12 minute read
IMPRENDITORIA BIRRARIA
GUIDA GALATTICA PER PUBLICAN
Diciamolo pure, è affascinante entrare in un locale e trovare scaffali stracolmi di svariate etichette di birra o un invitante bancone con decine e decine di colonne di spine. Da giovane appassionato quale ero, lo confesso, ho attraversato anch’io la fase nella quale giudicavo i locali in base all’imponenza dell’offerta birraria. Banchi lunghi come vialoni alberati o scaffali da fare invidia a un supermarket costituivano la base per far scattare gli occhi a cuoricino e per lanciarmi nelle nuove “conquiste” da bere. Insomma, che fosse bottiglia o spina, più si offriva in termini numerici più si era meritevoli di venerazione da parte mia. “Wow, 24 birre alla spina, ci devo assolutamente andare appena sono da quelle parti!” – “Cavolo che beershop fornitissimo, vale proprio la pena” o, d’altra parte, anche “Solo 6 vie alla spina? Che pxxxe!”. Ma con il tempo ho imparato, anche sulla mia pelle nel momento in cui ho dovuto gestire l’offerta birraria di vari locali, che non sempre questa regola funziona e soprattutto che non è garanzia di un gran bel posto per bere sempre bene. Dove bere bene è inteso con birre sempre “a posto” in termini di qualità e freschezza del prodotto servito. E qui entriamo nel vivo del tema trattato: Quando è giusto metter su un impianto alla spina con quasi 20 vie? Riusciremo sempre a garantire al nostro cliente una birra alla spina dignitosamente “fresca” (ovvero che non sia attaccata alle nostre spine da settimane!)
o un prodotto sugli scaffali e nei frigoriferi che non sia sempre rincorso dalla data di scadenza? Il tema diventa ancora più interessante se lo guardiamo da entrambi i punti di vista, quello del cliente e quello del publican/gestore.
Quali sono le variabili che dovrebbe considerare un publican/gestore prima di operare la scelta del numero di spine da montare o dei frigoriferi di cui dotare il locale? Innanzi tutto, verrebbe da pensare in primis alla posizione. Ovvero, il luogo dove si trova fisicamente il locale. Se apro a Milano o in un piccolo centro di montagna cambierà certamente qualcosa. In ambito birrario però, la storia italiana insegna che è una considerazione che comunque va presa con le dovute attenzioni. Di fatto, alcuni tra i locali più importanti che hanno costruito la scena birraria italiana, sia per interesse che per importanza dell’offerta (qualitativa ma anche quantitativa) sono sorti non in grossi centri abitati come Milano, Bologna, Firenze o Napoli, ma in luoghi di provincia. Nembro (BG), Atripalda (AV), Buonconvento (SI), solo per citarne alcuni. Ma ad ogni modo, è ovvio che il bacino d’utenza che offre la grande città è una base di tutto rispetto e fornisce altri spunti di analisi.
Un grosso bacino d’utenza occasionale da educare può far arrivare prima il nostro “messaggio culturale” e iniziare a farci lavorare con i numeri giusti. Di contro, in un posto di provincia la nostra clientela di partenza sarà costituita probabilmente da una piccola base locale di curiosi e da una grossa (e assolutamente decisiva!) fetta di appassionati che si sposterà da centri limitrofi, grosse città comprese. Nel secondo caso lo “start up birrario” potrà essere più o meno lento, ma giocherà tanto la capacità e l’intraprendenza del publican. Se la sua aura fidelizzante e il suo carisma nel coinvolgere il cliente con passione e competenza saranno forti, ci metterà poco a far diventare il suo locale un riferimento per un’area molto estesa. Quindi la posizione rappresenta certamente un fattore importante nel dimensionamento dell’offerta birraria, ma non senza una guida di un certo spessore dietro al bancone o una mente appassionata a portare avanti il locale.
Un publican competente, dotato di una buona dialettica e incline al dialogo e al confronto con il cliente è la vera arma vincente per rendere la posizione quasi ininfluente nella scelta del dimensionamento birrario. Vi è da dire comunque che, anche in città con una grossissima concentrazione di abitanti, purtroppo può capitare di imbattersi in locali che, nonostante i vantaggi concessi dalla migliore posizione, siano guidati senza il dovuto “trasporto” e amore per la birra artigianale. Tante spine, scarsa manutenzione, poca competenza, rotazione lentissima o concentrata sulle solite poche vie dedicate alle luppolate. Pescare una birra a posto diventa un terno al lotto. Locali senz’anima che lavorano solo per il posizionamento. E veniamo al secondo fattore. Cibo sì o cibo no? Anche questa scelta a mio parere può essere influenzata a grandi linee dalla territorialità. Territorio inteso stavolta non solo come posizionamento del locale, ma analizzato in ambito più esteso. Si entra nel campo delle abitudini locali, spesso di un’area vasta come un’intera regione o di tipicità che possono addirittura trasformarsi in un traino per il nostro locale ad impronta birraria.
Uscire per mangiare e di conseguenza bere qualcosa, uscire per bere e ordinare cibo per stuzzicare. Una frase che sposta tanto!
In alcune zone del Sud Italia è il cibo a far da padrone. Il fine settimana ad esempio è imperativo uscire per mangiare fuori casa. Il cibo accompagna buona parte delle bevute e, al netto della fetta di appassionati che possono frequentare il nostro locale, statisticamente chi viene solo per bere rappresenta in alcune aree nient’altro che una piccola minoranza. Statisticamente questa “regola” non scritta ha fatto sì che, negli anni, anche locali riconosciuti come veri e propri punti di riferimento in Puglia, Sicilia, Calabria, abbiano dovuto riadattare la loro offerta allargando sempre di più al food. Per farla breve, aprire oggi un beershop puro in alcune zone richiede molto coraggio e ci sottopone a grandi rischi d’impresa, così come dar spazio ad un’offerta esclusivamente birraria a prescindere dalla sua ampiezza. La scena romana ha dimostrato di fare storia a sé per i temi trattati. Beershop puri continuano a spuntare (anche se molti di essi hanno dovuto forgiarsi inserendo spine e snack) e anche locali dove si “beve solamente” continuano a dire la loro. Basti pensare ad un riferimento nazionale come il Ma Che siete Venuti a fa? a Trastevere dove, nonostante la stretta vicinanza con il Bir &
Food (dove si mangia), l’offerta è ristretta alla birra. Questa mentalità è pressappoco riscontrabile in molte aree del Nord Italia, dove la statistica ci consegna una scena dove i locali senza cibo sono ben amalgamati e perfettamente in linea con le abitudini locali. Anche i Beershop sono spesso concepiti con intelligenza vicino a locali dove si serve cibo, creando interessanti sinergie. L’esempio in tal senso più lampante che mi viene in mente è il Bere Buona Birra a Milano. Il cibo comunque può rappresentare un ottimo cavallo di troia per attirare dentro al locale clienti occasionali, magari attratti e fidelizzati proprio da piatti di qualità. Se già abbiamo un locale e, dopo esserci appassionati alla birra di qualità, abbiamo deciso di servire solo birre artigianali è comunque consigliabile mettere in conto che la nostra offerta food possa qualitativamente camminare di pari passo con le birre proposte. I palati degli appassionati birrari sono delle vere e proprie calamite nei confronti di tutto ciò che concerne il cibo di qualità. Insomma, se bevo bene sicuramente vorrò mangiare anche bene. Vi è inoltre da dire che anche chi, pur non essendo un abituale bevitore di birra, sia dotato di una particolare sensibilità al cibo di qualità (che sia un buon salume o un buon formaggio) non potrà che apprezzare se affianchiamo al suo piatto una buona birra. Quindi se la nostra forma mentis in cucina è votata a mantenere standard qualitativi alti, sarà più agevole proseguire in questo percorso. Che si tratti di una pizzeria che lavori con competenza in ambito di lievitazione, una hamburgheria che ad esempio selezioni personalmente le carni, un ristopub che serva piatti non banali con materia prima locale, o un ristobar che proponga taglieri con prodotti selezionati, si è già sulla strada giusta per affiancare qualità sul bere. E se non abbiamo ancora un locale? Insomma, se il mondo della birra artigianale ci ha appassionato al punto tale dal volerlo trasformare in una vera e propria professione, la scelta di servire o meno cibo diventa quasi da subito una discriminante. A prescindere da tutti gli aspetti fiscali in ambito somministrazione per spiegare i quali servirebbe un’intera copia di questa rivista, scegliere da subito se servire o meno cibo ci dà un’immediata collocazione nel mercato territoriale e ci permette di costruire la nostra identità di locale. Aspetto fiscale a parte, la scelta condizionerà anche gli investimenti (attrezzature, ecc.) e soprattutto i costi (affitti per locale più ampio, personale in cucina, ecc.). La formula più performante al momento, a mio parere, è quella del locale dotato di una cucina piccola, offerta food limitata a poche pietanze di assoluta qualità, pochi posti in sala con consequenziale scarsa incidenza del costo del lavoro. Ma su come si possa giocare la partita in ambito food cost, gestione dei costi e della materia prima, produttività, ne parleremo magari ampiamente in un altro articolo.
Quindi: Abbiamo deciso di aprire un locale birrario o di rinnovare l’offerta del nostro locale esistente inserendo birre di qualità. L’analisi del mercato è una delle prime cose che mi sento di consigliare! Ho conosciuto molti appassionati birrari che hanno aperto localini o beershop spinti esclusivamente dalla passione (cosa che comunque non deve mancare mai!) senza guardare dietro l’angolo della saracinesca che stavano per alzare, senza mai capire a chi rivolgersi, ma soprattutto senza mai programmare. Non servono studi di settore, mettersi per strada e contare quante persone passano nelle ore di punta o guardare dentro il bidone del vetro del tuo potenziale competitor più vicino. Anche se probabilmente qualcuno lo fa. L’ossessione per i numeri è qualcosa che se svilupperete da soli più in là, vi consentirà di fare un ottimo lavoro anche sul fronte gestionale. Nello specifico bastano azioni e pensieri semplici. Quanti locali esistono nella zona in cui sto aprendo? Quanti offrono birre artigianali? Si può anche mangiare? Cosa? E poi. La sera la zona è frequentata? Che tipologia di persone c’è in giro? Che azioni dovrò compiere per portare la gente nel mio localino? Focalizzandoci sulla birra: i locali intorno cosa offrono? Spine o bottiglie? Che birrifici offrono? Molto spesso si dovrà ragionare con la testa del potenziale cliente. Cosa vorrei trovare all’interno di un locale nuovo in zona? Quanta possibilità ho di diversificare la mia offerta birraria e soprattutto l’ambiente rispetto agli altri? La vostra intraprendenza potrà fare la differenza. Pensare di creare un ambiente accogliente focalizzato sul benessere del vostro cliente-tipo è già un ottimo biglietto da visita, ancora prima di determinare il dimensionamento birrario.
Il cliente verrà a bere da voi perché avete birre di qualità, trattate come si deve, ma anche perché siete riusciti a stabilire empatia con lui. L’ambiente del locale è qualcosa che molto spesso qualche publican sottovaluta. E per ambiente non intendo solo tavoli, sedie, banchi, ma quell’aura quasi magica, quella che si instaura quando si attraversa quella porta, si getta uno sguardo alla birra che sgorga dallo spillatore dentro alla pinta e subito sai che vuoi sederti a quel banco e bere. Sai già che starai bene, e che sarai come nella tua seconda casa, anche se è la prima volta che entri lì dentro, e anche se sei a chilometri da casa tua. Se siete stati appassionati clienti prima che futuri publican, sapete bene di cosa si sta parlando. Ho conosciuto publican che sottovalutavano questo aspetto, pensando che la diversificazione, a volte anche maniacale, dell’offerta fosse la carta vincente da giocare. Chiedere esclusive a distributori o direttamente ai birrifici servirà a ben poco se non si lavora sull’aspetto emozionale e sull’identità. Prodotti di nicchia o esclusivi possono essere pedine sicuramente vincenti, ma solo se avete un buon terreno di gioco e abilità nello sfruttarle.
Utilizzerete solo spine o anche bottiglie in frigo? La spina ha un fascino tutto suo, non lo possiamo negare, ma anche la bottiglia ha certamente il suo appeal in un locale birrario. Molte birre danno il meglio se servite alla spina; altre, invece, in bottiglia hanno quella marcia in più. Mi viene inoltre da pensare a tutte quelle birre tra l’altro prodotte esclusivamente in bottiglia come Orval o Rochefort, che sarebbe quasi un peccato non poter bere in un pub non dotato di un piccolo frigo per le bottiglie. Quindi a prescindere dal numero di spine, un piccolo frigo con birre da shelf life piuttosto lunga o comunque con i classici già nominati introvabili alla spina, sarebbe sempre consigliabile. Sono prodotti che hanno sempre mercato e che non avrete fretta di vendere. Inoltre, la bottiglia ha dalla sua il fattore asporto. Cosa non da poco se siete un beershop, ma anche se vendete cibo da asporto, ad esempio. La partita si gioca sul piano dell’equilibrio in relazione ai numeri che svilupperà la vostra attività. I più intraprendenti calcolano già sulla base del break even point la quantità del prodotto birra che potrà essere servita: un tipo di analisi ci può fornire un dato numerico il più delle volte abbastanza coerente. L’idea di partire con una situazione gestibile nella fase di start up è più raccomandabile. Un numero di spine adeguato alle nostre reali possibilità di garantire una rotazione abbastanza veloce dei fusti e un’offerta in bottiglia non esagerata. Se i volumi di crescita della nostra attività lo consentiranno, potremmo implementare il bancone con altre vie alla spina o un altro frigo. In fase iniziale meglio poche vie a garantire la certa freschezza del prodotto,
piuttosto che un’offerta smisurata che potrebbe generare malcontento del cliente. Quando? Nel momento in cui le nostre ottime birre iniziano a soggiornare per più tempo del dovuto attaccate al nostro impianto. Inoltre, non dimentichiamo mai l’occhio e la percezione. Meglio vedere un impianto a sei vie che lavora a regime piuttosto che “solo” sei vie montate su un immenso impianto a venti vie. Un addetto al settore o un appassionato tra i più sgamati magari vi apprezzerà, dirà “bravo, ne mette solo 6 per garantire freschezza”, ma per il neofita o comunque per la grossa fetta di clienti occasionali non sarà un bel vedere. Potreste essere considerati un locale con poca offerta rispetto alle aspettative generate dalla vista, o comunque un locale che lavora poco e non può permettersi di attaccare altre birre.
Non perdete il prossimo numero! Ci dedicheremo ad approfondiremo l’argomento dimensionamento, tirando in ballo stili birrari, tipologie di locale e cibi serviti. ★