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Silvia Salis
from Stadium n. 9/2024
by Stadium
Parla la Vicepresidente vicario del CONI. Dai successi come atleta agli auspici sulla parità di genere
VORREI CHE LE DONNE CREDESSERO NELLE PROPRIE POSSIBILITÀ E CAPACITÀ E CHE PENSASSERO: «SE CE L’HA FATTA LEI, CE LA POSSO FARE ANCH’IO»
di Alessio Franchina
Dal Consiglio Federale della FIDAL alla vicepresidenza vicaria del CONI nel 2021, Silvia Salis, ex campionessa nel lancio del martello, ha dimostrato un impegno costante per lo sviluppo dello sport in Italia. Autrice di “La bambina più forte del mondo”, la sua storia è un esempio di conversione delle passioni in nuove sfide professionali.
In questa intervista, la sua carriera e il suo impegno per il ruolo delle donne nello sport e nelle posizioni di leadership.
Crescendo in un ambiente sportivo, grazie all’attività del tuo papà, la tua carriera sportiva ha avuto inizio quando eri molto piccola, a 8 anni, con l’atletica leggera. In particolare con il salto in lungo. Ma abbiamo scoperto che a 13 anni, col tuo primo tecnico, la tua passione è cambiata. Potresti condividere con noi come hai scoperto intanto il tuo amore per il lancio del martello, e poi quali sono stati i momenti chiave che hanno segnato la tua evoluzione da giovane promessa a campionessa italiana?
Ho conosciuto il mio allenatore, che poi lo è stato per 15 anni, Valter Superina, e lui mi ha orientato verso questo sport. Inizialmente, nel giro di pochi mesi, ho vinto il primo titolo cadette, e da lì sono entrata in questo mondo. Ovviamente quando vinci, giri, viaggi, inizi ad andare in nazionale, tutto viene da sé. L’evento che ha cambiato tutto è stato il mio ingresso in Forestale, quindi in un gruppo sportivo, e questo ha fatto la differenza. C’è stata una diversa consapevolezza e diversi obiettivi. Quello è lo snodo principale.
A che età è avvenuto l’ingresso nella Forestale?
A 19 anni. Prima di quel momento ero al CUS Genova.
Durante la tua luminosa carriera atletica, hai conquistato dieci titoli italiani nel lancio del martello, diventando una delle figure più celebrate in questa disciplina in Italia. Tra queste vittorie, quale consideri la più significativa o quella che ha segnato una svolta nella tua carriera, e come ha influenzato il tuo percorso sportivo e personale successivo?
Il momento sportivo più significativo è stato quando in Corea del Sud ho partecipato alla finale dei Campionati del Mondo, nel 2011.
Disputare una finale mondiale è un’esperienza di altissimo livello atletico ed è sicuramente una cosa che non dimentichi. Poi sicuramente anche vincere i Giochi del Mediterraneo nel 2009, a Pescara, è stata un’esperienza straordinaria, soprattutto perché era in Italia. Giocare in casa è sempre più emozionante.
E oltre al tuo allenatore, con il quale si sarà sicuramente creato un legame molto particolare visto che ti ha allenata per 15 anni... Sì, un legame di grande affetto …. ci sono stati modelli o mentori che hanno avuto un impatto significativo sul tuo percorso sportivo e professionale?
Sicuramente l’allenatore della Nazionale, Gino Brichese, e tutti i miei compagni della Nazionale con i quali mi sono allenata sono stati fondamentali perché siamo cresciuti insieme, ed essenziale è stato anche andare in raduno con la Nazionale e allenarmi con quelli più grandi di me.
Come è successo che la tua carriera da martellista si è trasformata nel tuo ruolo attuale nel CONI? Quali sono state le motivazioni o le sfide principali di questo cambiamento?
Io ho una passione per lo sport sconfinata, e sono nata e cresciuta in un campo di atletica. Questa fusione tra la mia passione e le mie radici non poteva che fare di me un’atleta. Oltre a questo, ho sempre avuto una grande passione per tutto ciò che riguarda la politica, sono laureata in Scienze Politiche, sono abbonata a quasi tutti i quotidiani, sono appassionata di storie, delle grandi storie della politica, di film che parlano di storia politica. Insomma, le due cose sono state abbastanza fondamentali per suscitare il mio interesse verso il percorso della politica sportiva, che alla fine è un percorso ancora molto maschile.
Come vedi l’evoluzione della partecipazione femminile nello sport italiano negli ultimi anni, anche alla luce delle prossime Olimpiadi?
Nello sport praticato ad alto livello ormai c’è una suddivisione pari tra uomini e donne. Nello sport amatoriale, invece, sono ancora poche le donne che praticano lo sport e sono numeri che crollano quando si parla di allenatrici. Tra i dirigenti, poi, le donne quasi scompaiono. Questo aspetto è legato principalmente alla disponibilità del tempo libero che hanno le donne rispetto agli uomini. Il concetto è che i dirigenti sportivi e gli allenatori uomini in molti casi svolgono questa attività come attività secondaria e quindi nel tempo libero che hanno dal loro lavoro principale. Le donne, il loro tempo libero, sono spesso obbligate a dedicarlo alla famiglia, ai cari, agli anziani, a risolvere tutta una serie di questioni che da sempre sono sulle loro spalle, quindi, finché non cambierà il paradigma per cui le donne non possono disporre del proprio tempo libero, sarà sempre difficile trovare numeri pari a livello dirigenziale. Il lavoro che stiamo facendo è quello di sensibilizzare le giovani donne a vedersi nel mondo sportivo non solo come atlete ma anche in altri ruoli.
Quindi come, secondo te, si possono superare le principali sfide, quelle che hai elencato, che affrontano le donne per raggiungere anche posizioni di leadership nel mondo dello sport?
Sensibilizzando le nuove generazioni, perché è lì che ci può essere il vero cambiamento, ma anche modificando le cose dal vertice. Ad esempio, il CONI e tutte le Federazioni hanno recepito la norma sulla parità di genere del CIO: sull’avere, al loro interno, la rappresentanza di genere di almeno un terzo. Questo già ha cambiato molto le cose, e, anche se è stato un obbligo, ciò conferma che le cose si cambiano prima dall’alto e poi anche sul territorio. Dai vertici per poi ispirare un cambiamento nella base.
E che suggerimento daresti a giovani atleti e atlete, magari pensando alla Silvia 13enne, che aspirano a raggiungere un successo nello sport in qualunque disciplina?
Di impegnarsi molto, costantemente, e non trascurare gli anni giovanili, perché poi sono quelli che incidono sulla carriera di alto livello, quindi di fare tutto con attenzione e di curare ogni cosa.
Tu sei diventata da poco mamma e chiaramente essere genitore aggiunge una dimensione completamente nuova alla vita di qualcuno. La maternità rappresenta probabilmente ancora una sfida per superare certi pregiudizi sul lavoro, ma anche in particolare nello sport. Che consiglio daresti a delle atlete che desiderano comunque diventare mamme, ma senza rinunciare alla passione per lo sport?
Beh, innanzitutto pretendere che i compiti di famiglia vengano suddivisi col partner e che il peso della maternità, il peso della nascita di un nuovo bambino, non sia solo sulle spalle della madre. Pretendere, nonostante si abbiano dei figli piccoli, che ci sia appunto uno scambio di responsabilità che lasci comunque del tempo libero alle donne.
E rispetto a questo, rispetto appunto ai bambini, ad un figlio, quali sono i valori che da grandissima sportiva cercherai di trasmettere a tuo figlio?
L’impegno e la determinazione nel raggiungere un obiettivo, la consapevolezza che gli obiettivi della vita si raggiungono con fatica; e poi il rispetto delle regole e degli altri.
Hai scritto il libro “La bambina più forte del mondo”. Quanto c’è di te in Stella, la protagonista del libro? Nella sua vivacità incontenibile, o “iperattività” come la chiamerebbero oggi?
Sicuramente mi avrebbero definita così da piccola: iperattiva. C’è quasi tutto di me in Stella: a parte il nome e poche altre cose che ho scritto nel libro perché erano funzionali al racconto, poi è la storia della mia vita.
C’è una frase in particolare che ci ha colpito del libro, un pensiero dei genitori della protagonista: «…la nostra bambina è… particolare, ha bisogno di un posto dove vivere libera. […] In quella diversità loro intravedevano doti e possibilità, non difetti o mancanze». Queste parole ci riportano a quelle pronunciate dal giovane talento del tennis Jannik Sinner: «Vorrei che tutti avessero dei genitori come quelli che ho avuto io: mi hanno permesso di scegliere quello che volevo, anche da giovane. Non mi hanno mai messo sotto pressione. Auguro a tutti i bambini di avere la libertà che ho avuto io». Credo che queste frasi racchiudano una riflessione importantissima sul ruolo di genitori di giovani sportivi, ma anche non sportivi. Cosa ne pensi?
Un genitore, prima di tutto, deve imparare a conoscere i propri figli. Ma conoscere davvero, non cercare di vedere in loro quello che vogliono vedere. Conoscere profondamente e capire quali sono le aspirazioni del figlio, qualunque esse siano. Cercare poi di assecondarle nella possibilità di ogni famiglia. Sempre facendo capire loro che gli obiettivi si raggiungono con impegno e serietà, ma comunque rispettando le inclinazioni del figlio, rispettandone i tempi e i gusti. Per cui un genitore non deve aspettarsi delle cose dal figlio, deve guidarlo nella vita, ma guidarlo un passo di lato, e a volte un passo indietro, per lasciargli fare le sue esperienze.
Non è facile, perché da genitore vorresti fare di tutto, anche per proteggere i tuoi figli, però è un lavoro che va fatto.
Stella sceglie uno sport considerato “da maschi”: qual è il tuo pensiero sulla parità di genere in particolare nel mondo sportivo?
C’è da fare ancora moltissima strada, sia per quanto riguarda l’idea di associare lo sport ad un ambiente che sia femminile oppure maschile, sia nel modo in cui sui giornali e in televisione si parla delle atlete. Ci sono quindi tanti temi su cui lavorare e che devono essere sviluppati di pari passo con la società, anche ad esempio in merito a ciò che dicevamo prima riguardo al numero di dirigenti e di allenatrici, che è molto basso.
Quali sono i tuoi obiettivi futuri nel CONI?
Il nostro grande obiettivo ora sono le Olimpiadi di Parigi. Ho partecipato a diverse edizioni delle Olimpiadi, sia come atleta che come dirigente e in altri ruoli, e ogni volta è stata un’occasione per imparare una miriade di nozioni, comprendere i meccanismi e approfondire la conoscenza di questo mondo.
Possiamo dire che l’obiettivo principale di quest’anno è proprio questo.
Oltre ai tuoi obiettivi professionali, ci sono passioni o progetti particolari che pensi di realizzare nei prossimi anni?
Sto seguendo un progetto molto importante che in qualche modo riguarda il mio libro, ma ancora non si è concluso l’iter. Poi la mia passione è sempre stata viaggiare, con la mia famiglia e con mio marito, e quando riusciamo a farlo, ci fa sempre stare bene.
L’ultima domanda è: come pensi che il tuo impegno nello sport possa ispirare le future generazioni, in particolare le giovani donne, che desiderano intraprendere la carriera nello sport o in altri ambiti tradizionalmente dominati dagli uomini?
Io voglio che vedano che è possibile farlo. Voglio che pensino: «Se ce l’ha fatta lei, ce la posso fare anch’io».
“Nello sport praticato ad alto livello ormai c’è una suddivisione pari tra uomini e donne. Nello sport amatoriale, invece, sono ancora poche le donne che praticano lo sport e sono numeri che crollano quando si parla di allenatrici