3 minute read

Harry Haft The Survivor

Quando il ring ha corde di filo spinato

di Andrea Barbetti

Il campo di Auschwitz è bufera su corpi e terra e orrore di tutti gli inferni. La sua liberazione è un giorno di fine gennaio che oggi noi ricordiamo privi di quel terrore su labbro e cuore dei sopravvissuti. Pochi sono stati. Pochissimi. Hertzko non ha neanche vent’anni e scava e suda e s’affama nella miniera di Jaworzno, a un passo da camere a gas e crematori. La reazione violenta contro un soldato tedesco dovrebbe segnarne la fine immediata, ed invece gli spalanca una sorte ancora peggiore: pugile ebreo per il divertimento dei gerarchi nazisti, tra scommesse e battute feroci, in combattimenti all’ultimo sangue. Il suo folle protettore lo esibisce nel circo più disumano che si possa concepire. Hertzko affronta 76 sfide e le vince tutte, alcune dalla sera al mattino senza mai interruzione; 76 avversari lasciano il ring esanimi, buoni solo per il camino. Sopravvive, Hertzko, ogni volta uccidendo; sopravvive per sé e per il fratello, con cui prenderà la via americana nel 1948 grazie ad uno zio nel New Jersey. La storia narrata da Barry Levinson – affermato regista di ‘Rain Man’ e ‘Good morning Vietnam’ – parte proprio dagli anni del dopoguerra, da un ormai Harry Haft con mille demoni che dentro rodono e sfiancano più del rivale Rocky Marciano. Come puoi raccontare al prossimo tuo di essere sopravvissuto ad Auschwitz grazie a pugni mortali su volto e stomaco di ebrei, rom, dissidenti politici? Come guardare in viso senza sensi di colpa le donne e gli uomini di una comunità ferita, perseguitata, inghiottita dal Male? Tutto sembra rotolare nel buio di abissi mai sepolti: la boxe come sfogo e mestiere, le amicizie, la ricerca della ragazza amata scomparsa nei lager, il rapporto con la propria comunità. Tra il colore del presente e il bianco e nero dei flashback attraversiamo un biopic doloroso, classico e sapiente nella regia, con attori di livello, tra cui spunta per un paio di scene uno strepitoso Danny de Vito, del film anche produttore esecutivo insieme al bravissimo Ben Forster, che di Hertzko Harry Haft mette in scena con spessore ogni violenza ed ogni smarrimento fino ad un riscatto di luce che finalmente darà alla sua vita un attimo di pace. Sarà il figlio infatti nel 2003 a raccogliere le confessioni paterne per farne un libro tre anni dopo, da cui il nostro ‘Survivor’. Un film da vedere per gli interrogativi che pone alle nostre coscienze. E non solo il 27 gennaio, giornata della memoria e di storie come questa.

HARRY HAFT THE SURVIVOR

Regia di Barry Levinson, con Ben Forster, Peter Sarsgaard, Danny de Vito

Genere Drammatico Sportivo

Canada, Ungheria, USA, 2021, durata 129 minuti.

This article is from: