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La liquidità dei processi mediterranei
Cenni su alcune dinamiche geoeconomiche sottese al controllo dei porti strategici mediterranei
Alessandro Mazzetti
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Dinamiche a geometria variabile
Poter pensare che le nazioni rivierasche del Mediterraneo al di fuori delle organizzazioni internazionali possano da sole tentare di esercitare una significativa sorta di proiezione politica, economica o militare è abbastanza improbabile e comunque non sarebbe alla lunga sostenibile. Dunque, sarà utile partire da alcune considerazioni generali che ci possano aiutare a realizzare una analisi abbastanza coerente con l’attuale situazione mediterranea che storicamente è sempre stata complessa e altrettanto in divenire. Per cui sarà bene iniziare prima da valutazioni e considerazioni geoeconomiche secondo le quali il mondo geopolitico oramai si muove quasi integralmente lungo le rotte commerciali, noli marittimi e le realizzazioni di strutture logistiche fortemente integrate. Quindi, per quanto possa sembrare paradossale, oggigiorno per esercitare una vera ed efficace pressione e penetrazione politica ed economica non basterebbe più la considerazione fatta dal professor Chabot secondo la quale «era facile fare la politica estera nell’ottocento con l’esercito guglielmino alle spalle o la Royal Navy» (1). Verrebbe allora da chiedersi che cosa sia cambiato dall’Ottocento a oggi. In realtà, più che un cambiamento, occorrerebbe
Dottore di ricerca in Storia delle relazioni internazionali. Collabora con le Cattedre di storia contemporanea e sociologia dell’Europa dell’Università di Salerno.
Navi portacontainer in transito nel canale di Suez (wkipedia.org).
ragionare in termini di trasformazioni-accelerazioni determinate dal progressivo sviluppo della logistica e del trasporto marittimo che dai primi lavori di Suez hanno fortemente caratterizzato tutto il periodo contemporaneo, imprimendo un carattere mercantilistico, ma più genericamente marittimo al sistema economico mondiale. Proprio il processo economico ci consente di cogliere le grandi differenze non solo nel lungo periodo, ma anche nel breve. Che le mutazioni, i cambiamenti e le accelerazioni siano ancora in atto viene dimostrato dalla profonda modifica del sistema economico attuale, anche se si registra la persistenza a definirlo solo come Neoliberista. Una lettura che potremmo ritenere ancora valida, da un certo punto di vista, solo fino al 2015, ossia fin ai secondi lavori di Suez. L’apertura del canale nel 1869 ebbe un effetto immediato e fondamentale sui traffici mondiali e il Mediterraneo tornò a essere il centro del commercio mondiale. Ci fu poi la Grande Guerra, durante la quale le flotte dei belligeranti si fronteggiarono prevalentemente nei mari europei e le potenze alleate dell’Intesa vinsero il conflitto perché riuscirono ad assicurarsi anche le comunicazioni marittime e i fondamentali rifornimenti strategici. Alla fine delle ostilità la definitiva apertura del canale di Panama sottrasse la centralità dell’antico mare africoasiatico-europeo, divenendo il pivot del potere navale e marittimo degli Stati Uniti i quali uscirono dalla Grande Guerra con una flotta del tutto paragonabile a quella della Royal Navy. Comunque, se dal punto di vista commerciale Panama aveva rilanciato fortemente il commercio nel Pacifico, durante il ventennio che precedette il secondo conflitto mondiale, il Mediterraneo si dimostrò comunque un mare al centro delle attenzioni da parte di tutte le grandi potenze navali (2). Questo fatto non deve assolutamente sorprendere, infatti tra il 1921 e il 1936 si dette vita a una serie molto importante di conferenze sul disarmo navale. In pratica le potenze navali vincitrici della Grande Guerra, per limitare i tanti attriti lasciati aperti e insoluti dalla pace di Parigi, si riunirono per ridurre consistentemente le proprie flotte cercando di eliminare i contrasti tra loro nei vari mari e diminuire considerevolmente la spesa militare. Anche in questa circostanza il Mediterraneo dimostrò la sua importanza, poiché nonostante le considerevoli riduzioni di naviglio e il forte abbattimento dei costi di manutenzione l’antico mare poteva contare una presenza di navi militari di tutto rilievo tanto da poter rivaleggiare con i più importanti oceani, nonostante i suoi spazi limitati. In pratica già dalla fine del primo conflitto mondiale si comprese bene come questo «Mare tra le Terre» aveva una proiezione economica e geopolitica ben superiore a quella più risicata della dimensione geografica. Naturalmente questa sua importanza non diminuì certo con la fine della Seconda guerra mondiale (3). Anzi il bacino del Mediterraneo continuò ad essere un luogo dove si registrarono crescenti interessi economici e politici incrociati anche al di fuori degli schieramenti e delle alleanze tradizionali. Man mano che il vecchio continente compiva la sua
opera di ricostruzione con il conseguente aumento di produzione e dei consumi, il Mediterraneo segnava significativi aumenti nello scambio commerciale. Tuttavia, nel tempo, era inevitabile che le logiche mediterranee non rispondessero, così come non corrispondono, sempre alla polarizzazione del mondo oramai diviso in due blocchi, e ciò lo dimostrò perfettamente la crisi del 1956, ossia quella di Suez. Semplificando al massimo possiamo dire che il rovesciamento della monarchia egiziana e il conseguente allontanamento del Re Faruq, congiuntamente alla nazionalizzazione del canale e i continui attriti con Israele fecero deflagrare il conflitto tra egiziani da un lato e israeliani, francesi e inglesi dall’altro. La possibilità di un intervento diretto al fianco dell’Egitto di Stati Uniti e dell’Unione Sovietica posero fine al conflitto e i due
alleati europei di Washington e Tel Aviv dovettero ritirarsi in buon ordine (4). Il paradosso fu nel quasi surreale comune interesse tra Washington e Mosca. In effetti si trattò di un avvicinamento non facilmente comprensibile il quale non poteva, come non può in alcun modo, essere spiegato se non tramite il periodo di distensione tra i due blocchi causato dal processo di «destalinizzazione» iniziato dal nuovo segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica Nikita Sergeevič Chruščëv (5). Proprio l’inusuale e per molti aspetti improbabile intesa tra i due blocchi contrapposti — soprattutto poiché questa realizzata a discapito di tre, tra gli alleati più importanti mediterranei di Washington — evidenziò con assoluta chiarezza come le dinamiche economiche e politiche nell’antico mare possano rispondere, anche al giorno d’oggi, a logiche molto differenti da quelle del resto del mondo. A tal riguardo si vedrà poi ulteriormente come con l’indipendenza dell’India, il canale di Suez assumerà sempre maggiore importanza per il trasporto del petrolio. Neanche il graduale costituirsi e in qualche modo consolidarsi del progetto «Europa Unita» modificherà la progressività della sempre maggiore fluidità dei processi mediterranei, tanto che si è parlato di vera e propria «liquidità» dell’Europa in geopolitica (6). Anzi, in vero, la Comunità europea sottostimerà sempre la necessità di una vera e propria proiezione navale comu-
nitaria. Naturalmente a questa logica non troppo assennata non sarà, quindi, immune neanche un mare così importante come il Mediterraneo. In pratica, possiamo osservare che un certo interesse rimase vivo finché il neonato progetto europeo è stato a guida franco-americana. Questo dato non deve certo stupire, considerando i molteplici interessi francesi nel continente africano e quello mediorientale. In fin dei conti la stessa cosa è capitata per la dimensione nucleare europea con il progetto del Euratom, sempre supportata dagli interessi francesi. Ma, con lo spostamento della
guida da quest’ultima a quella americo-tedesca, la neonata Comunità europea vedrà perdere gradatamente e totalmente interesse per il Mediterraneo. Un assurdo se si pensa alla sua grande importanza geostrategica sia in ambito economico che in quello politico. Una miopia che non si è certo risparmiata anche verso tutte le altre dinamiche navali degli altri mari. In fondo Berlino aveva altre mire, e si potrebbe dire, in una parola, altre priorità (7). Durante lo scorrere degli anni le continue accelerazioni storiche ed economiche hanno reso sempre più liquidi i processi mediterranei, che a differenza di altre regioni del mondo pagano la molteplicità delle diversità dei tanti paesi rivieraschi. Una verità ancor più complessa poiché, è sempre bene ricordarlo, le nazioni mediterranee afferiscono a ben tre continenti diversi. Passate le tante instabilità determinate dalle
rivolte arabe e giunti a un precarissimo equilibrio, i nuovi lavori di Suez hanno agito come un vero e proprio detonatore economico e quindi geopolitico, imprimendo un’ulteriore accelerazione che cambierà per moltissimo tempo il mondo del trasporto marittimo. Infatti si sono aperte nuove dimensioni del sistema neoliberista mondiale congiuntamente al poderoso ingresso della Cina nei mari europei sbaragliando gli antichi equilibri. Le nuove strategie ora sono soggette ai poderosi cambiamenti delle logiche di penetrazione geoeconomiche. L’apertura della Nuova via della Seta, congiuntamente allo scioglimento dei ghiacci a nord del mondo, hanno accelerato, l’attivazione delle due Rotte Artiche. Per cui la Belt and Road Initiative e il Northeast Passage costituiscono, alla fine, un unico complesso di rotta marittima capace di circumnavigare tutto il continente euroasiatico interessando fortemente quella costa nord orientale dell’Africa oggetto di grande sviluppo economico, tecnologico e naturalmente logistico. È sufficiente un semplice sguardo alla carta geografica mondiale per rendersi conto che proprio il Mediterraneo, anche nelle sue più recenti e interessanti analisi (8), diviene la cerniera di questa complessa struttura fatta non solo di navi, porti e rotte, ma anche di strade ferrate, autostrade, aeroporti e naturalmente network per le comunicazioni. Questa lunga premessa ci consente di cogliere le tante trasformazioni
e dinamiche mediterranee che hanno interessato l’iper attivismo di nazioni come la Russia, la Turchia e una grande potenza come la Cina che da anni ha fatto di quest’antico mare il perno della sua politica espansiva verso occidente. Infatti erroneamente in precedenza si è pensato che la realizzazione della Belt Road Intiative fosse stata determinata dai lavori di Suez del 2015, che oltre a consentire il doppio flusso adesso permette il transito alle giganti del mare (9). In realtà la realizzazione della «Nuova via della Seta» era stata pensata in precedenza della realizzazione dei nuovi lavori sul ca-
nale. Infatti gli interessi cinesi nel Mediterraneo sono precedenti ai lavori di ristrutturazione di Suez. In pratica la Cina dalla dissoluzione dell’Impero dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ha ben compreso che per divenire una potenza di caratura mondiale si sarebbe dovuta trasformare da potenza tellurocratica in potenza talassocratica. Una trasformazione che avrebbe comportato quel salto di qualità indispensabile per tramutare la Cina da realtà geopolitica regionale in mondiale. Per cui l’interessamento cinese per i paesi rivieraschi mediterranei è ben precedente ai lavori di Suez. Il motivo è duplice, infatti se da un lato l’antico mare romano è il trait de union tra Atlantico ed Indo-Pacifico e snodo principale tra Rotta Artica Orientale e Nuova via della Seta, dall’altra rappresenta un mare che ha registrato importantissimi tassi di crescita di scambio commerciale. Quindi non solo un motivo meramente geografico, ma anche, se non soprattutto, economico. Per tale ragione abbiamo assistito a una vera e propria corsa all’acquisizione dei più importanti porti nel bacino mediterraneo. Una gara che ha visto come protagonisti proprio i cinesi i quali si sono insediati con forza e tenacia nei più strategici ancoraggi dell’antico Mare Nostrum: Pireo, Valencia, Casablanca, Vado Ligure, Bilbao, Ambarli, Marsiglia, Port Said, Tanger Med. A questi si aggiungono Cherchell in Algeria, Haifa e Ashdod in Israele tramite i tre principali colossi dello shipping cinesi, Cosco Shipping Ports, China Merchants Port Holdings (CMPort) e Qingdao Port International Development (QPI). A questa già lunga lista di porti bisogna aggiungere anche l’acquisizione di Tripoli e di spazi portuali importanti a Taranto tramite un accordo con la turca Yilport per la gestione dell’ex area Belleli. Per poi non parlare dell’importante acquisizione del 35% delle azioni dell’Hamburger Hafen und Logistik AG (Hhla) di Amburgo che detiene le azioni del porto di Trieste. In poche parole è evidente l’interesse della Repubblica Popolare Cinese, tout court, verso gli spazi marittimi (10). Naturalmente i porti sono solo la punta dell’iceberg di una strategia che ha modificato profondamente il grande gioco della geopolitica. Infatti nel mondo della seconda globalizzazione o del sistema economico post-neoliberista, chi controlla lo spostamento delle merci controlla tutto l’apparato commerciale. Per cui complessi snodi e reti logistiche divengono il fulcro della nuova azione internazionale con cui ampliare enormemente la proiezione degli Stati e delle potenze. In pratica, le complesse strutture logistiche sono capaci di esercitare sia il soft che l’hard power. In fondo sembra quasi banale ricordare che se si controllano le reti di trasporto di una nazione se ne controlla il commercio e quindi l’economia. A questo punto è bene ricordare la massima del grande Ottone von Bismark secondo la quale «Wer den Daumen auf dem Beutel hat, hat die Macht» (ovvero «Chi ha il pollice sulla borsa, detiene il potere»). Per cui si spiega come proprio la realizzazione delle nuove e complesse reti logistiche intermodali consentono anche la possibilità di esercitare hard power. Proprio la creazione di nuove rotte, di hub e di
nuove linee di comunicazioni terrestri modificano fortemente il valore geografico dei luoghi, regioni e di intere nazioni. In pratica se la studiamo in chiave geoeconomica o semplicemente in base alla realizzazione dei nuovi e complessi hub logistici sembra coerente poter affermare che anche la geografia diviene una scienza a geometria variabile. Per semplificare al massimo quanto affermato possiamo fare l’esempio di un porto con il fondale insabbiato. Tale struttura se pur collocata in posizione geografica vantaggiosa avrà un valore economico e geopolitico sicuramente diverso da quello che avrebbe con un fondale efficiente. Per cui si comprende bene come i porti e le loro retrostrutture, ma più genericamente tutte le reti logistiche, siano oggetto d’interesse delle potenze emergenti. È un dato inconvertibile che il nuovo millennio è stato caratterizzato dalle mutazioni economiche e commerciali le quali hanno fatto della logistica il perno dell’economia e della politica. In questa chiave di lettura proprio il Mediterraneo diviene il centro d’interesse di tutte le potenze emergenti poiché crocevia di scambi e noli marittimi fondamentali. Non sorprende quindi come la Cina si sia interessata a questo mare già prima della realizzazione dei nuovi lavori di Suez puntellandosi, per così dire, in zone strategiche di assoluto interesse e di certo sviluppo come nel caso del Libano.
Cina e Libano
L’interesse cinese per questo stretto lembo di terra, capace però di collegare l’Asia minore all’Africa e al Medioriente è stato oggetto di particolare attenzione sin dai primissimi anni dal governo di Pechino. Una lunga e se vogliamo serrata corte che potremmo far partire addirittura dal 2000 quando i due governi, quello di Pechino e di Beirut, decisero d’intensificare le loro relazioni commerciali ed economiche. Questi rapporti portarono cinque anni dopo alla realizzazione di un completo e molto ampio pacchetto di accordi e collaborazione in campo turistico. Un’intesa che si volle subito stringere in maniera poderosa tant’è che nell’antica Berito (11) iniziarono a comparire i primi corsi di lingua mandarino all’università di Beirut. Certo i possibili investimenti cinesi, sin d’allora facevano gola al governo libanese, il quale ha sempre sofferto d’una economia stagnante e di divisioni interne che hanno storicamente prodotto problemi di stabilità. Queste relazioni economiche e diplomatiche si sono andate sempre più rafforzandosi con continui accordi bilaterali. Tant’è che Pechino già dal 2013 diviene il maggior partner commerciale in Libano. Sistemi di riscaldamento solare, rete di telecomunicazione, aiuti nei campi profughi, la realizzazione di centrali elettriche e la possibilità di sviluppare una linea ferroviaria lungo la costa sono solo una parte degli investimenti cinesi nell’area che al 2019 sono stati stimati in circa 12,5 miliardi di dollari. Si comprende facilmente,
quindi, come proprio il Libano sia sempre stato da subito il centro ed il nucleo di una strategia di penetrazione economica, commerciale e politica cinese nel Mediterraneo. Alcuni elementi fanno proprio del Libano il partner ideale per le strategie dell’antico impero celeste che vanno anche al di là della, se pur fondamentale, posizione geografica. Il Libano era ed è un paese a scarso sviluppo economico e tecnologico, afflitto da conflitti interni ed esterni, sempre bisognoso d’energia elettrica, di acqua potabile e di liquidità economica con un grande porto come quello di Beirut capace di soddisfare tutte le caratteristiche fondamentali per la catena infrastrutturale ipotizzata e parzialmente realizzata dalla classe dirigente cinese. Una catena sempre più poderosa che si snoda sia per via marittima che terrestre. Proprio la sua posizione geografica garantisce enormi vantaggi per Pechino sia in ambito navale che per sviluppare poderose vie di comunicazioni terrestri. Infatti il governo cinese ha ideato una possente catena di comunicazione interna che attraversando l’Iran, l’Iraq e la Siria si snoda sia verso la Turchia sia verso il Libano. In più è bene ricordare come proprio negli ultimi anni si è intrapreso il progetto della realizzazione della ferrovia e autostrada capace di collegare la provincia cinese dello Xinjiang fino al porto pakistano di Gwadar a ridosso del Golfo Persico. Una realtà nata per garantire l’approvvigionamento terrestre del greggio a Pechino senza dover circumnavigare l’India e passare dallo stretto di Malacca saldamente controllato dagli Stati Uniti e i suoi alleati. In pratica non è difficile comprendere il disegno delle doppie linee di comunicazioni realizzate da Pechino che rilancia con forza la sua leadership nell’area dove il Libano con Beirut diviene sia punto d’arrivo che di partenza di una struttura complessa che si snoda in tutto il Mediterraneo sino a giungere in Cina. Paradossalmente al di là dell’importanza strategica del porto di Beirut, la forte penetrazione economica, politica commerciale consentirebbe la realizzazione di quella via ferroviaria terrestre tesa a unire il Libano ai porti d’Israele Ashdod e Haifa, Alessandria in Egitto sino
a giungere a Tripoli già da tempo nelle attenzioni di Pechino. In più proprio il controllo di Beirut del suo porto e delle sue ferrovie sarebbe fondamentale per la realizzazione della ricostruzione della vicina Siria altro perno della strategia cinese. Per far ciò la Cina può anche contare sulle sue ottime relazioni con le altre due potenze interessate ad ampliare la propria proiezione nel Mediterraneo ossia: la Turchia e la Russia. Volendo parafrasare il buon lavoro di Luca Riccardi (12) possiamo dire che in qualche modo Turchia, Russia e Cina sono Alleati non amici, ma al momento, grazie anche ai stravolgimenti determinati dal conflitto russo-ucraino in atto sarebbe difficilissimo ipotizzare una qualsiasi forma contenitiva da parte di Ankara e Mosca. Anzi proprio il caso turco è assolutamente emblematico. Infatti il governo di Ankara è fortemente intenzionato a rilanciare gli antichi confini della Sublime Porta se non con il controllo territoriale almeno con la realizzazione di una fittissima rete di relazioni internazionali e di accordi commerciali con gli Stati del Nord Africa e dei Balcani. Ma la Turchia si muove lungo lo spazio geopolitico concordato con Mosca e lasciato libero dalle nazioni europee incapaci ancora oggi di esercitare una vera e propria proiezione nell’antico mare romano e grazie anche, se non soprattutto, ai finanziamenti cinesi per cui è improbabile che in questo frangente possa escogitare qualsiasi misura contenitiva nei confronti di Pechino. Ora leggendo la cartina ci si accorge che Beirut diviene una pietra triangolare della strategia cinese, poiché se le colonne d’Ercole sono controllate dall’hub di Tanger Med, il canale di Suez da Alessandria, Port Said e Haifa e l’ingresso dei Dardanelli con il porto Amberli, Beirut rappresenta lo snodo dove collegare linee terrestri a quelle marittime direttamente con la madre patria. Allora ci si rende facilmente conto come con i porti di Ambarli, Port Said, Haifa, Tripoli, Pireo, Taranto, Marsaxlokk, Ashdod e naturalmente Beirut non solo consentono il pieno controllo del Mediterraneo centrale e levantino, ma costituirebbero una poderosa linea difensiva per la protezione delle linee di comunicazione terrestri. In
questo quadro non è possibile non notare la presenza della Cina Merchants Holdings International che opera all’interno della Malta Freeport nella Baia di St. George’s a Malta. Una concentrazione e un consolidarsi nel Mediterraneo levantino spiegabile anche dal punto di vista economico poiché gli scambi transitanti da Suez sono maggiori rispetto a quelli di Gibilterra (13), ma certamente il dato geopolitico è quello di maggior rilievo. In più un diretto controllo del Libano consentirebbe di fare, se pur indirettamente, tutta una serie di pressioni per quanto soft su Israele. Non è certo un segreto che allo Stato ebraico manca un retro spazio geopolitico. In più Pechino avrebbe anche l’opportunità di realizzare importanti impianti di desalinizzazione come quello che avrebbe dovuto costruire già due anni fa in Israele e saltato a causa della ferma contrapposizione dell’amministrazione degli Stati Uniti, sotto Trump, e dei continui viaggi dell’allora segretario di Stato Mike Pompeo. La realizzazione di tali impianti legherebbe definitivamente le sorti di quelle nazioni nell’area ai destini cinesi. Accessibilità alle fonti di acqua potabile, energia e processi di desertificazione saranno e già lo sono dei grandissimi poli attrattivi per tutto il Medio Oriente e l’Africa. Per cui gli accessi al mare avranno sempre più un valore crescente, cosa ben nota a Pechino. Per quanto con una economia e la lira in totale default il controllo economico e quindi politico del Libano consentirebbe maggiori relazioni anche con il governo di Tel Aviv pietra miliare della politica americana in Medio Oriente. Il controllo di strutture o addirittura di una nazione tramite il default certo non sarebbe una novità per il governo di Pechino, infatti a tal riguardo abbiamo diversi esempi come: il Montenegro, il porto di Hambantota nello Sri Lanka, l’Angola sono solo alcuni dei casi possibili. Certo l’esplosione del porto di Beirut, il crack economico, l’instabilità politica sono dei poderosi deterrenti, ma per quanto scritto e analizzato sembrerebbe difficile pensare a un disinteresse cinese nell’opera di ricostruzione portuale ed è probabile che Pechino, visto anche i suoi tanti feedback in quella nazione, riuscirà probabilmente a sopravanzare la concorrenza degli altri paesi sia mediorientali che occidentali. Un consolidamento cinese in quell’area, che al momento sembrerebbe inevitabile, causerebbe un grave danno alla proiezione navale nazionale. In fondo non è certo un segreto che l’Italia non è interessata a espandere la propria emanazione verso occidente. Per ciò il Bel paese è fortemente legato alle dinamiche adriatiche e quindi balcaniche per poi finalmente proiettarsi verso il levante. Un rafforzamento cinese così ideato non solo nuocerebbe notevolmente agli interessi nazionali, ma anche e soprattutto europei, poiché l’Unione troverebbe definitivamente chiusa quell’area di assoluta importanza di sviluppo. Per cui si ravvisa una volta di più la necessità della realizzazione di Istituti comunitari e nazionali capaci di coordinare poderose strategie di medio e lungo periodo. In pratica è il momento che l’Europa dimostri le sue tante capacità inespresse dotandosi di vere e proprie strategie marittime poiché è del tutto evidente che chi controlla le rotte le infrastrutture logistiche navali controlla il potere. 8
NOTE
(1) F. Chabod, L’Idea di Europa e la politica dell’equilibrio, Milano, Il Mulino, 1995. (2) A. Mazzetti, Marina Italiana e Geopolitica Mondiale, Roma, Aracne, 2017. (3) Già nel periodo tra le due guerre mondiale lo Stato Maggiore della Regia Marina sviluppò il concetto di Mediterraneo Allargato. Sull’argomento si veda: G. Fioravanzo, Il Mediterraneo, centro strategico del mondo, Roma, 1943. (4) M. Campanini, Storia dell’Egitto contemporaneo. Dalla rinascita ottocentesca a Mubarak, Roma, Edizione Lavoro, 2005. (5) G. Boffa, L’URSS dopo Stalin, in La storia - I grandi problemi dal Medioevo all’età contemporanea, X, L’età contemporanea. (5) Problemi del mondo contemporaneo; Indici, Milano, Garzanti, 1994. (6) Tra i molti, cfr. D. Ceccarelli Morolli, L’Europa e la geopolitica «liquida», in Rivista Marittima. (Dicembre 2018), pp. 37-41. (7) Per comprendere meglio le dinamiche tedesche si veda: B. Benocci, La Germania necessaria. L’emergere di una nuova leading power tra potenza economica e modello culturale, Franco Angeli, 2017. (8) G. Poddighe, Infinito Mediterraneo, Analisi Difesa, 3 dicembre, 2020. (9) A. Mazzetti, La Via della Seta: una nuova strategia economica marittima, Il Nautilus, 11 Aprile, 2019. (10) Cfr. D. Ceccarelli Morolli, Appunti di Geopolitica, Roma, Editore Valore Italiano, 2018, pp. 263 ss. (11) Berito è il primo nome e forse il più antico che ebbe la capitale libanese. In epoca ellenistica il suo nome mutò in Laodicea per poi giungere finalmente a quello attuale. (12) L. Riccardi, Alleati non Amici. Le relazioni politiche tra l’Italia e l’Intesa durante la prima guerra mondiale, Morcelliana 1992. (13) R. Pavia, Porti: Grandi manovre nel Mediterraneo, ISPI, 22 ottobre 2021.