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1946. Il CSI difende il proprio ruolo e il diritto di operare per uno sport di tutti

La lotta per la libertà d’azione, che permette di realizzare gli ideali in cui si crede, passa anche dalla convinzione con la quale ci si oppone alle norme che umiliano la forza creativa dell’Associazione

di Leonio Callioni

Nel precedente numero di Stadium, settembre 2023, abbiamo messo in rilievo quanto il CSI fosse avanti, rispetto ai tempi, nel progetto di valorizzare lo sport nelle scuole. Possiamo dire che ancora oggi le riflessioni di quasi 80 anni fa mantengono inalterato tutto il loro valore. Così come importante è la battaglia del Centro Sportivo Italiano per difendere un ruolo di servizio, nella libertà di azione finalizzata al bene pubblico, senza “padroni”.

Questo rimane valido anche quando il tentativo di acquisire l’Associazione in un ambito controllato ed eterodiretto passa da una manifestazione esplicita e pubblica di rispetto e valorizzazione. Nelle parole. Leggiamo infatti sul volume II della storia del CSI, la riproposizione del pensiero che Giulio Onesti, Commissario straordinario del CONI, aveva sull’Associazione. Siamo ancora nell’immediato dopoguerra: «….Convinto della bontà e della serietà dei propositi che animava il Centro Sportivo Italiano, mentre aderii subito ad accoglierli in seno al massimo Ente sportivo nazionale (il CONI n.d.r.), invitai i Reggenti federali a studiare con i Dirigenti del CSI uno schema di accordo. Una rapida intesa ed una reciproca comprensione resero possibile la stipulazione di specifici concordati, che non mancheranno di dare i frutti auspicati. Fin dai suoi primissimi mesi di vita il CSI ha dato al CONI un indubbio contributo per la ripresa sportiva, sia in virtù della collaborazione e del consiglio di alcuni dei suoi dirigenti, che per le pratiche capacità organizzative acclarate…». In realtà non sono petali di rose sul cammino del CSI, perché quando, il 19 giugno 1946, a Roma si riunì per la prima volta nel dopoguerra il Consiglio nazionale del CONI, sotto la presidenza del Commissario straordinario Giulio Onesti, emerse chiaramente che – riprendiamo dalla storia del CSI – «L’Ente si stava rinnovando, ma la sua esistenza e i suoi compiti si basavano soltanto sulla legge fascista del 1942, per certi versi incompatibile con il pluralismo della nuova Italia democratica. Al Consiglio nazionale venne sottoposto un progetto di legge, elaborato da Giulio Onesti e Bruno Zauli, che intendeva sanare la lacuna, disegnando l’intero assetto dello sport italiano, a partire dal CONI stesso».

Questo “Provvedimento legislativo”, composto da sedici articoli, evidenziò subito, infatti, le maggiori criticità agli occhi dei dirigenti del Centro Sportivo Italiano che si trovavano impegnati, da una parte, a tutelare la mission specifica e libera dell’Associazione, e dall’altra a mettersi al passo con i tempi. Il CSI affronta questo momento con coraggio e capacità di mettersi in discussione: secondo il Consiglio Nazionale dell’Associazione, infatti, «Lo sport era cambiato, era divenuto anche agonismo, spettacolo e professionismo, un fenomeno destinato ad assumere dimensioni sempre più vaste a livello nazionale e internazionale; per il CSI rinchiudersi in se stesso, rifiutando di collaborare con le altre strutture sportive, sarebbe stato voler andare contro la storia».

Ciò non esime dal far rilevare, da parte dello stesso Consiglio Nazionale, che «La proposta di Onesti, però, attentava al diritto di reciprocità e di pari dignità che il CSI di Luigi Gedda aveva sempre rivendicato». L’Associazione accusa il progetto di Onesti, teso a «monopolizzare totalmente lo sport italiano e asservirlo in ogni sua forma e sostanza al CONI».

I toni si fanno severi e si usano parole pesanti: «Il CSI individua nella proposta Onesti un disegno liberticida, che vuole stroncare in campo sportivo quel diritto al libero associazionismo che pure sta per essere introdotto nella nuova Costituzione repubblicana».

«Lo sport – ammonisce con un tocco di poesia il CSI – è un fiore curioso che intristisce dove non c’è libertà». E ancora: «Lo sport o è libero e volontario, oppure non è sport». Approvare la proposta Onesti significherebbe «attribuire al CONI gli stessi compiti che aveva in epoca fascista, e cioè il monopolio e il controllo di ogni attività agonistico-sportiva e fisicoricreativa nazionale».

Il CSI ha le idee chiare, mette sulla bilancia la sua forza popolare e la sua dignità, arrivando a chiedere anche la soppressione della legge del 16 febbraio 1942, perché «nata per le esigenze del Partito Nazionale Fascista» e quindi assegna al CONI «poteri di sorveglianza, di tutela, di disciplina che nessuna legge libera potrà mai più dargli».

Da qui la presa di posizione decisa del CSI, che «intende riconoscere come interlocutori unicamente le Federazioni Sportive Nazionali, limitando la funzione e il valore del CONI alle mansioni specifiche assegnategli dallo stesso CIO in rapporto alle manifestazioni olimpiche».

Questo tema occuperà molta parte delle riflessioni del primo Congresso Nazionale del CSI, a Roma, nei giorni dall’1 al 3 novembre 1946. In questa occasione il Congresso elaborerà la “Carta dello Sport Italiano”. Il documento mette chiaramente in rotta di collisione la nostra Associazione con il CONI, di cui chiede con forza «la riconversione ai compiti pre-fascisti».

I rapporti rimarranno tesi e contrastati, anche se il tempo indurrà a sviluppare ipotesi di composizione. Nel maggio 1947 il capo provvisorio dello Stato, on. Enrico De Nicola, approva un decreto che modifica la Legge istitutiva del CONI del 1942: l’Ente olimpico viene “democratizzato”, ma in pratica si riconosce la situazione di fatto che fa del CONI la Federazione delle Federazioni, e quindi l’organo che sovrintende a tutto lo sport nazionale. Impossibile non ritrovare, in queste fasi cruciali della storia, alcuni spunti di riflessione e di contrasto, per differenti visioni della gestione dell’attività sportiva, che sono arrivate ai giorni nostri, con effetti ancora tutti da valutare. Qualcuno dirà che sono i corsi e i ricorsi della storia. Qualche volta sembra che il tempo sia passato invano.

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