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Birra e ghiaccio: da nemici mortali ad amici inseparabili
Che cosa c’è di più accattivante in estate di una bella birra fredda, con tutta la sua deliziosa schiuma che tracima dal boccale? Sì, certo, i gusti sono gusti e magari a molti la birra non piace né in estate né in inverno, ma non c’è dubbio che questa sia l’immagine classica dell’antica bevanda ottenuta dalla fermentazione del malto d’orzo. Bene, fino all’invenzione del freddo artificiale la birra era una cosa del tutto diversa; come il vino, ma forse più del vino, questa bevanda ha subito un’evoluzione straordinaria negli ultimi 150 anni. Sia chiaro, la birra che quasi sempre beviamo oggi era conosciuta anche prima dell’invenzione del freddo artificiale compiuta dai vari Carrè e von Linde a partire dalla seconda metà del XIX secolo, ma produrla era estremamente difficile e costoso, per cui quello che si beveva in giro per il mondo era un alcolico completamente diverso e che generalmente si consumava a temperatura ambiente o al massimo da cantina. Oltre l’80% della birra che si beve oggi nel mondo è del tipo Lager nelle sue varie declinazioni (pilsner, wien, helles, export, marzen ecc.). La lager è una birra a bassa fermentazione, nella quale tale processo avviene tra i 4 e i 15 °C. Ma il suo nome deriva dal termine tedesco lagern, cioè “conservare” o “recintare”. Purtroppo, è la stessa parola diventata tristemente famosa durante il nazismo con lo stesso significato di luogo recintato e sorvegliato, perché per produrre la lager è necessario tenere la birra per qualche settimana a temperature prossime allo 0, con lo scopo di permettere al lievito di riassorbire il diacetile che altrimenti darebbe un aroma e un sapore poco gradevoli alla birra. Ovviamente, quando non esistevano le celle frigorifere, questa fase, detta ancora oggi lagerizzazione, poteva avvenire solo nei mesi più freddi e tendenzialmente in montagna; per evitare furti o manomissioni del prodotto era quindi necessario recintare e sorvegliare costantemente il posto nel quale veniva conservato.
Quando la birra si beveva a temperatura ambiente
Questo tipo di produzione, come si può facilmente intuire, non era soltanto estremamente costoso, ma era anche fortemente limitato dal punto di vista quantitativo: la lager si poteva produrre solo in determinati mesi e solo in determinate aree; è chiaro che in Mesopotamia o in Egitto, dove pure la birra pare sia stata inventata, una lager
Antichi attrezzi e modalità per raccogliere la neve in inverno e utilizzarla in estate.
era impossibile da realizzare. Il risultato è che fino alla seconda metà del XIX secolo nel mondo si bevevano quasi esclusivamente le altre birre: ale, stout, weiss, porter ecc., le quali, non solo non prevedono la lagerizzazione, ma sono birre cosiddette “ad alta fermentazione”; in altre parole la trasformazione degli zuccheri e degli aminoacidi contenuti nel malto in alcool e anidride carbonica avviene a una temperatura compresa tra i 12 e i 23 °C, quindi nella fase centrale del processo di produzione queste birre temono il freddo più di ogni altra cosa. Non solo, ma essendo la produzione dispersa in migliaia di piccoli laboratori a conduzione domestica prossimi ai mercati di sbocco (città, porti, taverne, osterie, ecc.), i luoghi di maturazione e deposito non potevano certo essere le grandi ghiacciaie che abbiamo già visto a partire dal basso medioevo. Di conseguenza, per favorire la conservazione della birra nel tempo si utilizzava lo stesso metodo usato anche per il vino: si introducevano alcuni ingredienti per renderne stabile il sapore, come il luppolo, ma soprattutto si manteneva alto il tasso alcolico. Insomma, per farla breve, fino alla seconda rivoluzione industriale, la birra si beveva quasi sempre a temperatura ambiente e, siccome era generalmente più pesante e più alcolica di quella di oggi, se ne consumava anche molta meno. Già nella prima metà del XIX secolo, cominciò a diffondersi la produzione industriale di birra, che progressivamente andò a sostituire sul mercato la produzione domestica. L’ingresso del grande capitale (inizialmente non grandissimo, sia chiaro) ebbe come conseguenza una spinta sempre più forte ad ampliare la platea dei potenziali consumatori. Normalmente questo risultato viene ottenuto riducendo i costi di produzione e sviluppando la gamma dei
Brevetto di una delle prime macchine per il ghiaccio.
prodotti; il primo obiettivo fu raggiunto attraverso le economie di scala e una razionalizzazione del processo produttivo. Il secondo, invece, era più complesso da raggiungere, dal momento che gli ingredienti e le ricette erano sostanzialmente immutabili dato il livello tecnologico e scientifico del periodo.
I progressi nella bassa fermentazione
Proprio sugli aspetti tecnologici e scientifici si concentrarono quindi i primi gruppi industriali di una certa consistenza. Il primo grande passo avanti fu compiuto dal danese Carlsberg, che già negli anni ’70 dell’Ottocento cercò di rendere più stabile e meno aleatorio il processo di produzione, ma soprattutto riuscì a isolare un nuovo tipo di lievito, non a caso denominato Saccharomyces Carlsbergensis, che rese più semplice e sicura la cosiddetta bassa fermentazione, quella che avviene tra i 4 e i 15 °C, tipica delle birre lager. Ora era necessario riuscire ad avere temperature più basse per la fermentazione e la lagerizzazione, senza dover andare in montagna o attendere l’inverno. Perché Carlsberg, e con lui molti altri suoi colleghi del settore, erano convinti che proprio la lager fosse il tipo di birra con le maggiori potenzialità di espansione commerciale. La storia dimostrò che non avevano ragione, ma avevano straragione: la lager era leggera, di più facile consumo, beverina diremmo oggi e quindi si tendeva a berne di più, ma soprattutto sembrava adattarsi maggiormente ai gusti del pubblico femminile rispetto a quelle birre pesanti e pastose che si producevano fino ad allora. Insomma, c’era il 50% del genere umano che poteva diventare il nuovo mercato per Carlsberg e soci, valeva certamente la pena di provarci.
Birra e ghiaccio diventano inseparabili
I problemi rimanevano quelli legati ai costi e ai limiti alla produzione determinati dalle necessarie condizioni climatiche. Ma qui, come era facilmente prevedibile, venne in soccorso la nascente industria del ghiaccio e del freddo. Da questo momento, diciamo grossomodo negli anni ’80 e ’90 dell’Ottocento, la birra e il ghiaccio divennero gemelli siamesi, assolutamente inseparabili; il destino della prima era legato indissolubilmente allo sviluppo del secondo e viceversa. Praticamente tutte le fabbriche di birra nel mondo divennero anche fabbriche di ghiaccio, perché dal momento che dovevano produrre il freddo per ottenere la tanto desiderata lager, tanto valeva anche avere un po’ di ghiaccio da vendere direttamente. Fu un’autentica rivoluzione industriale, commerciale, ma anche culturale. La birra invase tutti i mercati ai quattro angoli della Terra. Mettere in piedi una fabbrica per produrre la lager era relativamente poco costoso e gli introiti garantiti comunque dalla vendita del ghiaccio permettevano di contenere i prezzi e di superare le possibili difficoltà iniziali, derivanti dall’introduzione di un prodotto nuovo in mercati poco abituati al consumo di birra, come il sud Europa o l’Asia. In pochissimo tempo la lager, da prodotto di nicchia consumato quasi esclusivamente nel sud della Germania e in Austria, divenne la birra per antonomasia, l’unica conosciuta in gran parte del mondo, se si escludono alcune aree di antica tradizione birraria, come le isole britanniche e il Bel-
BERE BIRRA FUORI PASTO
Il cambiamento e il successo del prodotto erano legati anche alle nuove modalità di consumo e anche qui c’entra il freddo, eccome se c’entra. Fino alla metà dell’Ottocento, quando la birra si beveva a temperatura ambiente o al massimo fresca di cantina, era la bevanda che accompagnava i pasti e che si poteva bere nelle taverne esattamente come il vino nel sud Europa, ma quando si diffuse la lager, così leggera, più frizzante e con quel sapore amarognolo decisamente più dissetante delle vecchie e pastose birre ad alta fermentazione, si cominciò a bere la birra anche nei momenti conviviali lontani dai pasti, semplicemente come bevanda per togliersi la sete e per socializzare, un po’ come il tè delle cinque in Inghilterra. Però, per poter svolgere questa funzione, la lager doveva essere fredda, altrimenti perdeva questa sua dimensione per così dire ludica. Fino a quando non si diffusero i frigoriferi domestici, le fabbriche di birra fornivano ai bar e ai pub anche il ghiaccio per mantenere fredde le bottiglie o i fusti con i quali la distribuivano.
gio. Per altro anche qui le produzioni dovettero in qualche modo adeguarsi alla moda dilagante e quindi le vecchie stout o ale vennero alleggerite e ingentilite, se così si può dire, perché altrimenti non erano più riconosciute come birra nemmeno dai consumatori locali.
Il boom dell’industria del freddo
L’effetto di questa rivoluzione dei consumi fu straordinario per quanto riguarda l’industria del freddo, perché permise un ulteriore afflusso di capitali in questo settore e quindi un ulteriore balzo in avanti dal punto di vista tecnologico. Come detto, in Germania, dove la lager era già conosciuta e apprezzata, il connubio tra industria del freddo e fabbricazione della birra, spazzò via i vecchi mercanti di ghiaccio naturale, ormai del tutto inutili; lo stesso avvenne con qualche anno di ritardo, diciamo alla vigilia della prima guerra mondiale, in Francia e persino negli Stati Uniti, patria dei grandi produttori globali di ghiaccio naturale: già negli anni ’10 del Novecento le fabbriche di ghiaccio avevano conquistato tutto il mercato nazionale. Per dire, nel 1909 vennero censite sette fabbriche di ghiaccio persino nel Massachusetts. Questo Stato era il quartier generale di Frederic Tudor che in tutto il mondo era soprannominato “The Ice King”, perché riusciva a esportare addirittura in India il ghiaccio naturale che raccoglieva nei laghi del New England e che imbarcava nel porto di Boston; è evidente che tutta quell’epopea era definitivamente conclusa e la diffusione della birra in America svolse un ruolo importante, quanto meno nell’accelerare il declino di quell’antica attività.
Il connubio tra birra e ghiaccio in Italia
Anche in Italia il matrimonio tra ghiaccio e birra rappresentò un grande balzo in avanti per i consumi di quest’ultima. Dopo un inizio stentato, tra il 1880 e il 1920 la Penisola si riempì di piccole e grandi fabbriche di birra e quasi tutte erano contemporaneamente anche fabbriche di ghiaccio. A seguito dell’entrata in vigore della legge Marescalchi del 1927, numerose fabbriche di birra furono costrette a chiudere, ma molte sopravvissero come semplici fabbriche di ghiaccio. Il caso più importante fu probabilmente quello della Peroni. A Roma si faceva da secoli un grande consumo di ghiaccio e non fu un caso se proprio nella Città Eterna venne istituita la prima privativa del ghiaccio da Papa Paolo V all’inizio del XVII secolo. Ma quando Giovanni Peroni affiancò la produzione di ghiaccio alla piccola fabbrica di birra, attiva fin dal 1867, di fatto cancellò in un attimo un’attività che aveva tradizioni quasi millenarie e al tempo stesso, grazie al lancio della nuova lager, fece esplodere i consumi di birra nel mercato romano, che fino a quel momento aveva dimostrato di non essere particolarmente interessato a questo prodotto. I consumi di birra nella capitale calarono vistosamente negli anni ’30, ma il commercio di ghiaccio permise alla Peroni di superare la crisi per poi conoscere un vero e proprio boom nel secondo dopoguerra. Quando beviamo un bel boccale di birra ghiacciata non stiamo solo appagando i nostri sensi, ma stiamo anche celebrando un rito in onore di una grande rivoluzione tecnologica, quella del freddo artificiale, che ha cambiato in maniera irreversibile la nostra società e i nostri stili di vita. ★