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Gli effetti taglienti dell’hate speech
from Stadium n. 8/2023
by Stadium
ANALISI E BUONE PRASSI PER CONOSCERE E ARGINARE L’HATE SPEECH, PRESENTE ANCHE NEL SETTORE SPORTIVO E DIFFUSO SUI SOCIAL MEDIA
di Alessio Franchina
Che le parole possano ferire non è un modo di dire. Nei fatti lo sappiamo tutti, ma quello che a volte manca è la coscienza della portata dei danni che possono arrecare. A rendere ancor più complesso l’approccio a questa tematica è la difficoltà nel definire con precisione l’hate speech. Riuscire ad inquadrare questo fenomeno è però necessario, se si vogliono mettere in campo delle contromisure. Sotto la definizione di hate speech rientrano – come traduzione letterale del termine – i discorsi d’odio, dunque tutte quelle parole ed espressioni che incitano in vario modo all’odio. Diversi sono i documenti, a livello internazionale e di tipo giuridico, che negli ultimi decenni hanno dato una definizione più o meno dettagliata di questo fenomeno, che include manifestazioni di intolleranza e discriminazione, xenofobia, antisemitismo, incitamenti alla violenza, utilizzo di pregiudizi e stereotipi che possono essere di tipo razziale, religioso, di genere o legati all’orientamento sessuale. Questo elenco, pur lungo, ha una funzione solo esemplificativa, per dare atto della portata di un fenomeno tanto complesso quanto multiforme. Nel panorama contemporaneo, l’hate speech si è affermato come fenomeno causa di crescente preoccupazione, permeando vari ambiti della nostra società, incluso il settore sportivo. Questa preoccupante tendenza, evidente specialmente nei social media, solleva grandi interrogativi sulle dinamiche sociali, etiche e legali che la governano. Lo sport non è esente dai discorsi d’odio, spesso legati ad un’accesa competitività o ad un tifo esasperato, e che trovano terreno fertile nel mondo digitale. In Italia, la legge n. 205 del 1993 riconosce come reato la diffusione di idee basate sulla superiorità razziale o sull’odio etnico e l’istigazione alla discriminazione razziale, etnica o religiosa. Tuttavia, questa normativa non sembra adeguatamente equipaggiata per affrontare l’hate speech in ambienti digitali, una sfida che diventa sempre più rilevante nel contesto tecnologico in continua evoluzione. Una sfida che sottolinea anche la necessità di strategie più efficaci per combattere l’hate speech nel mondo dello sport, online ma non solo.
Affrontare i discorsi d’odio in ambito sportivo richiede un approccio che vada oltre le necessarie misure legali. È fondamentale promuovere una cultura di rispetto e inclusione, coinvolgendo tutti gli attori del settore sportivo. Campagne di sensibilizzazione, iniziative educative e una comunicazione costruttiva possono giocare un ruolo cruciale nel frenare la diffusione dell’hate speech e nel forgiare un ambiente sportivo più sano e rispettoso. La sfida è complessa, ma essenziale per garantire che lo sport rimanga uno spazio di sana competizione e di incontro, non di scontro distruttivo.
Il Centro Sportivo Italiano ha da tempo a cuore l’argomento. Essendo la sua mission quella di educare attraverso lo sport, avverte con forza l’esigenza di ideare e dare il proprio contributo a campagne e iniziative volte a creare una società più rispettosa ed inclusiva. Abbiamo già accennato all’interno di Stadium n. 6 al progetto “Net. Oltre le reti”, portato avanti dal CSI e finanziato da Sport e Salute S.p.A. e dal Dipartimento per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Cuore del progetto è la volontà di sensibilizzare giovani e meno giovani sui temi del bullismo e del cyberbullismo, fenomeni molto vicini e in qualche modo complementari a quello dell’hate speech. Tra le iniziative sviluppate nell’ambito di questo progetto, rientra il video prodotto in collaborazione con “Cartoni Morti”, in cui il content creator e divulgatore Andrea Lorenzon parla al pubblico con un abile mix di informazione ed ironia, diffondendo e stimolando innanzitutto la conoscenza di un fenomeno non sempre facile da riconoscere e comprendere.
Nello specifico sul tema dell’hate speech, è attivo il progetto “Odiare non è uno sport”, di cui il CSI è partner sportivo. L’iniziativa, finanziata dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, tramite il Bando “Educare alla Cittadinanza Globale”, mira appunto a porre un freno al dilagare dei discorsi d’odio online nel settore dello sport. Il progetto, giunto alla sua seconda edizione, si rivolge in particolar modo ai ragazzi e alle ragazze con un’età compresa tra gli 11 e i 19 anni, perché possano far propria quella sensibilità che sta alla base di una società più inclusiva. È infatti necessario dialogare direttamente con i più giovani, se si vuole evitare che la discriminazione abbia un terreno dove mettere radici. Ma formare i cittadini del domani significa accompagnarli in un percorso di crescita e consapevolezza, per il quale è necessario, prima di tutto, prevedere attività formative rivolte ad insegnanti, allenatori e dirigenti sportivi, che costituiscono infatti il secondo target di “Odiare non è uno sport”.
Tra le iniziative e le attività previste all’interno del progetto, ha un suo spazio il “Barometro dell’odio nello Sport”, la ricerca realizzata dal Centro CODER dell’Università di Torino, che ha reso noti risultati che meritano di essere studiati e approfonditi. In uno spazio di circa tre mesi, dal 1° ottobre 2022 al 6 gennaio 2023, sono state monitorate le pagine social Facebook e Twitter delle cinque principali testate sportive italiane: Gazzetta dello Sport, Tuttosport, Il Corriere dello Sport, Sky Sport e Sport Mediaset. I social media hanno infatti amplificato il fenomeno dell’hate speech, offrendo una piattaforma facilmente accessibile per la diffusione di messaggi di odio. Questa dinamica è particolarmente evidente nel mondo dello sport, dove il tifo, pur avendo una componente positiva, spesso degenera in insulti, minacce e discriminazione. Nell’ambito del Barometro, sono state individuate quattro categorie per identificare l’hate speech online: la prima è il ricorso ad un linguaggio volgare; la seconda raccoglie quelle espressioni in cui viene riconosciuta un’aggressività verbale; la terza dimensione è quella dell’aggressività fisica, che possiamo definire come una versione più violenta rispetto alla seconda categoria; la quarta è la dimensione della discriminazione. Per avere una percezione numerica del fenomeno, basti segnalare che, su un totale di quasi 3.500.000 commenti analizzati, circa un milione è stato classificato come hate speech. Volendo scendere più nel dettaglio, 200.000 di questi commenti contenevano almeno un riferimento alla discriminazione. Il confronto con i dati emersi nella precedente edizione del Barometro ha rivelato un aumento dei commenti di odio su entrambe le piattaforme, assegnando un triste primato all’aggressività verbale e al linguaggio volgare, le forme più comuni di hate speech, ed eleggendo il calcio come sport dominante nelle conversazioni social su entrambe le piattaforme.
Come leggere questi dati? Avere davanti a sé dei numeri aiuta nell’afferrare con più concretezza le dimensioni di un fenomeno che si espande e non deve essere sottovalutato. Lo sport, in quanto portatore di valori positivi, deve giocare da argine contro la diffusione della discriminazione e della violenza, siano queste verbali o fisiche. Dirigenti, giudici, arbitri, allenatori, società sportive, atleti giovani e meno giovani: è necessario agire insieme, alimentando dialogo ed empatia, per costruire una rete fatta di buoni esempi, capace di accogliere e non di respingere.
Affrontare i discorsi d’odio in ambito sportivo richiede un approccio che vada oltre le necessarie misure legali. È fondamentale promuovere una cultura di rispetto e inclusione, coinvolgendo tutti gli attori del settore sportivo