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Una marittimità rimossa
Pochi forse sanno che l’inno dello United States Marine Corps, musicato e scritto intorno al 1827, fa un esplicito riferimento alla Libia per marcare l’estensione della propria capacità di azione. From the Halls of Montezuma/ to the shores of Tripoli/ we fight our country’s battle (1). La Libia, grande piattaforma al centro del Mediterraneo e del Nord Africa, ha visto il proprio sviluppo urbano concentrato sulle fasce costiere ma gli immensi deserti che ne determinano la vasta profondità hanno talvolta oscurato la marittimità dei suoi principali centri urbani e commerciali. Il soprannome di Tripoli, d’altronde, non è la «regina dei deserti» ma, per via del suo mare turchese e dei suoi palazzi stuccati di bianco, «la Sposa del Mare» o «la Sirenetta», in arabo Arūsat al-Baḥr. Il suo porto fu fondato dai Fenici nel VII secolo a.C. e utilizzato da Greci e Romani insieme a quello di Bengasi (fondato dalle comunità greche di Cirenaica, passato agli Egizi e chiamato Berenice in ricordo della moglie di Tolomeo III) e Misurata (il cui ampliamento portò alla scoperta dei resti di bagni termali romani, parte della stazione Cephalae Promontorium) (2). Gli Stati Uniti di Thomas Jefferson combatterono insieme alla Svezia di Gustavo IV Adolfo la loro prima guerra al di fuori dei confini nazionali proprio nelle acque antistanti la Libia, affrontando i regni barbareschi di Algeria, Tunisi e Tripoli. Sebbene formalmente sottoposti al dominio della Sublime Porta, queste reggenze (eyalet nel caso libico fino
Scuna USS ENTERPRISE contro la polacca TRIPOLI durante la
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Prima guerra barbaresca, dipinto di William Bainbridge Hoff 1878 (National Archives Military Records, US Navy).
al 1902, al Jaza’ir in quello algerino fino al 1830) godevano di una autonomia tale da rasentare la sovranità ed esercitavano il proprio controllo sulle acque antistanti attraverso la guerra corsara (3). Fino a quando le colonie americane avevano fatto parte dei territori inglesi d’oltremare, il naviglio mercantile nordamericano era stato protetto dalla Royal Navy che, negli anni, era riuscita a intavolare un precario accordo con i corsari. La dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti privò quest’ultimi di tale protezione e, per scongiurare gli attacchi, il nuovo Governo americano decise di piegarsi a pagare un tributo ai vari pascià locali. Quando nel 1801 l’elayet di Tripoli pretese una quota più alta rispetto a quella pattuita in precedenza, il presidente Jefferson si rifiutò di pagare e la risposta tripolina fu l’abbattimento dell’asta della bandiera del consolato americano (l’assalto ad ambasciate e consolati sarebbe rimasto una costante della storia libica, anche durante il regime del colonnello Muhammar Gheddafi). Il gesto equivalse a una dichiarazione di guerra e segnò l’inizio del conflitto che si concluse nel 1805 dopo un blocco navale e la presa della città di Derna con lo sbarco anfibio dei Marines (4).
Sebbene dunque la Libia non abbia mai potuto vantare nel corso della sua storia recente una marina mercantile o da guerra in alcun modo rilevante, nondimeno il valore strategico dei suoi porti ne certifica un innegabile potenziale marittimo. D’altronde, anche la vittoria italiana nella guerra del 1911-12, che avrebbe strappato la Tripolitania (all’epoca trasformata in vilayet, una sorta di provincia) all’Impero ottomano e aperto la strada alla colonizzazione, fu possibile grazie alla superiorità della Regia Marina (5). Da quelle stesse colonie, proprio la Marina italiana avrebbe successivamente attinto gli equipaggi marittimi conosciuti come ascari di marina, una decisione frutto anche della disattenzione del Governo di Roma rispetto alle richieste di incremento degli organici delle forze navali (6). Paradossalmente, infatti, l’Italia avrebbe finito per porre in secondo piano la dimensione marittima della Libia:
La Battaglia di Derna, 1805, dipinto di Charles Waterhouse (archivio autore).
USS PHILADELPHIA nella prima guerra barbaresca, dipinto di Edward Moran,
1897, Naval History Heritage (US Naval History and Heritage Command).
mentre i Governi dell’Italia liberale si accontentarono di mantenere un controllo sostanziale sulla costa e uno più formale nel resto del paese (per ragioni economiche ma anche per il repentino mutamento di priorità con lo scoppio della Grande guerra), il fascismo concentrò i propri sforzi sulla repressione della ribellione in Cirenaica e sul consolidamento del potere italiano all’interno del paese. Il risultato fu che la base navale di Tobruk venne classificata dalla Regia Marina tra quelle di «seconda classe», mentre Tripoli e Bengasi addirittura relegate tra quelle «temporanee» (7). Eppure, durante la Seconda guerra mondiale proprio le rotte dall’Italia verso la Libia, che incrociavano quelle della direttrice Gibilterra-Malta-Suez, diventarono il teatro principale della Battaglia del Mediterraneo mentre nel Golfo antistante le coste libiche furono combattute la prima e la seconda battaglia della Sirte tra le Marine italiana e britannica (1941-42) (8).
La storia moderna della Marina di Libia comincia con la fine della presenza italiana e l’indipendenza del paese sotto la monarchia senussita di re Idriss, ascetico sovrano di una confraternita orientale che aveva il suo principale riferimento e protettore politico nella Gran Bretagna. Nata ufficialmente nel novembre 1962 sotto il comando dell’ammiraglio Mansour Badr e tenuta a battesimo da ufficiali formati dagli inglesi al Dartmouth Naval College, la Al-Quwwāt al-Baḥriyya alLībiyya era una tipica marina costiera di piccole dimensioni, dotata di scarse capacità di autodifesa e pressoché nessuna di proiezione. Poche fregate, qualche corvetta e alcuni pattugliatori, tutto venduto da paesi terzi. Le prime unità, due dragamine classe «Ham», furono consegnate nel 1966 dal Governo di Sua Maestà britannica che si incaricò di continuare a fornire l’addestramento necessario agli equipaggi, gli armamenti e i pezzi di ricambio (9).
Con la fine della monarchia e l’avvento del regime di Gheddafi (1 settembre 1969), la Libia divenne uno dei principali acquirenti d’armamenti al mondo (10). In pochi anni, le Forze armate di Tripoli raggiunsero l’ipertrofia: in alcuni settori, paesi come Egitto e Algeria (con una popolazione rispettivamente quindici e sei volte più grande della Libia) arrivarono a possedere meno di 1/3 delle unità
Porto di Tripoli, 1930 (Hesham Tajouri Archive).
libiche. Le principali motivazioni che spinsero Gheddafi a spese militari compulsive erano la sopravvivenza del regime, la deterrenza e il prestigio, sebbene non sempre in quest’ordine. Il risultato fu l’accumulazione del più grande e giacente arsenale d’Africa: aerei da combattimento francesi, batterie di missili terra-aria, carri armati russi, artiglieria contraerea, tutto rimase avvolto per anni nella plastica dentro qualche polveroso deposito a causa della scarsità di manodopera specializzata. In Libia non mancavano infatti solo piloti o carristi ma anche meccanici, strumentisti, tecnici e chiunque potesse mantenere e manutenere quell’enorme apparato (11). Anche per questo, il regime cominciò presto a considerare la possibilità di dotarsi di armi nucleari e avviò un costoso programma di ricerca che sarebbe durato quasi vent’anni senza però giungere ad alcun risultato concreto (12). Rispetto all’esercito, all’aviazione, ai servizi segreti o alle unità paramilitari come i Guardiani della rivoluzione, la Marina continuò a ricevere soltanto le briciole e la sua forza effettiva rimase limitata al naviglio più piccolo. Nel 1970 le dogane e la polizia portuale furono accorpate alla Marina per accrescerne gli organici e includere tra i compiti della Forza armata anche il contrasto ai traffici illegali e i controlli doganali. Con questo espediente, il regime riuscì a portare gli equipaggi marittimi a circa 8000 effettivi.
Nel decennio successivo, pur professando il non-allineamento, Gheddafi diventò un assiduo cliente dell’Unione Sovietica nel Mediterraneo e lucrò sulla possibilità di un suo scivolamento verso il blocco orientale per esercitare pressione psicologica sugli americani e sugli europei e costringerli a venire incontro alle sue pressanti richieste anche in tema di armamenti (13). I sovietici vendettero al colonnello quattro corvette classe «Nanuchka» e sei sottomarini classe «Foxtrot 641» che, sebbene mediamente funzionanti e bisognosi di costante manutenzione, rappresentavano comunque una minaccia per la Sesta flotta americana nel Mediterraneo. L’ambiguità di Gheddafi rispetto ai suoi rapporti con Mosca suscitava sospetti e faceva immaginare la possibilità che l’Eskadra navale sovietica potesse un giorno non solo ottenere il permesso di attraccare nei porti libici ma anche stabilirvi delle basi permanenti. Lo stesso Stalin, del resto, durante le discussioni sul futuro delle colonie africane dell’Italia, aveva manifestato interesse per una trusteeship sovietica sulla Libia (14). Tuttavia, l’opacità del colonnello in merito ai suoi rapporti con i russi fu strumentale agli interessi di molti Governi, incluso quello di Roma, desiderosi di rafforzare i propri rapporti economico-commerciali con Tripoli nascondendosi dietro all’alibi del contenimento sovietico. Un appunto riservato del SISMI in merito all’utilizzazione dei porti libici da parte dei russi, datato maggio 1979, dimostra come, sebbene il Servizio non escludesse in assoluto tale possibilità, nondimeno la ritenesse tutto sommato remota (15). Maggiori preoccupazioni destava il rischio, forse più concreto, che di fronte a un irrigidimento italiano Gheddafi potesse decidere di finanziare organizzazioni terroristiche come le Brigate Rosse (16). L’Italia contribuì dunque ad armare la Marina libica vendendo, tra le altre, quattro corvette classe «Assad» equipaggiate con Otomat Mk.I e dotate di capacità antisom con sonar e siluri leggeri (17).
La piccola flotta libica solcò di rado i mari, molte unità rimasero inattive o alla fonda, ma nel 1986 alcune di esse furono coinvolte in una battaglia aerea e navale nel Golfo della Sirte. A causa del sostegno che Gheddafi garantiva a formazioni terroristiche e in seguito a una serie di attentati negli aeroporti di Fiumicino e Vienna nel 1985, gli Stati Uniti decisero di aumentare la pressione militare sulla Libia. La Sesta flotta schierata nel Mediterraneo centrale fu incaricata di svolgere una serie di esercitazioni navali in prossimità della linea della morte, un immaginario
Sottomarino classe «Foxtrot» della Marina libica in navigazione nel Mediterraneo, 1982 c.a. (Defense Imagery).
confine marittimo tracciato arbitrariamente dal colonnello nel 1973 nel Golfo della Sirte. L’escalation di tensione aveva già provocato nel 1981 uno scontro aereo conclusosi con l’abbattimento di due Mig libici da parte di intercettori americani. Nel marzo 1986, un mese prima dei bombardamenti su Tripoli ordinati da Ronald Reagan come rappresaglia per un attentato in Germania, il contrasto in quelle contestate acque tra la US Navy e la Marina libica degenerò nuovamente in una battaglia aeronavale. In risposta all’attraversamento americano della linea della morte, siti antiaerei libici aprirono il fuoco contro velivoli statunitensi e
quest’ultimi risposero attaccando le postazioni radar sulla terraferma; a quel punto, unità della Marina libica, corvette e pattugliatori, tentarono di intervenire ma furono intercettate e distrutte (18). In risposta ai bombardamenti del mese seguente, Gheddafi avrebbe poi ordinato il lancio di due missili Scud contro un’installazione del sistema di radionavigazione LORAN della Nato, situato Corvetta lanciamissili classe «Assad» della Marina libica, 1982 c.a. (Defense Imagery). sull’isola di Lampedusa. Sebbene il Governo italiano pensasse inizialmente a una rappresaglia militare contro la base di lancio libica, la reazione finale fu improntata alla prudenza e alla deterrenza: a una nota formale di protesta diplomatica fece seguito l’invio di unità paracadutiste a difesa dell’isola, il rischieramento di reparti di volo e il pattugliamento dello stretto di Sicilia a opera di una Squadra navale composta da incrociatori missilistici, fregate e cacciatorpediniere (19). Il pessimo stato di salute della Marina si aggravò nei successivi anni Novanta quando, dopo che Gheddafi fu accusato di essere il mandante della strage di Lockerbie e di quella del deserto del Teneré, la comunità internazionale sottopose la Libia a un embargo totale. Gli effetti furono devastanti e il paese rischiò il collasso economico e sociale. Consapevole che anche la propria permanenza al potere era in pericolo, il colonnello decise di abbandonare l’ideologia in nome della sopravvivenza: rescisse i suoi legami con il terrorismo internazionale, si riappacificò con i propri vicini africani, sconfisse una ribellione islamista in Cirenaica, consegnò i presunti responsabili della strage di Lockerbie affinché fossero processati all’Aja e si accordò per compensazioni economiche alle famiglie delle vittime. Dopo gli attentati dell’11 settembre capì inoltre che avrebbe potuto sfruttare la guerra al
Corvetta libica classe «Nanuchka» in fiamme dopo lo scontro nel Golfo della Sirte, 24 marzo 1986 (Navy Site Cruise Books).
Vessillo della marina libica 1977-2011 (archivio autore).
terrorismo americana per riabilitarsi e agli inizi del 2003, dopo aver garantito il supporto del suo brutale apparato di sicurezza nella lotta contro Al-Qa‘ida, accettò di chiudere il proprio programma nucleare e disarmare (20). Tuttavia, il ritorno della Libia nella comunità internazionale, favorito dal continuo aumento dei prezzi del petrolio e dalle possibilità di investimento che quell’industria poteva offrire, corrispose a una corsa al riarmo. Dietro alla retorica della modernizzazione, delle riforme e della rinascita libica, continuavano a perpetuarsi vecchie logiche mercantiliste: armi in cambio di petrolio, investimenti nei settori finanziario, infrastrutturale, commerciale e marittimo (in quest’ultimo caso attraverso la General National Maritime Transport Company, affidata al più pericoloso dei figli del leader: Hannibal, detto «il Capitano») (21). L’accumulazione di armamenti tornò così al centro degli interessi del colonnello e a novembre 2010, a poche settimane dall’inizio delle rivolte, la Marina libica poteva vantare nuovamente una piccola, sebbene solo parzialmente funzionale, flotta. Oltre a due sottomarini Al-Kyhber classe «Foxtrot», Tripoli schierava 2 fregate classe «Koni», 2 corvette classe «Bykov», 14 pattugliatori costieri e d’altura (alcuni armati con Mk2 Otomat SSM), 4 cacciamine classe «Natya», 4 navi da
Fregata AL-GHARDABIA nel porto de La Valletta, 2005 (archivio autore).
sbarco (LST) e 12 unità di supporto logistico a cui si aggiungevano 7 elicotteri SA-321 Super Frelon (22). Nel febbraio 2011, nella città di Bengasi iniziarono le proteste contro il regime che in breve si diffusero nel resto della Cirenaica trasformandosi in una rivoluzione. La brutale risposta repressiva di Gheddafi, gli interessi di alcuni paesi del Golfo ed europei a un cambio di regime, così come la pressione dell’opinione pubblica internazionale di fronte all’ipotesi che Bengasi si trasformasse in un’altra Srebrenica, crearono le condizioni affinché la Nato potesse intervenire con mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (23). Negli otto mesi di guerra che seguirono, fino alla caduta di Tripoli in agosto e l’uccisione del colonnello in ottobre, la campagna aerea alleata distrusse buona parte della flotta libica che il regime aveva utilizzato per bersagliare i civili e i ribelli asserragliati nelle città costiere e supportare la controffensiva lealista (24). La speranza che la caduta del regime avrebbe potuto favorire una transizione alla democrazia fu rapidamente disattesa e nel 2012 il paese sprofondò in una guerra civile che contrappose il Governo di Tripoli a quello di Tobruk, entrambi sostenuti da un complesso mosaico di milizie, gruppi armati e potentati locali sorti durante la rivoluzione. La Libia fu dunque soggetta a una divisione de facto che ne martoriò le istituzioni politiche, economiche e l’integrità territoriale stessa. L’intervento di potenze straniere, l’invio di armi e mercenari, insieme alla diffusione di formazioni affiliate all’ISIS, contribuì ad aggravare e prolungare il conflitto (25). Quel che rimaneva della Marina si schierò con i vari governi che si succedettero a Tripoli, operando per arginare il traffico illegale di petrolio da parte delle milizie o per favorirlo in base ai mutevoli interessi del momento. Ironicamente, il collasso delle istituzioni produsse, in negativo, la riscoperta della marittimità della Libia, divenuta il centro di smistamento, detenzione e transito delle rotte dell’immigrazione e del traffico di esseri umani dal-
Mappa delle principali infrastrutture libiche e attori sul terreno - aprile 2022 (Petroleum Economist 2022).
Porto di Tripoli, Libia (archivio autore).
l’Africa subsahariana verso il Mediterraneo. Gli approdi nei dintorni di Tripoli tornarono così al centro dell’interesse delle potenze europee che organizzarono e finanziarono missioni navali per cercare di contenere la crisi migratoria e impedire l’afflusso di armi nella ex colonia italiana. Nel 2015, grazie alla firma degli Accordi di Skhirat (Marocco) mediati dalle Nazioni unite, si insediò a Tripoli un Governo di Accordo Nazionale (GNA) retto dal primo ministro Fayez al-Serraj che, tuttavia, non riuscì ad assicurarsi l’appoggio della Camera dei Rappresentanti (HOR) di Tobruk guidata da Aguila Saleh. La Libia restava così divisa, sebbene dotata di un Governo riconosciuto dalla comunità internazionale che poté beneficiare del supporto di diversi paesi europei e della UE: quest’ultimi finanziarono la ricostruzione della Guardia costiera e della Marina, garantendo assistenza, addestramento e logistica. La Guardia costiera sarebbe presto stata accusata di lucrare, piuttosto che contrastare, sui traffici illegali e sull’immigrazione clandestina, rendendosi responsabile anche di detenzioni di massa e torture nei confronti dei migranti in transito (26). Parimenti, il GNA subiva la pressione esercitata non solo da altri gruppi armati ma soprattutto dall’autoproclamato Esercito Nazionale Libico (LNA) guidato dal maresciallo Khalifa Haftar (sostenuto da attori esterni tra cui Egitto, Russia, EAU, Arabia Saudita e in parte dalle forze politiche di Tobruk) (27). Nascondendosi dietro al paravento della lotta contro gli islamisti, quest’ultimo lanciò una offensiva contro la Tripolitania che si sarebbe dovuta concludere con la vittoriosa conquista della capitale nella primavera del 2019. L’offensiva si tramutò invece in un sanguinoso assedio che servì soltanto a protrarre la presenza di potenze straniere nel paese: di fronte al rischio della capitolazione, il GNA si rivolse alla Turchia che garantì l’aiuto militare necessario a resistere in cambio di un accordo sulla ridefinizione delle rispettive ZEE marine. Quella intesa servì al Governo di Ankara per intralciare la realizzazione del corridoio energetico cipriota (EastMed), una manovra parte di una più articolata diplomazia delle cannoniere intesa a contestare i confini marittimi definiti dalla c.d. Mappa di Siviglia (28). L’arrivo a Tripoli dei generali di Erdogan, seguiti da mercenari siriani, droni e artiglieria, permise al GNA di sopravvivere al costo di accendere un’ipoteca sulla Tripolitania. Aziende, imprenditori, società e operai turchi avrebbero presto fatto la loro comparsa nella capitale mentre i due Governi si sarebbero accordati sulla possibilità per la Turchia di impiantare una base navale nel porto di Qasr Ahmed nei pressi di Misurata (uno dei più importanti in Nord Africa, comprendente gli uffici della Libyan Iron and Steel Company) e utilizzare quella aerea di AlWatiya nel distretto occidentale di Nuqat al-Khams.
Lo stallo militare su Tripoli rese possibile riprendere i colloqui diplomatici all’interno della cornice della Conferenza di Berlino e di una parallela iniziativa delle Nazioni unite che riunì intorno a un tavolo le principali formazioni militari in conflitto. Le due track negoziali
permisero la nascita di un provvisorio Governo di Unità Nazionale (GNU) affidato a un nuovo primo ministro, l’imprenditore originario di Misurata Abdul Hamid Dbeiba, cui fu affidato il compito di raggiungere un accordo per redigere una Costituzione e traghettare il paese verso elezioni presidenziali nel dicembre 2021. Veti incrociati, candidature bocciate e interessi contrapposti avrebbero impedito di tenere regolari consultazioni e, con l’avvento del nuovo anno, la Libia sarebbe tornata a dividersi tra un GNS (Governo di Stabilità Nazionale, riconosciuto dalla Camera di Tobruk e affidato all’ex ministro dell’Interno Fathi Bashagha) e il GNU di Dbeiba deciso a restare al potere fino a nuove elezioni. Mentre il GNS poteva contare sull’accordo raggiunto tra Bashagha, il presidente della Camera Saleh e il maresciallo Haftar, la permanenza al potere del GNU continuava a essere garantita dalla Tripoli Protection Force, etichetta anodina dietro cui si nascondevano le principali milizie e gruppi armati a protezione della capitale (29).
Di fronte al recidivo caos istituzionale e al potere di ricatto e pressione esercitato dalle milizie e dalle potenze straniere in campo, riforme e investimenti nel settore della sicurezza hanno potuto fare ben poco negli ultimi anni per mettere in piedi una Marina simile a quella di un decennio addietro. Attualmente, sebbene i dati siano difficili da confermare, il GNU avrebbe a disposizione 4 pattugliatori (di cui una FSGM Al-Hani classe «Koni» da anni ferma nel porto di Malta, una classe «Combattante II»franco-tedesca armata con Otomat Mk2 AshM, due PV30); una LST Ibn Harissa; due AFD e ARS Al Munjed per il supporto logistico (30). A queste unità andrebbero aggiunte quelle della Guardia costiera, la branca della Marina libica che ha ricevuto maggiore sostegno economico da parte dell’Unione europea e di alcuni paesi mediterranei, tra cui l’Italia, per il contrasto all’immigrazione clandestina e ai traffici illeciti. Quest’ultima avrebbe a disposizione un organico di 1000 equipaggi e 9 pattugliatori costieri e d’altura: 1 PCC Damen Stan 2909; 5 PBF (4 Bigliani, 1 Fezzan); 3 PB (1 Burdi ex-Damen Stan 1605, 1 Hamelin, 1 Ikrimah ex FRA RPB20) (31). Alle navi sotto il controllo del GNU si sommano quelle a disposizione dell’LNA di Haftar, per un totale di ulteriori 7 pattugliatori ex-Damen Stan 1605, FRA RPB20 e 1 unità AFD di supporto. Molte di esse, tuttavia, sarebbero inutilizzabili. La Marina libica è dunque un attore minore se non irrilevante nel Mediterraneo, potendo esprimere soltanto residuali capacità di controllo costiero. Ciò nonostante, la guerra civile e la presenza di attori stranieri hanno forzatamente ricondotto la Libia alla sua importanza marittima dimostrando il valore strategico delle sue coste, dei suoi porti, del suo Golfo, dei terminali terrestri e off-shore, delle rotte che transitano davanti a essa per oltre 1770 km. Sia la Russia che la Turchia hanno manifestato il loro interesse a installare basi navali nei porti di Misurata e Sirte, mentre Haftar ha più volte ipotizzato l’ampliamento del porto di Tobruk in Cirenaica. Come sottolineato in precedenza,
la Libia è una immensa piattaforma al centro del Mediterraneo dotata al tempo stesso di profondità verso l’Africa subsahariana, prossimità a due dei principali attori del mondo arabo e nordafricano (Algeria ed Egitto), e una naturale vocazione marittima delle sue coste. Purtroppo, anni di instabilità e blocchi hanno ridotto le principali aeree portuali del paese (Tripoli, Misurata, Bengasi, Marsa al-Brega, al-Khoms) in condizioni dilapidate, prive degli equipaggiamenti, dei mezzi e delle infrastrutture necessarie a un loro rilancio. Solo la GNMTC, di proprietà dello Stato libico, possederebbe ancora 21 navi cargo operanti in partnership con alcune delle principali majors petrolifere, tra cui Shell, BP, Chevron, ExxonMobil e Repsol. In un contesto di marittimità forte, solo la crisi politica, istituzionale e securitaria del paese può spiegare la presenza di una marina storicamente debole o indebolita. Non può dunque destare sorpresa l’interesse che le coste della Libia e le sue acque hanno suscitato nei paesi rivieraschi del mondo antico, così come di quello contemporaneo. 8
NOTE
(1) A. Collins, Songs Sung, Red, White, and Blue: The Stories Behind America’s Best-Loved Patriotic Songs, Harper Resource, 2003. (2) Sulla marittimità della Libia rimandiamo a P. Matvejevic, Breviario mediterraneo, Garzanti Editore, 2006. (3) R.C. Davis, Christian Slaves, Muslim Masters: White Slavery in the Mediterranean, The Barbary Coast, and Italy, 1500–1800, Palgrave Macmillan, 2003. A. Tinniswood, Pirates of Barbary: Corsairs, Conquests and Captivity in the Seventeenth-Century Mediterranean, Riverhead Books, 2010. Sulla realtà politica e sociale dell’elayet libico, cfr. N. Lafi Une ville du Maghreb entre Ancien Régime et réformes ottomanes. Genèse des institutions municipales à Tripoli de Barbarie (17951911), L’Harmattan, 2002. Miss Tully, Letters written during a ten-year’s residence at the Court of Tripoli, 1783-1795, Hardinge Simpole, 2008. (4) J. Wheelan, Jefferson’s War: America’s First War on Terror, 1801-1805, Carroll & Graf, 2003. W. Ian, Six Frigates: The Epic History of the Founding of the U.S. Navy, W.W. Norton & Company, 2008. E. Joshua E., Victory in Tripoli. How America’s War with the Barbary Pirates Established the U.S. Navy and Shaped a Nation, John Wiley & Sons, Inc., 2005. (5) Per una introduzione alla guerra italo-turca, vedi: L. Micheletta, A. Ungari, L’Italia e la guerra di Libia cento anni dopo, Studium, 2013. (6) A. Volterra, Sudditi Coloniali. Ascari eritrei, Franco Angeli, 2005. (7) S. Brian, A Fleet in Being. The Rise and Fall of Italian Sea Power 1861-1943, in The International History Review, Vol. 10, No. 1 (Feb., 1988), pp. 106-124. (8) Per il ruolo della Regia Marina nella Seconda guerra mondiale, il riferimento rimane: J. Sadkovich, La Marina Militare italiana nella Seconda guerra mondiale, Feltrinelli, 1994. G. Giorgerini, La guerra italiana sul mare. La Marina tra vittoria e sconfitta, Mondadori, 2000. (9) TNA London, Formation of Libyan Navy, 1962-1963, ADM 1/28342, ADMTY 38/63; Provision of ships for Libyan Navy 1962-1964, ADM 1/28051, MII/380/1/62; Arms sales to Libyan navy, FCO 39/419, 1968, NAL 10/12. (10) Per una panoramica generale sulla storia della Libia moderna, cfr. D. J. Vandewalle, A History of Modern Libya, Cambridge University Press, 2002. M. Cricco, Il petrolio dei Senussi. Stati Uniti e Gran Bretagna dall’indipendenza a Gheddafi (1949-1973), Polistampa, 2002. S. Van Genugten, Libya in Western Foreign Policies 1911-2011, London, Palgrave Macmillan, 2016. (11) D. Lutterbeck, Arming Libya. Transfers of Conventional Weapons, in Contemporary Security Policy, 30:3, 2009, 505-528. (12) M. Braut-Hegghammer, Unclear Physics: Why Iraq and Libya Failed to Build Nuclear Weapons, Cornell University Press, 2016. W. Bowen, Libya and Nuclear Proliferation. Stepping Back from the Brink, Routledge, 2017. L. Palma, The Nuclear Delusion. Proliferation Pathways and Failings in Qadhafi’s Libya, in Strife, War Studies Series, King’s College London, 2020. (13) Relations between Libya and Soviet Union, FCO 93/1012 (January-December 1977), FCO 39/1067 (1972), FCO 93/3341 (1983), TNA The National Archives London UK. Cfr. Memorandum. Libya-Soviet Relations, Directorate of Intelligence, June 20, 1975, CREST, General CIA Records, September 26, 2003. Vedi anche: R.B. St. John, The Soviet Penetration of Libya, in The World Today, Vol. 38, No. 4, April 1982, 131-18. (14) S. Mazov, The USSR and the Former Italian Colonies 1945-50, in Cold War History, Vol. 3, Issue 3, 2003, 49-78. (15) Appunto RISERVATO SISMI, Uso dei porti libici da parte dell’URSS, ASILS Archivio Storico Istituto Luigi Sturzo, AGA Archivio Giulio Andreotti, Serie Libia, B. 1300, F. 1979. (16) Intervista dell’autore all’ambasciatore Luigi Guidobono Cavalchini. Roma, 2019. (17) Visita di Abdul Salam Jallud in Italia, ACS Archivio Centrale dello Stato AAM Archivio Aldo Moro, Serie 6, ministero degli Affari Esteri, B. 157. Vedi inoltre: M. Bucarelli, L. Micheletta (a cura), Andreotti, Gheddafi e le relazioni italo-libiche, Studium, 2018. (18) Sullo scontro tra l’amministrazione Reagan e la Libia la letteratura è vasta, ci limitiamo a suggerire: M. Toaldo, The Origins of the US War on Terror: Lebanon, Libya and American Intervention in the Middle East, Routledge, 2015. (19) V. Nigro, «1986. Quando Craxi pensò di attaccare la Libia», in La Repubblica, 31 ottobre 2008. Sul ruolo italiano nello scontro tra USA e Libia, cfr. P. Soave, Fra Reagan e Gheddafi. La Politica Estera Italiana e l’Escalation Libico-Americana degli Anni ’80, Rubbettino, 2017. (20) L. Palma, Gheddafi. Ascesa e caduta del ra‘is libico, Historica, 2021. J. Steinberg, S. Thompson, An Imperial Love Affair. Tony and Lizzie and Bandar and Muammar, in Intelligence Review, March 2011, 30-34. P.V. Jakobsen, Reinterpreting Libya’s WMD Turnaround. Bridging the Carrot-Coercion Device, in Journal of Strategic Studies, 35:4, 2012, 489-512. (21) F.P. Trupiano, Un Ambasciatore nella Libia di Gheddafi, Greco&Greco Editori, 2016. (22) Libya, Middle East and North Africa, The Military Balance 2010, IISS International Institute for Strategic Studies, 262-263. (23) E. Chorin, Exit the Colonel. The Hidden History of the Libyan Revolution, Public Affairs, 2012. A. Pargeter, Libya. The Rise and Fall of Qaddafi, Yale University Press, 2012. C. Blunt, Libya: Examination of Intervention and Collapse and the UK’s future policy options, House of Commons, Foreign Affairs Committee, The Libya’s Inquiry, 2016-17. (24) R. Weighill, F. Gaub, The Cauldron. NATO’s Campaign in Libya, Hurst & Company, 2018. J. Pack, The 2011 Libyan Uprisings and the Post-Qadhafi future, Palgrave Macmillan, 2013. (25) F. Wehrey, The Burning Shores. Inside the Battle for the New Libya, Farrar, Straus, and Giroux, 2017. W. Lacher, Libya’s Fragmentation. Structure and Process in Violent Conflicts, I.B. Tauris, 2020. L. Palma, De Bello Libico. Le Contexte Détaillé d’une Séquence Prête à Exploser, in Le Grand Continent, GEG, ENS Paris, 2020. (26) S. Panebianco, The EU and migration in the Mediterranean: EU borders’ control by proxy, in Journal of Ethnic and Migration Studies, 2020, 1-19. (27) T. Eaton, The Libyan Arab Armed Forces. A Network Analysis of Haftar’s Military Alliance, Research Paper, Middle East and North Africa Program, Chatham House, June 2021. (28) E. Badi, To advance its own interests, Turkey should now help stabilize Libya, in War on The Rocks, May 2021. (29) Sulle milizie libiche, vedi: E. Badi, Exploring Armed Groups in Libya: Perspectives on Security Sector Reform in a Hybrid Environment, DCAF Geneva, 2021. (30) Libya, Middle East & North Africa, The Military Balance 2021, IISS International Institute for Strategic Studies, 353. (31) Ibidem, 354.
40° anniversario di attività per SI.TE.MAR.
SI.TE.MAR è sul mercato dal 1981 nel settore della sicurezza e occupandosi di progettazione, installazione e manutenzione degli impianti antincendio e proprio nel mese di novembre appena trascorso, ha festeggiato i suoi primi quarant'anni di attività. Un traguardo storico e un'emozione forte per un'azienda familiare che rappresenta tutt'oggi un fiore all'occhiello non solo per la provincia spezzina ma anche a livello nazionale ed internazionale. È un momento di festa ma altrettanto importante per chi ha caratterizzato la sua storia: è per questo che oggi abbiamo scelto di intervistare uno dei soci fondatori che ogni giorno entra e lavora in SI.TE.MAR portando l'esempio di quella passione che, quarant'anni fa, ha condotto lui e altri soci a creare con coraggio e un pizzico di fortuna un'azienda prestigiosa. La parola ora, al dottor Andrea Lucchini.
Novembre 1981 - Novembre 2021. Quarant'anni di SI.TE.MAR. Vuole raccontarci qualcosa sull'azienda?
Era il 9 novembre del 1981 quando insieme ad altri soci, abbiamo costituito SI.TE.MAR. La nostra singola preparazione nel settore antincendio ci ha portato a unire le forze con l'obiettivo di crescere e migliorarci giorno dopo giorno. L'attenzione al dettaglio e alle continue novità del mercato ci hanno permesso di crescere rapidamente sia nel settore terrestre che in quello marittimo. In ambito navale, mi piace ricordare la nostra prima esperienza di installatori di grandi impianti antincendio sulle Navi da Crociera di lusso della Renaissance Cruises: ci siamo distinti subito per preparazione e professionalità e questo ci ha consentito di sviluppare ampiamente le competenze in questo settore tanto da essere oggi un importante punto di riferimento in ambito navale. Tra i clienti che si avvalgono da svariati anni del servizio SI.TE.MAR, infatti, c'è anche l’importante flotta di navi porta container di MSC (Mediterranean Shipping Company).
Un'eccellenza territoriale quindi, ma non solo...
Esatto. Abbiamo scelto di operare nel vasto mondo dell'antincendio offrendo ai clienti un servizio completo che comprende progettazione, fornitura, installazione, manutenzione e collaudo di impianti sia nelle aziende che a bordo delle unità navali e per quest’ultime anche a livello internazionale.
Vantate anche un consolidato sistema di certificazioni per la gestione della qualità. Vuole ricordarcele?
Sì, anche perché questo è un argomento a cui tengo molto. Le nostre certificazioni ci permettono di garantire la serietà, l'affidabilità e la competenza dei nostri servizi: dalla ISO 9001, alle ultime due che abbiamo ottenuto recentemente ovvero la ISO 45001 sulla salute e sicurezza del nostro personale e la ISO 14001 relativa all’ambientale. Inoltre siamo approvati dai principali Enti di Classifica internazionali: RINa, Det Norske Veritas/Germanischer Lloyd, American Bureau Shipping, Bureau Veritas e Lloyd’s Register of Shipping, i quali ci sottopongono periodicamente ad audit per il rinnovo delle certificazioni. In ultimo, SI.TE.MAR è autorizzata ad operare secondo l’articolo 68 del Codice della Navigazione per alcuni Compartimenti Marittimi italiani.
Un bel bagaglio di esperienza e professionalità, non c'è che dire! Se dovesse dare un consiglio a un giovane che volesse intraprendere oggi la strada imprenditoriale, cosa potrebbe suggerire?
Si suole dire che l'Italia non sia un pese per giovani ma la fiducia che avevo quarant'anni fa quando ho fondato insieme ad altri soci SI.TE.MAR, è la stessa che ritrovo in molti ragazzi che vertono intorno alla nostra azienda e non solo. Non mi addentro in discorsi fiscali, ma resto convinto che il nostro sia un paese con un ecosistema di competenze, talenti e manodopera specializzata che non sono facilmente replicabili. Direi a un giovane di credere sempre nelle proprie idee e non demordere al primo problema perché ogni tempo ha le sue difficoltà ma anche molte opportunità per fare impresa. Inoltre, alcuni principi non vanno mai dimenticati: l'onestà, la pazienza, l'umiltà, la perseveranza e per ultimo ma non meno importante lo studio.
Complice la ricorrenza, è emozionante ascoltarla. Come è riuscito in questi anni a seguire l'evoluzione e a stare sempre al passo con le novità aziendali?
L'aiuto dei miei figli e delle nuove generazioni è stato fondamentale per tutto quanto attiene all'aspetto tecnologico e digitale. È questo il bello di un mondo del lavoro che "funziona". Io ho sempre avuto voglia di imparare e sono orgoglioso che la formazione rappresenti una caratteristica imprescindibile di SI.TE.MAR e sono anche una persona che continua a mettersi in gioco. Le nuove leve hanno bisogno di esempi e ho sempre cercato di far capire l'importanza della formazione, della fiducia e della collaborazione. Ecco come sono riuscito a seguire l'evoluzione di SI.TE.MAR e, se siamo già arrivati a quarant'anni, ritengo si sia lavorato bene! (sorride) E visti i risultati, ne siamo certi anche noi. L'orgoglio di essere arrivato a questo traguardo si legge negli occhi e si sente nella voce del dottor Lucchini che ringraziamo per averci raccontato storia, aneddoti, servizi e peculiarità di un'azienda che festeggia un compleanno speciale e meritatissimo ma che ne siamo certi, è solo all'inizio di una nuova prossima sfida e guarda avanti con fiducia per continuare a progettarne il futuro. Serena Rondello