![](https://assets.isu.pub/document-structure/230628075936-2c96ad510ab07ad1a17f299400b32b62/v1/a48b7ddcaa354fdb075358587c0a010d.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
14 minute read
BIRRA E CIOCCOLATO
Birra e cioccolato: un matrimonio che potrebbe forse sorprendere il neofita, ma che l’appassionato birrofilo ormai dà quasi per scontato: mentre solo pochi vini, scelti fra quelli liquorosi, si abbinano bene al cioccolato, alcuni stili di birra sembrano fatti apposta per accompagnare dolci a base di cacao o anche cioccolato in purezza. In questo articolo ci concentriamo però sull’aspetto che più interessa homebrewer e birraio: il cioccolato nella birra. La creatività dei birrai artigianali e degli homebrewers da tempo ha spaziato anche nell’utilizzo diretto di questo ingrediente, utilizzo che non è comunque una novità: si pensi alla tradizionale birreria Young’s che da anni ha in repertorio la sua classica Chocolate Stout. Il cioccolato (o meglio, il cacao) sembra inserirsi in modo naturale soprattutto nelle ricette di alcuni stili di birra, stout (imperial e non) in particolare. Occorre anzitutto chiarire che spesso l’aggettivo chocolate riferito a una birra non sottintende necessariamente l’utilizzo di questo ingrediente. A volte si fa riferimento al chocolate malt, un tipo di malto ottenuto mediante una tostatura prolungata e a temperature elevate, ma non altrettanto spinta come quella per ottenere un black malt o un roasted barley. In verità il chocolate malt pur avendo sentori di cioccolato richiama maggiormente gli aromi di caffè, ma è l’insieme della ricetta, con l’uso di altri malti tostati o caramellati oltre al chocolate, che permette di ottenere una birra i cui aromi e gusto richiamano il cioccolato. A questo punto è bene fare una distinzione fra cacao e cioccolato. Il primo è l’ingrediente (più precisamente, le fave della pianta di cacao), il secondo è un lavorato ottenuto con una procedura piuttosto lunga e complessa. Sarebbe quindi più corretto parlare di birre al cacao, visto che questo, come vedremo, può venire utilizzato in varie forme, fra le quali quella di cioccolato vero e proprio non è la più frequente.
Dal cacao al cioccolato1
Il cacao (Theobroma cacao) è un albero sempreverde appartenente alla famiglia delle Malvaceae, originario dell’America. Il frutto (detto cabossa) è di forma allungata di circa 15-30 cm di lunghezza e 8-10 cm di larghezza. All’interno di una polpa sono racchiusi da 25 a 40 semi a forma di mandorla, di colore bruno-violaceo, contenenti zuccheri, grassi, albuminoidi, alcaloidi e coloranti. Tra questi alcaloidi, i più importanti sono la teobromina e la caffeina (contenuta in quantità simile al caffè): il primo è un euforizzante mentre il secondo è un eccitante. Nel processo di produzione, si fanno fermentare assieme polpa e semi per 5 o 6 giorni con una temperatura che si assesta tra i 45 e i 50 °C. La fermentazione inattiva il seme e provoca il rammollimento della polpa rimasta aderente al seme, che viene eliminata; si ha un processo di leggero addolcimento del cacao, una colorazione bruna del seme, l’ossidazione dei polifenoli e la formazione dei precursori d’aroma. I semi vengono sottoposti ad essiccazione al sole per 7-15 giorni per bloccare la fermentazione e per ridurre il contenuto di umidità.
La tostatura (o torrefazione) dura fra i 70 e i 120 min, con temperatura variabile in funzione del prodotto che si vuole ottenere (cacao da cioccolato o cacao in polvere). Si ha un’ulteriore riduzione dell’umidità del frutto e la formazione dell’aroma del cioccolato mediante l’instaurarsi delle reazioni di Maillard e l’ossidazione dei composti fenolici, con evaporazione di acido acetico e di altri esteri volatili negativi per l’aroma. Altro ruolo importante è quello igienico - sanitario, dato che così si uccidono microrganismi sopravvissuti ai precedenti trattamenti. Si procede poi all’eliminazione delle bucce. Quello che si ottiene a questo punto sono le fave di cacao (cocoa nibs), che possiamo considerare l’ingrediente “base” per le successive lavorazioni e impieghi: produzione di cacao in polvere, burro di cacao, cioccolato o altri utilizzi alimentari… inclusa l’aromatizzazione delle birre.
Le fave di cacao vengono macinate ottenendo la cosiddetta grue di cacao
(o granella). La grue viene riscaldata e grazie alla liquefazione dei grassi viene trasformata in una massa viscosa detta pasta o massa o liquore di cacao (cocoa liquor). La composizione della massa di cacao (che corrisponde a quella delle fave o grue) è approssimativamente2: Grassi: 53%; Carboidrati: 17%; Proteine: 11%; Tannini: 6%; Teobromina: 1.5%.
Questa massa di cacao viene sottoposta a pressione per ottenere la separazione dei grassi, ottenendo da una parte il burro di cacao, utilizzato nell’industria della cosmesi; dall’altra la polvere di cacao, ampiamente commercializzata, con eventuali aggiunte di altri ingredienti, come cacao solubile per la preparazione di bevande: la classica cioccolata calda con le sue varianti. Sebbene burro di cacao e cacao in polvere rappresentino una cospicua fetta dei prodotti ottenuti dalla lavorazione, una parte di essi (insieme alla massa di cacao) viene destinata alla produzione del cioccolato. Viene effettuata una miscelazione di questi tre ingredienti, apparentemente ritornando alla composi- zione originale: in realtà le proporzioni variano a seconda del tipo di cioccolato, per cui in certi casi il contenuto di burro di cacao può essere maggiore rispetto a quello originale delle fave (o della massa). Oltre a burro, polvere e massa, vengono aggiunti zuccheri e in certi casi aromi di vario genere. Le successive fasi (concaggio e tempra) sono rivolte ad ottenere la consistenza e le proprietà meccaniche tipiche del cioccolato: in sintesi, si tratta di scaldare e mantenere la miscela ad una determinata temperatura e di un successivo raffreddamento controllato e graduale che permetta la corretta cristallizzazione, ottenendo un prodotto dalla caratteristica consistenza e “palato”, sufficientemente rigido ma anche facile da sciogliere.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230628075936-2c96ad510ab07ad1a17f299400b32b62/v1/62b103fe23dc606efc4e97785041eff8.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
Cioccolato o cacao?
Nella birra, i grassi sono controindicati: oltre a non apportare benefici, sono dannosi soprattutto per la ritenuta della schiuma e per l’aspetto. Fra ingredienti originali e lavorati, l’unico da scartare è quindi naturalmente il burro di cacao, mentre in altri casi dovremo fare comunque i conti con un certo contenuto di grassi. L’uso di vero e proprio cioccolato non è da scartare, facendo attenzione alla sua composizione; la mia considerazione è che comunque tutto il processo di lavorazione dalle grue di cacao in poi è finalizzato principalmente ad ottenere caratteristiche di “palato” specifiche, che di per sé non interessano per l’aromatizzazione della birra, quindi l’uso di cioccolato non comporta particolari vantaggi rispetto all’ingrediente originale. Il momento e la modalità dell’inserimento del cacao/ cioccolato nel ciclo produttivo della birra dipendono dal tipo di ingrediente e discendono da considerazioni sia organolettiche che pratiche, similmente all’introduzione di spezie, erbe e altri ingredienti in generale.
Per il cacao o derivati, non ritengo ci sia sostanziale differenza organolettica fra introduzione a freddo o caldo, o perlo-
Tecniche Di Utilizzo
Esistono diversi metodi per utilizzare erbe e spezie nella birra, che differiscono per la fase produttiva in cui vengono inserite e per il metodo di estrazione (a freddo o a caldo). La scelta, oltre a essere guidata dalle considerazioni di natura pratica, può essere ispirata all’utilizzo tipico degli ingredienti in altri ambiti, ad esempio, la preparazione di tisane o l’aromatizzazione di liquori:
1. infusione negli ultimi minuti di bollitura o in raffreddamento, a similitudine della luppolatura da aroma;
2. infusione a freddo durante la fermentazione, a similitudine del dry-hopping;
3. preparazione di una “tisana” con infusione delle spezie/erbe in poca acqua e aggiunta della parte liquida al momento di imbottigliare;
4. infusione degli ingredienti in poco alcool puro alimentare o in distilla- meno motivi per evitare l’inserimento a caldo. Gli aromi tipici del cacao sopravvivono infatti a lunghe lavorazioni a caldo, per non parlare della preparazione della cioccolata calda come bevanda.
Quale birra scegliere per essere aromatizzata dal cacao?
La scelta prediletta nella gran parte dei casi, sia da produttori commerciali che casalinghi, è quella di stout (o porter), soprattutto imperial stout. La ragione è duplice: questi stili di birra hanno di per sé aromi che spesso richiamano il cioccolato, quindi l’aggiunta di cacao vero e proprio ben si amalgama nell’equilibrio della birra. Un altro motivo è che una parte importante delle sensazioni provate nella degustazione del cioccolato è quella relativa a consistenza e palato, che non vengono veicolate dall’aggiunta dell’ingrediente. Birre molto corpose e morbide come imperial, oatmeal o anche sweet stout ben si prestano a riprodurre sensazioni boccali analoghe. Nulla vieta di provare a inserire aromi più o meno intensi di cacao senza voler necessariamente ricreare un vero e proprio “effetto cioccolato”, quindi con birre anche meno corpose oppure che non hanno di per sé aromi particolarmente spinti di cioccolato. Nel primo caso possiamo pensare a una belgian strong dark ale, aromaticamente compatibile, ma dal corpo non eccezionalmente robusto per via dell’elevata attenuazione. Due esempi sono l’eccellente Noel Chocolate di Baladin e la Kasteel Barista Chocolate Quad. Un’altra possibilità è rappresentata da un barley wine, in cui l’aroma di cioccolato è meno presente nella birra base ma ben si amalgama, ricreando nel bicchiere un classico abbinamento cibo-birra. Anche in questo caso le proposte commerciali non sono to, e aggiunta della parte liquida al momento di imbottigliare. Tutti i metodi funzionano: l’efficacia di estrazione è maggiore con il metodo 4), minore con il 2), intermedia con l’1) e il 3). I metodi 1) e 3) prevedono un’estrazione a caldo, il 2) e il 4) a freddo: nella scelta si deve tener conto delle caratteristiche degli ingredienti. La stessa estrazione a caldo può avere effetti diversi a seconda della temperatura, ad esempio fra bollitura o fase di raffreddamento. I metodi 3) e 4) hanno il vantaggio di permettere un dosaggio ponderato: è possibile cioè aggiungere il liquido (tisana o alcool “aromatizzato”) al mosto un poco alla volta, mescolando e assaggiando fino ad ottenere l’effetto desiderato (per quanto non sia facile la valutazione su una birra ancora immatura e in condizioni di carbonazione e temperatura diverse dall’ideale). Inoltre, tutte le tecniche tranne la 1) permettono di destinare all’aromatizzazione solo una parte della birra prodotta, cosa spesso utile per questo genere di sperimentazioni. I metodi 3) e 4) (infusione in alcool o acqua calda) rispetto al 2) hanno anche il vantaggio di permettere una sanitizzazione/sterilizzazione dell’ingrediente. molte: ricordiamo la Tosta di Pausa Café, dove tuttavia la percentuale di cacao (0.01%) è davvero esigua. Altre scelte ancora meno frequenti ma interessanti possono essere bock, doppelbock, brown ale o mild e persino una Extra Special Bitter, come suggerisce John Nanci di Chocolate Alchemy. 3 In ogni caso – come in genere per tutte le aromatizzazioni – si può scegliere se caratterizzare fortemente il prodotto come “birra al cioccolato” o inserire l’aroma in modo delicato, a complemento più o meno evidente della palette aromatica della birra. Esaminiamo ora le varie forme dell’ingrediente e le relative tecniche di utilizzo.
Attenzione che con il metodo 4) si ha un innalzamento del grado alcolico, che potrebbe sbilanciare la birra. Se si vuole limitare questo effetto, usare la minima quantità di alcool che permetta l’infusione degli ingredienti. Anche con i metodi 3) e 4) è possibile effettuare l’aromatizzazione durante la fermentazione (invece che al momento di imbottigliare), inserendo nel mosto anche la parte solida oltre che quella liquida.
Fave di cacao
L’uso di fave di cacao sembra essere il modo più diretto e naturale di utilizzare il cacao nella birra e il più utilizzato dai birrifici. Le fave vanno macinate in modo grossolano in un mulino impostato con distanza ampia fra i rulli (o dischi); per piccole quantità si può usare un mattarello. In alternativa si possono acquistare fave già macinate (grue).
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230628075936-2c96ad510ab07ad1a17f299400b32b62/v1/6c936945115114f86f103ba111e1d017.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230628075936-2c96ad510ab07ad1a17f299400b32b62/v1/e2a768fdb281c78585b6c5c6107c5e42.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
Sono possibili quasi tutte le tecniche: inserimento a caldo, nel mash o a fine bollitura, oppure a freddo, in maturazione stile “dry-hopping”. La tisana a fine fermentazione mi sembra meno pratica: l’estrazione tramite alcool è efficace, ma il volume delle grue è ben maggiore rispetto ad una spezia e la quantità di alcool richiesto per immergerle è di conseguenza notevole, tanto da provocare un innalzamento del grado alcolico che può risultare eccessivo. Da parte mia ho utilizzato le fave di cacao (macinate da me) in una oatmeal stout e una belgian strong dark ale, sempre usando la tecnica dell’estrazione alcolica: ho usato il minimo possibile di alcol alimentare diluito tra i 40° e i 70°, quando basta per farlo assorbire dalle grue senza realmente sommergerle, con un innalzamento del grado alcolico stimato in 1% circa. Il risultato è stato soddisfacente: la tenuta di schiuma si è un po’ deteriorata (come da previsione) ma nei limiti dell’accettabile; difetto compensato da un’ottima riuscita a livello organolettico. Alla luce della mia esperienza, la dose di grue di cacao può variare dai 25 ai
40 g per litro per avere un effetto ben avvertibile; i birrifici solitamente usano dosi inferiori, ma quando ho utilizzato 15 g/l il risultato è stato molto delicato, soprattutto confrontato con la birra base non aromatizzata che già aveva sentori di cioccolato.
Pur avendo utilizzato con successo l’estrazione alcolica, consiglio di provare anche con l’inserimento a fine bollitura, con dosi paragonabili a quelle sopra descritte. L’utilizzo a freddo, stile dryhopping è probabilmente efficace, ma non permette la contestuale sterilizzazione dell’ingrediente: si tratta quindi di assumersi un rischio calcolato. Le fave di cacao, molto utilizzate nei paesi sudamericani, sono facilmente reperibili online sotto forma di grue, quindi pronte per l’utilizzo. Citiamo infine il possibile utilizzo sotto forma di pasta di cacao, talvolta reperibile come ingrediente per gli artigiani cioccolatai.
Bucce di cacao
Esse sono generalmente considerate un prodotto di scarto della lavorazione, utilizzabili al più per uso agricolo o come combustibile; nei paesi dell’America Latina, come in Perù, sono tradizionalmente utilizzate per la preparazione di tisane gradevoli e corroboranti, visto il loro ottimo aroma di cacao. Le proprietà salutari delle bucce sono state analizzate alla luce del loro alto contenuto di flavonoidi, e risultano anche avere un’elevata concentrazione di Teobromina.4 Non avendo significative quantità di grassi ma solo le sostanze aromatiche del cacao, sembrano essere molto interessanti per l’uso nell’aromatizzazione della birra. La mia esperienza personale non è stata particolarmente soddisfacente e significativa: utilizzata in dry-hopping in una Imperial Stout, l’effetto non è stato quasi avvertibile, forse per la dose piuttosto prudenziale, seppur non trascurabile (ca 12 g/l). Volendo ripetere l’esperienza, aumenterei le dosi almeno a quelle suggerite per le grue, se non di più (ad esempio 30 g/l). L’utilizzo più congeniale, affine al suo impiego tradizionale potrebbe essere quello di tisana all’imbottigliamento, sebbene la quantità di acqua richiesta può essere tale da diluire un po’ troppo la birra. L’alternativa è a fine bollitura, anche se gli aromi volatili potrebbero non sopravvivere fino alla birra finita. Come si può vedere, c’è margine per sperimentazioni, senza escludere un utilizzo complementare alle altre tecniche e forme di cacao. Da qualche tempo sembra che l’utilizzo di bucce di cacao per tisane si sia esteso al di fuori dell’America Latina, per cui sono ora facilmente reperibili online. Considerato che in origine si tratterebbe di un prodotto di scarto, i prezzi sono piuttosto alti rispetto ad un approvvigionamento diretto.
Polvere di cacao
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230628075936-2c96ad510ab07ad1a17f299400b32b62/v1/473731f85dcec6f17c09697823b6adec.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
Il cacao in polvere può sembrare a prima vista un ingrediente artificiale, o per lo meno una scorciatoia, un po’ come utilizzare l’estratto di malto o il “kit” per fare la birra. In realtà, dato che la polvere di cacao è la parte che rimane dopo aver estratto il burro di ca- cao, il suo uso è interessante, poiché la quantità di grassi, pur se non eliminata, è decisamente ridotta!
Di per sé è piuttosto amara e acidula, caratteristiche che in certi casi (processo di tipo “olandese”) vengono modificate con processo di alcalinizzazione che riduce l’amaro e migliora la solubilità, a scapito della concentrazione dei flavonoidi, benefici per la salute. La composizione del cacao in polvere risulta essere: 5 Carboidrati: 58-60%, di cui fibre: 33-37%; grassi 14%; proteine 20%; acqua 3%, oltre a un contenuto elevato di minerali.
Attenzione che il cacao in polvere in commercio potrebbe avere una composizione diversa, soprattutto per la presenza di altri ingredienti, tra cui lo zucchero. Ho utilizzato la polvere di cacao in due occasioni, per una sorta di Black Ipa e una Dubbel. In entrambi i casi l’ho impiegata sotto forma di tisana, ovvero una sorta di “cioccolata calda” perché mi sembrava più coerente con il suo utilizzo standard e per poter destinare all’esperimento solo una parte della cotta; in una delle occasioni ho utilizzato per la tisana parte della birra stessa al posto dell’acqua. Per la BIPA ho inserito l’infuso all’imbottigliamento, ma il discioglimento non è stato ottimale, compromettendo aspetto e in parte il palato della birra. Per la Dubbel l’inserimento è avvenuto in fase di fermentazione (nel secondario) con risultati leggermente migliori anche se non del tutto soddisfacenti. A livello organolettico, l’aggiunta del cacao, pur avvertibile, ha avuto un effetto marginale, dovuto probabilmente alle dosi molto prudenziali di circa 6 g/l. Alla luce di quanto sopra, proverei il cacao in polvere in dosaggio tra i 15 e i 25-30 g/l, preferibilmente a fine bollitura o flame out.
Cioccolato
Come abbiamo già osservato, la lavorazione che si effettua per ottenere il cioccolato non presenta ai nostri fini vantaggi rispetto a cacao, ma neppure particolari controindicazioni. È necessario selezionare il cioccolato, non solo in base alla sua origine varietale ma soprattutto per la composizione, evitando quello con maggiore presenza di burro di cacao (grassi) che potrebbe essere in percentuale ancora maggiore rispetto al cacao originale. Gli zuccheri, solitamente presenti, non sono un grosso problema perché in gran parte saranno fermentati. Attenzione; teniamo presente che se scegliamo un cioccolato con meno cacao (e più zuccheri), il burro di cacao sarà in quantità minore, ma proporzionalmente lo sarà anche il resto delle sostanze aromatiche del cacao. Personalmente non ho mai utilizzato il cioccolato nella birra; alcuni birrifici lo usano dopo averlo sminuzzato/grattugiato. Le dosi da utilizzare dovrebbero rispecchiare quelle indicate per le grue, di simile composizione, mentre le tecniche sono simili a quelle suggerite per il cacao in polvere.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230628075936-2c96ad510ab07ad1a17f299400b32b62/v1/78c510369310931f5b787cfc1666fb9f.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
Tips from the PROs
Le indicazioni di mastri birrai e homebrewer esperti non sono del tutto concordi su quantità e metodi di utilizzo.
Fra gli articolisti della rivista americana Brew Your Own, Terry Foster preferisce fave o cioccolato in late boil, sostenendo che parte dei grassi si depositi nel trub, mentre il collega Michael Toinsmere preferisce usare polvere di cacao sciolta in acqua calda a fine fermentazione. Garrett Oliver di Brooklyn Brewery sostiene che l’aggiunta di fave a fine fermentazione possa ridurre l’estrazione di grassi grazie all’alcool presente, ma paventa che una presenza prolungata delle grue in maturazione possa provocare l’estrazione di tannini.6
Wayne Wambles di Cigar City Brewing usa le grue in fermentazione/maturazione, con un sistema in cui parte del mosto viene fatta ricircolare in un pic- colo serbatoio con le grue. Chris Mayne di Northshire Brewery usa una piccola quantità di cioccolato in bollitura per una stout più delicata, mentre per la Chocolate Apocalyps introduce grue nel mash, cioccolato in bollitura e ancora grue (sterilizzate in autoclave) a fine fermentazione. Anche Fabio Brocca di Lambrate usa le grue di cacao in maturazione per la sua Black Porter. Per quanto riguarda le dosi, sono in genere decisamente più basse rispetto a quelle che ho suggerito più sopra: Foster 5-7 g/l, e anche Wambles non si spinge oltre, mentre il mastro cioccolatiere John Nanci di Chocolate Alchemy è più generoso, suggerendo almeno 10/12 g/l. La differenza può essere il fatto di introdurre il cacao come complemento a una birra con aromi simili, rispetto all’affidarsi al solo cacao per una vera e propria “birra al cioccolato”. Non vi è quindi una risposta univoca su tecniche, ingredienti e dosi raccomandate, ma confido che il materiale raccolto per questo articolo e la condivisione della mia esperienza possa fornire delle basi per ulteriori sperimentazioni da parte di birrai casalinghi e pro.★
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230628075936-2c96ad510ab07ad1a17f299400b32b62/v1/d95101f61e2d073f916aaa9e9d4f941f.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
Abbaye De Chocolate
Note:
1. sintesi da wikipedia.org
2. Wolke, Robert L. (2005). What Einstein Told His Cook 2, The Sequel: Further Adventures in Kitchen Science (Hardcover). W. W. Norton & Company. p. 433
3. Dave Green, Brewing with chocolate: tips form the Pro BYO, October 2018
4. https://www.cacaoteaco.com/blogs/blog/ health-benefits-of-cacao
5. “Cocoa, dry powder, unsweetened per 100 g” USDA Food Data Central, 2020
6. Terry Foster, Brewing with chocolate, Brew Your Own, Ott 2015
Clone Chimay Blue con aggiunta di cacao
Lievito
Wyeast 1214 Belgian Abbey Ale (1l starter)
Acqua residuo fisso ca. 180, non trattata
Ammostamento di grani e fiocchi
45min @ 63 °C poi 72 °C 20 min e fino a conversione.
(cassonade brune o muscovado)
Grue di cacao: 35 g per ogni litro di birra destinata ad essere aromatizzata
OG 1085 FG 1014 ALC 9.5% (tra 10% e 10.5% la versione aromatizzata) IBU 30 Quantità per 10 l. Luppoli
Bollitura 60 min. con aggiunta dello zucchero
Pitch dello starter di lievito a 22 °C, lasciare salire fino a 24 °C
Fermentazione 7-10 gg prima di trasferimento in secondario (o spurgo dei lieviti)
Maturazione 7 gg
Per l’aromatizzazione
Immergere le fave di cacao tostate, sbucciate e frantumate, 35 g per ogni litro di birra, in altrettanti ml di alcool alimentare diluito a 40° o in altrettanto distillato. Lasciare per alcune ore (6-12), poi unire al mosto in maturazione, sia il liquido che le fave (in una hop bag, appesantita perché non galleggi), per alcuni giorni. In alternativa, aggiungere le grue negli ultimi 10 min di bollitura. Priming 6.5 g/l con aggiunta di lievito F2 per la rifermentazione.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230628075936-2c96ad510ab07ad1a17f299400b32b62/v1/60bc3887e14134f5c96a86aea9cbfa79.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230628075936-2c96ad510ab07ad1a17f299400b32b62/v1/84af265491b520a2088ed4b873284bbe.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/230628075936-2c96ad510ab07ad1a17f299400b32b62/v1/e96148d6ad38b58da86609057c8f4ffc.jpeg?width=720&quality=85%2C50)