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IL FALSO E LA CONFERMA
Ieri, nelfa sua prima pagiÒ.a, J'Avan ti! accusava dì falso la stampa borghese, col Reslo del CarlinQ- in·testa, per Via della smentita, che non smentisce, emanata dalla Confederazione Generale del Lavoro; e, nella seconda pagina, confermava in pieno, attraverso il . discorso Serra ti, la relazione della missione confederale. Assistiamo al tramonto del mito russo.
Q uello stesso Serrati, che, ancora pochi mesi or so no, stabiliva la strabiliant e equazione fra Lenin e socialismo, oggi, reduce dal paradiso, è costretto, se n on proprio a recitare l'atto di contrizione, certo a rettificare notevolmente il ·suo tiro massimalista. Il Serrati ha portato la pi ù ampia documentazio ne aUe critiche ch e noi abbiamo fatto al bolscevismo da due anni a questa parte. .
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Noi abbiamo detto che il problema agricolo non era stato affrontato dai bolscevichi cofi criteri comunistici, ed ecco il Serrati a confermare che- « i bolscevichi hanno _fatto 1a pace coi contadini, anche co i medi, anche coi grandi, Jtt:fnsige11do ».
Noi abbiamo d etto - e la collezione dì questo giornale può testi· mon iarlo a dovizia - ch e la catastrofe dell'industria russa era stata ·prnvocata dal massacro e dall'esodo dei superstiti elementi tecnici. Ed ecco Serrati che conferma:
« Gli operai, mentre i comunis ti sono al fronte, creano i Comitati di fabbrica. E la massa era analfabeta ! E credono d ì potc-r fare da sé! E mandano via ingegneri e tecnici! E si disorganizza l'industria!».
Dunque: i Consigli di fabbrica, invece di riorganizzare, hanno disorganizzato l'industria e questa è stata - commenta Serrati - « la grande tragedia ».
Noi abbiamo detto che i bo lscevichi sono una minoranza, ch e si è imposta colla violenza e col terrore, a u n popolo passivo e paziente, che non ama il bolscevismo; ed ecco Ser rati confermare che « i bolscev ichi sono un'infima .minora nza di fronte a una e norme maggioranza passiva e ind ifferente circa al nuovo regime».
Noi abbiamo documentato l'impote nza ricostruttrice dei bolscevichi, ed ecco Serrati che pone un terribile punt~ interrogativo:
« Sono essi - domanda - capaci di continu.ue nella loro via, di cond urr~ i1 loro pat'Se a miglioramc-nti, di estendere la rivoluzione ?».
Dove si vede che il dubbio si è già insinuato nell'anima del pellegrino reduce dalla Mecca. Quella domanda ·è già, in un certo senso, sacrilega ed eretica.
Noi abbiamo Je molte volte detto che se una rivoluzione p olitica può risolversi in un giorno, una rivoluzìone sociale ha bisogno di ·anni, di decenni o di secoli.
« la ri voluzione russa - proclama Serrati - non compiuta. Lenin dice: ci vorranno cinquant'anni. Altri dicono cento».
Ma non è assurdo, ·domandiamo n oi a questo' punto, propo rre a ll'ìmitazione pedissequa e servile del proletariato italiano una rivoluzione chè è appena incomin ciata e che non si sa do ve e come andrà a fi nire ?
Noi abbiaino detto che il comunismo non esiste in nessun campo della vita economica russa, mentre nel ramo agricolo vige ancora il diritto di proprietà privata: Il Serrati, naturalmente, conferma, notando che << l'adattamento dei comunisti russi alle condizioni agricole è tale che il loro programma attuale mantiene in piedi un sistema molto sim ile a quello della piccola proprietà ».
Concludendo: il preteso « falso » compiuto dai giornali bo~ghesi no n è che il resoconto del djscorso Serrati pubblicato dall'A vanti ! stesso
Oggi, dopo due anni di predicazione « clericale » e di clericale apoteosi d i Len in, salta fuori Serrati con una di quelle formul e felici nella loro banalità : ·
«Non vogliamo essere né i maestri, né gli 'scolari della Russia».
Benissimo. Un po' di nazionalismo socialista è di moda. Ma è tardivo. Bisognava andare prima in Russia; e se non era possibile andare, bisognava procedere con maggiore prudenza, per non essere cost retti alle odierne <C stra tegich e » ~itirate. Invece, no. Da due anni Russia, Lenin, bolscevismo sono stati sinonimi di socialismo, non soio per la Russia, ma per tutti i paesi del mondo e, .in particolar modo, per l'Italia, che è la meno indicata a indossare il camiciotto moscovita. Tutti coloro, noi in p rima fila, che hanno tentato di spezzare l'incantesimo, sono stati coperti col vilipendio in u so nella p ropaganda socialista. Soltanto oggi, dichiarando che non si vuole essere scolari della Russia, si viene implicitamente a riconoscere· che quei s ignori del Kcemlino non hanno niente da insegnare al socialismo ita liano.
C'è nessuno che ricorda anCora il fa ntasmagorico comizio di piazza Belgioioso? Un contraddittore operaio aveva rimproverato ai fascisti di essere avversari della Russia. Mussolini, in quella indimenticabile serata, cosl rispose :
« In quanto alla Russia, dobbiamo intenderci. Contro al blocco infame dell'Intesa, abbiamo già alzato la nostra voce. Ma portare qua, i n Italia, i sistemi e l'etichetta russa, no. Noi siamo italiani. Abbiamo un'altra mentalità, un'altra anima, un altro passato; e, se dobbiamo fare la rivoJmione, questa ri voluzione non potrà essere che profondamente, schiettamente, pienamente italiana. Non russa. Non leninista. Ma italiana».
Questo accadeva i1 10 nov~mbre del 1919. Esattamente undici m esi fa. In piena baldoria di falce e martello. 1n periodo di frenet.ica, mistica adorazione di Nicola Uljanov. Oggi l'idolo viene abbandonato dai chierici, mentre il gregge comincia oscenamente ad intuire che Lenin no n è più Lenin, non è più il santo fautore di miracoli, che doveva arrivare come « l'arcangel della nuova etade.... ».
Ancora una volta, noi siamo stati in anticipo. :i; il nostro orgoglio e, spesso, la nostra melanconia. MUS
Da 1l Popolo d' Italia, N. 243, 10 ottobre 1920, VII.