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Incidenza e attualità del Potere Aeronavale nel

Dal Potere Navale a quello Aeronavale

Il pensiero e le idee illuminate del comandante Alfred T. Mahan, maturate ben oltre un secolo fa in un contesto sociale, marittimo, economico e tecnologico completamente diverso, esprimono ancora oggi l’indiscutibile validità e attualità nell’ambito di quel Potere Marittimo (qui di seguito abbreviato sempre con la sigla PM) per cui «una qualsiasi nazione può vincere su un’altra distruggendone la flotta e strangolandone i commerci attraverso un blocco navale?». Chiaramente tali idee si attagliavano bene agli scenari di quel tempo, di fine del 1800, con una visione corretta sul ruolo essenziale del PM e del correlato Potere Navale, entrambi determinanti, considerato che la potenza marittima esprimibile risultava assai più forte e incisiva di quella continentale-terrestre, nella positiva risoluzione dei conflitti.

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Da quel postulato discendono gli elementi fondamentali per la costituzione e l’applicazione del PM e soprattutto viene sentita la necessità di attuare una conseguente strategia marittima che presuppone il possesso di una flotta di navi commerciali e da guerra di una certa consistenza come condizione necessaria, ancorché non sufficiente. È inoltre indispensabile avere una posizione geografica favorevole, una disponibilità di porti e sorgitori adeguati sia interni che esterni, delle risorse naturali e produttive e, possibilmente, delle istituzioni stabili. Il Potere Navale, che da sempre fa parte significativa del PM, è invece costituito dalle sole navi da guerra, quindi dalla Marina Militare nel suo complesso e dalle sue capacità esprimibili in pace e in guerra, a protezione innanzitutto delle SLOC (Sea Lines of Communication), le linee di comunicazione commerciali.

Entrambi quei poteri si basano sul mare, il loro elemento comune; essendo anche l’elemento più esteso nel nostro pianeta, è quindi il più trafficato da vari mezzi per svolgere scambi di vario genere e di beni essenziali lungo rotte commerciali sicure e libere; è pertanto comprensibile l’interesse di uno Stato a disporre di una cospicua flotta mercantile quale parte importante del proprio sviluppo e sicurezza, nell’ambito di una concreta declinazione del PM. In particolare, il nostro paese, al centro del Mediterraneo, dovrebbe avere, per affrontare in modo adeguato le sfide attuali e future, una specifica strategia marittima che, nell’ambito della politica estera, riesca a cogliere con l’oculato utilizzo del PM, l’interesse primario nazionale inevitabilmente legato al nostro mare. Infatti, qualora sussistano quelle condizioni basilari, il mare rappresenta l’unico mezzo per sviluppare la potenza e il benessere di una nazione.

È pertanto essenziale che esista una dottrina navale nazionale ben definita, che gli Stati perseguono in campo marittimo, sia nella flotta mercantile, sia in quella militare, con un adeguato bilanciamento e in grado di conseguire da un lato obiettivi commerciali geopolitici di tutto

rispetto, dall’altro quelli strategici militari attraverso il controllo e il dominio del mare, con capacità di protezione di quel traffico e di proiezione di forze anche ben oltre il Mediterraneo.

Le teorie del Mahan hanno attraversato tutto il Novecento e hanno costituito sempre uno specifico riferimento per tutte le Marine, sia quelle occidentali che altre (per esempio quella indiana), ponendo la massima attenzione nel creare innanzitutto le capacità di controllo e protezione delle linee di comunicazione marittime, ma anche quelle di proiezione nell’alto mare e un sistema tecnicologistico di basi navali e di punti di appoggio. La scienza e le scoperte, quindi, hanno inciso notevolmente sull’evoluzione degli strumenti marittimi, considerata l’elevata tecnologia applicata e la modernizzazione delle odierne costruzioni navali; basti pensare che all’inizio il Potere Navale si basava su navi fortemente armate, su bastimenti maggiori come le corazzate per la proiezione di capacità e di unità minori per le esigenze costiere o interne del paese, mentre dai primi anni del XX secolo il Potere Navale incomincia ad avvalersi di piattaforme speciali, le «portaerei» che, al posto di ingenti armamenti convenzionali, portano notevoli quantità di aeromobili idonei sia per compiti di sorveglianza, sia di proiezione, anche a considerevoli distanze, con possibilità di «Sea Control» di grande rilievo.

Pertanto, le portaerei sostanziano una diversa potenza navale esprimibile rispetto alle navi convenzionali e quindi da un potere pregresso tipicamente navale, con quella straordinaria aggiunta del Potere Aereo intimamente legato alle macchine volanti imbarcate; si concretizza così una nuova forma di PM che vede al proprio interno un potere combinato, il Potere Aeronavale con più estese capacità di proiezione di forze e quindi di protezione dei nodi strategici e delle vie di comunicazione commerciali, con una funzione di deterrenza unica.

Se le statuizioni del Mahan in merito al PM potevano apparire inizialmente troppo ambiziose e difficili da realizzare, con l’avvento delle portaerei anche l’affermazione che: «Il Potere marittimo è la chiave del dominio globale e influenzerà sempre la storia dei popoli» diviene assai più concretamente realizzabile; in effetti quel Potere Aeronavale espresso dalle portaerei, o anche da unità portaelicotteri, è stato e sarà il plastico esempio di una forza integrata proiettabile a grande distanza che può cambiare drasticamente le sorti e le soluzioni dei conflitti, dando un contributo eccezionale al PM nel garantire in definitiva la libertà dei mari.

Si ribadisce che, in particolare, nel PM delle nazioni mediterranee contano le dimensioni e la qualità delle flotte, ma innanzitutto il livello di protezione esercitabile nelle maggiori linee di comunicazioni marittime, in specie di quelle che interessano il trasporto di idrocarburi e altre materie pregiate che attraversano diversi chokepoints strategici, da Hormuz a Bab el-Mandeb, al Canale di Suez, allo Stretto di Gibilterra, ecc.: se non venisse garantita la sicurezza di quelle SLOC, gli effetti nel commercio e sviluppo industriale potrebbero essere fortemente compromessi. Avere il controllo del mare è importante anche per altri vari motivi; per le risorse di vario genere che racchiude, per le risorse alimentari che assicura in primis con la pesca e via dicendo; bisogna perciò valorizzare appieno l’attuale concetto della «Blue Economy» particolarmente in ambito europeo, quale ca-

Le portaerei sostanziano una diversa potenza navale esprimibile, rispetto alle navi convenzionali e quindi da un potere pregresso tipicamente navale, con quella straordinaria aggiunta del Potere Aereo intimamente legato alle macchine volanti imbarcate.

posaldo della crescita economica strettamente correlata alle potenzialità del mare.

Sarà proprio dal mare che dovranno essere recepite e gestite anche le sfide più importanti; per quelle note (dalla sicurezza della navigazione alla pirateria, al terrorismo, all’immigrazione illegale, ai traffici illeciti di armi ed esseri umani, alla pesca indiscriminata) fino a quelle ignote che potranno emergere anche nel nostro Mediterraneo da conflittualità etniche, religiose, di abusi nei diritti umani, di pestilenze e pandemie naturali. In tal senso, nell’attuale precaria situazione mondiale, la temeraria azione di gruppi facinorosi e non statuali richiede, anche a livello di prevenzione, di implementare con urgenza i concetti basilari del PM con una opportuna strategia navale inclusa nella visione complessiva dei dicasteri della Difesa e degli Esteri in particolare, per fronteggiare situazioni anomale e proteggere gli interessi nazionali, ma anche quelli del diritto sottoscritti dalla comunità internazionale.

E, per questo, non possiamo sempre confidare su «aiutini» altrui, sulla mutua solidarietà che spesso è divenuta solo di facciata; sta bene comunque continuare a essere presenti nelle diverse alleanze, dalla NATO alla UE, alle «Coalition dei volenterosi» create ad hoc in rapporto a specifiche crisi, in quanto lo impone la globalizzazione e la cooperazione nella comunità internazionale; ma il nostro paese — come molti altri — non può sempre accodarsi ai grandi, piuttosto dovrebbe essere responsabilizzato per affrontare con sufficiente efficacia interventi militari e diplomatici anche da solo confidando sul proprio PM, allorquando per ragioni diverse quelle alleanze non possono partecipare. Appare evidente che l’apporto del Potere Aereo è molto importante e spesso determinante per la tempestività nell’impiego del mezzo aereo da parte del comandante in mare, ma anche per la valenza che nella fase iniziale di un conflitto questi può significare; prima la capacità di piegare uno Stato avversario avveniva per esempio con un massiccio bombardamento controcosta, mentre oggi con i caccia imbarcati in numero consistente, l’azione combinata con missioni di attacco e di close air support, crea le condizioni per un più ampio successo delle operazioni: il «sea-power» o il PM nazionale, si coniuga quindi e si basa sull’innovativo complessivo Potere Aeronavale.

Ne consegue che nella relazione con il Potere Navale, il Potere Aereo non può essere considerato un accessorio, ma assume un ruolo di complementarietà inclusiva di notevole valenza strategica, spesso decisivo nella condotta delle operazioni sul mare: gli scenari di una crisi iniziale presuppongono quasi sempre l’impiego di una aliquota di velivoli aerotattici senza ritardi e soprattutto nelle aree di interesse, partendo da una base Expeditionary, come la portaerei, senza mortificare la neutralità dei paesi coinvolti.

In effetti lo strumento navale ne esce davvero rafforzato ed esteso nel suo braccio operativo con l’apporto del mezzo aereo disponibile e pronto in loco; si tratta quindi di un utilizzo che sfrutta le capacità di due poteri, di un assetto aeronavale combinato che massimizza e ottimizza entrambi i poteri, quello aereo in congiunzione con quello navale, una volta tanto in modo congiunto e non in contrapposizione come più volte accaduto nel corso della storia. Gli aspetti più vasti del PM nella sua accezione geopolitica, ma soprattutto della componente dell’aviazione navale intimamente connessa con il Potere Aero-

navale, nello scenario complesso del Mediterraneo —o meglio nel c.d. Mediterraneo allargato — debbono costituire dei precisi riferimenti concettuali per affrontare delle situazioni critiche anche sul piano decisionale e quindi debbono far parte importante della cultura politica del nostro paese: conoscere ed essere coscienti di questa capacità, attuale e «spendibile» della Difesa, può costituire una scelta di grande rilievo a portata dei dirigenti governativi per la gestione di situazioni di crisi.

Il Potere Marittimo nel Mediterraneo allargato

L’evoluzione del PM e di quello Navale nei vari conflitti e teatri di crisi, anche nelle situazioni relativamente recenti (dalle guerre del Golfo al conflitto Bosniaco per citarne solo alcune) occorse fra il primo dopoguerra e oggi, pongono in evidenza sempre più che chi controlla il mare e le correlate vie di comunicazione gioca un ruolo decisivo e spesso determinante su tutti gli scenari mondiali. Il mar Mediterraneo era e resta un’area di vitale importanza per il controllo e la gestione dei fenomeni con rilevanza e ricadute globali; quel mare che all’epoca romana era «nostrum» oggi lo è molto meno e le ragioni sono in qualche misura legate al PM esercitabile ed esercitato nel tempo, a causa di una sottovalutazione e scarsa conoscenza degli strumenti marittimi disponibili, soprattutto quelli impliciti nella Marina Militare che sarebbero preziosi nel calmierare certe situazioni critiche o di stallo, prima del precipitare delle situazioni, utilizzando dapprima lo strumento navale con la deterrenza tipica della «Naval Diplomacy» insita tradizionalmente nelle unità navali. Si tratta in sostanza di tutelare il proprio interesse nazionale e nel contempo la sicurezza nella crucialità del Mediterraneo e di quello allargato, nella conoscenza e prevenzione dei fenomeni che prima o poi interesseranno la nostra penisola. Serve quindi una risposta strategica e responsabile sia per recuperare quella credibilità e peso come nazione, sia per rafforzarci sul piano della considerazione della comunità internazionale: il PM deve rispondere a criteri di rispetto più che di dominio sul mare, e di prevenzione, di garanzia di libertà e di tutela della pace in genere; ciò significa anche dare il giusto peso e dimensionamento di uno strumento bilanciato e consistente delle Marine militari quale braccio fondamentale della diplomazia nella nostra politica estera.

Anche i più agnostici non hanno bisogno di risalire il corso della storia fino a quella romana e all’arrivo dei profughi troiani guidati da Enea per capire che, fin dall’antichità imperiale, Roma ebbe una vocazione marittima per espandersi e occupare tutti i litorali del Mediterraneo, privilegiando le vie del mare anche per le conquiste europee, Britannia compresa, varcando addirittura le Colonne d’Ercole.

L’esercizio del PM fu infatti determinante nel contenere e contrastare le minacce recate dalla rivale Cartagine e da Annibale nel corso delle Guerre Puniche, costringendo lo stesso a seguire l’impervia via terrestre verso l’Italia nella seconda di rivincita, considerato che la via marittima gli era preclusa dalla superiorità romana sul mare. D’altronde non appare superfluo rammentare quanto fosse ben compreso e utilizzato il PM dai Romani; «Navigare necesse est» stigmatizza la necessità dei Romani di sostenere un PM inizialmente concepito non per il dominio e la supremazia sul mare, ma quale necessità di sopravvivenza, atteso che la loro sicurezza dipendeva largamente dalla concreta possibilità di navigare per garantire il flusso sicuro dei traffici e il controllo delle coste e dei sorgitori di interesse: i Romani perciò mantennero sempre ben presente la valenza strategica del PM anche nelle più devastanti emergenze, cogliendo ogni occasione favorevole per consolidarlo. Per non parlare poi dell’Impero Romano d’Oriente che, sopravvivendo a quello d’Occidente per mille anni, è un altro facile esempio storico di tutto ciò.

In piena età medievale, dopo il Mille, si assiste all’ascesa e all’affermazione delle Repubbliche marinare che fu certamente propizio per manifestare la eccezionale validità del PM, per tacere della sua estrema valenza durante le grandi scoperte geografiche, prima fra tutte quella di Colombo e del continente americano.

Ma ci sono stati periodi anche particolarmente oscuri in cui il PM è stato negletto, come nel «Ventennio» in cui gli italiani hanno voltato le spalle al mare, e il Mediterraneo considerato «una pozzanghera» e «l’Italia una portaerei», per cui non ne necessitava un’altra fatta di lamiera; di conseguenza divenne naturale l’improvvida decisione di abbandonare la costruzione di navi portaerei, mutilando ulteriormente e quasi totalmente l’Aviazione navale, a fronte del rinnovamento delle corazzate. Ciò

Nave ALPINO attraversa il Canale di Suez nell’ambito dell’operazione «Atalanta»,

missione europea di contrasto alla pirateria nel Corno d’Africa.

con un’evidente frattura fra la dottrina aero-navale portata avanti con determinazione da nazioni guidate da personaggi di diversa caratura, negli Stati Uniti da Roosevelt e poi nella Gran Bretagna da Churchill, con il connubio dei due poteri, quello tipicamente navale unito a quello aereo dei nuovi mezzi; da noi invece quei poteri sono rimasti decisamente separati, con l’effetto che ognuno è andato per la propria strada anche nel corso dei grandi conflitti con danni gravissimi, dovuti in larga misura a una singolare pianificazione operativa e carenza di cooperazione fra le due armi, navale e aerea, con menomazione e mortificazione del PM, per la mancanza della portaerei con i suoi assetti di volo imbarcati.

Il ruolo strategico della Marina era allora assai condizionato, insieme al Potere Navale, da approcci politici miopi anti-aeronavali; molte attività svolte a favore della libertà del mare che hanno lasciato, quindi, poco spazio alla proiezione di forze e di capacità, finalizzata più che altro a contenere lo sforzo bellico dell’avversario che, invece aveva, come ben noto, il fulcro sulle portaerei posizionate agli estremi del Mediterraneo pronte a lanciare la propria aviazione imbarcata per intercettare tempestivamente e bombardare le nostre navi inermi, inevitabilmente quasi sempre prive della necessaria copertura aerea.

Non solo; il Mahan postulava, nell’ambito del PM, la disponibilità certa di porti di appoggio sia in tempo di pace, sia in guerra per esprimerlo compiutamente e, nel teatro del Secondo conflitto mondiale, oltre ad alcuni porti commerciali, vi era la disponibilità certa di basi importanti, da Malta ad Alessandria, a Gibilterra, geograficamente ben collocate e strutturate per il supporto della loro flotta: certamente un uso oculato del PM da parte anglosassone e del tutto trascurato dal nostro governo di allora.

I tempi cambiano e il Mediterraneo non è più il Mare nostrum dell’epoca romana e quel mare è attraversato da fenomeni geopoliticamente complessi: dall’immigrazione incontrollata, al terrorismo islamico, per non parlare di alcune tendenze «egemoniche» di alcuni Stati mediterranei rivieraschi, per giungere infine alla realizzazione del «sogno degli czar», ovvero la presenza di parte della flotta russa nel Mare nostrum.

Nell’attualità, l’esercizio del Potere Aeronavale si esprime con priorità nella capacità di proiezione di forza e in parallelo nel controllo del mare per garantire le linee di comunicazione con particolare attenzione, in tale ambito, del rispetto del diritto internazionale nelle diverse aree al di fuori delle acque territoriali. In effetti, non possono essere escluse da tale esercizio e dal controllo anche le acque costiere, entro le acque territoriali per la prevenzione e contrasto dell’immigrazione clandestina; si va pertanto dalle acque litorali fino al controllo di mari e coste assai lontane dalla madrepatria per il contrasto della pirateria e di altri traffici illeciti, come accade da tempo sia nel Corno d’Africa e bacino somalo, sia nelle acque di fronte alla Nigeria, nel Golfo di Guinea.

Il PM continua dunque a rappresentare la capacità di esprimere sul mare e, al di là di questo, sovranità, sicurezza, influenza, garanzia e tutela dei propri interessi politici, strategici ed economici ovunque, nel rispetto del diritto internazionale.

Applicazione recente (e non) del Potere Marittimo, sua attualità e future potenzialità

La realtà di oggi e la variegata natura degli attuali teatri di crisi consentiranno di esercitare ancora un Potere Marittimo credibile e incisivo? Di certo sussistono tutte le condizioni e i criteri affinché ogni singola nazione possa esercitare un PM dimensionato secondo le proprie possibilità, ma tutto dipenderà, come al solito, dalla volontà della classe dirigente, prima militare e soprattutto politica, di implementarlo sul campo; di certo lo stesso PM integrato e condiviso da diverse nazioni nell’ambito di una alleanza risulta ancora più rilevante e fattibile per la volontà condivisa fra le Marine e il peso relativo sarà l’indice dell’importanza di quel paese nel contesto mondiale.

Deve essere comunque compreso che il PM ancora oggi rappresenta un mezzo e non un fine per il raggiungimento degli obiettivi strategici di una singola nazione ovvero della coalizione; richiede un’attenzione costante, con adeguati investimenti nel settore delle costruzioni navali, ma anche nei confronti delle infrastrutture portuali, con l’attuazione di politiche coerenti e convinto sostegno delle classi governative. La politica estera, in altri termini, non può essere estranea a una strategia marittima nazionale, né avere una scarsa conoscenza e capacità del proprio PM, dei propri interessi e obiettivi strategici e degli investimenti ineludibili del comparto; si deve esercitare un vero controllo e uso del mare per la protezione delle SLOC, della sicurezza energetica e, quindi, ai fini delle insostituibili funzioni della deterrenza e della dissuasione anche nelle situazioni più critiche e, in caso di necessità, bisogna essere pronti e capaci di sviluppare l’uso graduale e sensato della forza, in assenza del quale il paese, banalmente, perde di credibilità. L’Italia deve pertanto adeguare lo strumento militare con una coerente rispondenza qualitativa e quantitativa alla flotta mercantile affinché possa assolvere il ruolo primario che le compete nella difesa avanzata e nella sicurezza marittima, garantendo una presenza costante nei nodi più importanti, con una capacità di sorveglianza e di eventuale intervento. Se, di vero PM si tratta, questi deve costituire uno strumento valido ed efficace per affrontare anche da solo, seppure in casi davvero al limite, situazioni critiche e di improvviso contenzioso con paesi terzi, nonché minacce che possano annichilire la credibilità e il prestigio della nazione: chiaramente debbono esistere delle precise regole di ingaggio, che prevedano il comportamento e le misure da porre in atto a seconda delle situazioni ed evoluzioni delle crisi, senza pregiudicare comunque lo spirito di iniziativa, di fiducia e di responsabilità di fronte a decisioni immediate e improrogabili. Il rapporto fiduciario istituzionale deve «volare» al di sopra di ogni attività operativa, ma un inciso appare doveroso; significa cioè fare il possibile per disporre di uno strumento navale, e di una Marina Militare, con organici e mezzi del tutto adeguati per qualità e numero, ai futuri compiti da assolvere con una corretta ma audace rivisitazione nell’ambito della Difesa, per una congruente ripartizione delle risorse complessive allocate. Se la politica confida davvero nel PM, nella centralità e potenzialità del mare, essenziali per la prosperità e per la sicurezza nazionale del paese, allora bisogna mettere mano alle modifiche e riorganizzazioni necessarie perché così si possono creare le condizioni per migliorare nettamente le nostre capacità di intervento ma anche le condizioni economiche e reputazionali.

Anzi, precisiamo ancora meglio: dare alla Marina Militare gli strumenti adeguati per assolvere i compiti di protezione e proiezione di capacità deve far parte di una giusta strategia marittima per la sicurezza e lo sviluppo del nostro paese. Non è raccomandato, né tanto meno salutare non esercitare il dovuto PM, specialmente quando siamo di fronte a scorribande nel Mediterraneo e assistiamo a palesi violazioni del diritto internazionale senza poter intervenire.

Nonostante queste doverose riflessioni sulla valenza del PM e sulla sua futura ottimizzazione, come è tradizione, la nostra Marina, e con essa tutti gli equipaggi, hanno fatto il proprio dovere anche al di là delle ipotizzate possibilità, in diverse situazioni critiche e contingenti, quasi sempre nell’ambito di alleanze o «Coalition dei volenterosi» internazionali. Tra queste vale la pena menzionare quella costituita nell’autunno del 2001, all’indomani del proditorio attacco alle Torri Gemelle di New York, per combattere il terrorismo islamico di cui al-Qaeda ne era il promotore, e contro il regime dei talebani in Afghanistan. Non quindi una semplice esercitazione per l’applicazione di un PM teorico, ma la concreta e immediata partecipazione a un’operazione di RWO (Real World Operations), di reale missione di guerra, che

ha visto l’adesione della Marina Militare con un Task- zione. Non sempre tuttavia il PM ha avuto esiti soddisfaGroup bilanciato, centrato sulla portaerei Garibaldi, che centi e, nel tempo, sembra che ne sia sminuita la conoha potuto svolgere un ottimale Potere Aeronavale di pro- scenza e la pratica attuazione; il riferimento riguarda iezione di capacità ai confini del Mediterraneo allargato, l’alterna partecipazione italiana alle problematiche della con i propri velivoli AV-8B STOVL imbarcati che hanno Libia, una sponda che appare sempre più lontana, increbattuto i santuari dei talebani nelle valli di Tora-Bora e dibilmente, dal nostro interesse nazionale. Nella guerra che, assieme alle altre unità portaelicotteri, hanno svolto contro la dittatura libica di Gheddafi, iniziata nel 2011 anche il compito di protezione delle SLOC in Mare Ara- (su cui non si esprimono valutazioni di merito politico), bico, scongiurando traffici di armi e altre attività illecite: un concreto esempio di applicazione di PM integrato fra diverse Marine che ha avuto risultati di tutto rilievo.

Degna di menzione è altresì l’attività di PM condotta per il contrasto del terrorismo e le attività illecite da parte di Gruppi navali «Standing» della NATO cui l’Italia partecipa con assiduità; inoltre dai primi anni del nuovo millennio e in corso tuttora, sono condotte operazioni di protezione del traffico mercantile contro attacchi di pirateria, nell’oceano Indiano, in particolare nelle rotte di accesso e di uscita da Suez, ma soprattutto nel Bacino somalo, a salvaguardia della vita umana dei nostri connazionali imbarcati su navi mercantili battenti la nostra bandiera, anche imbarcando team ad hoc di fucilieri del Reggimento San Marco.

La Marina Militare è stata antesignana nell’iniziare quella attività a difesa e protezione delle nostre unità mercantili che storicamente hanno scambi e traffici verso i sorgitori del Bacino somalo, da Mogadiscio a Mombasa, ma che avevano subito attacchi da parte dei pirati rivieraschi sempre più organizzati nelle loro malevoli attività, con grave pregiudizio per la libertà di navigazione in quelle acque. La Marina Velivoli AV-8 Harrier II plus della Marina Militare su nave GARIBALDI, impegnati nella difesa del Mediterraneo allargato. Militare è stata sempre presente in quell’area con una o più navi, garantendo scorte dirette ovvero in- la Marina italiana con il suo strumento militare capacitivo dirette di quei bastimenti, con l’impiego di assetti navali ha mostrato, ancora una volta, comunque di saper gestire e aerei — spesso con elicotteri imbarcati — che, sostan- e applicare quel PM, impiegando efficacemente l’assetto ziando fin dall’inizio il binomio nave-aeromobile, hanno di pregio della portaerei Garibaldi, rendendolo disponidimostrato quanto valida sia stata da sempre la scelta bile dal marzo 2011 nell’ambito di un intervento della della Marina Militare, di un approccio aeronavale, non NATO. Il Potere Aeronavale espresso dall’aviazione imsolo per i compiti istituzionali operativi, ma anche per il barcata con un gruppo di aerei tutto sommato dimensio«sea control» e la protezione delle linee di comunica- nato ha saputo porre in risalto la loro capacità aero-tattica

in modo encomiabile, anche nei confronti di gruppi di volo di aeronautiche «complete», svolgendo un insieme considerevole di missioni «Combat» di rilievo e con grande economicità, tenuto conto dei brevi transit-time dei velivoli dalla nave madre che orbitava poco al di fuori delle acque territoriali: un esempio straordinario di efficacia e di attualità del Potere Aeronavale, espresso peraltro in operazioni reali di guerra. La caduta di Tripoli e del «Colonnello», con la sua uccisione il 20 ottobre 2011, non ha certo risolto i problemi della Libia, anzi; per molti versi ne ha accentuato la instabilità con la spiccata tribalità senza freni, con le liti e i contrasti più aspri, facendo riemergere le milizie assettate di potere, tenute fino allora a bada seppur con metodi piuttosto dittatoriali. Oggi la Libia è spaccata in due o più parti, di cui le principali forze sono attestate a Tripoli con al-Serraj e a Bengasi con il Generale Haftar, ma esiste ora una internazionalizzazione del conflitto in atto fra quelle parti che minacciano di scatenare una grave crisi nel Mediterraneo.

L’Italia ha, per forza di cose, sensibili interessi in quella regione, ed è evidente come altre nazioni si muovano con una politica estera decisa e risoluta; la Turchia, insieme col Qatar, appoggiano apertamente Tripoli, mentre Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti stanno a fianco di Bengasi. Soprattutto Erdogan, con il suo intervento a favore di al-Serraj, ha prodotto decisi cambiamenti, investendo molto in quella iniziativa, creando dissapori pure con l’alleato francese, mirando a conseguire — a prescindere — un caposaldo geopolitico nella sponda meridionale allo scopo, come molti analisti osservano, di far premio sulle ingenti disponibilità del petrolio e gas locale a favore della Turchia.

I tentativi di Haftar di invadere e prendere Tripoli, sconfiggendo al-Serraj, sono risultati vani; anche gli approcci francesi per una mediazione non proprio disinteressata sono naufragati in quella situazione sempre più ingarbugliata. Roma ha tentato avvicinamenti a Tripoli con vari meeting, coinvolgendo anche la parte avversa di Bengasi, al fine soprattutto di tentare di gestire l’immigrazione che da anni rappresenta una dolorosa spina nel fianco del nostro paese: tutto ciò senza tuttavia porre in atto un PM che avrebbe giovato a tutti gli attori in gioco, meno i prepotenti. Infatti, la nostra presenza proprio a partire dal mare sembrava imprescindibile sia in virtù della storia e dei rapporti pregressi con quella «sponda», sia per l’interesse nazionale anche in relazione alle nostre esigenze energetiche, ma soprattutto per gestire il fenomeno attuale di una migrazione che se incontrollata diventa preoccupante.

Purtroppo bisogna riconoscere amaramente che negli ultimi lustri il Mediterraneo è diventato sempre più mare conteso e conflittuale. In definitiva, pare assodata l’elevata incidenza del PM sulle attività marittime e non solo, e il grave nocumento che ne subisce una nazione che non decide di implementarlo nei suoi molteplici aspetti; le idee del Mahan sono altresì di plastica attualità nei suoi concetti applicativi, seppure con gli adattamenti più opportuni, anche per crisi o conflitti che si sviluppano in scenari dei nostri mari, del Mediterraneo allargato e perfino degli oceani.

Una metafora conclusiva forse più pertinente per capire il ruolo giocato dal Potere Aeronavale è quella del catalizzatore, cioè di quello strumento o dispositivo che interviene in una reazione che, nella fattispecie incide nel più vasto Potere Marittimo e vede interagire fattori marittimi, sociali, politici ed economici, facilitando un percorso reattivo che porta alla sintesi di specifici prodotti come sviluppo, libertà di navigazione, rispetto del diritto e tutela della propria credibilità: un catalizzatore, quello rappresentato dal Potere Aeronavale che confluisce e dà particolare forza al PM e che, quindi, se ben applicato, produce benessere, sicurezza e una importante reputazione statuale, comunque davvero da recuperare, senza ricercare facili soluzioni alchemiche. 8

BIBLIOGRAFIA

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