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The ultimate vacation travel guide for the modern beerhunter: Belgium - Part 2

THE ULTIMATE VACATION

travel guide for the modern beerhunter: Belgium - Part 2

L’interno della stazione centrale di Antwerp.

A spasso per la Bruxelles bene: Cantillon e De La Senne

Considerando quanto le produzioni di Cantillon siano bramate in tutto il mondo, e quanto folli siano i ricarichi applicati da distributori e locali, recarsi al birrificio senza poi poterne portare a casa qualche bottiglia è semplicemente improponibile. Ci si va in auto quindi, scelta che ci si trova poi a riconsiderare, cercando parcheggio nei pressi del luogo, tra strade iper-trafficate e vicoli malfamati. E l’edificio stesso, anonimo e diroccato, non è che comunichi tutta questa poesia, soprattutto ora che è in fase di ristrutturazione e avvolto da impalcature arrugginite. Appena entrati però, come sempre, tutto cambia all’improvviso e non si può evitare di commuoversi un minimo, mentre ci si aggira circospetti tra attrezzi vetusti, logore pulegge, antiche carrucole, scale scalcagnate, botti e tini traboccanti schiuma densa e giallastra, annusando quello strano mix di odori che miscela sinesteticamente i cereali fermentati con lo scorrere del tempo, a conferma che la targa che ti ha accolto all’ingresso, “Musée Bruxellois de la Gueuze”, non mentiva affatto. E, a visita conclusa, la commozione irrompe definitivamente davanti ai prezzi per l’asporto: 7 euro per 75 cl. di Gueuze: hallelujah! Ovviamente, prima di andarsene con qualche cassa, vale la pena passare un po’ di tempo al bar al primo piano, dove, compresi nel prezzo del tour, vengono serviti tre assaggi delle birre “base” (Lambic, Gueuze e Kriek) e dove i visitatori più geek potranno acquistare, solo per il consumo in loco, alcune delle ormai tantissime produzioni “speciali”, altrove praticamente introvabili: cuvée, blend e maturazioni in botti delle più svariate provenienze. Chi invece, come me, preferisse limitare l’acidità entro livelli accettabili, può pensare a una seconda tappa bruxellese. A distanza di passeggiata (non brevissima, ma fattibile) si trova infatti il locale del Birrificio De La Senne, uno dei migliori tra i produttori belgi relativamente recenti e, nota non trascurabile in un agosto tra i più torridi che ricordi, tra i pochissimi a brassare birre leggere, dissetanti e di facile beva. La zona, anche

Il mash tun di inizio ’900 del birrificio Cantillon.

in questo caso, non è proprio tra le più chic e rinomate della città: ci troviamo in un ampio spazio commerciale un bel po’ sgarrupato, frequentato da una fauna umana quasi sicuramente non proveniente da ambienti altolocati. Per dirla tutta a poche decine di metri dal locale è sito un hub umanitario che ospita rifugiati internazionali di varie etnie (che, in occasione della mia visita, mi sono sembrati comunque tutti molto sereni e sorridenti, non saprei dire se la vicinanza del birrificio abbia un’influenza positiva, ma mi piace immaginarlo). Il locale, col grande impianto aperto alla vista, è comunque molto carino e le birre, come sempre, stilisticamente impeccabili e di grande bevibilità. L’unico limite, tipico dei locali belgi, è la consueta mancanza di un vero punto di ristoro gastronomico che costringe ad accontentarsi di qualche salsiccetta cruda e patatine in sacchetto, quando invece tutte le birre accumulate avrebbero meritato ben altro accompagnamento (dicono però che, alcuni giorni della settimana, in orario serale, nel cortile del birrificio stazioni un food truck... non in occasione della nostra visita comunque).

Kulminator, tra sogno e realtà

Citerò mia moglie Antonella (che non lo sappia mai): “Varrebbe la pena di viaggiare in Belgio anche solo per venire qua”. Ancora oggi, a 16 anni dalla nostra prima visita, ogni volta che varco la soglia del Kulminator di Anversa emozioni tra il sacro e il profano mi accompagnano. A metà strada tra la Prima Comunione e la prima erezione. La prima volta al Kulminator può essere sconvolgente, nel bene e nel male: il tempo cessa di esistere, al punto che diviene impossibile distinguere passato da presente, sogno da realtà. Fin dall’arrivo le cose si fanno da subito strane; è difficile da spiegare a chi non ne abbia mai fatto esperienza: non ci proverò nemmeno, preferendo piuttosto riportare qui di seguito un antico sonetto fiammingo di origine incerta e di dubbia autenticità, che ben descrive però la tipica accoglienza di un cliente presso il locale. Per quanto risulti difficile immaginare il proprietario del Kulminator, o un suo avo, impegnato in una conversazione più complessa di un paio di mugugni gutturali, il madrigale rende l’idea di quanto possa risultare perturbante l’arrivo presso il locale e del perché poi, una volta entrati, ci si trovi a muoversi con esagerata cautela, sussurrando, come fossimo in un monastero di clausura, piuttosto che in un pub. Anche l’ambiente si presta, a metà strada tra una taverna medioevale e il salotto “bene” di una nobile prozia decaduta, con musica di clavicembalo e spinetta diffusa in sottofondo a completare l’opera. Ma, come dicevo, al Kulminator bisogna andarci, finché c’è. Pertanto, interromperò qua ulteriori descrizioni e commenti sull’esperienza,

L’orologio della stazione di Antwerp.

Oh viaggiatore stanco - che assetato un dì - ti troverai alle porte - della taverna nostra Sappi che in cotal loco - solo il credente vero - potrà con la su fede - trovare la risposta Chino lo capo umile - silente come una suora - tristo e penitente - attenderai mezz’ora Sbarrato sarà il portone - ma non desister mai - percuoti lo campanaccio - e lo ridesterai Lo burbero mastro di chiavi - lacero e claudicante - alfin egli giungerà - grattandosi le mutande E ti porrà il quesito - antico come il mare – “se qua sei solo per bere - puoi andartene a [omissis] Se vuoi solo ingozzarti - come li crapuloni - ti invito immantinente - a toglierti dai [omissis] Dileguati oh marrano - o assaggerai la cura - non troverai che lacrime - dietro codeste mura Ma se lo desio tuo - è puro e decoroso - se umile e pacato - ti rechi a degustare Supera lo cancello - raggiungi lo desco tuo - e con fiducia attendi - ti facciano accomodare Ma prima di procedere - come fan li viandanti - se tieni alla pelle tua - mostrami li contanti!”

non prima però di fare accenno a Sua Maestà la Birra che, anche se finora non avevo nemmeno nominato, è tutt’altro che un elemento di contorno: è la Regina Assoluta, come in nessun altro luogo al mondo tra quelli di mia conoscenza. Le spine lasciano ben sperare, un paio di Lambic per iniziare e qualche commovente Strong Ale vintage. Altrove saremmo già soddisfatti. Ma è il grosso raccoglitore con l’elenco delle birre in bottiglia a lasciare senza fiato: una lista degna delle migliori cantine vinicole. Centinaia (migliaia?) di referenze, a coprire la maggioranza delle etichette belghe, rarità comprese, suddivise poi per annata, in genere a partire dagli anni Novanta ma in molti casi anche da molto prima. E quasi tutto a prezzi assolutamente umani: nulla comunque per cui svenarsi, come invece accadrebbe sicuramente in situazioni analoghe, in un’enoteca. Certo, difficile pensare che una Blanche o una Saison di venti e rotti anni possano regalare chissà quale esperienza gustativa, ma basta avere un minimo di dimestichezza su quali siano gli stili che ben si prestano alle maturazioni prolungate (no? Che problema c’è, ve li riassumo io: Dark Belgian Ale, Imperial Stout e Barleywine, oltre a buona parte delle fermentazioni spontanee o miste) ed ecco che avrete a disposizione uno scrigno di tesori dal quale estrarre ogni volta qualche gemma pregiata. Un pezzo di formaggio e una salsiccia si rimediano, quanto basta per non stramazzare sul sofà alla terza quadrupel e, tra un’estasi gustativa e l’altra, in un attimo è sera, e ti ritrovi ancora una volta a inciampare per i marciapiedi di Anversa, cercando di ricordare dove cavolo fosse quel fantastico Frituur N.1 che potrebbe rimetterti in sesto e farti giungere in condizioni decenti alla stazione. Perché, ricordalo, al Kulminator ci si va in treno.

L’interno del pub Kulminator.

Brew Friday

Se il primo weekend l’abbiamo dedicato a De Dolle, per il secondo si punterà verso De Struise, ma prima abbiamo ancora tutto un intero venerdì da impiegare al meglio. A pochi chilometri da Gent si trovano due birrifici di valore: Glazen Toren, il cui laboratorio apre al pubblico proprio il venerdì pomeriggio, e Liefmans che, pur un po’ dimenticato dagli appassionati di nuova generazione, rimane un produttore di grande interesse. Due aziende estremamente diverse, sia per tipologia sia per dimensioni. Giunti ad Erpe Mere, Glazen Toren si rivela... un garage. In effetti, come ci mostra il birraio Jef Van Den Steen, contiene solo la (comunque piccola) sala cottura e qualche maturatore, mentre il grosso della produzione prosegue in un magazzino nel paese limitrofo di Aalst. Jef è un personaggio vero, mi ha sempre ricordato l’homeless pazzo che compare per pochi secondi in una puntata dei Simpson, cantando: “quella cavalla là - non è la stessa più”. Ma ancor più scompigliato, col suo gran barbone bianco, e più eccentrico nel vestiario, perennemente in canottiera bianca, pantaloni al ginocchio, calzino corto e scarpa in finta pelle. Però ci sa fare. La spiegazione del processo di birrificazione che ci ha improvvisato, stringata e precisa, è forse l’unica che mi abbia fatto capire qualcosa, tra le tante che mi sia capitato di ascoltare. Ovviamente un ambito così angusto non permette visite prolungate, ma la simpatia di Jef vale la strada percorsa, come pure la possibilità di acquistare qualche birra, dato che le sue Saison e Tripel sono tra le migliori in assoluto e i prezzi presso il birrificio sono decisamente stracciati. Volendo prolungare piacevolmente la permanenza a Erpe Mere, il paesino propone anche il ‘t Vissershof, un ottimo pub che, oltre alle birre di Glazen Toren, offre un magnifico scorcio di natura a ridosso di un laghetto pescoso. È poi tempo per un po’ di modernariato birrario, presso il birrificio Liefmans, a Oudenaarde, sempre a pochi chilometri da Gent. Agli spazi enormi della fabbrica, aperta al passeggio e al cazzeggio, si aggiunge un bar all’altezza, dove però la gente sembra quasi tutta lì per altro: cole, cocktail, cibarie varie. In effetti le birre in degustazione sono le solite di sempre, tutte abbastanza anomale rispetto al gusto comune: l’oud bruin da cinque gradi che fa da base alla ancor ottima Goudenbad e alla Cuvée Brut alle ciliege, più una “sour blonde” decisamente dimenticabile. E l’ampia veranda all’aperto, affacciata sul fiume Schelde, si rivela perfetta per trascorrervi qualche altra ora, rilassante e fuori dal tempo, prima di tornare a Gent e dedicarle l’ultima serata.

Jef Van Den Steen del birrificio Glazen Toren.

L’enigma De Struise

È sabato e, puntando a Struise, si torna verso est, a ridosso di Diksmuide, dove eravamo il precedente weekend. Considerando che l’indomani torneremo a ovest per le Streekbierenfestival di Zwevegem, questa è sicuramente la parte meno “ottimizzata” dell’itinerario (anche se alla fine si tratta di tragitti piutto-

sto brevi). La scelta è comunque obbligatoria perché, almeno teoricamente, il birrificio cult di Oostvleteren apre al pubblico soltanto il sabato pomeriggio e solo per poche ore, in un locale ricavato da una vecchia scuola cittadina, ove è possibile degustare una trentina delle loro birre. Scrivo “teoricamente” perché le informazioni presenti sul web sono decisamente carenti e datate e alla mail che ho inviato non hanno mai risposto; mi è quindi venuto il dubbio che la tasting room possa non essere più attiva. Con un Atto Di Fede abbiamo comunque prenotato in zona (anche in questo caso gli spostamenti in auto, data la potenza alcolica delle birre, sono fortemente sconsigliati). Atto Di Fede che ha sortito risultati purtroppo non del tutto soddisfacenti: la taproom di Struise infatti è chiusa, definitivamente. Ma non tutto è perduto, perché il sito web indica un beershop a pochi chilometri di distanza, aperto sabato e domenica pomeriggio, e in questo caso l’informazione risulta corretta. Che dire... qualche bella spina c’è (sei o sette, compresa un’ottima Sint Amatus 2016) e le bottiglie e lattine esposte sono davvero tante: tutto lo Struise immaginabile, ovviamente, e quasi tutto il Belgio che conta, ma anche una serie notevole di birre estere, modaiolissime, provenienti soprattutto da USA e Scandinavia: sembra quasi di essere a Roma, invece che nelle Fiandre. Ma alla fine si tratta di un grosso magazzino scaffalato, con quattro tavolacci Ikea e atmosfera in linea col mobilio. Niente di nemmeno lontanamente memorabile come avevo sperato. L’atmosfera per fortuna non manca al Pub “Eth Witte Paard” di Vleteren, proprio a due passi dalla ex taproom chiusa: poche birre e decisamente meno ricercate, ma un cortiletto fiorito tra i più deliziosi che ricordi. La scoperta non basta a bilanciare la parziale delusione della tappa (che a questo punto vi consiglio di depennare), soprattutto perché il Publican ci confessa che anche questa piccola chicca ha i giorni contati, dato che sta per cambiare proprietà e rinunciare alla birra per passare alla ristorazione.

La sede del birrificio Liefmans.

Lo Streekbierenfestival di Zwevegem, ovvero: il miglior Ferragosto possibile

Data che tutti amano, a prescindere, il Ferragosto può invece rappresentare, per il moderno beerhunter sempre alla ricerca di mete birrarie di livello, un ostacolo difficile da affrontare. Già normalmente, come scrivevo, in Belgio non è sempre facilissimo capire quali siano le date e gli orari di apertura di birrifici e pub, soprattutto nel mese di agosto. A Ferragosto poi, si rischia di girare a vuoto a oltranza. Per fortuna ci viene in aiuto questo validissimo festival, che avevamo già visitato qualche anno fa. Zwevegem è un paesino a sud di Gand, che normalmente non offrirebbe grandi motivi di interesse, perlomeno non in ambito birrario: grazie allo Streekbierenfestival, organizzato sempre a cavallo del 15 agosto, diventa una sosta imperdibile. La piazza principale del paese, allestita con tendoni, panche e un piccolo palco per la musica dal vivo, accoglie gli stand di una cinquantina di birrifici, ai quali si affianca qualche ulteriore spazio dedicato al cibo e ai bambini. I produttori presenti sono tutti belgi (a dire il vero quest’anno era atteso anche Brewdog che però, senza generare grandi rimpianti, ha rinunciato all’ultimo momento), solo una piccola percentuale dei quali di fama (inter)nazionale; gli altri, circa tre quarti del totale, sono tutti nomi nuovi o comunque poco noti. Questa caratteristica rende la manifestazione particolarmente interessante perché, in effetti, uno dei limiti tipici dei tour birrari in Belgio è che si tende quasi sempre a indirizzarsi verso gli stessi nomi, a bere le stesse cose - buonissime, per carità - ma è sempre più difficile individuare qualche novità degna di nota. Allo Streekbierenfestival il problema è opposto: quasi tutti i produttori sono “nuovi” e il rischio è di andare un po’ a naso, con tutti i rischi che ciò comporta. Eh sì, perché di birre piccole o di assaggi qua non se ne parla nemmeno: ogni gettone vale una bottiglia da 33 cl. (o la quantità equivalente, se la birra è in fusto) e dato che parliamo di birre mediamente parecchio forti, bastano due o tre scelte sfortuna-

Degustazioni al birrificio Liefmans.

La locandina del festival birrario di Zwevegem.

te per avvicinarsi pericolosamente alla soglia alcolica entro la quale sarebbe meglio chiudere la giornata di bevute, in pratica, sprecandola. Fortunatamente, essendo in due, abbiamo potuto permetterci qualche bicchiere in più, condividendolo; inoltre, essendoci fermati per due giorni, abbiamo accumulato una discreta lista di bevute. Anche il metodo adottato, che consiglio, ci ha aiutato a orientarci al meglio. Inizialmente abbiamo puntato su qualche nome noto ma imperdibile (Rodenbach Vintage, per esempio, l’ottima Cuvée Van Der Keizer Imperial Blond) o su birrifici reduci da qualche premio internazionale (come la raffinatissima Tripel di Dikke Jan). Da qua in poi, interagendo con i birrai e gli appassionati presenti al Festival, siamo riusciti a farci suggerire qualche dritta utile per proseguire con gli assaggi, per evitare di procedere alla cieca. Il risultato finale è che siamo riusciti a bere sempre bene, spesso molto bene, senza mai “lavandinare” nulla e scoprendo anche qualche birra davvero pregevole di cui non eravamo a conoscenza. Un’ultima nota sul festival. Pieno di persone giovani, mature, famiglie. Può forse centrare il fatto che l’ingresso è gratuito, per il bicchiere si paga solo una cauzione e che con un gettone - 3 euro - hai diritto a una birra da 33 cl. di qualsiasi tipologia? Quando infine si ragiona su quanto bevono fuori dall’Italia forse bisognerebbe considerare anche quali siano le differenze di esborso. Siamo arrivati alla fine. Avremmo da raccontarvi ancora qualcosa, per esempio del birrificio D’Oude Maalderij, di Izegem, un locale davvero magnifico purtroppo penalizzato da birre pessime, e soprattutto della tappa Svizzera alla BFM (Brasserie de Franches Montaignes), dove, negli ultimi anni, non manchiamo mai di concludere le nostre vacanze all’estero. Ma il tempo è finito, ne parleremo un’altra volta. Ci rimane però da rispondere alla domanda che ci eravamo posti a inizio articolo: vale ancora la pena, nel 2022, di viaggiare in Belgio per birre? La risposta ovviamente è Sì.... ma solo

Il festival birrario di Zwevegem.

Streekbierenfestival: le migliori bevute

Julia Belgium - Sunny Joy 4.2 e Hedonis Ambachtsbier - Ouwen Duiker: le segnalo assieme perché sono due birre ben luppolate e piacevoli, molto leggera e beverina la prima, più strutturata la seconda, e perché creazioni di birrai molto giovani e interessati a quello che accade fuori dal Belgio. In entrambi i casi - e lo stesso approccio l’ho notato anche per altre birre simili ma meno convincenti - l’idea è di fare qualcosa che ricordi una IPA ma, dato che lo stile (si capisce) li convince poco, mantenendo caratteristiche chiaramente autoctone. Più Hoppy Blond che IPA, infatti. The Brew Society - Martha Guilty pleasure e Martha Brown Eyes: anche in questo caso abbiamo birrai giovani e decisamente sgamati (marketing modernissimo, date un’occhiata al sito) ma più interessati a svecchiare stili locali piuttosto che scimmiottare altri paesi. In questo caso abbiamo una godibile Fruit Ale alle ciliegie e una saporitissima quadrupel, davvero notevole. Birrificio pluri-premiato nei concorsi birrari, a ragione. De Landtsheer - Malheur: birrificio piuttosto noto e, anch’esso, reduce da parecchie medaglie internazionali, che avevo però in precedenza sempre un po’ snobbato (chissà perché?). Presentava, tra le altre, i suoi veri e propri top di gamma Malheur 10, 12 e Brut: una meglio dell’altra, in particolare le due chiare. Belgio al massimo livello. Vindevogel - Pauline: qua c’è dietro una storia triste. Si tratta infatti dell’omaggio di un papà homebrewer alla figlia neonata, Pauline Vindevogel, tragicamente morta in culla. Inizialmente prodotta in piccole quantità presso Deca Browerji è ora diventata l’unica birra di un piccolo birrificio gestito dal signor Vindevogel stesso. Una Golden Strong Ale da 10%, continuamente ritoccata negli anni per avvicinarsi alla perfezione: un capolavoro di forza ed equilibrio che mi ha incantato. ‘T Verzet - Kameradsky Balsamico: l’ultima birra che abbiamo bevuto. Cercavo qualcosa di definitivamente appagante e dopo una serie di suggerimenti incrociati sono arrivato a questa. Tra tutte le birre presenti al festival era probabilmente proprio quella che, di mia volontà, non avrei mai scelto. Innanzitutto, non ho mai amato Verzet e le loro birre troppo taglienti e poi detesto il mix tra tostature e acetico (si tratta di una via di mezzo tra una Imperial Stout e una Flemish Red). Mi sono, non so come, trovato il bicchiere in mano e ormai... Invece ho scoperto un inspiegabile capolavoro che sfrutta al meglio le caratteristiche dei due stili riuscendo a valorizzarne i pregi e minimizzare i difetti, per creare qualcosa di nuovo che è meglio della somma delle parti. Una birra estrema, da 13,5%, potente, complessa e strutturata... che ho scolato in pochi secondi. Un miracolo.

con: The ultimate vacation travel guide for the modern beerhunter! ★

LA BIRRA DEI DETENUTI

Negli scorsi numeri di BNM avevamo raccontato delle varie esperienze di imprese italiane che operano - oltre che per la produzione birraria - anche in ottica di solidarietà sociale al supporto ai deboli e al reinserimento dei detenuti. Dopo lo storico birrificio Pausa Caffè di Saluzzo (TO), il progetto Vale la Pena di Roma e la Casa Lavoro di Vasto (CH), è stato recentemente inaugurato un nuovo “birrificio carcerario” presso la Casa Circondariale “Carmelo Magli” di Taranto. Si tratta di un progetto di iniziativa privata che ha il duplice scopo di realizzare un percorso di formazione e inclusione applicato alla produzione e mescita di birra artigianale, ma anche di autosostenersi pienamente dal punto di vista finanziario. Al momento due detenuti sono stati assunti per le operazioni produttive, con la previsione di incrementare di ulteriori due unità l’organico dell’impresa. Il target produttivo annuo delle quattro attuali referenze, a marchio “Birra Pugliese” e distribuite in locali tarantini, è di circa 1500 hl.

Il luppolo previene l’Alzheimer?

Uno studio italiano sulle caratteristiche dei luppoli mostra che questi avrebbero la capacità di interferire con l’accumulo di proteina beta amiloide, associata all’Alzheimer. Test di laboratorio condotti dall’Università di Milano-Bicocca, insieme all’Università Statale di Milano e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri potrebbero dare impulso a nuovi nutraceutici contro la neurodegenerazione. Lo studio, pubblicato sulla rivista ACS Chemical Neuroscience, dimostrerebbe che l’alto livello di polifenoli del luppolo promuove processi che consentono all’organismo di eliminare le proteine neurotossiche, e anche un’attività antibiotica e d’inibizione d’accumulo di proteina beta amiloide. Un test su vermi di tipo C. elegans - i più comuni usati nei laboratori - ha mostrato la capacità di prevenire la paralisi correlata all’Alzheimer.

Andrea Camaschella

Daniele Cogliati

Alberto Grandi

Michele Matraxia Norberto Capriata

Erika Goffi

Matteo Malacaria

Roberto Muzi

HANNO SCRITTO PER NOI

Andrea Camaschella

Appassionato di birra da svariati anni, sono coautore dell’Atlante dei Birrifici Italiani, docente ITS Agroalimentare per il Piemonte e in svariati altri corsi. Norberto Capriata

Scienziato, filosofo, artista, pornografo, viaggiatore del tempo, mi divido tra la florida attività di arrotino-ombrellaio e la passione per la birra artigianale. Ho collaborato con le principali riviste del settore, a loro insaputa, e insegnato in vari corsi di cultura birraria, che nessuno ricorda. Conosco perfettamente la differenza tra Porter e Stout, ma non la rivelerò mai.

Daniele Cogliati

Sono un lettore e viaggiatore birrario seriale, giudice BJCP, scrivo su alcune riviste di settore e gestisco la pagina Facebook Beerbliophily – Books for Beer Lovers, sulla quale pubblico recensioni di libri che parlano di birra. Erika Goffi

Operatrice turistica per vocazione, craft beer enthusiast per passione! Nasco in Franciacorta, ma alle “bollicine” preferisco l’effervescente mondo della birra: una sfida non indifferente per una donna che vuole diffondere la cultura birraria in un territorio ad alta vocazione vitivinicola. Ho coronato uno dei miei sogni trasferendomi in Belgio prima, passando per Olanda e Germania poi, vivendo così in prima persona tre importanti paradisi brassicoli europei. “I don’t have any special talent, I’m only passionately curious”. - A. Einstein Alberto Grandi

Professore di storia economica all’Università di Parma dove insegno Storia dell’Alimentazione e Storia dell’Integrazione Europea. Laureato in Scienze Politiche, nella mia attività di ricerca mi sono occupato di Corporazioni nel Medioevo e in Età Moderna e di mercati alimentari nel periodo preindustriale. Sono autore di circa cinquanta pubblicazioni accademiche in Italia e all’estero. Negli ultimi anni mi sono dedicato alla divulgazione scientifica con libri come Denominazione di Origine Inventata (Mondadori 2018), Parla mentre mangi (Mondadori 2019) e L’incredibile storia della neve e della sua scomparsa (Aboca 2022), ma soprattutto con il podcast “DOI - Denominazione di Origine Inventata” che ha raggiunto il primo posto per ascolti sulle principali piattaforme di distribuzione. Matteo Malacaria

Giudice qualificato BJCP e beer sommelier, autore del blog Birramoriamoci.it e del libro Viaggio al centro della birra. Mi occupo di comunicazione e marketing applicati al settore birrogastronomico e sono docente presso la NAD di Verona. Michele Matraxia

PhD Student presso il Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali (SAAF) dell’Università degli Studi di Palermo e docente presso l’Istituto d’istruzione superiore agrario “Stanga” di Crema. Mi occupo di selezione e screening tecnologici su lieviti non-convenzionali per le produzioni di birre e idromeli. Ho da poco discusso la mia tesi di dottorato dal titolo “Innovazioni biotecnologiche nei processi fermentativi delle birre e di bevande fermentate a base di miele”.

Roberto Muzi

Formatore, sommelier, assaggiatore ONAF e consulente di settore. Laureato in Scienze Politiche, sono stato responsabile regionale per la Guida alle birre d’Italia di Slow Food Editore dal 2014 al 2021 e giurato in diversi concorsi birrari nazionali. Eleni Pisano

Scrivo, fotografo, insegno e racconto di cibo. Esperta di turismo esperienziale in ambito brassicolo, beerchef, food stylist e beernauta in cerca di eccellenze. Ho lavorato per grandi marchi del mondo birrario italiano e poi mi sono avvicinata al mondo brassicolo artigianale. Lavoro come consulente e beerchef in diversi locali tra Milano e Monza. Svolgo collaborazioni sul beer pairing.

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