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Black Sheep, Yorkshire soul
L’Inghilterra è stato uno dei primissimi posti in cui ho capito che la birra non era necessariamente quella cosa gialla, gasatissima, da bere ghiacciata. Diciamo che nei pub inglesi, se incappi in una birra tradizionale, una Real Ale, la terapia è d’urto, con birre servite “piatte” (praticamente sgasate) e a temperatura di cantina, di poco inferiore a quella ambiente. Si scoprono sapori e profumi sconosciuti ma soprattutto ci si trova in un mondo a sé, con un tenore alcolico molto basso senza che il piacere della bevuta venga minimamente scalfito, anzi. D’altronde, un viaggio in Inghilterra non può prescindere da una buona pinta di birra. È un dato di fatto: la birra in Gran Bretagna (e quindi in Inghilterra) è parte integrante del tessuto sociale. Le grandi città, Londra in testa, nella loro dinamicità non sono però un fedele specchio della realtà brassicola anglosassone, ma un esempio di grande modernità e apertu-
ra verso nuove frontiere; qui i consumi di birra sono meno importanti e spesso si vedono persone bere vini o cocktail. Il vero baluardo della tradizione è la provincia, laddove le abitudini e le consuetudini si cambiano a fatica: il pub è ancora il luogo di ritrovo dopo il lavoro, per chiacchierare con gli amici o i conoscenti bevendo una birra, e a volte il luogo in cui andare a cena con la famiglia.
Il mondo di James Herriot
Egoisticamente, vi porto nella regione che più amo dell’Inghilterra, lo Yorkshire: sono cresciuto leggendo, nei primi anni ’80, i libri di un autore poco noto ai più, James Herriot - pseudonimo di James Alfred Wight (1916 - 1995) - un veterinario che nel 1937 trovò impiego nell’immaginaria Darrowby, nei cui dintorni sono ambientati i suoi racconti. Nomi (di persone e di luoghi) sono immaginari, ma basati su situazioni reali: Darrowby altro non è che Thirsk, dove oggi l’ex studio veterinario - nonché abitazione - di Wight e del suo socio Donald Sinclair è un museo, “The World of James Herriot” (23 Kirkgate, Thirsk, North Yorkshire). Di quel mondo rurale, di quei personaggi spesso rudi ma pieni di umanità, di quei paesaggi serbo un ricordo speciale e, ogni volta che ci torno, quelle terre non mi deludono mai. Almeno non dopo il primo viaggio in cui dovetti accettare che cavalli e buoi erano stati definitivamente sostituiti da trattori e altri macchinari. Per altro, una modernità che molti scorci di paesaggio non lasciano ancora oggi intravedere, con pianure immacolate, colline impervie ricoperte di erica e pecore libere al pascolo: sono il biglietto da visita dello Yorkshire e anche la miglior rappresentazione della brughiera. Le città più importanti sono Leeds (West Yorkshire), Sheffield (South Yorkshire), York (North Yorkshire) dove si trovano birrifici e pub in quantità ma, soprattutto nelle prime due, anche l’effetto di cui accennavo sopra: grande modernità e minor tradizione.
Soggiorno consigliato al Tan Hill Inn o al Lion Inn
Per entrare fino in fondo nello spirito locale, consiglio di fare un salto al Tan Hill Inn (Long Causeway, Richmond DL11 6ED), il pub che vanta la massima altitudine della Gran Bretagna (ben 528 metri sul livello del mare: in fondo è l’Inghilterra, non l’Himalaya…), oppure al Lion Inn (Blakey Ridge, Kirkbymoorside, North Yorkshire) sulla cresta del North York Moors. Entrambi hanno camere, alcune con servizi privati, e il rischio di restare bloccati per neve è concreto: in quel caso si è ospiti delle strutture. Qui, nel mezzo del nulla, tra i pascoli delle pecore, gli avventori non mancano: a cena o anche solo per bersi una birra dopo il lavoro e si beve quasi esclusivamente Real Ale. Altra peculiarità a me molto cara di entrambi i posti è quella del servizio di sole birre prodotte nello Yorkshire; in particolare, una hand pump è sempre dedicata a una delle mie birre preferite in assoluto, la Best Bitter di Black Sheep, uno dei simboli - opinione personale ma condivisa da molti in quelle terre - dello Yorkshire.
La storia di Black Sheep
Black Sheep apre i battenti nel 1992 ma la sua storia brassicola risale a oltre un secolo addietro: Paul Theakston, il fondatore, è infatti discendente di Robert Theakston, fondatore nel 1927 di T&R Theakston Ltd e se risaliamo l’albero genealogico scopriamo che la madre di Robert, Mary Lightfoot, era discendente di una famiglia di birrai, proprietari e fondatori di Lightfoot Brewery (acquisito da Theakston stesso e chiuso definitivamente nel 1919) anche questo a Masham. Gli anni ’90 sono un periodo molto complicato per i birrifici familiari britannici. Se alla fine della I guerra mondiale sono in attività circa 4.400 birrifici, negli anni ’70 ne rimangono meno di 150 e dagli anni ’80 inizia una timida ripresa. La maggior parte dei birrifici viene spazzata via dall’intraprendenza delle grandi aziende, che si accaparrano il mercato o acquisiscono diretta-
mente i concorrenti per poi chiuderli o trasformarli in altro, talvolta tenendo vivo soltanto il marchio. Theakston viene appunto acquisito negli anni ’80 da Matthew Brown Brewery, a sua volta acquisito da Scottish & Newcastle pochi anni più tardi e chiuso definitivamente nel 1991. La produzione di alcune birre, tra cui la Best Bitter, viene trasferita alla Scottish & Newcastle’s Tyne Brewery. Per Paul, che a quel birrificio ha dedicato la vita entrandoci a 19 anni e diventandone amministratore a 23, è troppo ed esce dalla società mentre gli altri famigliari restano in azienda (fino a ricomprarla nel 2003). Paul nel 1991 acquisisce l’ex malteria North of England Malt Roasting Co, un edificio nella parte più a nord di Masham, dove creare il nuovo birrificio, ma non tutto è filato subito liscio: in rete si trovano molti resoconti dei problemi che hanno ostacolato l’inizio dell’avventura di Black Sheep, ritardandone l’apertura. Un figlio di Paul mi raccontò infatti che
MASHAM: 8 LOCALI CHE SERVONO BIRRA PER 1200 ANIME
Masham merita uno studio a parte per un appassionato di birra: è un piccolo borgo abitato da circa 1200 anime che si sviluppa attorno alla Market Place, la piazza principale, sede di uno dei più antichi mercati inglesi (il diritto al mercato risale alla metà del XIII secolo); in particolare, la fiera dell’ovino, a settembre, ha tutt’oggi grande risonanza. Non ha una stazione ferroviaria: la più vicina si trova a Thirsk. Sulla Market Place si affaccia il pub dell’Hotel Kings Head; subito a nord della piazza si trova il pub The Bay Horse e appena più in là, in Little Market Place, il Bruce Arms, pub con un paio di camere e un giardino sul retro. Poco più a nord si trovano il Black Bull in Paradise e il White Bear, entrambi di Theakston LTD (il primo è il visitor centre connesso al birrificio Theakston). Verso la fine del villaggio, a sei minuti a piedi dalla piazza in direzione nord, si trova il birrificio Black Sheep, con il pub, il ristorante e il negozio. Camminando per meno di 20 minuti verso sud verso la club house del golf club si trova un altro pub. Nel raggio di circa un chilometro dalla piazza ci sono 7 locali dove bere birra, le stesse etichette in ognuno, prodotte a Masham o, in rare occasioni, più lontano ma sempre e rigorosamente nello Yorkshire. Possiamo salire a 8 locali si aggiungiamo, ancora più a sud a circa 3,5 km dalla piazza, un vecchio e affascinante pub con camere, il Black Swan Hotel. Dunque, tanti posti dove bere la Best Bitter di Black Sheep, dove incontrare la popolazione locale che si divide tra le varie birre; ognuno ha la sua preferita ma a seconda di chi offre il giro si può cambiare etichetta. Gente tranquilla ma curiosa e quando non sente l’accento, marcato, locale, inizia a scrutarti fino a vincere quel muro di timidezza per scoprire da dove arriva lo straniero. O forse solo per assicurarsi che sia un turista, chissà, ma lo fanno in modo molto educato e si sforzano anche di parlare un inglese comprensibile e di darti consigli, ma solo se espressamente richiesti.
l’accesso alla nuova struttura fu a lungo osteggiato da S&N perché passava attraverso una loro proprietà (il vecchio birrificio Lightfoot) e, in particolare, furono proprio i cugini a far ritardare con ogni mezzo la costruzione di una nuova strada.
Il birrificio
Black Sheep è parte integrante della comunità rurale di Masham, ma è anche e soprattutto uno dei birrifici che riescono a coniugare tradizione e modernità con classe ed eleganza, senza strafare. Il nome lo si deve all’ironia di Sue, la moglie di Paul, che propose di usare Black Sheep visto che Paul sarebbe diventato la pecora nera della famiglia Theakston. Il birrificio si sviluppa in parte in una nuova struttura e in parte nella vecchia malteria di cui sono ancora visibili alcuni macchinari (seppur inutilizzati); lo spazio è limitato ma affascinante e qui si trova il primo impianto, datato: un piccolo reperto storico se vogliamo, ma ancora in funzione anche se nell’ala più recente ci sono macchinari moderni e tecnologici. Nella zona dedicata alla fermentazione del mosto fanno ancora mostra di sé i classici tini a cielo aperto e pianta quadrata, gli Yorkshire Squares, costruiti in ardesia, da cui l’altro nome con cui sono riconosciuti: Yorkshire Stone. Sono a due piani per permettere di separare il lievito (ed eventualmente recuperarlo) man mano che finisce il suo lavoro così da aiutare la pulizia della birra, un concetto che oggi vediamo sviluppato nei tini dal caratteristico fondo tronco conico. La cantina è corredata anche di molti moderni tini in acciaio a base rotonda con controllo della temperatura, decisamente più attuali. Quello che stupisce - o almeno stupisce me - è la presenza di una enorme cella fredda dove vengono conservati i luppoli che di solito in Regno Unito sono lasciati a temperatura ambiente. Tutto è ordinato e pulito: è un birrificio visitabile ma
Il vecchio tino di ammostamento, ancora oggi utilizzato per alcune ricette.
Il primo bollitore.
Il fermentatore quadrato in ardesia.
la cura dei dettagli, la sanificazione e la pulizia in generale sono qualcosa che supera gli standard della maggioranza dei birrifici britannici e che si riflette, positivamente, nelle produzioni. Paul è ancora amministratore ma senza deleghe: il ruolo lo ricopre Rob, il figlio maggiore, mentre Jo, il secondo figlio, è il responsabile delle vendite e del marketing. La missione è sempre la stessa: produrre birre dello Yorkshire in cask con grande attenzione alla qualità. Black Sheep, nel panorama brassicolo inglese, è una pecora nera, nell’accezione però positiva del termine e non solo per la pulizia degli impianti, di cui accennavo, ma anche per la cura dei dettagli: alcuni, in particolare, stridono con la realtà brassicola locale. Il birrificio è dotato di un mulino mentre molti altri acquistano il malto già macinato. Il lievito è stato selezionato da un ceppo storico, in uso sin dagli anni ’20 dello scorso secolo, e mantenuto con grande cura perché è la base dello “smooth mouthfeel”, la sensazione di morbidezza al palato tipica di tutte le birre di Black Sheep (e dei migliori esempi di Best Bitter dello Yorkshire). Le materie prime sono selezionate per la qualità.
I nuovi fermentatori in acciaio.
Le birre
Al pub le birre sono, una per l’altra, perfette. Al bistrot si mangia bene, si apprezza un’ottima materia prima e, cosa ancor più rara, sul menù accanto alle portate sono indicate le birre consigliate per l’abbinamento! La Best Bitter (3,8% ABV con luppolo Challenger e il mio amato Fuggle ad arricchire il bouquet) è la birra iconica per eccellenza nonché la prima prodotta da Paul e racconta la tradizione, lo Yorkshire, i suoi abitanti e le loro abitudini. Accanto alle birre più tradizionali sono progressivamente apparse birre più moderne, tra cui la Lager 54° (che indica il parallelo che passa per Masham), che in realtà è fermentata col lievito della casa, quindi ad alta fermentazione, ma lagerizzata 4 o 5 settimane e di chiara ispirazione tedesca, così come tedeschi sono i luppoli, tra cui svetta, senza graffiare, il Polaris. In tempi molto recenti ha fatto capolino anche la Respire, una American Session IPA con note tropicali e agrumate, legata a un progetto che contribuisce alla piantumazione di nuovi alberi. E non si possono non citare le tre birre dedicate ai mitici Monty Python: la Holy Grail (una British Pale Ale caratterizzata dal luppolo Whitbread Goldings Variety), la Brian (una Pale Ale) e la Flying Circus (un’American IPA). In realtà, le
Dettaglio di uno sparkler. Jo Theakston.
referenze oggi sono davvero tante tra classiche, fisse, stagionali e possono trovarsi in cask, in fusto, in bottiglia o in lattina ma non necessariamente tutte in ogni contenitore: ogni birra è confezionata nei formati di cui il team di produzione è soddisfatto dei risultati o in alcuni casi con delle differenze sul processo produttivo per far sì che la birra sia comunque soddisfacente.
Il lavoro sui cask
Per gustarsi al meglio una Best Bitter e più in generale capire a fondo una birra inglese il cask e la hand pump sono elementi fondamentali ma anche terribilmente complessi da gestire. In Black Sheep il lavoro sui cask, o meglio con i cask, è certosino: consapevoli che al di fuori del mondo inglese è un oggetto sconosciuto o quasi, hanno redatto con il loro cellarman, il collaboratore che si occupa della gestione dei cask per il pub di Black Sheep, un documento di 62 pagine (oltre a due altri fogli di riepilogo delle manovre fondamentali, con foto e disegni) che spiega come trattare un cask prima, durante e dopo la mescita della birra che contiene. In realtà, il documento tratta anche dei più comuni (alle nostre latitudini) fusti in acciaio e parte dalla sanificazione delle linee senza tralasciare ogni aspetto della gestione del pub: per servire una buona pinta occorre l’attenzione di tutta la filiera. Black Sheep è l’unico birrificio in cui mi è stata data una risposta alla fatidica domanda “cosa succede alle vostre birre in cask se vengono servite senza sparkler?[lo sparkler è un ugello da avvitare al rubinetto della pompa che fa sì che la birra crei un vortice favorendo la creazione della schiuma, sottolineando la sensazione di morbidezza al palato. NdA.]?”. Normalmente, nello Yorkshire, mi guardano come un alieno e credo che manco capiscano il senso della domanda: si usa e basta, ignorando il fatto che poco più a sud non si usa affatto e che le birre perdono tanto, tantissimo e non solo nelle sensazioni tattili. Con grande naturalezza, Jo mi ha risposto che “le nostre birre sono state pensate e vengono prodotte per essere servite con lo sparkler; nelle nostre zone il problema non si pone, lo usano tutti, quando vendiamo in altre regioni lo consigliamo vivamente ma non possiamo costringere i nostri clienti, però…” e mi racconta del documento di istruzioni che accompagna i loro prodotti specificando la preoccupazione su come vengono trattati i loro cask al di fuori del birrificio. La cosa sembra funzionare a dovere: le (purtroppo) rare occasioni in cui ho potuto bere Black Sheep in cask fuori dallo Yorkshire, potevo semplicemente chiudere gli occhi per rivivere anche i panorami, perché tutto il resto è già nel bicchiere, pardon, nella pinta. ★