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Köln und Kölsch

Chiunque mastichi un po’ di birra ha sentito parlare di Kölsch o Koelsch se faticate a trovare sulla tastiera la umlaut in tedesco, dieresi in italiano insomma la o con i due puntini sopra. Dal 1997 le Kölsch sono IGP dunque nessuna birra prodotta al di fuori del territorio di Colonia, può utilizzarne il nome a fini commerciali. É un caso piuttosto raro, nel mondo brassicolo: il Lambic non è protetto o meglio lo è in quanto specialità tradizionale garantita ma senza alcun legame col territorio in cui è nato.

Un prodotto da raccontare Potrebbe sorgere il dubbio che si tratti solamente di una manovra commerciale, di marketing moderno: che storia avranno mai queste birre? Perché le birre di Plzeň in Boemia non sono protette al di fuori della Repubblica Ceca e queste invece sì? Premesso che le Pils avrebbero dovuto essere protette tanto quanto, a Colonia hanno tutti i diritti di erigere un baluardo protettivo sulle loro birre. Normalmente ci si ferma alla considerazione che sono un’eccezione del panorama germanico in quanto sono birre ad alta fermentazione. Si lascia anche spesso sottintendere che si tratti di una risposta alle Pils e alle Helles. Nulla di più errato: qui c’è la storia, c’è l’unicità del prodotto e c’è il fascino di raggiungere la città renana e berla lì, in loco, dove si produce. É anche una tipologia di birra che ha ispirato molti birrifici italiani, soprattutto agli albori della rivoluzione artigianale.

credit Willy Horsch

Insomma, la Kölsch è una birra che merita di essere studiata e raccontata, magari all’ombra del duomo di Colonia, con uno stange (il classico bicchiere in uso per queste birre di forma cilindrica, con diametro stretto e una capienza da 20cl) pieno di birra!

Da colonia romana a città industriale Colonia è una metropoli che conta circa un milione di abitanti, si estende sulla riva sinistra del Reno e si trova in Nordrhein-Westfalen (Renania settentrionale Westfalia) nella zona a nord ovest della Germania. Dall’alto è difficile distinguere l’agglomerato urbano di Colonia da quelli di Düsseldorf, a nord e Bonn, appena più a sud. Oggi è una importante città industriale e, come nel passato, commerciale e ospita anche la seconda più antica università della Germania, fondata nel 1388. Il nome in tedesco è Köln ma quello in Italiano tradisce le sue origini: il primo nucleo fortificato di quella che sarà una colonia romana fu fondato da Agrippa nel 38 a.C. Il legame con l’Italia non si ferma qui, la città - o meglio il suo nome - è piuttosto noto nel mondo anche grazie all’acqua di Colonia che fu creata da Giovanni Paolo Feminis, di origini italiane, trasferitosi a Colonia sul finire del XVII secolo da Santa Maria Maggiore, in Val Vigezzo (VB).

La storia di Colonia che ci interessa non è però quella legata alle conquiste della Repubblica Romana né del suo Impero e neppure, benché di alcol ce ne sia, a quella del mondo dei profumi e della cosmesi. A noi interessa vedere come la storia della città sia intrecciata con la storia della sua birra, la Kölsch. Questo nome risale però al 1918, quando fu usato da Breuerei Sünner - produttore ancora in attività - per una birra, chiara, limpida e lievemente luppolata, che producevano già da una decina di anni. La birra è invece apparsa in quell’area ancor prima dell’avvento dei Romani ed

credits Raimond Spekking

è intimamente legata alla città e al suo sviluppo: Tacito (vissuto tra il I e il II secolo dopo Cristo) scrive della popolazione degli Ubi, stanziati sulla riva destra del Reno, produttori di una bevanda a base di orzo e frumento fermentati, già prima della conquista romana. A partire dal 38 a.C. gli Ubi furono spostati sulla riva sinistra dove, nel 50 d.C., i Romani fondarono la Colonia Claudia Ara Augusta Agrippinensium, l’odierna Colonia. Col passare dei secoli, la scomparsa dei Romani, l’avvento di altre dominazioni, la produzione di birra passò saldamente nelle mani dei monaci che, partendo dalla ricetta degli Ubi e aggiungendo del miele, crearono il Meth, la prima birra ufficialmente “censita” della città. Durante il Regno di Ottone II, attorno all’anno Mille, si trovano dei documenti relativi alla produzione di birre e verso la fine del XIV secolo da uno scritto - successivo ai fatti - attribuito a Hermann

von Goch (vissuto nel XIV secolo, canonico, fu persona molto influente a Colonia) si evince che la birra era prodotta con il gruit di un monastero locale, composto da ginepro, alloro e chiodi di garofano. Dunque, la birra si è secolarizzata, viene cioè prodotta da artigiani laici in piccoli laboratori all’interno delle mura della città. Questo periodo è anche legato a una grande crescita di Colonia che grazie alla posizione geografica diviene un fiorente centro di commercio. La città è governata da un Arcivescovo e i birrifici pagano una tassa sul malto e sul gruit, contribuendo - loro malgrado suppongo - allo sviluppo e alla crescita dell’importanza di Colonia. Nel frattempo, Petrus von Mailand (Pietro da Milano), canonizzato nel 1256, assurge a patrono dei birrai che gli intitolano la loro prima Gilda, una corporazione artigiana anche se agli albori è più una fratellanza.

Uno sviluppo scandito dalla birra In questa fase è proprio la birra a dettare i passi della storia di Colonia: l’indipendenza della città e dei suoi cittadini dalla sovranità dell’arcivescovo e dei monasteri si può leggere dalla scelta, avvenuta nel 1258, con cui ottengono attraverso un grande arbitrato di condividere la tassa sulla birra. É evidente, in questo, la forza della Gilda dei birrai e l’importanza - economica e sociale - della birra e dei birrifici e a sottolineare la loro crescente influenza il loro principale esponente divenne membro del Consiglio cittadino. Grazie a questo, la Gilda impone, attraverso il Consiglio, rigide leggi che regolano la produzione di birra e il prezzo di vendita: è l’epoca, in tutta Europa, in cui le Gilde impongono - o ci provano - il monopolio nei rispettivi ambiti. Il controllo della chiesa piano piano scompare, sostituito da quello dei nobili affiancati da mercanti e artigiani. La birra si può vendere anche all’esterno della città e questo ne accresce il prestigio e il potere economico - della birra e della città - mentre le tasse sulla birra entrano esclusivamente nelle casse della città. Il luppolo, coltivato al di fuori delle aree controllate da Colonia e non tassato, per tutto il XIV secolo non può essere utilizzato nella produzione: ai birrai è fatto obbligo di utilizzare il gruit da acquistare presso la Gruthaus. Nel 1396 la Gilda dei birrai prende ufficialmente il nome dal suo protettore e diventa Sankt Petrus von Mailand Bruderschaft (fratellanza di San Pietro da Milano), conosciuta anche come Cölner Brauer-Corporation. Nel 1412 si emana una legge, una sorta di Reinheitsgebot ante litteram, che introdusse il luppolo (coltivato in Westfalia) tra gli ingredienti possibili ma ne regolava l’acquisto così come del malto, permettendone alcuni e vietandone altri. Il Consiglio cittadino creò anche nuove figure professionali, addette a controllare che i birrifici si attenessero alle rigide regole. Da un lato l’editto aiutava ovviamente la città col gettito fiscale dall’altro però proteggeva il lavoro dei birrifici che pare accettarono di buon grado le imposizioni. Nel XVI secolo la chiusura della Gruthaus sancisce la fine dell’era del gruit e l’avvento definitivo del luppolo nelle birre di Colonia. Abolita la tassa sulla vendita del

Paeffgen-historisch

gruit e il controllo della sua composizione, viene creata la Malzbüchel, deputata ad essere l’unico fornitore di malti per i birri fici della zona sotto l’influenza di Colonia. Durante il XVII secolo una legge inizia a fare riferimento alla tipologia di fermentazione. Questo benché sia ancora poco chiaro come, oltre cento anni prima degli studi di Pasteur, fosse possibile distinguere tra alta e bassa fermentazione: molto probabilmente si fece riferimento alla posizione fisica dove avveniva la parte più evidente della fermentazione tumultuosa e dove si depositasse alla fine della fermentazione stessa la maggior parte del lievito (che appunto non era ancora conosciuto intimamente ma oramai era grosso modo riconosciuto). Ad ogni modo viene vietata, in città, la bassa fermentazione, in netta contrapposizione con quanto stava avvenendo nei territori circostanti, dove si stavano imponendo le basse fermentazioni.

Il declino con la Rivoluzione industriale Dopo secoli di crescita e prestigio, con l’avvento del XVIII secolo e in particolare della rivoluzione industriale per Co

lonia, tagliata fuori dalle principali rotte commerciali, inizia un periodo di declino. Anche i birrifici non se la passano molto bene. Durante le guerre napoleoniche gli invasori francesi spazzano via le corporazioni e le fratellanze e anche la gilda dei birrai chiude i battenti. Molti birrifici andarono in difficoltà, senza più protezioni, rimanendo gravemente indietro rispetto alle piccole industrie che nascevano in quegli anni e/o a quelle che seppero cavalcare la rivoluzione industriale e sfruttare le grandi novità tecnologiche che man mano si rendevano disponibili. Il XIX secolo va a fasi alterne per la città e di conseguenza per i birrifici. Agli inizi del secolo Colonia è in crescita, torna a occupare una posizione economica di rilievo e i birrifici crescono di numero: 109 nel 1839 e quando la città supera i 100.000 abitanti, attorno alla metà del secolo, i birrifici attivi sono 234. Nella seconda metà del secolo le cose vanno meno bene: la sede storica della corporazione dei birrai è venduta all’asta, molti birrifici subiscono difficoltà economiche, alcuni però si trasformano in ristoranti e osterie riuscendo a continuare l’attività. Nel 1876 i birrifici censiti sono scesi a 110 e l’emorragia non si ferma: a scomparire sono imprese che hanno anche 400 e più anni di attività. Nel 1895 i birrifici rimasti sono 67 e la curva a scendere non accenna a rallentare.

Il XX secolo non si apre dunque sotto i migliori auspici, oltre a tutti i problemi già elencati la maggior parte dei birrifici locali sopravvissuti, una cinquantina abbondante, oramai liberi dalle leggi di un tempo, si mise a produrre le stesse birre a bassa fermentazione, come Pils e Dortmunder Exportbier, che li stavano soffocando nel loro stesso mercato. La birra locale però sopravvive e i pochi birrifici che ancora la producono notano un notevole apprezzamento da parte del mercato cittadino.

Con la I guerra mondiale e soprattutto la grave crisi economica che attanaglia la

credits calflier001

Germania nel dopoguerra lo scenario è ancora più triste e fatale per le gasthaus dei birrifici, il cui periodo di fascino e splendore sfiorisce inesorabilmente. Eppure, secondo alcune fonti, tra cui Eric Warner (Kölsch: History, Brewing Techniques, Recipes), nel 1918, proprio nell’immediato dopoguerra, il birrificio Sünner potrebbe essere stato il primo a usare per la loro birra chiara, di alta fermentazione e basso grado alcolico (e prodotta sin dal 1906), il nome di Kölsch e decretare dunque la nascita di uno stile.

La Germania intera è però in grave difficoltà e la ripresa economica sfocia repentinamente e drammaticamente nella II guerra mondiale. Hans Sion racconta al meglio la storia di Colonia e delle Kölsch nel tragico periodo della guerra: i bombardamenti alleati

iniziarono sulla città nel 1942 e in uno di questi Sion fu colpito gravemente e messo in condizione di non produrre più. Poteva essere un colpo durissimo e definitivo per Sion in assoluto e per le Kölsch più in generale ma a Colonia la fratellanza tra i birrai era sopravvissuta ai secoli bui e all’epoca napoleonica: l’amicizia personale che legava Hans Sion a Joseph Früh, il proprietario di Cölner Hofbräu Früh, fondata agli inizi del ‘900, permise a Sion di sopravvivere producendo alcuni lotti della sua birra dal suo amico che ancora non aveva subito danni - quanto meno non gravi - dai bombardamenti. Nonostante i difficoltosi approvvigionamenti di materie prime, controllati, in tempo di guerra, direttamente da Berlino la produzione di Kölsch continua fino al 29 giugno del 1943 quando Colonia subì un bombardamento devastante che la rase praticamente al suolo. La fine della guerra e la ricostruzione vedono i birrifici, come quasi tutte le aziende produttive, segnare il passo. Sion è uno dei pochi a ricominciare le attività nel 1951, mentre la città era ancora in buona parte da ricostruire. La distruzione e la mancanza di fondi furono per la maggior parte dei birrifici la pietra tombale. Alcuni, provati psicologicamente oltre che finanziariamente, non ci provarono nemmeno a ricominciare da zero, oltretutto mentre il mercato si saturava di lager industriali. La Kölsch in quegli anni è una birra scura, detta Wiess, non filtrata e rappresenta una delle referenze dei birrifici che producono per lo più birre a bassa fermentazione.

La Kölsch-Konvention Ancora una volta però lo spirito della città e quello dei birrai camminano insieme. Negli anni ‘60 la voglia di rinascita della città coincide con la necessità di cambiare la loro birra, di renderla nuovamente unica. I birrai, riuniti in un’associazione, decidono che la nuova birra deve differenziarsi dal panorama di birre che spopolano in Germania. Pur con qualche difficoltà iniziale, si decidono per intraprendere un cammino comune che inizia a delineare la Kölsch come la conosciamo oggi. La nuova birra, ad alta fermentazione, chiara e filtrata, viene proposta anche in bottiglia, così da poter essere venduta anche al di fuori delle gasthaus e veicolare l’immagine di Colonia al di fuori della città e delle zone limitrofe. Nel 1963 il Tribunale di Colonia sentenzia che la Kölsch non rappresentava soltanto una tipologia di birra ma anche la regione d’origine. Negli anni ’80 il tribunale regionale superiore riprende il pronunciamento del tribunale cittadino e conferma che Kölsch è denominazione geografica di origine protetta. Il processo è praticamente completo e in città si producono soltanto Kölsch, così il 6 marzo 1986, alla presenza del borgomastro - il sindaco - di Colonia i 24 rappresentanti dei birrifici cittadini firmano, nella cornice dell’hotel Excelsior, la Kölsch-Konvention. Le principali regole sono: « Le Kölsch devono essere prodotte secondo quanto stabilito dall’Editto sulla Purezza del 1516 « Le Kölsch possono essere prodotte solo dai birrifici di Colonia e da alcuni birrifici della zona circostante.

Le Kölsch possono essere bevute esclusivamente nello stange (il bicchiere descritto sopra) Viene creato un comitato atto a controllare che le regole della Kölsch-Konvention siano rispettate e si decide che un tribunale arbitrale deciderà su eventuali controversie comminando multe (fino a 125.000€) e pene per chi non dovesse aver rispettato gli impegni presi. Il Ministero di Grazia e Giustizia della Repubblica Federale Tedesca è l’ente di verifica preposto.

L’Unione Europea nel 1997 (con modifiche successive, l’ultima nel 2007, in conseguenza degli aggiornamenti ai regolamenti comunitari sul tema) ha rico-

nosciuto che le Kölsch siano protette e si possano fregiare del marchio IGP. I parametri produttivi ovviamente fanno diretto riferimento a quelli della KölschKonvention (si veda l’articolo Home

brewing Kölsch in questo numero per

i dettagli): in generale si tratta di una vollbier (una birra leggera), non si parla di specifici malti o luppoli - e a dirla tutta il birrificio Mühlen Kölsch usa anche una piccola percentuale di malto di frumento - bensì di profumi, gusti e sapori. Queste piccole licenze, questi piccoli margini di manovra fanno sì che a Colonia non si trovino due Kölsch identiche, ogni birrificio riesce a dare una, seppur minima, personalizzazione.

La Kölsch si beve ovunque a Colonia, ma il luogo deputato è la Brauhaus, il locale collegato direttamente al birrificio, luogo di incontro per i cittadini di ogni ceto sociale, oltre che per turisti e avventori occasionali di ogni genere. La birra sgorga da fusti a caduta di grandi dimensioni e viene servita attorno ai 7°C ovviamente nello stange. Di norma non si ordina, arriva direttamente grazie al cameriere (köbes) che gira tra i tavoli con il tipico vassoio (il kranz, con il manico e i posti assegnati per i bicchieri) ricoprendo, all’interno delle Brauhaus, un importante ruolo sociale: in pratica è il direttore d’orchestra.

A far parte del direttivo, il Kölner Brauerei Verband E.V sono oggi questi 16 birrifici: « Privatbrauerei Bischoff che lega le proprie origini a un monastero del

XIV secolo « Dom (Dom-Brauerei) fondato nel 1894 « Früh (Cölner Hofbräu P. Josef Früh) fondato nel 1904 « Gaffel (Privatbrauerei Gaffel Becker & Co) fondato nel 1908 « Privatbrauerei Ganser, dal 1869 « Gilden Kölsch Brauerei fondato nel 1863 « Küppers Kölsch Brauerei propone la sua Kölsch dal 1964 ma è una filiale del birrificio Wicküler-Brauerei (1845 a Elberfeld)

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Päffgen_Brauhaus,_credits © Raimond Spekking

Mühlen Kölsch (Brauerei zur Malzmühle Schwartz) sin dal 1858 Brauerei Päffgen dal 1883 Peters Kölsch dal 1847 Privat-Brauerei Heinrich Reissdorf fondato nel 1894, oggi è il primo produttore per quantità (oltre 600.000 hl all’anno) Richmodis-Bräu, oggi di proprietà di Gaffel, affonda le proprie radici alla seconda metà del XIII secolo Brauhaus Sion lega le sue radici al 1318 Privatbrauerei Sester dal 1805 Sünner dal 1830 Zunft Kölsch (marchio di proprietà di Erzquell Brauerei Bielstein, Haas & Co)

Oggi è il gruppo Radeberger a farla da leone controllando, attraverso una sua sussidiaria, la Haus Kölscher Brautradition, ben 7 dei marchi tradizionali sul mercato (alcuni storici): Gilden Kölsch, Küppers Kölsch, Kurfürsten Kölsch, Sester Kölsch, Sion Kölsch, Peters Kölsch, Dom Kölsch.

La Kölsch è un avamposto della città, un modo per conoscerla, se ci si trova là, o farla conoscere al di fuori delle mura. Il municipio di Colonia ha creato un percorso tra i birrifici, facilmente percorri

bile a piedi seguendo l’apposita mappa. In una giornata, se non ci si distrae troppo e ci si ricorda di fermare il köbes mettendo il sottobicchiere a coprire lo stange così da ricevere il conto anziché un’altra birra, è possibile visitare tutte le Brauhaus, assaggiare tutte le Kölsch e anche soffermarsi, per pranzo e cena, nei posti che si preferiscono. Il tutto visitando la città, totalmente ricostruita dopo la II guerra mondiale, in particolare l’elegante centro storico.

Questo è il vantaggio di queste birre, fresche, leggere, semplici da bere e il tranello per cui alcuni le definiscono delle birre noiose, banali. Il vero problema è che noi italiani siamo viziati da birre che, nate sotto il segno delle Kölsch almeno come idea di stile di partenza, se ne sono discostate largamente nell’esecuzione, personale e di carattere, dei birrai. Tra i più fulgidi esempi la prima, compianta (oggi è a bassa fermentazione, un’altra birra) Montestella del birrificio Lambrate, la Rodersch del Bi-Du, nata a Rodero, dove si trovava il birrificio originale, la Hauria di Croce di Malto, la Pecan del torinese San Paolo. Birre che, in molti casi, hanno segnato - e segnano tuttora - tappe miliari nella rivoluzione artigianale italiana, che hanno come base di partenza una Kölsch ma di cui hanno mantenuto sicuramente la freschezza e la semplicità della bevuta, la fermentazione (alta, spesso con lievito Kölsch, a temperature però piuttosto basse) ma che si sono distanziati per la luppolatura, per il corpo, insomma per il gusto dei birrai stessi; basta poco per allontanarsi da una vera Kölsch. Molti altri birrifici si sono avvicinati, con fortune alterne, a questo stile e qualcuno è anche caduto - ignoranza o supponenza, in entrambi i casi senza giustificazione - sul nome della birra attirandosi le ire dei birrai di Colonia e con la Bild che titolava più o meno “Gli italiani ci rubano la Kölsch?”. E, visto che i numeri lo permetterebbero, questo credo sia il motivo per cui non si è mai visto un evento celebrativo delle Kölsch italiane.★

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