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GESTIONE DEI LIEVITI NELLA
Produzione Birraria
Nutrizione e modalità di inoculo
Recentemente i lieviti non-Saccharomyces sono stati oggetto di studio per le loro peculiari vie metaboliche ed enzimatiche. Le ragioni di questo interesse derivano dalle crescenti critiche inerenti le fermentazioni guidate da inoculi di ceppi commerciali di Saccharomyces cerevisiae. Secondo diversi autori e birrai, l’uso esclusivo di lieviti starter di S. cerevisiae porterebbe a un appiattimento delle caratteristiche sensoriali dei prodotti finiti, per quan- to riguarda l’aspetto gusto-olfattivo, specialmente se confrontato con le fermentazioni spontanee. Tuttavia, in una fermentazione spontanea lo sviluppo e la successione di specie e ceppi diversi conferisce alla bevanda fermentata una maggiore complessità e caratteristiche sensoriali distintive al prodotto finale. I microrganismi responsabili della fermentazione spontanea, sono in parte i lieviti non-Saccharomyces, definiti anche come lieviti “indigeni” o “selvaggi” per distinguerli dalle colture esogene aggiunte al mosto (Varela, 2016). Il metabolismo di questi microrganismi è responsabile della formazione di diverse centinaia di composti attivi aromaticamente, che conferiscono alle bevande fermentate un profilo sensoriale unico ma allo stesso tempo non facilmente riproducibile. Tuttavia i lieviti indigeni, a causa della loro scarsa tolleranza all’alcol e per l’eccessiva produzione di composti secondari, sono incapaci di completare la fermentazione alcolica. Per tale ragione, nelle fermentazioni guidate, vengono spesso utilizzati in coinoculo con S. cerevisiae (Vaudano et al., 2014). L’impiego di “nuovi” microrganismi però richiede un ulteriore approfondimento delle conoscenze in termini di modalità di impiego, ovvero le tempistiche di inoculo e di nutrizione azotata, che verranno trattate nei prossimi paragrafi del presente articolo, prendendo come riferimento le produzioni di birra e idromele.
Nutrizione dei lieviti
Analogamente a quanto avviene con la nutrizione umana, ove i macro nutrienti come carboidrati, proteine e grassi vengono dosati per trovare un bilanciamento perfetto con le nostre esigenze, anche i microrganismi hanno esigenze nutrizionali specifiche per poter concludere al meglio le fermentazioni di cui spesso sono protagonisti.
Negli ambienti naturali, i lieviti possono utilizzare un’ampia gamma di composti che contengono azoto. L’assimilazione di questi composti può avvenire in modi e gradi diversi, in base alla natura chimica del composto azotato e alla specie di microrganismo che lo utilizza, regolando in genere i due aspetti di crescita/ duplicazione e di attività metabolica.
L’influenza dell’apporto di carbonio e azoto sull’aroma fermentativo del lievito è ben nota, dato che diversi studi si sono concentrati su questo aspetto, soprattutto per quanto riguarda la produzione di vino. I principali composti fruttati e/o floreali attivi nell’aroma del vino sono attribuibili al metabolismo dei lieviti durante la fermentazione alcolica e la loro sintesi può essere fortemente influenzata dalle pratiche di vinificazione. Sul mercato enologico sono disponibili numerosi coadiuvanti (enzimi, minerali argillosi, acidi organici, antiossidanti e nutrienti per il lievito) che possono favorire un decorso regolare della fermentazione alcolica e influire sulla qualità del vino finale (Alfonzo et al., 2021; Claus et al., 2018). A seconda della composizione della matrice da fermentare, il lievito incontrerà condizioni diverse, essendo l’ambiente di fermentazione variabile in termini di pH, acidità, zuccheri disponibili, azoto assimilabile, vitamine, sali minerali, presenza di fattori inibitori. Analogamente, le esigenze nutrizionali variano anche in relazione alle specie di lievito utilizzate. Facendo un’analogia, così come la dieta di un bodybuilder sarà sicuramente diversa rispetto a quella di una persona sedentaria o rispetto a quella di un altro mammifero, anche per i lieviti di diverse specie vale lo stesso discorso, in quanto le loro esigenze in termini di zuccheri, composti azotati e composti minerali saranno dipendenti dal loro metabolismo, e di conseguenza variano sia da specie a specie che da ceppo a ceppo. Un chiaro esempio è il mosto di miele da cui si realizza l’idromele, in quanto risulta carente di azoto prontamente assimilabile (APA) dal lievito, che solitamente è di circa quattro volte inferiore rispetto alla soglia ottimale di fermentazione di 150 mg/L (Ribéreau-Gayon et al., 2006).
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Il contenuto in APA nel mosto-miele è anche dipendente dal rapporto di diluizione con acqua. Questa carenza è causa di arresti o rallentamenti della fermentazione alcolica, portando alla sintesi di cattivi odori causati principalmente da composti solforati di origine microbica. Per evitare l’insorgenza di questa comune problematica, normalmente la carenza di azoto nei mosti-miele viene compensata attraverso l’aggiunta di fosfato di ammonio (DAP). Almeida et al. (2020) hanno evidenziato come l’abitudine di integrare il mosto di miele con DAP o solfato di ammonio abbia portato a un maggiore consumo di zucchero, a una maggiore gradazione alcolica e quindi ad una migliore resa fermentativa. Roldán et al. (2011) hanno utilizzato con successo il polline, la più importante fonte di proteine, lipidi, minerali e vitamine per la sopravvivenza delle api, come attivatore fermentativo per mi- gliorare il corso della fermentazione e le caratteristiche finali dell’idromele. Nella produzione di birra, recentemente, si sta prestando particolare attenzione alla fermentazione delle cosiddette birre “High Gravity” (HG). Oltre a essere un tipo di birra ad alto contenuto alcolico, le birre HG possono essere utilizzate per aumentare l’efficienza produttiva del birrificio. Questo metodo è utilizzato principalmente per le birre lager e prevede quasi sempre l’aggiunta di sciroppi zuccherini in un mosto standard, sbilanciando così la composizione del mosto a svantaggio dell’azoto (Lei et al., 2012). Diversi autori si sono concentrati su questo aspetto. Li et al. (2019) hanno appli- cato con successo gli idrolizzati proteici della farina di noce sgrassata come fonte di azoto nel mosto ad alta gravità, migliorando la crescita e la vitalità del lievito, l’accumulo di glicogeno e di trealosio, nonché l’aumento degli alcoli superiori e degli esteri, ottenendo un gusto più equilibrato nella birra finale. Yang et al. (2018) hanno utilizzato gli aminoacidi chiave per il lievito di birra (lisina e leucina), sotto forma di peptidi e miscele di aminoacidi semplici, per migliorare le prestazioni della fermentazione del lievito su un mosto di birra ad altissima gravità a 24 gradi Plato. Ciosek et al. (2020) hanno valutato l’integrazione con ioni magnesio e zinco per la produzione di birra acida, dove i batteri lattici (BL) sono impiegati per la produzione di acido lattico in una fermentazione mista con lieviti, dimostrando che l’integrazione di ioni può influenzare positivamente o negativamente la crescita dei ceppi di BL, la diminuzione del pH, la produzione di acido lattico e le concentrazioni di composti volatili. Infine, Ribeiro-Filho et al. (2021) hanno studiato l’effetto di nove diversi trattamenti sperimentali (azoto ammoniacale, fosfato inorganico, potassio, magnesio, rame, zinco, ferro, manganese e una miscela composita) su tre diversi ceppi di Saccharomyces, evidenziando cambiamenti significativi in termini di composti aromatici tra i trattamenti.
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In sintesi, soprattutto quando le condizioni di fermentazione dei mosti sono particolarmente complesse, come nel caso delle birre ad altissima gravità e delle birre acide, è necessario prestare attenzione alla nutrizione dei microrganismi, per garantire l’assenza di difetti dovuti a fermentazioni bloccate o in presenza di stress nutrizionali.
Strategia di inoculo delle colture fermentative
La crescente domanda di bevande innovative e uniche ha creato numerose opportunità e strategie per creare nuovi prodotti fermentati, come birre o idro- meli (Habschied et al 2020; Iglesias et al., 2014). Il grande potenziale di questo segmento di mercato è confermato dal costante aumento delle unità produttive di birrifici e idromele in molti Paesi, incoraggiato dalla volontà dei consumatori di provare sempre nuovi prodotti. Per raggiungere questo obiettivo, la strategia di aumentare la complessità microbica e fermentativa sembra promettente. Sulla base del successo consolidato del Lambic belga e, in generale, delle birre a fermentazione mista, sono in corso diversi sviluppi in questa direzione. Nel settore vitivinicolo, numerosi studi hanno dimostrato che l’impiego di più ceppi di lievito, utilizzati in co-inoculo o in inoculo sequenziale, è una strategia diffusa e consolidata per aumentare la complessità e il valore qualitativo della produzione di vino. Questo argomento è infatti oggetto di studio in Italia da diversi anni, come dimostra lo studio condotto da Zironi et al. (1993).
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Numerose specie, tra cui Torulaspora delbrueckii (Simonin et al., 2018), Metschnikowia pulcherrima (Canonico et al., 2019), Kluyveromyces marxianus (Barone et al., 2021), Candida zemplinina (Di Maio et al., 2013), Pichia kluyveri (Hu et al, 2021), Lachancea thermotolerans (Vaquero et al., 2021) sono state impiegate in enologia nell’ultimo decennio per perseguire diversi obiettivi, come l’acidificazione microbica, la bioprotezione pre-fermentativa, l’aumento del glicerolo, la riduzione dell’etanolo e in generale il miglioramento della qualità complessiva dei vini.
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Nel settore birrario, con qualche anno di ritardo rispetto al settore vitivinicolo, si stanno diffondendo le stesse pratiche per ottenere produzioni innovative con fermentazioni guidate, utilizzando ceppi non-Saccharomyces. Le principali ragioni per l’utilizzo di lieviti non convenzionali nella produzione di birra includono la bio-aromatizzazione, l’acidificazione, lo sviluppo di enzimi che rilasciano precursori aromatici, la produzione di birre a basso contenuto calorico e alcolico, la produzione di birre probiotiche o arricchite (Holt et al., 2018; Puligundla et al., 2021). L’utilizzo di più specie richiede uno studio approfondito sulle interazioni tra i diversi microrganismi, considerando la compatibilità e la competizione tra i ceppi coinvolti nella fermentazione. Un’altra variabile da considerare è che l’uso di diversi microrganismi può avvenire in fasi temporalmente distinte.
I BL sono spesso utilizzati da soli nella pratica del kettle-souring, inoculando le specie batteriche selezionate (Lactiplatibacilluss spp. o Pediococcus spp.) in assenza di luppolo, prima della bollitura. Il mosto viene quindi lasciato acidificare per 24-48 ore fino al raggiungimento del pH desiderato. Successivamente la birrificazione procede nel modo classico, con bollitura, luppolatura, raffreddamento, inoculo del lievito e successivo avvio della fermentazione primaria. Tra i vantaggi di una separazione temporale dell’inoculo delle due specie, con la tecnica dell’inoculo sequenziale, vi è un maggiore controllo delle condizioni di temperatura, ossigenazione e nutrizione per ogni coltura singolarmente, consentendo un maggior controllo e replicabilità della produzione.
Per migliorare la componente organolettica di origine biologica (bio-flavouring), Holt et al. (2018) hanno esaminato 17 specie di lieviti non convenzionali, inoculandoli 48 ore prima dell’uso di un ceppo commerciale di S. cerevisiae. Canonico et al. (2016) hanno utilizzato il ceppo T. delbrueckii DiSVA 254 in coinoculo con il ceppo starter commerciale S. cerevisiae US-05 in diversi rapporti (1:1, 10:1, 20:1). I dati ottenuti hanno dimostrato che il ceppo non-Saccharomyces influenzava il profilo analitico e aromatico della birra quando il rapporto di inoculo (T. delbrueckii/S. cerevisiae) era superiore a 10:1. In queste condizioni di fermentazione mista, si è registrato un maggior consumo di APA, probabilmente legato alla sintesi di composti aromatici.
La presenza di più ceppi inoculati di specie diverse può essere migliorata modulando parametri come la temperatura. In ogni caso, la presenza di un ceppo secondario influenza la crescita di quello principale, come riportato da Gobbi et al. (2013).
Nell’idromele, ad oggi sono stati pubblicati pochi lavori sull’uso combinato di più lieviti. Li e Sun (2019) hanno impiegato separatamente due diversi ceppi commerciali di L. thermotolerans e T. delbrueckii, in combinazione con il ceppo enologico commerciale S. cerevisiae EC1118, inoculati in sequenza dopo 48 ore dal lancio del ceppo non-Saccharomyces nel mosto di miele di vitex. La combinazione L. thermotolerans/S. cerevisiae si è distinta per il più alto aroma di miele, la qualità del gusto e l’impressione generale, mentre T. delbrueckii/S. cerevisiae ha migliorato l’aroma fruttato e infine l’uso della coltura singola di S. cerevisiae EC1118 ha prodotto un idromele sbilanciato, con note pronunciate di “sapone”, “cera di candela”, “oleoso” e “grasso”.
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Lopes et al. (2020) hanno invece inoculato Meyerozyma caribbica e S. cerevisiae contemporaneamente nel mosto di idromele; in questo caso il non-Saccharomyces è stato inoculato in una concentrazione maggiore rispetto a S. cerevisiae, per aumentarne la dominanza e la competitività nelle prime fasi della fermentazione alcolica.
Conclusioni
Come evidenziato dagli studi sopra citati, non sembra esistere una modalità di inoculo delle colture che garantisca risultati migliori di altre in assoluto. Piuttosto, la scelta di un inoculo sequenziale rispetto a un co-inoculo deve essere valutata caso per caso, in base al tipo di matrice da fermentare, alle condizioni di pH, zuccheri, APA, temperature e compatibilità dei ceppi utilizzati. ★
Bibliografia: movimentobirra.it/bibliografia