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L’impatto degli Accordi di Abramo sul Nord Africa, analisi e prospettive. Intervista a Michela Mer- curi, esperta di Medio Oriente

L’impatto degli Accordi di Abramo sul Nord Africa, analisi e prospettive

Intervista a Michela Mercuri, esperta di Medio Oriente

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Roberto Sciarrone

Nel 1949 Fernand Braudel pubblica il saggio Il Mediterraneo. L’opera ha rappresentato un momento di rottura nella storiografia dell’epoca, Braudel è stato il principale rappresentante della cosiddetta seconda generazione dell’École des Annales, fondata da Lucien Febvre e Marc Bloch alla fine degli anni Venti a partire dalla rivista Annales d’histoire économique et sociale, una rivista dalla quale nascerà un modo nuovo di studiare la storia, senza dubbio il più rivoluzionario di tutto il Novecento. Secondo l’École des Annales la storia deve «aprirsi» alle altre discipline, lo storico può finalmente iniziare a occuparsi anche di fatti che lo coinvolgono in prima persona, il racconto storiografico passa dunque dallo studio degli «eventi» a quello delle ricorrenze, delle connessioni, guardando al passato come a un «flusso». L’opera di Braudel dedicata al Mediterraneo costituisce quindi un’eccezionale sintesi di questo nuovo approccio storiografico.

Alla domanda Che cosa è il Mediterraneo? Braudel rispondeva così: «Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di

È nato a Messina nel 1981. Già ricercatore in Storia dell’Europa orientale presso il Dipartimento di Storia Culture Religioni di Sapienza Università di Roma, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Storia d’Europa nel 2013. Si occupa di politica estera italiana dall’Unità alla Seconda guerra mondiale e ha pubblicato monografie e saggi su riviste scientifiche nazionali e internazionali. È iscritto all’Albo dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio (2016). Collabora con Rivista Militare, Geopolitica.info, America Oggi, The Post Internazionale, Formiche.

civiltà accatastate le une sulle altre, insomma, un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia: bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere». Mi piace quindi partire dalla definizione che Braudel da del Mediterraneo per introdurre l’intervista a Michela Mercuri, esperta di Medio Oriente, sull’impatto che gli Accordi di Abramo hanno avuto sull’area del Nord Africa. Considerando quindi la «lunga durata» dei fenomeni, la loro estensione geografica, nonché l’aspetto di reciprocità che mostra il perenne e reciproco influenzarsi di ciascun sistema il «Mediterraneo allargato» — definizione data oggi dell’area — occupa la regione ricompresa tra la linea GibilterraGolfo di Aden, il Medio Oriente e la sponda nord del Mediterraneo. Lo stesso, con il raddoppio del canale di Suez è divenuto un medio-oceano, arteria di collegamento tra Indo-Pacifico e Atlantico dalla quale viaggia un terzo del commercio marittimo mondiale. L’accresciuta interdipendenza tra i paesi di questa macro-regione fa sì che una crisi in uno di essi si ripercuota inevitabilmente sulla sicurezza e la crescita degli altri. La penisola italiana come sappiamo, al centro del Mediterraneo, è la più esposta tra i paesi europei. L’impatto degli Accordi di Abramo sulla regione del Nord Africa: il Marocco, unico paese nordafricano firmatario degli accordi. A un anno e mezzo dalla loro firma, quale valutazione possiamo tracciare in merito alla cooperazione People-to-People in riferimento al rapporto tra Israele e Marocco? Quali i settori e le iniziative più importanti lanciate? E poi Algeria e Libia, dossier «caldi», che ruolo gioca Israele nel conflitto libico? Ne ho parlato con Michela Mercuri, docente ed esperta di geopolitica del Medio Oriente.

L’impatto degli Accordi di Abramo sulla regione del Nord Africa. Partiamo da una domanda sul Marocco, unico paese nordafricano firmatario degli Accordi di Abramo. Quali sono le ragioni che secondo lei hanno spinto Rabat a entrare negli accordi?

Le motivazioni sono molte. La prima è forse una delle più discusse ed evidenti, gli Stati Uniti di Trump hanno garantito al Marocco la sovranità sul Sahara occidentale, un territorio da sempre con il Fronte Polisario, organizzazione militante che ha avuto il supporto anche dell’Iran. Questa sicuramente è una chiave di lettura importante per interpretare l’adesione del Marocco a questi accordi, ma anche dell’opposizione dell’Algeria. Non possiamo però pensarla soltanto in questi termini, cioè in termini strumentali, secondo me è importante anche il fatto che Israele abbia puntato sul Marocco perché ci sono stati dei rapporti storicamente molto stretti tra le due comunità — l’apertura dei voli diretti ce lo dimostra — ma non soltanto per questo. Il Marocco è un paese che permette a Israele di avere un punto d’appoggio importante, il Nord Africa, cosa che in realtà è molto utile non soltanto per una proiezione geopolitica su un «mare nuovo» se vogliamo, un tratto di mare Mediterraneo per Israele, anche se storicamente ha avuto già diversi rapporti con i paesi nordafricani. Il Marocco è un paese che è una sorta di «collante» tra l’Africa e l’Europa e quindi può garantire da questo punto di vista a Israele una importante proiezione geostrategica. Questi sicuramente sono motivi importanti così come per il Marocco lo è la questione del Sahara Occidentale, nonostante la regione sia abbastanza desertica lì ci sono tante materie prime importanti come i fosfati, come il ferro, possibili giacimenti petroliferi quindi diverse prospettive di sviluppo economico, oltre agli investimenti che già conosciamo come quello degli Stati Uniti — circa 5miliardi di dollari — per sviluppare infrastrutture, energie rinnovabili, portualità. Tutto questo è molto importante anche per l’Italia.

Leggendo il testo degli Accordi, a fianco al piano strettamente politico-strategico, nelle intenzioni dei paesi firmatari sembra esserci il tentativo di dare

grande importanza alla cooperazione Peopele-to-People, ovvero tra rispettive comunità nazionali. A un

anno e mezzo dalla loro firma, quale valutazione possiamo tracciare su questa dimensione, in riferimento al rapporto tra Israele e Marocco? Quali sono i settori e le iniziative più importanti che sono state lanciate?

Indubbiamente l’apertura delle sedi diplomatiche è stata simbolicamente uno degli aspetti fondamentali, questo ha portato anche a scambi culturali, a numerosi incontri e quando ci si incontra — come nella vita — si sa è molto più facile «sciogliere» i nodi della politica. Ci sono in questo momento circa venti accordi commerciali tra i due paesi, l’interscambio tra Israele e Marocco nel 2021 è aumentato de 50%, poi non dobbiamo dimenticare gli accordi militari che sono comunque importanti. Basti pensare che il 30 giugno scorso un C-130 marocchino è atterrato in Israele per fare delle esercitazioni militari congiunte. Poi ci sono stati i famosi accordi del 24 novembre scorso, primo accordo militare tra lo Stato di Israele e un paese arabo, scambio di informazioni, di intelligence, di sicurezza. Questo è molto importante perché Israele ha una grande esperienza. Il Marocco, così come i vicini regionali, è stato scosso dalle «primavere arabe» che hanno reso i confini di queste aree molto porosi, fomentando anche un pò i movimenti terroristici, quindi sicuramente anche sistemi di controllo e scambio di informazioni possono essere molto utili per ripristinare la stabilità nell’area. Anche il discorso culturale è poi importante, le due comunità hanno avuto in passato degli attriti, riavvicinarle da un punto di vista religioso e culturale potrebbe essere importante per loro, ma potrebbe essere anche un «apri pista» interessante per altri paesi del Mediterraneo.

Allargando la prospettiva, da molti mesi ormai l’Algeria ha sospeso le relazioni diplomatiche con il vicino Marocco. Tra le ragioni di questa decisione sembra esserci anche l’ingresso di Rabat negli Accordi di Abramo? Come dobbiamo leggere questa situazione?

Purtroppo questa situazione non può essere letta in maniera molto positiva. L’Algeria lo ha considerato un vero e proprio tradimento, d’altra parte Algeri sostiene il Fronte Polisario ormai da tantissimi anni, ha dato anche ospitalità al popolo sahraui. Questa contrapposizione può essere letta da tanti punti di vista. In primis da quello energetico poiché sappiamo che l’Algeria ha «chiuso i rubinetti» al gasdotto Maghreb-Europa che

portava il gas da Algeri alla Spagna, passando appunto per il Marocco. La Spagna stessa ricava il 47% del fabbisogno di gas dall’Algeria quindi si possono immaginare quante e quali possono essere le frizioni. Frizioni che poi si riverberano da un punto di vista geopolitico, perché la Spagna e la Francia — in qualche modo — sono più vicine alle posizioni marocchine, mentre la Russia sembra voler fare affari con l’Algeria sia per quanto riguarda l’energia sia per la possibile vendita di armi. Ci sono stati poi attriti interni nell’ottobre scorso, per esempio dopo l’uccisione di tre camionisti algerini, il Governo di Algeri ha dato subito la colpa al Marocco senza colpo ferire e questo ha creato ulteriori tensioni tra i due paesi che potrebbe rappresentare un «neo» per gli Accordi di Abramo che però dovrà essere risolto. Il presidente Mattarella si è poi recato in Algeria per cercare di capire come risolvere la situazione che rimane ancora incandescente nell’area.

Un altro dossier caldo è la Libia. Nelle ultime settimane abbiamo assistito a frequenti viaggi di esponenti delle diverse fazioni libiche in Israele. Prima si è parlato di Saddam Haftar, figlio di Khalifa Haftar, leader politico-militare della Cirenaica. Notizie non confermate, successivamente, hanno riferito di un incontro avvenuto ad Amman tra il capo del Mossad e il primo ministro libico Dbeibah. Che ruolo gioca Israele nel conflitto libico? E come mai le diverse fazioni libiche, tra loro in conflitto, si stanno rivolgendo in eguale misura allo Stato ebraico?

Israele ha un ruolo fondamentale nella regione e lo sappiamo, il riconoscimento di Tel Aviv di una due fazioni in lotta per il potere in questo momento in Libia è il punto nodale di tutta la faccenda. In questo momento in Libia abbiamo due presidenti — da un lato c’è Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh che non vuole dimettersi ed è il leader riconosciuto dall’ONU, dall’altro, di recente, è stato eletto Fathi Bashagha ex ministro dell’Interno libico — prima ancora però si stavano preparando le elezioni mai svolte del 24 dicembre 2021 e in quel momento Khalifa Haftar e Abdul Dbeibeh erano i due contendenti principali dell’est e dell’ovest. Quindi entrambi puntavano al supporto di Israele attraverso queste visite, riconoscimento e supporto di Israele che era molto importante e lo è in prospettiva futura per questi attori per vincere appunto le elezioni all’interno del paese. Israele ha poi una lunga storia di luci e ombre con la Libia, spesso ha accusato Gheddafi di finanziare alcuni movimenti terroristici palestinesi poi però le relazioni si sono ammorbidite dopo la sua morte e sono arrivati gli accordi con Haftar, accordi informali con l’Egitto, per evitare che le armi libiche passassero attraverso i territori egiziani verso lo Stato di Israele. Rapporti importanti quindi tra Libia e Israele che possono essere implementati in ottica futura, pensando a una stabilizzazione dell’area tutta ancora da conquistare.

Infine, vorremmo da lei un ultimo commento sugli

effetti che la nascita del framework di Abramo

stanno avendo sull’equilibrio regionale da una prospettiva italiana ed europea. Dobbiamo aspettarci una stabilizzazione o meno del Nord Africa e degli effetti positivi o negativi su alcuni dossier cari all’Italia, come per esempio contrasto al terrorismo e all’immigrazione illegale?

Dicevamo come Israele con il suo know how, dal punto di vista della sicurezza e da quello tecnologico, può essere di grande supporto anche per controllare le frontiere. Lo sta facendo, seppur in maniera meno formale rispetto al Marocco, con l’Egitto per controllare l’arrivo di armi e di jihadisti e potrebbe, quindi, essere molto d’aiuto per questi paesi. Il Marocco dopo le primavere arabe — così come la Tunisia e soprattutto la Libia — ha visto i suoi confini divenire molto più porosi rispetto alle infiltrazioni jihadiste ma anche rispetto alle organizzazioni criminali che lucrano sul traffico dei migranti. Quindi la collaborazione, anche da questo punto di vista, può migliorare i sistemi di controllo e fornire un argine alla criminalità organizzata che lucra sul traffico dei migranti che sono diretti anche verso l’Italia. In questo caso, è importante che ci sia non soltanto una collaborazione tra Israele e Marocco per sigillare le frontiere con i nuovi sistemi d’arma, i droni etc., ma anche che l’Unione europea, e non solo l’Italia, riscopra una sua dimensione unitaria per far fronte al tema migratorio — quello della rotta del Mediterraneo centrale — che è di estrema complessità. La rotta, parte dell’Africa, passa per il Sahara e arriva in Libia. Vi sono poi anche le partenze dall’Algeria da cui sono aumentati gli sbarchi diretti verso la Spagna. Un problema quindi che ha una complessità decisamente maggiore. 8

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