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Luca Pancalli: «Il CSI? Preziosissimo compagno di squadra»

IL CENTRO SPORTIVO ITALIANO È STATO IL PRIMO ENTE DI PROMOZIONE SPORTIVA AD OTTENERE IL RICONOSCIMENTO DEL MOVIMENTO PARALIMPICO ITALIANO

di Leonio Callioni

In occasione della Giornata dedicata alle persone con disabilità, Stadium ha incontrato il presidente del CIP, le cui azioni e battaglie hanno inciso fortemente nell’evoluzione della cultura sportiva paralimpica nel nostro Paese, creando i presupposti per un cambiamento di percezione culturale e sociale nell’opinione pubblica

Del Presidente del Comitato Italiano Paralimpico si può solo parlar bene. La sua biografia, la sua storia, la sua capacità di rendere concreti progetti di alto profilo sportivo, sociale e culturale, sono ormai patrimonio della Nazione. Costretto da un incidente sportivo quando era un atleta di alto livello, ha modificato i suoi percorsi divenendo fondamentale punto di riferimento per il movimento paralimpico italiano.

Soprattutto ha cambiato in meglio la percezione dello sport paralimpico nella comunità, facendo entusiasmare giovani e adulti a discipline che offrono un approccio diverso dal consueto, dal consolidato nel tempo. Insomma, Pancalli è stato ed è un protagonista di primissimo livello di una vera e propria rivoluzione nel mondo dello sport. Per noi, per il Centro Sportivo

Italiano, ente di promozione sportiva che si preoccupa soprattutto di offrire attività educative e formative attraverso la pratica sportiva, il Presidente Pancalli è in particolare un amico. Uno vero, uno che conosce, che ascolta, che apprezza sinceramente l’attività della nostra Associazione. Non ci soffermiamo sulla presentazione del Presidente Pancalli perché il semplice racconto delle sue gesta e dei suoi meriti richiederebbe lo spazio di tutta l’intervista. Eccoci, perciò, alle domande sul CSI, sulla mission degli Enti di promozione sportiva, sulla necessità di diffondere sempre più l’attività sportiva, sia tra i giovani e sia tra i non più giovani.

«Complimenti a tutti gli atleti e a tutte le atlete che, in questi giorni di gare, sono andati a medaglia. Ma anche a chi non ha ottenuto podi ma ha lottato e ci ha creduto fino alla fine. State dando, ancora una volta, una dimostrazione di serietà, di forza e di spirito di gruppo. Siete una stella luminosissima di un firmamento paralimpico che negli ultimi anni sta brillando con risultati sempre più prestigiosi ed entusiasmanti». Con queste parole, con questi sentimenti di condivisione lei, che è stato atleta di alto profilo, ha guidato con grande bravura e competenza lo sport paralimpico italiano. Uno sport di cui tutta la Nazione è giustamente orgogliosa. Quali sono gli altri ingredienti di questo straordinario successo sportivo e sociale?

I nostri successi sono frutto di tanti fattori, in primis della serietà e della determinazione delle atlete e degli atleti paralimpici insieme al grande lavoro che stanno portando avanti i tecnici, le Federazioni, le Associazioni e le Società sportive su tutto il territorio nazionale. Oggi finalmente vediamo i risultati di anni di investimenti e di programmazione che hanno portato l’Italia a diventare un punto di riferimento a livello internazionale. Il movimento paralimpico italiano viene ormai studiato all’estero come modello virtuoso e i nostri tecnici invitati in tutto il mondo a raccontare i metodi di preparazione. Un fatto che ci riempie di orgoglio. Ma ciò che ci regala maggiore soddisfazione è essere riusciti ad accrescere la credibilità del nostro movimento non solo sotto il profilo agonisticosportivo, ma anche e soprattutto nella dimensione sociale divenendo – come sottolineò il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella –“avanguardia sociale del Paese” con l’obiettivo di cambiare la percezione della disabilità e contribuire, in questo modo, alla crescita civile della nostra società.

Caro Presidente, quanto ritiene importante la presenza del CSI sul territorio italiano per la promozione dello sport a misura di persona?

Moltissimo. Basti pensare che il CSI è stato il primo Ente di promozione sportiva ad ottenere il riconoscimento del movimento paralimpico italiano. Poter usufruire delle strutture del CSI rappresenta una grande risorsa per i nostri atleti e un supporto strategico nell’opera di diffusione delle attività paralimpiche multidisciplinari per ogni fascia di età e categoria. Come detto in precedenza, la promozione dello sport quale strumento di inclusione e integrazione e pezzo di welfare del nostro Paese rappresenta una parte fondamentale della mission del nostro Ente. E il CSI, da questo punto di vista, è un compagno di strada preziosissimo.

Il CSI, fondato nel 1944, ha sempre cercato di interpretare i bisogni della società per dare delle risposte concrete. Quali sono oggi i bisogni emergenti e più gravi secondo lei?

Il nostro obiettivo, ieri come oggi, è quello di intercettare le speranze e le aspirazioni di ragazze e ragazzi che vedono nello sport uno straordinario strumento per riappropriarsi della propria vita. Allargare la base dei praticanti, questo è il traguardo che ci prefiggiamo, consapevoli che non tutti arriveranno, un giorno, a gareggiare sul palcoscenico di una Paralimpiade, ma che tutti, grazie all’impegno in una disciplina sportiva, saranno in grado di vivere con maggiore pienezza la propria vita. I dati a nostra disposizione ci segnalano che il 31% delle persone con limitazioni gravi che praticano sport sono molto soddisfatte delle proprie relazioni sociali, quota che scende al 16% tra coloro che non praticano sport. Una statistica che deve far riflettere tutti.

Per essere all’altezza dei suoi compiti il Centro Sportivo Italiano è impegnato in una costante opera di formazione dei propri dirigenti, con una cura particolare per i dirigenti delle oltre 12 mila società sportive operanti in tutta Italia. Lei ha riscontri positivi di questo impegno associativo per la formazione?

Da quando è nata la collaborazione con il CIP, il CSI ha espresso una classe dirigenziale professionale e sensibile alle esigenze del mondo paralimpico, in grado di impegnarsi a fondo per dare risposte concrete alle esigenze di ragazze e ragazzi con disabilità in tutto il Paese. Oggi, sempre di più, i dirigenti del CSI lavorano sul territorio attraverso progetti di promozione in sinergia con altre entità e organizzazioni locali. I riscontri sono più che positivi. Tuttavia, c’è ancora tanto lavoro da fare per incrementare il numero di persone con disabilità che praticano un’attività sportiva. Da questo punto di vista occorre sempre di più fare sistema e unire le forze.

Dal suo osservatorio particolare ritiene che il CSI possa fare di più e meglio per gli atleti con disabilità?

Il CSI vanta una lunghissima tradizione nello sport paralimpico. È grazie a questa collaborazione che si è potuti arrivare all’organizzazione, sul nostro territorio, di eventi di portata internazionale. I dati ISTAT tratti dall’ultimo rapporto sulla disabilità, ci dicono, tuttavia, che gli individui con gravi disabilità che praticano sport sono il 9,1% del totale della popolazione disabile. Mentre lo sport è praticato dal 20,5% di persone con limitazioni meno gravi. Presso la popolazione senza alcuna limitazione la percentuale corrisponde al 36,6%. Una distanza che è possibile comprendere con le numerose difficoltà che ancora oggi incontrano i disabili nell’accesso alla “pratica sportiva. Numeri significativi che ci devono indurre, anche in questo caso, a una riflessione profonda sul lavoro che siamo chiamati a svolgere nel prossimo futuro.

Come Associazione di ispirazione cristiana abbiamo il dovere di agire con umiltà, ascoltando chi può illuminare il cammino comune. Quali suggerimenti si sente di poter donare alla nostra Associazione?

Più che un suggerimento mi permetto di raccontare un episodio: nel 2016, in occasione dei Giochi Paralimpici Estivi, decidemmo di allestire Casa Italia all’interno di una parrocchia situata in una favela di Rio de Janeiro. In quella circostanza avviammo una serie di ‘tavoli’ dell’amicizia e progetti rivolti principalmente a ragazzi e ragazze non vedenti. Iniziative che hanno lasciato alla città di Rio segni concreti del nostro passaggio, come la realizzazione di un apposito campetto sportivo.

Ecco, a mio avviso è necessario rafforzare questa sinergia tra lo sport paralimpico e la società, partendo dall’importante ruolo delle famiglie. Tantissime atlete e tantissimi atleti paralimpici hanno alle spalle famiglie straordinarie che hanno contribuito e compartecipato alla realizzazione di un sogno. Un fatto che non dobbiamo mai dimenticare. È a loro, principalmente, che dobbiamo rivolgerci se vogliamo far comprendere che lo sport è una risorsa non solo per ciascun individuo ma anche per la collettività.

Luca Pancalli, presidente del Comitato Italiano Paralimpico (CIP)

A mio avviso è necessario rafforzare questa sinergia tra lo sport paralimpico e la società, partendo dall’importante ruolo delle famiglie. È a loro, principalmente, che dobbiamo rivolgerci se vogliamo far comprendere che lo sport una risorsa non solo per ciascun individuo ma anche per la collettività

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