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Malta: fulcro del potere navale nel Mediterraneo
Massimo de Leonardis
L’ arcipelago maltese, composto da tre isole abitate, la principale Malta, le due più piccole Gozo e Comino (con solo tre residenti e un albergo per i turisti) e altre minori, nei secoli dell’età moderna e contemporanea ha costituito un punto nevralgico del potere navale nel Mediterraneo. Dal punto di vista geografico, etnico, culturale e religioso l’arcipelago appartiene pienamente all’Europa, anche se nel corso della sua storia fu dominato per circa due secoli, dall’870 al 1091, dagli Aghlabidi nordafricani.
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Malta dei Cavalieri
In età moderna, una data fondamentale della storia di Malta fu il 1530, anno in cui Carlo II re di Sicilia (Carlo V come sacro romano imperatore, Carlo I come re di Spagna) investì il Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, fondato nell’XI secolo in Terra Santa, del feudo perpetuo, nobile, libero e franco dell’arcipelago maltese e della città di Tripoli di Barberia, grazie all’intercessione di papa Clemente VII, che era stato Cavaliere rodiota. L’Ordine era stato costretto ad abbandonare la Terra Santa nel
Professore Ordinario (a.r.) di Storia delle relazioni e delle istituzioni internazionali e docente di Storia dei trattati e politica internazionale nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove dal 2005 al 2017 è stato direttore del Dipartimento di scienze politiche. Presidente dal 2015 della International Commission of Military History. Nell’ambito della Marina Militare è Consigliere scientifico del Capo di Stato Maggiore per l’area umanistica e membro decano del Comitato consultivo dell’Ufficio Storico. Dal 1999 coordinatore delle discipline storiche al master in Diplomacy dell’Istituto per gli studi di politica internazionale. Membro della European Academy of Sciences and Arts e insignito della medaglia «Marin Drinov» dell’Accademia delle scienze bulgara.
La sede del Maritime Squadron of Armed Forces of Malta a Floriana (di Frank Vincentz da wikipedia.org).
1291, rifugiandosi prima a Cipro e poi dal 1310 appunto a Rodi, anch’essa però conquistata dagli Ottomani nel 1522, dopo sei mesi di assedio. Di qui la denominazione comune da allora adottata di Sovrano Militare Ordine di Malta. Le isole restavano comunque sotto la suzeraineté del Re di Sicilia, tanto che Malta fu diocesi suffraganea di Palermo fino al 1831.
Un altro evento famoso fu il grande assedio di Malta nel 1565, quando i cavalieri resistettero vittoriosamente all’assalto delle imponenti forze ottomane. Fu la premessa della vittoria navale di Lepanto nel 1571, dopo la quale l’Impero ottomano non cercò più di espandere il suo potere navale al Mediterraneo occidentale, che rimase però infestato fino ai primi decenni del XIX secolo dalle scorrerie dei pirati barbareschi, facenti capo ad autonomi potentati arabi in Africa settentrionale. Ancora nel XVIII secolo il Sovrano Militare Ordine di Malta svolgeva un ruolo di milizia armata a difesa della cristianità, senza peraltro dimenticare l’originaria vocazione caritativa: nel 1783 la flotta dell’Ordine, carica di viveri, medicinali, abiti, era prontamente salpata sotto la guida del Balì Frelon de La Frelonnière per recare soccorso ai terremotati della Sicilia e della Calabria. Il ruolo militare era stato richiamato ancora da papa Benedetto XIV, che, elargendo all’Ordine speciali privilegi e benefici, esprimeva a esso, con la lettera apostolica Quoniam inter del 17 dicembre 1743, tutta la sua benevolenza e ricordava che la Milizia dell’Ospedale di S. Giovanni di Gerusalemme «combattendo, per la gloria di Cristo, contro i perduti uomini infetti dall’errore maomettano, con sommo vigore, difende assiduamente e con tutte le forze i paesi cristiani dalle incursioni di costoro» e «per sua istituzione, fa [...] guerra continua contro il comune nemico del nome cristiano [...] e [...] a tale scopo mantiene una flotta munitissima e ben dotata di materiale bellico e di ogni
macchina guerresca» (1). L’Europa degli equilibri di potenza aveva però già da molto tempo sostituito la Respublica Christiana; gli Stati sovrani combattevano guerre per i loro interessi dinastici e nazionali e nei loro rapporti con l’Impero ottomano non ponevano più al centro il fattore religioso.
Già prima della tempesta della Rivoluzione francese l’arcipelago maltese aveva suscitato l’interesse delle grandi potenze (2). Le relazioni tra la Russia e Malta risalivano al regno di Pietro il Grande e l’imperatrice Caterina II aveva poi stabilito piene relazioni diplomatiche con Malta. Dal 1770 la flotta russa cercava infatti un punto d’appoggio permanente nel Mediterraneo; intanto, a seguito della prima spartizione della Polonia del 1772, una parte delle terre polacche che ricadevano nel Gran Priorato d’Austria e Boemia dell’Ordine era passata sotto il dominio degli zar. L’interesse della Gran Bretagna per Malta datava dal 1783, anno in cui dovette restituire Minorca alla Spagna in conseguenza della sconfitta nella Guerra d’indipendenza americana; un memorandum del 1794 al ministro degli Esteri Lord Grenville sottolineò l’importanza strategica ed economica dell’isola. Nello stesso anno gli Stati Uniti offrirono ai Cavalieri protezione e un nuovo territorio sul continente americano.
La Rivoluzione francese ebbe un forte impatto sull’Ordine. Il ruolo preminente della Francia a Malta, frutto dei buoni rapporti con l’Ordine, era minacciato dall’interesse delle grandi potenze e ai nuovi governanti di Parigi si pose l’alternativa tra restare amici dell’Ordine conservandogli i suoi beni o, coerentemente alle idee rivoluzionarie, confiscarli e conquistare Malta. L’Illuminismo e la Rivoluzione francese seminarono divisione nell’Ordine Gerosolimitano: un piccolo gruppo di cavalieri francesi aderì alle nuove idee, un altro gruppo più numeroso militò apertamente nel campo controrivoluzionario, per esempio arruolandosi nell’armata del Principe di Condé. Nel giugno 1791, il Ricevitore dell’Ordine fornì un milione e duecentomila lire al re Luigi XVI che tentava la fuga e che poi, nonostante la protesta del gran maestro Emmanuel de Rohan, fu imprigionato al Tempio, parte integrante della residenza del Gran Priore di Francia. Un decreto del 19 settembre 1792 abolì l’Ordine nei territori francesi, incamerandone i beni, che rappresentavano circa la metà di tutti i suoi possedimenti sul continente europeo.
Gli statuti obbligavano l’Ordine a combattere solo contro gli infedeli nell’interesse generale della cristianità e a rimanere neutrale nelle guerre tra gli Stati cristiani. Tra il 1793 ed il 1798 l’Ordine cercò quindi di barcamenarsi tra la Gran Bretagna e la Francia, tendendo in un primo tempo più a favore di Londra e poi di Parigi, quando nel 1796 la flotta britannica fu temporaneamente ritirata dal Mediterraneo. Per ottenere protezione, l’Ordine guardò anche alla Russia, dove nel 1796 era salito al trono lo zar Paolo I, che puntava a una riconciliazione con la Chiesa di Roma e rivelò al gesuita padre Gabriel Grüber di sentirsi «cattolico di cuore». Come più tardi il figlio e successore Alessandro I nel caso della Santa Alleanza, Paolo I univa sinceri sentimenti religiosi alla difesa degli interessi russi. Nel gennaio 1797 lo Zar ed il Gran Maestro de Rohan firmarono una convenzione che assicurava ai Cavalieri un’indennità annuale di 300mila fiorini e in settembre Paolo I accettò graziosamente il titolo di «protettore dell’Ordine», del quale si fregiavano già anche il sacro romano Imperatore e il Re di Sicilia, che furono irritati. Nello stesso anno, alla morte di Rohan, l’elezione a Gran Maestro del barone Ferdinand von Hompesch zu Bolheim, di origine tedesca, suscitò in Francia il sospetto di una forte influenza austriaca sull’Ordine. Napoleone Bonaparte denunciò la formazione di una coalizione tra Russia, Austria e i Cavalieri e decise di conquistare Malta.
Il 6 giugno 1798, in navigazione verso l’Egitto, giunse al largo di Malta la flotta francese, composta da 15 vascelli, 12 fregate e 500 altri navigli che trasportavano 40mila uomini. Tre giorni prima che la flotta francese salpasse da Tolone, von Hompesch era stato preavvertito dal rappresentante dell’Ordine a Rastadt che essa era diretta a Malta. Ma il Gran Maestro, probabilmente influenzato dal suo Consiglio di guerra nel quale erano presenti molti filo-francesi, non prestò fede al rapporto, convinto che la spedizione fosse diretta in Irlanda o in Portogallo. Dei 362 Cavalieri presenti sull’isola 260 erano francesi e 53 di essi (o 34, secondo altre fonti) si unirono poi all’esercito di Bonaparte. Il piano preparato nel 1792 a difesa dell’isola prevedeva la protezione di tutti i 44 possibili punti di sbarco, mu-
niti di 66 torri e di fortificazioni largamente incomplete. Nel centro dell’isola vi era inoltre una linea interna di difesa costituita da trincee e da un muro. Oltre ai Cavalieri, il Gran Maestro poteva contare su 1.200 uomini del Reggimento maltese, su rispettivamente 300 e 400 dei battaglioni da sbarco delle galere e dei vascelli, e su 12.000 della milizia maltese; i pezzi di artiglieria erano 1.400, un numero insufficiente per piazzare batterie costiere senza indebolire le difese della fortezza. Per di più molti cannoni erano antiquati, i carriaggi marci, le munizioni e le polveri mal distribuite e anche, queste ultime, di cattiva qualità. Von Hompesch rifiutò il consiglio dei suoi ufficiali di concentrare tutte le forze all’interno della fortezza della Valletta.
Il 10 giugno le truppe francesi effettuarono quattro sbarchi, uno a Gozo e tre a Malta, nelle baie di San Paolo e di San Giuliano e a Marsa Scirocco, incontrando una resistenza solo simbolica, dovuta a molti motivi. La spiegazione apologetica afferma che le regole dell’Ordine impedivano ai Cavalieri di combattere contro i cristiani. In realtà von Hompesch si dimostrò negligente e privo delle qualità di un comandante, mentre vi era appunto una fazione filo-francese tra i Cavalieri. Infine parte della popolazione maltese spingeva alla resa; elementi della borghesia e del clero maltesi (esclusi dal governo e dai benefici ecclesiastici) erano ostili all’Ordine, al quale si manteneva invece devoto il popolo. Il 12giugno 1798, a bordo del vascello francese Orient, una delegazione di tre Cavalieri e quattro maltesi firmò con Napoleone una convenzione di otto articoli, uno dei quali cedeva alla Francia la sovranità sull’arcipelago, ciò che esulava dai poteri dell’Ordine, poiché essa in ultima analisi spettava al Re di Sicilia. Domenica 2 settembre la popolazione maltese si sollevò contro i nuovi padroni. La scintilla della révolte des campagnes, come fu chiamata dai francesi, fu data dal tentativo di asportare e vendere all’asta gli arredi della chiesa dei Carmelitani a Mdina, subito dopo che un analogo tentativo era appena stato respinto alla chiesa dei Frati Minori a Rabat. La spoliazione delle
L'arrivo di Napoleone a Malta (wikipedia.org).
chiese faceva seguito alle misure anticlericali decretate il 13 agosto: espulsione da Malta entro dieci giorni del clero e dei religiosi di entrambi i sessi non nativi dell’arcipelago, con la sola esclusione del Vescovo, i cui poteri erano comunque ridotti, proibizione di prendere i voti prima dei 30 anni, divieto di ordinare nuovi sacerdoti in mancanza di benefici vacanti, ammissione di un solo monastero per ordine, vendita delle proprietà ecclesiastiche, proibizione del ricorso al Papa, istituzione e obbligo del matrimonio civile e cessazione degli effetti civili di quello religioso, sepoltura degli infedeli negli stessi cimiteri dei cattolici, soppressione di fondazioni, confraternite, corpi collegiali, eccetto il Capitolo della Cattedrale (3).
Nonostante il vescovo, monsignor Vincenzo Labini, su pressione dei francesi, avesse subito diramato ai parroci una circolare per invitare alla calma, aiutata dalla diffusione della notizia della sconfitta della flotta francese nella battaglia del Nilo nella baia di Abukir a opera dell’ammiraglio Nelson avvenuta il 1° agosto precedente, l’insorgenza s’impadronì in pochi giorni di tutto l’arcipelago, a eccezione delle fortificazioni della Valletta, dove si asserragliò il Generale Claude Henri de Vaubois con 3.053 fanti e cinque compagnie di artiglieri, con ufficiali eccellenti e ben armati, anche se con scarse provviste. Tutti i settori della popolazione, clero, nobiltà, borghesia e popolo sostenevano in grande maggioranza l’insorgenza.
Fu costituita un’Assemblea nazionale maltese, composta da notabili e da un comandante di battaglione per villaggio. Alla sua prima riunione, essa proclamò il Re di Sicilia sovrano di Malta e decise anche di chiedere anche l’aiuto inglese. I delegati dell’Assemblea Luigi Briffa e Francesco Ferrugia, diretti a Napoli per sollecitare l’aiuto di re Ferdinando di Borbone (III come Re di Sicilia, IV come Re di Napoli, dal 1816 Ferdinando I come Re delle Due Sicilie), intercettarono al largo della Sicilia la Vanguard, ammiraglia di Nelson. Saliti a bordo, spiegarono di essere delegati a chiedere a Nelson «quale alleato di Sua Maestà il Re delle Due Sicilie di soccorrerli bloccando il gran porto [della Valletta]». L’intervento inglese, necessario per espugnare la cittadella della Valletta, è un tema largamente dibattuto, del quale furono subito chiare le implicazioni per il futuro politico dell’arcipelago.
Nelson inviò una squadra portoghese, fornendo ai maltesi 1.062 moschetti con munizioni, e successivamente il vascello Alexander, scortato da una fregata, una corvetta e un brulotto, al comando del capitano di vascello Alexander John Ball, uno degli eroi di Abukir. L’11 aprile 1799 Nelson scrisse al Ministro
Pagina del trattato di Amiens firmato il 25 marzo 1802 con i sigilli appartenenti ai quattro firmatari (di Jerónimo Roure Pérez da wikipedia.org).
russo a Palermo: «Malta, mio caro Signore, è nei miei pensieri giorno e notte». Il 9 dicembre 1799, circa 800 uomini del 30° e 89° reggimento dell’esercito britannico, giunti da Minorca sulle navi Northumberland e Culloden agli ordini del commodoro Troubridge, sbarcarono nella baia di San Paolo. All’assedio della cittadella partecipò anche un contingente di truppe siciliane, al comando del colonnello Gianbattista Fardella; Sua Maestà borbonica fornì anche un ingente contributo di armi (tra l’altro 5.000 fucili), munizioni, viveri, denaro ed equipaggiamenti. Secondo un rapporto del capitano Ball del 6 marzo 1801, durante l’assedio gli inglesi non ebbero né morti né feriti. La capitolazione della fortezza della Valletta fu firmata il 4 settembre 1800. Alla firma dell’atto di resa i britannici non ammisero alcun rappresentante di re Ferdinando, il cui regno, pur riconquistato nei domini continentali grazie alla più famosa delle insorgenze, quella dell’Armata della Santa Fede guidata dal cardinale Fabrizio Ruffo di Bagnara, era in realtà protetto dalla flotta di Lord Nelson. La protesta del Sovrano era quindi priva di peso.
Il 10 settembre 1798 lo zar Paolo I aveva pubblicato un manifesto dichiarando deposto von Hompesch e il 27 ottobre aveva assunto il titolo di Gran Maestro, fondando anche un secondo Gran Priorato russo, di rito ortodosso scismatico. Fu riconosciuto da gran parte dei Cavalieri e dal sacro romano imperatore Francesco II, ma non ottenne mai il breve di approvazione del Papa. Lo zar Alessandro I, succeduto al padre assassinato nel 1801, si limitò ad assumere il titolo di «Protettore dell’Ordine» e nel febbraio 1803, alla morte di Hompesch, fu eletto Gran Maestro il Balì Fra’ Giovanni Tommasi. Lo Zar sostenne la restaurazione dell’Ordine a Malta e tutte le potenze mediterranee, l’Impero ottomano, pur alleato di Londra, la Spagna e ovviamente la Francia premettero affinché la Gran Bretagna abbandonasse Malta.
Il 1° ottobre 1801 furono firmati a Londra i preliminari di pace tra il Regno Unito e la Francia. L’art. 4 prevedeva che le truppe britanniche abbandonassero Malta e vi fosse restaurato l’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme. Per garantire l’assoluta indipendenza dell’isola dalle due parti contraenti, Malta sarebbe stata posta sotto la garanzia e la protezione di una terza potenza, da designare nel trattato definitivo. In effetti la sorte di Malta fu una delle questioni più dibattute durante i negoziati del Trattato di Amiens, firmato il 27 marzo 1802 da Regno Unito, Francia, Spagna, Repubblica Batava (ossia i Paesi Bassi).
Il lungo art. 10, composto di 13 paragrafi, di tale effimera pace (4) fu interamente dedicato all’arcipelago maltese, dove veniva restaurato il Principato dei Cavalieri, con una serie però
di norme volte a garantire la «perpetua neutralità» dell’Ordine e dell’arcipelago (peraltro sempre esistite), sancita esplicitamente nel paragrafo 7. Entro tre mesi dalla ratifica del trattato, le truppe britanniche dovevano lasciare l’arcipelago, la cui indipendenza era posta sotto la protezione e la garanzia di Gran Bretagna, Francia, Austria, Russia, Spagna e Prussia (elencate in quest’ordine nel paragrafo 6). Il Re di Sicilia era invitato a fornire una guarnigione di duemila uomini per le diverse fortezze, finché l’Ordine non avesse arruolato una forza in grado di svolgere tale compito.
Il trattato di Amiens è stato descritto come un edificio di argilla costruito sulla sabbia e poco più di un anno dopo la sua firma, la Gran Bretagna fu nuovamente in guerra con la Francia, in gran parte a causa della sua perdurante occupazione di Malta. Inizialmente Londra non era interessata a mantenere l’isola. Nelson scrisse all’ammiragliato: «a dire la verità il possesso di Malta da parte dell’Inghilterra sarebbe inutile ed enormemente costoso […] Io non gli attribuisco alcun valore per noi». Egli riteneva più utile tenere Minorca (riconquistata dall’Inghilterra nel 1798), poiché Malta era un’isola troppo piccola e arida per sostenersi da sola e troppo lontana dalle sponde del Mediterraneo sia orientale che occidentale. Perciò Londra aveva reagito freddamente alla petizione presentata nel febbraio 1802 da sei maltesi per chiedere che la Gran Bretagna «non solo proteggesse Malta, ma la possedesse». L’atteggiamento di Nelson però successivamente cambiò.
Il futuro di Malta dipendeva dalla grande strategia navale britannica. Londra aveva restituito Città del Capo agli olandesi, nella speranza che con la pace i Paesi Bassi riacquistassero la loro indipendenza dalla Francia e la rotta verso l’India rimanesse quindi libera. Le truppe francesi rimasero però nei Paesi Bassi e apparve chiaro che la Repubblica Batava restava vassalla della Francia, che avrebbe così indirettamente controllato Città del Capo. Per di più, nel gennaio 1803 fu pubblicato un rapporto sui piani francesi di riconquista dell’Egitto, ancora occupato dalle truppe britanniche. Le linee di comunicazione con l’India sia attraverso il Mediterraneo sia attraverso gli oceani sarebbero quindi state esposte alla minaccia francese. Quasi contemporaneamente lo zar Alessandro I cambiò posizione e offrì un’alleanza alla Gran Bretagna, invitandola a rimanere a Malta.
«La pace o la guerra dipende da Malta» dichiarò Napoleone, che durante i negoziati per la pace di Amiens aveva detto all’ambasciatore britannico che avrebbe preferito vedere gli inglesi a Parigi nel Faubourg St. Antoine piuttosto che a Malta. Lord Nelson cambiò ora idea: «io ora dichiaro — scrisse l’Ammiraglio nel giugno 1803 — di considerare Malta fortificazione verso l’India, che ci darà grande influenza nel Levante e in verità in tutta l’Italia meridionale. Da questo punto di vista spero non la abbandoneremo mai». Sotto l’aspetto commerciale, Malta era considerata un eccellente scalo marittimo, che nel 1806 sarebbe divenuto ancora più importante quando Napoleone, ora imperatore dei Francesi, chiuse tutti i porti europei al naviglio britannico. Il 3 aprile 1803 Londra chiarì la sua posizione: supremazia marittima britannica nel Mediterraneo e rinuncia della Francia ai Paesi Bassi e alla Svizzera. Dieci giorni dopo, la Gran Bretagna propose di rimanere a Malta dieci anni, il tempo necessario a fortificare l’isola di Lampedusa. La Francia contro-propose una permanenza britannica a Malta di tre-quattro
Gaspar Adriaansz van Wittel, Il porto di La Valletta verso il 1750. National Maritime Museum, Greenwich London.
anni e, all’ultimo momento, accettò i dieci anni in cambio della sua occupazione di Otranto e Taranto per lo stesso periodo. La guerra scoppiò il 18 maggio 1803.
Nel trattato anglo-russo dell’11 aprile 1805 lo Zar, nel contesto di un tentativo di raggiungere un assetto durevole in Europa, ottenne che, se fosse risultato impossibile per Napoleone accettare il possesso britannico di Malta, Londra lasciasse l’arcipelago e fosse concesso alla Russia di presidiare le isole. Nell’aprile 1807 la Gran Bretagna dovette fronteggiare a Malta una ribellione guidata da un avventuriero francese, Montjoye, che si faceva chiamare Conte di Froberg, che aveva arruolato un reggimento di stranieri che prestava servizio con l’esercito britannico. I ribelli innalzarono la bandiera russa, ma non ricevettero alcun appoggio da San Pietroburgo. Sconfitta da Napoleone a Friedland il 14 giugno 1807, il successivo 7 luglio la Russia firmò a Tilsit un trattato di pace e un’alleanza con la Francia, che durò fino all’invasione del 1812. Dopo quest’ultima, la Russia, alleata con la Gran Bretagna, non dimostrò ulteriore interesse per Malta.
Il 15 giugno 1802 i maltesi avevano approvato una Dichiarazione dei Diritti nella quale si esprimeva il desiderio di essere sudditi del Re d’Inghilterra, purché questi garantisse la protezione della religione cattolica e concedesse un regime rappresentativo. Orgogliosi di aver liberato da soli gran parte della propria isola e di averne offerto liberamente la sovranità all’Inghilterra, i maltesi si sentirono da allora ancor più legittimati a pretendere un regime politico degno di un popolo europeo ricco di storia. Tuttavia, sebbene il ministro delle colonie e futuro primo ministro Lord Liverpool avesse riconosciuto che l’autorità britannica su Malta era stata stabilita in circostanze «senza paragone con qualsiasi altro esempio nella storia moderna» dell’Inghilterra, una commissione parlamentare istituita a Londra nel 1812 concluse drasticamente che sarebbe stata una «follia» concedere un governo rappresentativo a «gente ignorante e superstiziosa» come i maltesi. Per gli inglesi «superstizioso» era sinonimo di «cattolico».
Malta britannica
Caduto Napoleone, l’art. 7 del primo Trattato di pace di Parigi (30maggio 1814) stabilì che «l’isola di Malta e sue dipendenze apparterranno, in completa proprietà e sovranità, a S. M. britannica». La questione non fu riaperta al Congresso di Vienna, nonostante la richiesta di restituzione presentata dai plenipotenziari dell’Ordine, appoggiata dalla Santa Sede e, con minore convinzione, dal Re di Sicilia. Fu comunque chiaro che la Gran Bretagna non aveva alcuna intenzione di lasciare Malta e il ministro degli Esteri Lord Castlereagh «si mise a ridere» quando il Principe di Castelcicala, ministro plenipotenziario a Londra di Ferdinando III Re di Sicilia, chiese un compenso per la perdita dell’isola.
La Malta dei Cavalieri era stata un «microcosmo dell’Europa», ora gli inglesi le promettevano un futuro di «emporio del Mediterraneo» e di baluardo strategico non più della cristianità, ma dell’Impero britannico (5). L’isola avrebbe potuto riacquistare una funzione religiosa universale se, negli anni 60 dell’Ottocento, si fossero realizzati i progetti di ospitarvi Pio IX minacciato nei suoi Stati dall’Italia liberale; i maltesi manifestarono comunque sempre la loro fedeltà al Papa e in quel decennio 25 di loro si arruolarono nell’Esercito pontificio (6).
L’Ordine Gerosolimitano non aveva lasciato in ere-
dità a Malta solo una fede profonda e militante, ne aveva pure trasformato l’economia e la qualità della vita, assicurando la prosperità dell’arcipelago anche dopo la sua partenza. L’Ordine era l’ultimo rappresentante dell’epoca delle Crociate; ciò costituiva la sua grandezza ma anche la sua debolezza e il suo anacronismo, nel secolo dei Lumi. I Cavalieri di San Giovanni erano portatori di un messaggio di fede, di purezza, di intransigenza, coniugato a un’etica cavalleresca e nobiliare. Nell’epoca, annunciata dalla Rivoluzione francese, di democrazia, di livellamento egualitario e di irreligiosità l’Ordine doveva trasformarsi, o meglio ritornare alla ispirazione caritativa, peraltro mai abbandonata, che ne aveva promosso la fondazione: Fratres in servitium venientes pauperum.
Malta divenne la maggiore base della Mediterranean Fleet, la squadra principale della Royal Navy. Il Mediterraneo era un «lago britannico», dove Londra controllava, oltre a Malta, Gibilterra e fino al 1863 le Isole Ionie, cedute in quell’anno al Regno di Grecia. Il Regno Unito acquisì però il controllo del Canale di Suez e nel 1878 di Cipro. In occasione della prima crisi egiziana del 1831-33, quando Mehmet Ali pascià d’Egitto sfidò il Sultano ottomano, protetto dal Regno Unito soprattutto in funzione anti-russa ma anche antifrancese, il ministro degli Esteri Lord Palmerston autorizzò l’ambasciatore britannico a Costantinopoli a chiamare in aiuto in caso di necessità la Mediterranean Fleet senza chiedere l’autorizzazione preventiva di Londra, per garantire un intervento più rapido. Nel 1839 la Mediterranean Fleet sbarcò truppe in Libano per fermare l’avanzata di Ibrahim, figlio di Mehmet, durante la seconda crisi egiziana.
La Mediterranean Fleet fu coinvolta in alcuni momenti cruciali del Risorgimento italiano. Lo sbarco di Garibaldi a Marsala fu protetto da due navi militari britanniche; il comportamento a Palermo del vice comandante della flotta Sir Rodney Mundy, pur mantenendo una neutralità formale tra Borbonici e Garibaldini, favorì questi ultimi. Il contributo maggiore al successo di Garibaldi fu la non adesione di Londra alla proposta di Napoleone III di impedirgli di passare sul continente. La Gran Bretagna diede in generale un sostegno convinto al Risorgimento italiano, ma più di una volta offrì di ospitare a Malta papa Pio IX, una mossa che da un lato avrebbe lasciato Roma in mano agli italiani dall’altro avrebbe attirato sull’Inghilterra le simpatie dei cattolici. Era un esercizio di equilibrismo che però non riuscì, poiché Pio IX e i suoi successori rifiutarono sempre di abbandonare la Città Eterna. Dalla fine di agosto 1870 ai primi del 1871 la corazzata HMS Defence fu ormeggiata a Civitavecchia, con la motivazione ufficiale di proteggere i sudditi britannici nelle circostanze dell’invasione dello Stato Pontificio, ma con il compito effettivo di accogliere a bordo Pio IX e di trasportarlo dove volesse.
Fino alla Grande guerra il dominio britannico a Malta non incontrò problemi con la popolazione locale. Potenza con identità protestante, il Regno Unito rispettò pienamente la forte impronta cattolica dell’arcipelago. Nel 1889-90, dopo alcuni mesi di negoziati a Roma condotti dall’ex governatore generale Sir John Lintorn Arabin Simmons, fu concluso un accordo con la Santa Sede che dava a Londra il diritto di dare un parere vincolante sulle nomine dei due vescovi dell’arcipelago.
All’inizio della Grande guerra, la Mediterranean Fleet cercò senza successo di intercettare la flotta tedesca nel Mediterraneo, comprendente l’l'incrociatore da battaglia Goeben e l'incrociatore leggero Breslau, che, trasferite alla marina turca, riuscirono a riparare a Costantinopoli. Il caso contribuì all’entrata in guerra dell’Impero Ottomano contro la Triplice Intesa. La maggiore operazione navale della Royal Navy nel Mediterraneo durante la Prima guerra mondiale fu il tentativo di forzamento dei Dardanelli, il cui fallimento provocò le dimissioni di Winston Churchill da Primo Lord dell’ammiragliato.
Dopo la Grande guerra, il dominio britannico a Malta entrò in una nuova fase. Nel giugno 1919 disordini repressi dalle truppe britanniche causarono la morte di sette cittadini e nel 1921, il Governo di Londra ritenne i tempi maturi per concedere un Governo rappresentativo ai maltesi, approvando una nuova costituzione. Negli stessi anni 20 del XX secolo, giungeva a un punto critico un’evoluzione di lungo periodo. Le isole maltesi erano di religione cattolica e di cultura italiana; italiano e inglese erano le lingue ufficiali della colonia, mentre il peculiare idioma mal-
Nave militare britannica, probabilmente la SERAPIS, costruita nel 1866, in porto con la HMS HERCULES vista dietro (collezione Frank-Lea Ellis da cultu-
remalta.org).
tese, semitico con influssi arabi e siciliani, era parlato dal popolo. Alla luce dell’instaurazione in Italia del regime fascista, che negli anni 30 avrebbe rivendicato apertamente l’italianità di Malta, il Governo britannico intese rafforzare l’impronta britannica sulle isole, mentre una delle due forze politiche locali, il partito nazionalista, intendeva invece difenderne l’identità latina o tout court italiana, della quale il cattolicesimo era fondamento. La Chiesa nell’arcipelago maltese si trovò quindi coinvolta nelle contese politiche, anche perché la costituzione le assegnava in tale campo un ruolo istituzionale. La Costituzione del 1921, che all’art. 1 proclamava il «Cattolicesimo romano» religione di Stato e con l’art. 56 sanciva la tolleranza religiosa e la libertà per tutti i culti, prevedeva infatti un Parlamento bicamerale con un Senato di diciassette membri, dei quali solo sette elettivi; tra quelli nominati due rappresentavano il clero ed erano designati dal Vescovo di Malta. Questo quadro politico-istituzionale fu reso esplosivo dall’irruzione in scena di un personaggio che, pur cattolico, si rese fortemente inviso alla Chiesa in Malta e alla Santa Sede: Sir Gerald Strickland (poi Lord), nato alla Valletta da un capitano di fregata della Royal Navy e da una nobildonna maltese, educato in Inghilterra in un collegio protestante, capo del partito costituzionale filo-britannico e Primo Ministro dal 1927 al 1932.
Conseguenze di una lunga controversia, che qui non può essere esaminata in dettaglio, furono l’abbassamento di livello delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e il Regno Unito per quasi tre anni (1930-33), nei quali Londra fu rappresentata solo da un incaricato d’affari, e la sospensione per due volte della Costituzione del 1921, poi definitivamente revocata. Poiché le crisi politico-costituzionali a Malta continuavano, con al centro sempre la questione linguistica, il governatore assunse nuovamente i pieni poteri. Anche per lo scoppio della Seconda guerra mondiale, che pose Malta in prima linea, fino al 1947 la carica di Primo Ministro fu abolita e l’arcipelago fu governato come una colonia della Corona.
Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, il timore di un attacco italiano indusse Londra a trasferire la base
principale della Mediterranean Fleet ad Alessandria d’Egitto. Con le forze aeree e navali ivi stazionate, Malta restò però una spina nel fianco dei paesi dell’Asse italo-tedesco, una «portaerei inaffondabile» secondo la definizione di Churchill, e per questo pesantemente bombardata. Il 15 aprile 1942 il re Giorgio VI accordò la George Cross all’isola in riconoscimento dell’eroica resistenza del suo popolo; la George Cross figura tuttora sulla bandiera nazionale e navale. L’Asse preparò l’invasione di Malta [operazione C3 (7)] che, rinviata, fu cancellata dopo la definitiva perdita di Tobruk nel novembre 1942.
Ottemperando agli ordini ricevuti a seguito dell’armistizio «breve» del 3 settembre, la flotta italiana mosse verso le destinazioni indicate dagli anglo-americani, tra le quali soprattutto Malta, dove il 29 settembre fu firmato l’armistizio «lungo», che di fatto poneva fine alla guerra navale nel Mediterraneo.
Malta sede di comandi NATO
Nei primi anni 50, nel quadro dell’istituzione dei Comandi integrati della NATO, il Regno Unito volle un compenso per aver dovuto lasciare il Comando Supremo dell’Atlantico a un Ammiraglio statunitense. Oltre all’Allied Command Channel, Londra ottenne per un proprio Ammiraglio l’incarico di Commander in Chief Allied Forces Mediterranean (CINCAFMED), a pari livello del Commander in Chief, Allied Forces, Southern Europe (CINCSOUTH) e direttamente dipendente dal Supreme Allied Commander Europe (SACEUR). Nel marzo 1953 si insediò quindi a Malta come titolare dell’incarico l’ammiraglio Lord Mountbatten of Burma. L’Italia ottenne il comando delle Forze alleate del Mediterraneo centrale (AFMEDCENT), di livello inferiore, spesso affidato al Comandante in capo della Squadra navale. Nel suo rapporto sui primi cinque anni della NATO, il segretario generale Lord Ismay osservò che «il problema
della struttura di comando nella regione meridionale fu più difficile da risolvere» che in altri settori. La proliferazione di comandi nel Mediterraneo rifletteva non tanto l’importanza dei loro ruoli, quanto i contrasti e la confusione sui loro compiti: titoli altisonanti come Allied Forces Southern Europe e Allied Forces Mediterranean riflettevano sovrabbondanza e sforzi sprecati, con poca sostanza (8). L’ultima evento bellico in cui fu coinvolta la Mediterranean Fleet fu l’operazione Musketeer a Suez nel novembre 1956, canto del cigno dell’Impero britannico. Nel 1964 Malta divenne indipendente, conservando la regina Elisabetta II come capo di Stato fino a quando, dieci anni dopo, divenne una repubblica, continuando ad aderire al Commonwealth. A seguito del generale ridimensionamento delle responsabilità strategiche britanniche, il 5 giugno 1967 AFMED fu sciolto e un Ammiraglio italiano assunse l’incarico di Commander Allied Naval Forces Southern Europe (COMNAVSOUTH) (9), con sede a Malta e dal 1971 a Nisida. La condizione di Malta, Stato indipendente che ospitava un Comando della NATO, della quale non faceva parte, era alquanto anomala. Il presidente del Consiglio italiano Aldo Moro e il ministro degli Esteri Amintore Fanfani il 20 e 21 dicembre 1967 ebbero colloqui con Malta 1967. La più lontana è la portaerei della Royal Navy HMS VICTORIOUS (R38). Al centro, da destra a sinistra, si trova il cacciatorpediniere missilistico INTREPIDO (D571) della Marina Militare italiana. In
primo piano nave da sbarco della Marina degli Stati Uniti (wikimedia.org).
una delegazione del Governo di Malta, guidata dal primo ministro Giorgio Borg Olivier, del partito nazionalista, di orientamento conservatore. I maltesi lamentavano una situazione «umiliante», poiché la NATO «non li informava di nulla»; ciò confermava, nei riguardi dell’Alleanza, «lo status coloniale che Malta aveva in precedenza» ed esponeva il Governo a forti critiche da parte dell’opposizione. Fanfani offrì il suo interessamento presso il Segretario Generale della NATO, l’italiano Manlio Brosio, mentre Moro garantì «appoggio al massimo possibile alle aspirazioni maltesi» a «una forma di associazione» che tenesse «conto della sua sovranità» (10).
Nel 1971 la vittoria elettorale a Malta del partito laburista e la conseguente nomina a primo ministro di Domenico «Dom» Mintoff, un radicale di sinistra aduso a metodi e linguaggi violenti che nel corso della sua lunga carriera politica lo misero in contrasto con il suo stesso partito, fece precipitare la situazione. Da poco insediato, definì il COMNAVSOUTH, ammiraglio di squadra Gino Birindelli MOVM, «noto militarista» e «persona non grata» (11). Era già stato deciso il trasferimento del Comando a Nisida e nel 1972 Mintoff, minacciando di affittare la base navale alla Marina sovietica, ottenne di concludere con la NATO un contratto di affitto della base a 14 milioni di sterline annue, per un periodo di 7 anni. Alla scadenza del contratto, nel 1979, Mintoff non volle assolutamente rinnovarlo e la flotta atlantica dovette lasciare Malta.
Contemporaneamente il Governo maltese si avvicinò alla Libia, le cui forniture di petrolio venduto a prezzo di favore compensavano le perdute somme dell’affitto incassato per le basi militari della NATO. Militari libici erano presenti nell’isola e gestivano perfino la torre di controllo dell’aeroporto internazionale di Luqa. A questa pericolosa deriva terzomondista pose fine il trattato bilaterale del 15 settembre 1980, l’Accordo sul Riconoscimento e la Garanzia della Neutralità di Malta, firmato dall’Italia, che ancora una volta giocò un ruolo chiave nelle vicende maltesi (12).
Conclusione: Malta oggi
Il ruolo militare di Malta, sotto il Principato dei Cavalieri, come colonia britannica e sede di Comandi NATO, costituisce ormai solo un glorioso passato, testimoniato dalle imponenti fortificazioni e da molti pregevoli edifici religiosi. Date la sua ridotta estensione e la sua neutralità, lo Stato maltese possiede Forze armate di modeste dimensioni, su base volontaria e struttura unificata. La componente marittima (13) è formata quasi esclusivamente da motovedette e pattugliatori; la nave «ammiraglia», costruita da Fincantieri nei cantieri del Muggiano, entrata in servizio nel 2005, è un pattugliatore classe «Diciotti» modificato.
Malta è sovente oggetto di critiche per la sua politica restrittiva verso l’immigrazione illegale proveniente dalle coste africane. Con una densità demografica di ben 1.376 abitanti per km², la più alta dell’intera Unione europea e una delle più alte del mondo, la sua posizione è certamente comprensibile. 8
NOTE
(1) In Insegnamenti pontifici, a cura dei Monaci di Solesmes, vol. V, La pace internazionale, parte prima, La guerra moderna, Roma 1958, pp. 23-24. (2) Cfr. D. Gregory, Malta, Britain and the European Powers, 1793-1815, Londra 1996; P. Mackesy, The War in the Mediterranean 1803-1810, Londra 1957. (3) Cfr. E. Gentile, L’insurrezione di Malta contro l’occupazione militare dei Francesi, in Archivio Storico di Malta, 1935, pp. 71-86 e 1936, pp. 169-189; A. Savelli, Storia di Malta dai primordi ai giorni nostri, Milano 1943, capp. XII e XIII. (4) Il testo completo del trattato è disponibile in inglese all’indirizzo internet www.napoleon-series.org/research/government/diplomatic/c_amiens.html . (5) Cfr. M. de Leonardis, Malta da feudo Gerosolimitano a colonia britannica (1798-1815), in Melitensium Melitensior. Studi in memoria dell’ambasciatore Lorenzo Tacchella (1922-2008), a cura di C. Carcereri de Prati e G.B. Varnier - Turku 2012, pp. 91-106. (6) Cfr. M. de Leonardis, L’Inghilterra e la Questione Romana (1859-1870), Milano 1980, pp. 123-30. (7) M. Gabriele, Operazione C3: Malta, Roma 1965. (8) Lord Ismay, The First Five Years, 1949-1954, Parigi 1955, p. 73; L.S. Kaplan-R.W. Clawson, NATO and the Mediterranean Powers in Historical Perspective, in L.S. Kaplan-R.W. Clawson-R. Luraghi (eds.), NATO and the Mediterranean, Wilmington (De.) 1985, pp. 7-8. (9) Nel Diario di Amintore Fanfani (allora ministro degli Esteri), Senato della Repubblica, Roma, del 13-12-1966 si registra una riunione con il ministro della Difesa Roberto Tremelloni e il capo di Stato Maggiore della Difesa generale Giuseppe Aloja, che proponevano di ritirare la flotta italiana dalla struttura NATO qualora la Grecia non avesse accettato il comandante italiano, mentre Fanfani invitò a evitare minacce e a costruire un consenso al nostro Comando. (10) Archivio Fanfani, Senato della Repubblica, Roma, Sez. 1, Serie 5, Busta 40, Fasc. 40. (11) Si veda la testimonianza del suo aiutante di bandiera Guido Venturoni (futuro Capo di Stato Maggiore della Marina e della Difesa e presidente del Comitato militare della NATO), Birindelli ammiraglio scomodo, in La Stampa, 8-8-2008. (12) F. Atzei, La neutralità di Malta e l’Italia: Cronistoria dei rapporti italo-maltesi 1976-1985, in Rivista di Studi Politici Internazionali, vol. 52, No. 3 (207) (Luglio-Settembre 1985), pp. 409-440. (13) https://web.archive.org/web/20110714024448; http://www.maltaspotting.com/maritimesquadronafm.htm.