sono controbilanciate da una luppolatura da amaro che si nota più per la secchezza e l’alta attenuazione del prodotto che per il grado di amaro intrinseco. Il lievito non si mostra, se non per un minimo fruttato (mela), appena accennato, o un leggero sulfureo, caratteristica più di birra a bassa fermentazione. Il finale del sorso deve essere secco ma equilibrato.
Insomma, tutte le sue caratteristiche devono essere accennate, equilibrate, lievi. E il problema nel produrre una Kölsch sta tutta qui: nel non eccedere in nulla e nascondere molto. Voi, birrai che aspirate a dimostrare le vostre doti, dimenticate le bombe luppolate, le birre acide, le tostature da caffè, i mélange di frutta: è su questo stile che si misurano le reali capacità di un mastro!
Ingredienti Da dove partire per brassare una Kölsch? I freddi numeri dettagliati sopra ci possono dare una prima indicazione, ma come per ogni stile birrario, la scelta degli ingredienti riveste un’importanza fondamentale. Come per le Pils, anche le Kölsch necessitano di un’acqua tendenzialmente morbida,
con alcalinità residua bassa che possa permettere di raggiungere in produzione (e nel prodotto finito) il corretto livello di acidità. Il corretto pH agevola infatti la coagulazione delle proteine e la loro precipitazione durante la bollitura, al fine di raggiungere colore e brillantezza desiderati. Inoltre, la giusta acqua permette di ottenere una tipologia di amaro più elegante: da un lato la precondizione è un basso livello di solfati e poi l’attenzione, nelle fasi produttive, a un ridotto passaggio di proteine e tannini dal malto al bicchiere. La scelta della tipologia di malto è compito facile: un buon malto pils tedesco è tutto ciò che serve. Qualche birraio ammette l’utilizzo di una piccola percentuale di malto di frumento (sino a un massimo del 10-20%) per aiutare il raggiungimento della secchezza e del colore desiderati; qualcun altro suggerisce minime aggiunte (sino al 5%) di malti Vienna o Monaco per accentuale gli aromi di malto. Personalmente non sono di questo avviso: se il malto pils ha le caratteristiche proteiche e di colore necessarie, può essere tranquillamente usato per il 100% del grist, senza ulteriori aggiunte. Anche la scelta del luppolo non lascia adito a dubbi: bisogna usare obbligatoriamente varietà nobili tedesche come Perle, Spalt, Hallertau, Tettnang e quasi esclusivamente in amaro. Gli aromi di luppolo, se presenti, devono essere appena accennati, quindi bisogna assolutamente evitare luppolature da aroma negli ultimi 20 minuti di bollitura e naturalmente niente luppolo in whirlpool e dry hopping. Infine, il lievito: il risultato del suo lavoro deve essere neutro e pulito, quasi da bassa fermentazione, lasciando trasparire dal bicchiere minime note, appena accennate, di fruttato (mela, dicevamo, ma anche pera o ciliegia). Inoltre, deve assicurare una elevata attenuazione. Queste caratteristiche si ritrovano quasi esclusivamente in ceppi appositamente dedicati allo stile Kölsch, come il Wyeast 2565 e il White Labs WLP029: questi lieviti in forma liquida sono stati i riferimenti obbligati per i birrai per molti anni, ma da pochi mesi Lallemand ha presentato la sua versione in forma disidratata denominata Lalbrew Köln. Queste varietà richiedono temperature di operatività ottimale a metà strada tra quelle dei ceppi lager e ale: la finestra suggerita di lavoro è indicata tra i 12 e i 20°C, con l’indicazione di non superare comunque i 18°C per ridurre al minimo le note fruttate.
Processo La fase di ammostamento per la realizzazione di una Kölsch è abbastanza semplice: un singolo step attorno ai 63-64°C per 60 minuti può essere sufficiente, per poi salire a 72 per 10 minuti
ed effettuare il test iodio. Il rapporto acqua/malto prescelto dovrebbe essere abbastanza elevato, non inferiore a 4 litri per kg, sia per agevolare il lavoro degli enzimi ß-amilasi, maggiormente attivi in un impasto “liquido”, che per ridurre la quantità di acqua al successivo sparge al fine di limitare l’estrazione proteica e tanninica dalle trebbie. Il pH dell’impasto deve essere attentamente controllato: non dovrebbe salire oltre i 5,50. In caso di scostamenti, è possibile usare acido lattico per raggiungere il livello desiderato. Sarebbe ideale, inoltre, conoscere i dettagli minerali dell’acqua utilizzata: oltre alla durezza e all’alcalinità residua, è utile avere il dato della quantità di calcio. L’ammostamento dovrebbe avere a disposizione dall’acqua almeno 50 ppm di calcio per favorire i processi chimici necessari e, in particolare per lo stile, agevolare la coagulazione proteica durante la bollitura e la flocculazione del lievito a fine fermentazione. Processi necessari per giungere a una limpidezza finale adeguata della birra. In caso di deficienza di calcio nell’acqua, si può valutare di aggiungere cloruro di calcio. Da evitare invece il solfato di calcio, per non accentuare eccessivamente il carattere della luppolatura. La fermentazione da parte di birrifici tradizionali è effettuata in vasche aperte, ma ovviamente per un homebrewer questa è una soluzione difficilmente realizzabile. L’importante è in ogni caso mantenere la temperatura a livello costante e a fine fermentazione è necessario ridurla vicino allo zero per effettuare una “lagerizzazione” che dovrebbe durare circa quattro settimane: questa fase agevolerà la precipitazione di lieviti e di proteine, rendendo la birra limpida e brillante.
Confezionamento e servizio Come per molti stili a bassa fermentazione che subiscono lunghe fasi di maturazione a freddo, anche per le Kölsch appare un inutile spreco di tempo e risorse effettuare al momento del confezionamento un imbottigliamento con aggiunta di zuccheri e una fase di rifermentazione: la “pulizia” gustativa faticosamente ottenuta verrebbe vanificata con la riattivazione del lievito in bottiglia. Se l’homebrewer non ha altra scelta, allora meglio usare un lievito neutro selezionato per questa attività, come il Fermentis F2. Meglio sarebbe, avendo a disposizione la corretta attrezzatura, effettuare l’ultima fase della fermentazione in pressione o più semplicemente infustare e carbonare forzatamente la birra con CO2 al termine della lagerizzazione, avendo come obiettivo finale circa 2,3- 2,5 volumi di anidride carbonica. La mescita dovrà naturalmente essere fatta nel tradizionale Kölschglas dalla capacità di 20 cl. a una temperatura di servizio attorno ai 5-6 °C. Vietato limitarsi al primo bicchiere!
(*) Estratto apparente. L’estratto reale corrisponde a 1,98-2,66 Plato ossia a una FG 1.007-1.011 ★
RICETTA per 23 litri Malto Pilsner – Germania 5000 g Luppolo – Perle 30 g, 7% AA, 60 min Lievito Wyeast Kölsch 2565 OG 1048 - FG 1010 IBU 22 - SRM 4 Alc. 5 % Procedimento: ammostamento 60 min. a 63°C, 10 min. a 72 °C o sino a conversione. Fermentazione 7 giorni a 16 °C poi scendere lentamente a 1-2°C, lagerizzazione per 28 giorni. Infustamento e carbonazione forzata a 0,7 bar (10 psi) a 2°C per 2-3 giorni.