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«Il mio segreto? Dare fiducia ai giovani»

Fefè De Giorgi in due anni ha condotto il Volley azzurro alla conquista dell’Europeo e del Mondiale

di Felice Alborghetti

Fefè De Giorgi da Squinzano in Puglia è stato premiato come «Miglior allenatore dell’anno». In carriera il ct dell’Italvolley maschile ha così portato l’azzurro sul tetto del mondo per quattro volte, sia da giocatore sia da tecnico. Da amico del CSI, ha regalato a Stadium qualche suo pensiero, qualche suo schema per arrivare a vincere non solo in campo ma anche nella vita.

Qual è il segreto di tanti successi?

«In ogni cosa credo che l’importante sia essere sempre sé stessi ed essere credibili in ciò che si fa. Appena mi hanno chiamato prima dell’Europeo del 2021 ho chiarito immediatamente nei fatti e non con le parole che avrei effettuato un cambio generazionale, portando ragazzi con qualità tecniche e morali a vestire la maglia azzurra. È quello che ho fatto, non immaginando certo che, con tanta immediatezza, saremmo arrivati a crescere e a vincere. Due cose assai difficili per noi allenatori. Ma evidentemente sono stato capace di infondere fiducia ai miei. Forse per il ruolo che avevo in campo da giocatore, di palleggiatore che detta schemi e imposta il gioco - e qui mi viene da pensare ad esempio anche al mio collega del basket Pozzecco, ex playmaker - noi coach siamo dei trasmettitori».

Come dimenticare infatti i tanti time-out nella finale Mondiale con la Polonia, dove ai ragazzi dicevi serenamente “fiducia”! Che è poi “fede”. Come dire semplicemente: “Credeteci!”

Fede e fiducia sono valori importantissimi nella vita, ma in particolare con dei giovani che in quella occasione stavano affrontando una sfida veramente tosta e difficile. Tutto il Mondiale è stato un crescendo di difficoltà. Il passaggio ai quarti con la Francia, ad esempio, contro i campioni olimpici, è stato determinante e poi ricordo la finale dove c’erano ben 12 esordienti su 14, tutti giovanissimi. Per me invece far crescere i giovani è un valore aggiunto, oltre ad un motivo d’orgoglio. Giovani capaci con tanto talento. È stata la dimostrazione che occorreva dare loro delle opportunità ed un contesto per esprimersi e dimostrare le loro qualità.

Bello poi che anche il pubblico polacco abbia applaudito la vittoria degli azzurri.

Quel palazzetto effettivamente era una bolgia. Va detto che la pallavolo in Polonia è lo sport nazionale, è seguitissima, però i palazzetti sono frequentati assiduamente da famiglie e da giovani.

C’è un bell’ambiente, dov’è difficile trovare esagerazioni nel tifo. Sono stati molto sportivi. Per loro l’importante è arrivare a medaglia. Arrivare sul podio è comunque una soddisfazione. Non voglio dire che sono stati contenti di aver perso, ma mi piace sottolineare la mentalità. Hanno comunque festeggiato un argento. Tenere la medaglia al collo è un atteggiamento sportivo. Troppe volte abbiamo visto atleti premiati, specie in alcuni sport di squadra, sfilarsi la medaglia appena scesi dal podio. Sono messaggi sbagliatissimi, perché poi la vita di uno sportivo è breve, e in generale, occorre sempre dare il buon esempio. Lo sport in un flash, in modo rapido, trasmette valori, emozioni, rispetto, senso di appartenenza. Le agenzie educative come famiglia e scuola arrivano… ma lo sport lo fa più velocemente. Giocando. Chi come noi lo fa ad alto livello e da primo attore, comunica e trasmette immediatamente ed è perciò più importante che lo faccia responsabilmente.

Tu, prima che da tecnico, da palleggiatore in maglia azzurra, sei stato in ogni caso un modello per tanti giovani.

Sono orgogliosissimo di aver vestito la divisa della Nazionale e sono innamorato della maglia azzurra. Ho smesso tardi di giocare e, negli ultimi anni della mia carriera da atleta (sono diventato subito un allenatore anziano), a quasi 42 anni ho avuto la possibilità di giocare un Mondiale in Argentina. Sognavo di giocare la mia ultima partita della carriera indossando la maglia della Nazionale poiché pensavo significasse, appunto, che sei stato sempre un atleta in grado di migliorarti, motivato, anche al crescere dell’età. Un obiettivo molto complicato da raggiungere, perché passano gli anni, ci sono tante generazioni di giovani, occorre essere sempre in forma con il fisico. Ci sono riuscito, principalmente perché mi sono fatto trovare pronto. È capitato ed è stata per me una grande soddisfazione.

Valori tecnici e umani. Segui i tuoi azzurri andandoli a vedere in allenamento per capire chi sta meglio e può darti quella o l’altra cosa, dal punto di vista umano oltre che tecnicamente. Insomma valuti la persona dentro il giovane atleta.

Quando mi hanno nominato allenatore della Nazionale, ho subito deciso di fare il cambio generazionale, mettendo in mano ai giovani il mio destino da allenatore. Qualcuno più volte mi ha detto che sono stato scriteriato, altri coraggioso. Le mie considerazioni erano invece logiche e razionali. C’era un bel gruppo di ragazzi bravi e talentuosi. Conoscevo la loro buona mentalità, ragazzi con dei valori evidenti, quali il rispetto, la voglia di faticare in allenamento, la cultura del lavoro. Con questi ingredienti mi sono messo nelle loro mani, cercando di guidarli e mostrare loro la strada giusta. Per questo sono doppiamente felice dei risultati ottenuti dal gruppo. Per il successo sì, ma prima ancora per il percorso che hanno intrapreso con me. I giovani della pallavolo sono una bellissima immagine di fiducia e di speranza in un mondo in cui, prima di dare giovani un’opportunità, si impiega sempre troppo.

Un gruppo con età media di 24 anni. A Parigi avremo solo giovanissimi con due anni in più di esperienza.

L’età media dei campioni del mondo è esattamente di 23,8. Il cammino è segnato. Avere uno sguardo attento verso i giovani che si mettono in evidenza, con sempre dei nuovi da inserire e far crescere. Ma da allenatore della Nazionale dico che non ci sono porte chiuse per nessuno. Se ci sono giocatori con tanta esperienza che meritano l’azzurro, perché no… credo sia giustissimo chiamarli. Chiaramente dovranno andarsi ad allineare con i giovani più talentuosi.

Quanta Puglia c’è nei tuoi trionfi, da giocatore e da tecnico?

In Puglia c’è tutto quello che mi ha formato: la mia nascita, la famiglia, i luoghi in cui sono vissuto. In Puglia c’è tutto il mio percorso valoriale. Non ho mai cambiato residenza, nemmeno quando sono stato all’estero o quando ho dovuto girare tantissimi posti. Anzi quando andai ad allenare in Russia, ho portato sempre con me olio, vino, taralli della mia terra. In assoluto tutte le cose che contano, le fondamenta, provengono da lì: il senso di responsabilità, il credere nella squadra, tutto parte dai primi anni di Squinzano, Ugento. E poi abbiamo sole e mare splendidi. Ti danno un’idea diversa della vita.

Hai iniziato proprio inSalento…

Ho iniziato a giocare in Salento prima con la Vis Squinzano e poi con la Falchi Ugento, qui ho imparato l’etica del lavoro, della fatica e del rispetto degli avversari. Penso che, ad ogni livello, lo sport, tramite il gioco, porti sul campo tutti i valori che servono anche alla crescita umana dei ragazzi: in campo devi socializzare, comunicare, hai delle regole da rispettare e tutto questo emoziona, sia che vinci, sia che perdi. Perché il gioco ti insegna anche a perdere. Per questo credo che lo sport debba essere usato maggiormente come strumento educativo, perché porta emozioni e tutti questi messaggi educativi insieme.

Cosa diresti ai giovani pallavolisti del CSI o ai tecnici che allenano nelle palestre degli oratori?

Dico subito: entusiasmo e passione, un po’ quello che hanno trasmesso questi ragazzi in maglia azzurra, seppure con delle pressioni notevolissime esistenti. Credo infatti che abbiano trasmesso a pieno la loro gioia di sfidare, cercando di essere sé stessi mentre svolgevano questa sfida importante. Ecco perché spesso tanti sorrisi e tanta disinvoltura, consapevolezza e serenità.Quello che deve rimanere sempre in ogni sport è metterci l’impegno, avere quella giusta passione, il divertirsi inteso come emozionarsi e non fare una cosa tanto per farla. Emozionarsi per quanto si fa, e avere sempre nella testa la voglia di migliorarsi. Vivendo lo sport con quei valori, utili in ogni contesto, che contraddistinguono le persone anche nella vita.

Don Alessio e l’omelia con le parole di un Time out di Fefè

Simpatico siparietto nel corso della puntata del 23 ottobre di “Che tempo che fa”, quando coach De Giorgi era ospite nel programma di RaiTre condotto da Fabio Fazio, che gli domanda «ma davvero anche un prete ti ha citato in un’omelia»? Il Ct dell’Italvolley ha ricordato don Alessio Albertini e la sua predica, in riferimento alla finale dell’Europeo, quando eravamo con tanti giovani esordienti. Sotto 1-0 e sotto 11-10 nel secondo set. Dissi allora loro: «Ma che facce avete?…Cosa è quella faccia?… Mica è strano essere in difficoltà in una finale. Coraggio»! Don Alessio in effetti regalò quest’immagine nell’omelia prenatalizia ai suoi parrocchiani come nella Messa ai dipendenti e collaboratori del CSI. «Con la Slovenia avanzante – questa la citazione di don Alessio per il suo personale messaggio di auguri - gli azzurri magari si aspettavano nuovi schemi o qualche sostituzione e invece guardando uno ad uno i suoi giocatori l’appunto di coach De Giorgi andò sulle loro facce e sulla motivazione… Vittoria al tie break». Ed il parallelo seguente con Gesù Cristo. «Se oggi venisse tra noi e guardandoci ci dicesse “Cosa è quella faccia? Lo sai che ti ho regalato del tempo per stupire? Per costruire la storia?” C’è tempo per fare del bene. Per chiedere e regalare perdono. Possiamo quindi imparare a riconciliarci con gli altri. Con il Vangelo. Siamo così chiamati a diventare protagonisti con la storia di Gesù. E guardare le persone che ci contagiano di coraggio e di gioia in questo ed in ogni Natale».

Melfefè, la mascotte portafortuna ha la maglia del CSI

«Melfefé sta benone, sta lì pacioccone e ha portato benissimo a noi. Deve sempre fare lui la sua parte di portafortuna». Il commissario tecnico italiano fa riferimento all’omaggio ricevuto dal CSI. «Ricordo una serata piacevolissima in Lucania con uno scambio di esperienze molto interessanti». Lo scorso anno, in occasione della X edizione del Galà dello Sport del CSI di Melfi, fu ospite Ferdinando De Giorgi, neo campione d’Europa. Nell’occasione a Fefè fu donato un elfo fatto a mano dal laboratorio artistico sensoriale del Centro di Riabilitazione Neuro-Pisco-Motoria AIAS di Melfi, un elfo portafortuna con le sembianze proprio di De Giorgi, battezzato da quest’ultimo come Melfefè e che a quanto pare, come il Galà, ha fatto il suo dovere, visto il successivo trionfo mondiale.

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