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UN GESTO DI CORAGGIO
L'AvanJi! ha finalmente compiuto un ·gesto di coraggio: ha r icono· scinto apeitamente, in un bell'articolo di fondo debitamente interlineato, che sul terreno della violenza_ gli avversari del Pus - che saremmo noi - le danno sempre e non le buscano mai. 11 titolo dell'articolo è però sbagliato. Le nostre minacce non sono state, finora, vane. Hanno avuto sempre il loro logico seguito.
Rilevata qu esta piccola Contradd izione, vale la pena di riportare quel brano dell'articolo dell'Avant i .' nel quale si ammette, alla luce del sole, quello che la cronaca ha regìstrato g iorno per giorno, dal 15 ap rile del 1919 al 14 ottobre del 1920:
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« Riconosciamo volentieri - scrive l'lf vanri! - che, fino ra, essi - che detengono, bene - o male, il potere politico e quindi hanno ~r sé tutta 13 forza ors::mizzata dello Stato, dal birro al magistrato - sono ancora )liù forti di noi. Possiamo anche, senza d intinuire di un ette refficenu delle nostre ors anizzazioni , riconoscere che qualche , •olta l'azione nostra, SJJinta da sentimentalismi e da )la.ssioni certo non sempre rigidamente controllati dalla rag ione e guidata taloq dagli elementi più impulsivi, che sono le necessarie avanguardie del nostro esercito, viene spinta a manifestai.ioni che prestano troppo inabilmente il fianco alla prepotenza nemka. E possiamo ugualmente riconoscere che ne ll'uso della violenza e della prepotenza sono meg lio preparati e più fortemente muniti i nemici nostri. Sl, a Milano, a Roma, a Pola, a Trieste, a Fiume, l'ardi tismo ha dato largo esempio della propria capacità d'azione, infinitamente superiore alla nostra; e noi saremmo davvero ridkoli, più che a que lli deg li altd ai nostri occhi s tessi, se non ci accorgessimo che, mentre t:1.luni dei nostr i fanno la voce grossa, i nostri nemici ingrossano il pugno e colp iscono forte e inesorabilmente. Inutile ricercare se vi sia d el coraggio o della viltà in questa l oro abilità ne l· l'opera distruttiva. Inutile chiedersi se essi violentino, incendino, distruggano perch~ sicuri _della complicità · del pott re politico e della magistr:1tura, cht' g a• raotiscono Joro in anticipo ogni impunità. La lotta civile non procede con criteri: morali ed i rivoluzionari non possono pretendere di misurare con crite-ri di giustizia e di equità le botte che si d anno e si pigliano in periodo rivolu2ionario. Parlare di rivoluzione, fare professione di rivoluzionarismo t: poi piatire nelle anticamere prefettizie quella libertà ne!Ia quale non si crede, ed invocare le disposizioni di quella l egge che si vuole abolire, è opera non solo incondu· d ente, ma contr,1;ddittoria .,,,
Questa confessione ci dispensa da lunghe chiose. :B netta, categorica. n una speci e di r icevuta in calce a lla lunga serie delle disfatte. Si po· trebbe domandare: non avete" detto che il fascismo era morto e putrefatto? Non avcV'ate fatto credere ai vostri lettori che bastava un gesto d el gigante prnletario per debellare j1 fascismo o arditismo che dir si voglia? Gli è che il P 111, plebizzato dalla gue rra o meglio dalla ·non-pace seguita all'acmist izio, è un grosso e grasso animale pesante, con cui il leopardo fa5eista f>uò scheczare a piacimento. Il P11.r è un esercito ben regolare, ben tesserato, ben marchettato, che ha uno stato maggiore, anzi una serie di stati maggiori e tutta una burocrazia, che fa concorrenza oramai a quella dello Stato borghese; noi siamo bande di guerriller.o.r chci ci siamo adunati per uno scopo, raggiunto il q uale potrenuno anche scioglierci. chiere. Bisogna convincersene : il terreno del sociali smo non è quello in cui si scagliano bombe a mano e arn esi del genere. Anche il socialismo deve liberarsi della « bardatura di g uerra». Noi, sia pure involontariamente, g li rend iamo un· servizio quando g li instilliamo .tale persuasione con argomenti irresistibili come il p iombo e la fi:imma.
Ma non c'è dunque un fatto che spieghi l'apparen te contraddizione per .cui u n esercito, che Conta i suoi g rega ri a mi lioni, si fa regolarmente battere da una piccola legione di irregolari? La. ragione c'è ed è questa : le masse - cosl nella g uerra della nazione, come nella guerra d i classesono, nella lo ro strag rande magg ioranza, d'istinti pacifondai. Guardate~i attorno e vedrete che l' edonismo t rionfa anche in basso e che i l (arpe ~;em o raziano potrebbe d_iventare l'insegna d eg li innumeri templi e tempietti bacchici che adornano I'1talìa. Salvo minoranze esigue, tutto il res to d elle masse si compone di fodividui calmi, posati, alieni da r isd1i e da avventure pericolose, gente casalinga, che ama, come dice Zibordi, che se ne intende, le tagliatelle vuoi in brodo o vuoi asciùtte e « più non vuole! ~- Le remote finalità teologiche sono fondamentalmente estranee alla mentalità di queste masse. Quando fanno del comunismo, non lo fanno sotto la specie di una civiltà superiòre che bisogna inau• gurare senza indugio per largire la felicità all'afflitto genere u mano, ma sotto la specie del comfort garantito, sotto la specie del pollo, con relativa bottiglia di vino, l'uno e l'altro possibi lmente quotidiani . Su questi dati fondamentali, s u questi istinti di conservazione, che sono naturali, · poiché le masse non possono essere che conseivatrici e « depositarie», ha lavorato per mezzo secolo la propag'anda del socialismo. La propa· ganda antiguerresca andando incontro a queste tendenze pacifondaie insopprimibili nell' animo delle vaste masse umane, ha avuto largo successo ·di g regari e di voti. Ora è diffici le t rascinare sul terreno della violenza - e con probabilità di successo - gente abituata alle discussioni dei circoli vinicoli e .alle incruente battaglie delle schede. Quanto alla minoranza violenta, venuta al socialismo dopo la g uerra e quasi sempre per mot iv i «personalistici» , essa, mentre non può assoluta.mente resistere alla nostra azione, è di grave nocumento a l socialismo e perché tende a convertire la violenza-eccezione nella violenza.regola, il che è in assoluto contrasto colle dottrine fondam entali de l socialismo, e perché gran parte de lla s·ua « violenza » si riduce a vano diluviare· di chiac.
Mussoli Ni
Da li Popolo d'l1t1lia, N. 250, 19 ottobre 1920, VII