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3.2 Lo sviluppo della democrazia in Africa

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CONCLUSIONI

CONCLUSIONI

crescita delle economie degli Stati africani potesse realmente motivare questa crescita13. Di conseguenza, i governanti acquisirono un grande rilievo nei diversi processi economici che prendevano vita nel paese. La vita economica dello Stato dunque sfumava in quella politica, provocando l'ascesa di presidenti monarchi che riuscirono a mantenere il potere per svariati mandati, figure di cui la recente storia africana offre numerosi esempi. Questa sorta di dittatori o neomonarchi esercitavano un potere di tipo personalistico che travalicava il potere istituzionale che la figura ricopriva. Ponendosi al di sopra della legge, essi governavano in modo arbitrario, utilizzando fondi pubblici a proprio piacimento. In altre parole, essi erano il centro politicoeconomico dello Stato. Regimi come quelli di Mobutu in Zaire o di Idi Amin in Uganda sono esempi di manifestazioni estreme dell'uso personale delle risorse pubbliche, tali da far diventare irrilevanti le istituzioni statali.

3.2 Lo sviluppo della democrazia in Africa

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Emerge dunque che politica ed economia per gli Stati postcoloniali africani sono intimamente legate. Nonostante l'apertura di molti paesi ad elezioni pluripartitiche, la realtà rimane ben diversa, queste democrazie sono caratterizzate da basse possibilità per i cittadini di partecipare alla loro vita politica. Il gioco politico si svolge tutto all'interno di un'élite preesistente, le cui differenze interne non hanno nulla di ideologico, ma piuttosto rappresentano gruppi di potere diversi. Infatti, l'occupazione dello Stato garantisce lo sfruttamento delle risorse, degli aiuti stranieri e la gestione dell'uso dei finanziamenti pubblici, utili a garantirsi la fiducia dei rapporti clientelari. In altre parole, la democrazia in Africa rimane un'istituzione di facciata, conseguenza della spirale negativa dell'economia africana, che ha lasciato poche opportunità alla sua élite se non quella di accettare le richieste della comunità internazionale di dotarsi di un apparato democratico. Il fine per i paesi africani è quello di poter accedere ad aiuti internazionali e a grossi investimenti, potendo così anche accedere ai programmi di aggiustamento finanziario promossi da istituzioni internazionali come l'FMI.

Dunque, i mercati sono riusciti ad imporre allo Stato africano una maggior democrazia e stabilità. L’aumento della democrazia multipartitica è stato da sempre considerato un elemento essenziale per la riduzione degli scontri etnicoreligiosi, ma nella realtà, come osserva anche

13 A titolo esemplificativo, nella sola Tanzania gli impiegati nel settore pubblico passarono da 65.708 nel 1966 a 295.352 nel 1980.

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Carbone (2005) e Valsecchi (2005), questo non è mai stato determinante nella risoluzioni di questi conflitti interni. È servito invece ad aprire le porte dei paesi del continente africano agli investimenti esteri; infatti, nell’epoca moderna l’aumento della democrazia non può slegarsi dall’attuazione di politiche di libero mercato e non sorprende quindi che il recente aumento di democrazia nominale in Africa sia stato indicato come uno dei fattori che hanno causato la ripresa economica, in quanto ha consentito l’apertura del continente agli investimenti dei grandi attori internazionali. Tuttavia, questa affermazione del regime democratico è stata spesso più che altro indotta dall'esterno piuttosto che guadagnata attraverso un processo dal basso, un'evoluzione che dunque assomiglia al processo di decolonizzazione grazie al quale gli Stati africani hanno ottenuto l’indipendenza. Quindi, esattamente come la formazione degli Stati, anche questo processo di democratizzazione è destinato a fallire in quanto è privo di sostanza, un "guscio vuoto". Esso non nasce dall'interno, ma è soltanto un espediente a cui gli Stati africani hanno ricorso per allentare le pressioni dei grandi attori internazionali, i quali necessitano di una figura istituzionale legittima con cui poter trattare e concludere contratti, una figura insomma che preservi e garantisca gli interessi che si instaurano esattamente come nell'epoca coloniale. Possiamo definire dunque che in Africa le istituzioni rappresentano il “regno dell’importato”, mentre il comportamento del singolo individuo nella società continua a rappresentare più il “regno dell’indigeno”. Queste due realtà non si sono quasi mai integrate e dunque lo Stato contemporaneo in Africa, pur integrato nell’economia capitalistica mondiale, rimane la costruzione di gruppi che controllano le opportunità prodotte dai meccanismi differenti nel cuore delle società tradizionali.

Questa incapacità dello Stato di staccarsi dalle proprie tradizioni ha permesso ai nuovi fenomeni, come la globalizzazione, di inserirsi nella realtà del continente esattamente nei modi ereditati dal passato coloniale, un modello che può essere definito di sfruttamento. Lo Stato africano appare impotente di poter contrastare questi nuovi processi politici ed economici, i quali si inseriscono fra le deboli maglie delle società africane, dove l'individualismo supera il senso pubblico e si impone come unico modello di sviluppo. La politica dunque, o meglio i soggetti che la compongono, coloro a cui cade la responsabilità di garantire la protezione ai propri cittadini e la democrazia, sono in realtà ostaggio dei grandi attori internazionali che ne fanno uso per perpetuare le proprie attività politico-economiche sul continente subsahariano. È dunque chiaro che in Africa il dualismo fra democrazia e sfruttamento - ovvero fra politica ed economia - si fa complesso.

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