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SPORT: un alleato educativo per la crescita dei ragazzi
from Stadium n. 10/2024
by Stadium
I dati mostrano ancora poca considerazione culturale e politica per lo sport, terzo presidio educativo del Paese dopo scuola e famiglia
di Giorgia Magni
«Se vai male a scuola, almeno vai male in Educazione Fisica che conta meno». Ancora: «Non vai a fare sport perché devi studiare». Alzi la mano chi è incappato almeno una volta in una di queste affermazioni. Arriva da qui il primo passo culturale sulla strada sbagliata che il nostro Paese ha imboccato nella sua storia: considerare lo sport una perdita di tempo per nulla legata alla crescita, al benessere fisico, a quello emotivo-relazionale, né tanto meno allo sviluppo culturale e al rendimento scolastico dei e delle giovani. Al massimo siamo riusciti, tra gli anni ’20 e ’40, ad inquadrare lo sport come attività funzionale nel costruire un’Italia di giovani atleti prestanti adatti ad un’immagine di Paese forte. Oggi, fortunatamente, si sono moltiplicati gli studi sul ruolo dell’attività fisica e culturalmente abbiamo adottato più ampie visioni. Ci aspetteremmo quindi di trovare un ampio consenso nel sostenere l’attività motoria, nel considerarla parte di una programmazione irrinunciabile di vita dei giovani, complementare all’istruzione e non sacrificabile sull’altare del rendimento scolastico. Sgombriamo il campo da ogni dubbio: lo sport non è la panacea dei mali, ma aiuta. Fare sport con continuità sin da piccoli segna un percorso preciso che supporta il controllo delle devianze, sostiene processi cognitivi, agevola capacità relazionali virtuose, accelera processi di comprensione della regola, insegna meccanismi di condivisione e collaborazione, assegna responsabilità, allena la capacità di assolvere agli impegni con costanza, fornisce strumenti di gestione delle emozioni, positive e negative, e prepara a leggere sconfitta e vittoria prendendo atto di limiti e peculiarità. Abbiamo a disposizione un sostegno all’educazione dei giovani senza precedenti. Ma ci crediamo ancora poco.
Un Paese di sedentari con poche strutture per la pratica sportiva. Le conseguenze maggiori ricadono sulla crescita relazionale dei giovaniL’Italia è il 4° Paese più sedentario al mondo tra quelli appartenenti all’OCSE, addirittura il più sedentario in assoluto se si parla di bambini (elaborazione dati di The European House – Ambrosetti su linee guida dell’OMS per il rapporto 2024 Osservatorio Valore Sport). Una delle ragioni di questa mancata attività motoria potrebbe essere la difficoltà di accesso agli impianti sportivi, che nel nostro Paese non hanno una distribuzione equa e capillare sulla totalità del territorio e presentano deficit strutturali dovuti all’usura. Abbiamo il Nord con oltre il 51% degli impianti presenti nel nostro Paese e il Centro Italia e il Sud che si spartiscono la restante quota (elaborazione The European House – Ambrosetti su dati Sport e Salute 2024 per il rapporto 2024 Osservatorio Valore Sport). Questa situazione ha a sua volta una causa leggibile nel dato relativo alla spesa che la politica dedica allo sport. Nel caso dell’Italia, ricopriva nel 2021 circa lo 0,54% sul totale della spesa pubblica nazionale (elaborazione The European House – Ambrosetti su dati Eurostat per il rapporto 2024 Osservatorio Valore Sport). Un nulla. Ne consegue che chi vive in aree meno attrezzate ha meno possibilità di accesso all’attività sportiva, meno possibilità di socializzazione, meno occasioni di crescita attraverso lo sport, e sconta quindi un continuo aumento del divario sociale, che i giovani e le giovani scontano più di chiunque altro nel loro processo di crescita per diventare uomini e donne attrezzati per la vita. L’incentivo alla pratica sportiva passa anche da qui, ed è un meccanismo da rivedere, se non si vogliono più leggere certe statistiche. Se pensiamo all’offerta del Centro Sportivo Italiano, strutturata in una rete regionale con Comitati provinciali, capiamo subito che in questi 80 anni di vita si è davvero messa sul campo una rete lungimirante e capillare per raggiungere chiunque e dovunque. Ma questi dati concreti e alcuni di questi retaggi culturali complessi da estirpare, come li traduciamo nella vita di tutti i giorni? Che impatto hanno sui giovani che sono così tanto al centro di ricerche e dibattiti? Che risvolti ci sarebbero con uno stravolgimento di questi dati e prospettive?
Gli eSport e il fitness homemade: Italia Paese di allenatori… ma anche videogiocatori e self-trainerSe non esiste un impianto vicino e bisogna percorrere 40 minuti di strada per raggiungere la prima palestra aperta e omologata (come accade ad esempio ad Alcamo per il basket femminile), può essere che, senza un’alta motivazione e senza la possibilità di farsi accompagnare, una bambina o un bambino scelga di rinunciare e ripiegare su un più comodo e adrenalinico eSport, che comporta un minimo sforzo in famiglia con l’acquisto di una console o anche di un tablet o smartphone oramai.
Gli eSport, letteralmente Sport Elettronici, sono in piena ascesa tra i giovanissimi e sono addirittura un must per la Gen Z, la generazione tra i 18 e i 25 anni. L’Italia è terza in Europa per numero di seguaci di eSport (dato dell’Osservatorio Italiano Esports), che, ricordiamo, sono tutti quei videogame che hanno gare competitive a livello agonistico, non solamente a tema sportivo, sebbene nel nostro Paese vadano per la maggiore le competizioni di eSport calcistici. Un carrozzone che muove 470 milioni di appassionati al mondo, di cui 6 milioni in Italia, circa il 10% della popolazione (dato rilevato da Luigi Caputo, cofondatore di Sport Digital House e fondatore dell’Osservatorio Italiano Esports, durante un’intervista a Wired). Una distribuzione insufficiente di impianti sportivi rende gli sport elettronici una valida alternativa emozionale ma non certo fisica. Non è solo una questione di strutture però. I videogiochi sono in costante espansione sin dagli anni ’80 senza mai flessioni del mercato, e durante gli anni di pandemia hanno subìto un ulteriore incremento diventando abitudine familiare anche per chi, pre-Covid, non era interessato. Preadolescenti e adolescenti hanno aumentato le ore trascorse a giocare in via interattiva con i propri coetanei attraverso gli schermi. Si gioca in rete, si gioca con i propri amici ma anche con sconosciuti, in vere e proprie sfide cui si può anche assistere da esterni come reali spettatori sugli spalti. La fisicità, la corporeità e la relazione faccia a faccia vengono completamente azzerate. Questo, al netto di qualsiasi analisi più o meno critica e oggettiva degli eSport, è un dato di fatto reale. La relazione vis à vis della pratica sportiva si è ridotta anche nel periodo post pandemico. I lockdown hanno fatto crescere in modo esponenziale l’allenamento individuale fatto in casa, grazie ai supporti smart per il monitoraggio delle prestazioni e alle app per l’homemade fitness. Chi pensava che nel post pandemia saremmo tutti tornati all’aperto a fare esercizio sarà sorpreso nel sapere che la tecnologia per allenarsi da soli tra le mura domestiche ha consolidato il suo standard modificando le abitudini di molti. Il Trend Radar di Samsung, attraverso lo studio “Italiani, Sport e Tecnologia” elaborato in collaborazione con GWI, Istituto di ricerche di mercato specializzato in “digital consumer behaviour”, ha evidenziato come il 46,6% degli italiani preferisca allenarsi a casa, mentre solo il 19,5% continua a preferire la palestra. L’analisi ha evidenziato come il 44% degli intervistati (un campione di 570 utenti attivi sul web tra i 16 e i 64 anni) dichiari di aver incrementato l’utilizzo di dispositivi digitali mentre pratica sport, con ben l’80% che conferma di utilizzarli per il proprio workout casalingo. Non sono dati da prendere in modo assoluto, ma sono indicazioni importanti sul cambiamento dello sport legato alla tecnologia, che sembra spingere verso un ripiegamento individuale e meno relazionale della pratica.
Lo sport per proteggere l’interazione e la relazione tra giovani«Il corpo è il primo mezzo con cui l’individuo sperimenta l’ambiente, è il primo canale di comunicazione fra lui e gli altri e continuerà ad essere l’intermediario privilegiato nella relazione con gli altri, tra il mondo interno e quello esterno a sé» (“Il corpo educante” – Federici, Valentini, Tonini Cardinali, 2008). Da studi relativamente recenti nel mondo dell’attività motoria, troviamo conferme inequivocabili sull’importanza del movimento, della consapevolezza del corpo, e quindi dello sport, nello sviluppo educativo, formativo, relazionale, di crescita e di maturazione dei giovanissimi. Fare sport conduce a relazionarsi con i coetanei, a imparare a regolare le emozioni anche in rapporto con l’altro e con la competizione tra sé e l’altro in senso positivo e non violento; allena la capacità di socializzazione e al contempo di autogestione dell’individuo. Si impara quindi a stare in un contesto con altri conservando le proprie peculiarità, consapevoli dei propri limiti e delle proprie potenzialità. Non si danno e non si ricavano giudizi globali sulla persona in sé (autostima), ma si acquisisce un giudizio legato a delle competenze precise, si allena quindi l’autoefficacia. Tutto questo si configura come un supporto alla relazione fortissimo per la generazione dei nativi digitali, quei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni che, secondo i dati ISTAT del 2023, solo per il 21% scelgono di vedere i propri amici di persona nel tempo libero, ma che per il 40% sostengono di trascorrere con loro molte ore online (dati ISTAT “indagine bambini e ragazzi” 2023). Si tratta di una generazione che in Italia conta poco più di 5 milioni di persone al 1° gennaio 2024 e che all’indagine ISTAT risponde per l’8% di essere continuamente (senza pause) online. Per quanto sia un dato generazionale legato al mutamento dei tempi e non sia sinonimo per forza di decadimento di valori, a noi romantici amanti della relazione personale vis a vis che si incontrano negli spazi, che vivono le città, che si muovono nell’ambiente con gli altri, piace pensare che, se così dev’essere, allora possiamo ammortizzare il colpo e alimentare alcune necessarie espressioni del vivere comune attraverso la pratica sportiva.
Lo sviluppo cognitivo e il rendimento scolastico. Ribaltamento di prospettiva: fare sport aiuta il rendimento scolastico«Se vai male a scuola, non vai ad allenarti». Ecco un assunto che spesso allontana dalla pratica sportiva in nome di una maggior concentrazione sui libri, senza tener conto dei benefici dell’attività fisica sul rendimento scolastico e sul benessere psicofisico globale dei giovani in crescita. L’errore di fondo sta nel considerare lo studio importante e lo sport una dannosa distrazione dal dovere. Eppure, sono ormai tante le prove che dimostrano come lo studio e lo sport siano entrambi contesti uguali di impegno e costanza, di crescita e formazione. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le ricerche che hanno dimostrato uno strettissimo legame tra la pratica sportiva e un migliore rendimento scolastico (a parità di condizione sociale e fisica ovviamente). Se volessimo fare un’analisi meno scientifica e più d’osservazione, diremmo che imparare uno sport da piccoli, magari ancora prima di iniziare le scuole elementari, significa allenare da subito il cervello ad effettuare operazioni di memorizzazione, attenzione, concentrazione, riconoscimento, elaborazione e comprensione delle informazioni. Ogni processo innescato dall’attività motoria mette in atto un lavoro cerebrale che ricade positivamente su più aspetti della vita. Più scientificamente, l’esercizio fisico attiva fattori neurochimici di crescita che influiscono sul cambiamento dell’intera struttura cerebrale, modificando la capacità del cervello di adattarsi alle diverse sfide cognitive in cui è coinvolto (“Formazione e Insegnamento” volume XVIII – 2020). Esistono, infatti, quelle che vengono definitive Funzioni Esecutive, dei processi cognitivi che ci permettono di pianificare, organizzare e modulare il nostro comportamento adattandolo al raggiungimento di uno scopo, e vengono tutte attivate dall’attività motoria. Queste funzioni si acquisiscono e si costruiscono con la maturazione celebrale e le esperienze ambientali, e tra queste ci sono la capacità di mantenere la concentrazione e non distrarsi (controllo inibitorio), la capacità di trattenere ed elaborare mentalmente le informazioni (memoria del lavoro) e la capacità di adeguare le risposte ai diversi stimoli e contesti (flessibilità cognitiva). Ecco, quindi, la stretta correlazione tra attività sportiva e rendimento scolastico: più si fa sport e più si allena la mente rendendola capace di superare situazioni complesse e trovare soluzioni. Quante volte in una partita bisogna essere in grado di applicare la tecnica a seconda della situazione di gioco che si sta vivendo? Quante volte in un’interrogazione bisogna applicare ciò che si è studiato ma adattandolo al compito? Quante volte in una partita ci si può permettere di distrarsi senza conseguenze? Quante volte distraendosi in classe si resta indietro? Quante volte bisogna imparare a gestire l’ansia da finale? Quante volte le verifiche finiscono male perché si vive con troppa ansia la prova? Quante volte si può pensare di giocare bene se ci si allena male? Chi conoscete che è riuscito ad essere promosso non studiando? Quante volte bisogna saper gestire il rapporto con compagni di squadra così diversi tra loro? E quante volte diventa difficile il gruppo classe proprio per le differenze esistenti tra gli studenti? Quante volte si incontrano allenatori meravigliosi e stimolanti, e altri che inibiscono le potenzialità? Quante volte ci sono professori che lasciano un segno positivo indelebile, e altri superficiali che tendono a scambiare per disinteresse le fragilità? Quante volte si fa fatica ad eseguire un gesto e bisogna ripeterlo fino allo sfinimento, prendendo atto che su alcune cose si hanno dei limiti ma che non è la fine del mondo, perché su altre si va come treni? Quante volte a scuola si fanno ripetizioni per superare le difficoltà e, comunque, si arriva a stento al 6 perché quella materia proprio non entra? Ma quante volte ottimamente si passa un compito in classe perché in quella materia si è fortissimi? I due ambiti viaggiano in parallelo più di quanto non siamo abituati a pensare, e lo svolgimento di un’attività motoria continuativa collabora a livelli di rendimento scolastico più elevato, creando uno stato di sicurezza e benessere psicofisico che è inferiore in chi non la pratica. Altri studi riportati sulla rivista americana “Cell Metabolism” di Boston confermano questo aspetto del benessere psicofisico attribuibile anche ad un ormone come l’irisina, che produciamo facendo sport e che va ad agire sulle funzioni cognitive e molto anche sul metabolismo. Più intelligenti e più magri, insomma, volendo semplificare al massimo.
Come si sta bene a fare sport. Nei giovani a giovarne è il passaggio di crescita fisica, ormonale, emotivaFare attività sportiva fa bene. Punto. E fa bene a tutto quello che finisce nel macro-contenitore di “corpo e mente”. In questo binomio, però, ci passa il mondo se si è preadolescenti e adolescenti, per cui corpo e mente sono forse più connessi di quanto non capiti in altri momenti della vita. Per una persona adulta si potrebbe stilare un elenco di malattie che l’attività motoria previene; ma per i giovani e le giovani, giovanissimi e giovanissime, si può spostare un attimo la luce da questi due elementi. In questi anni il corpo subisce significativi cambiamenti, modulazioni della voce, dell’altezza, dello sviluppo sessuale, e in molti ragazzi e ragazze tutto questo coincide con uno spaesamento, una perdita di contatto con sé stessi, un distaccamento da quello che si è sempre stati e da quello che si è sempre stati in grado di fare. Sono passaggi con conseguenze forti sull’equilibrio psicologico e ormonale, ma anche sulla struttura ossea che si allunga velocemente con muscoli che si affaticano per starle dietro. La pratica sportiva continuativa asseconda con costanza tutti i mutamenti fisici del corpo, sia accompagnando gradualmente l’evoluzione scheletrica e muscolare, sia sostenendo l’adolescente nel prendere nuova consapevolezza di sé, adeguando le nuove capacità motorie alla sua nuova corporeità e superando il disagio del cambiamento. Non solo, in questa età l’aspetto del gruppo è determinante. L’accettazione, il sentirsi parte di qualcosa di identitario è necessario. Il gruppo squadra, allora, diventa il luogo dove condividere esperienze ed emozioni simili, passioni ma anche disagi simili, impegnandosi su obiettivi comuni. Il benessere “psicofisico” derivato dallo sport, di cui parla ora anche la nostra Costituzione all’articolo 33, nei giovani e giovanissimi si traduce nel sostegno alla fase di crescita fisica e mentale, soprattutto in rapporto al momento critico di passaggio all’età adulta.
Gli adulti come riferimento nello sport«Allenare significa affrontare una serie infinita di sfide: la maggior parte di esse ha a che vedere con la fragilità dell’essere umano» (Sir Alexander Chapman Ferguson). Come Centro Sportivo Italiano abbiamo ben chiara l’idea di educare attraverso lo sport, sintesi di quello di cui abbiamo trattato sino ad ora. Per questo esistono corsi di formazione per allenatori e dirigenti, affinché oltre alla preparazione tecnica ci sia una solida base da utilizzare nella relazione con le giovani e i giovani atleti. Un allenatore vede la sua squadra o l’atleta almeno 3 volte a settimana per circa 2 ore. Ci sono professori di alcune materie che hanno molte meno ore a disposizione. Se è vero tutto ciò che abbiamo detto sino ad ora sulle molteplici ricadute dello sport sul fisico e la mente nei giovani e nelle giovani, allora l’adulto che se ne occupa può diventare una straordinaria leva positiva o essere una spada di Damocle. Allenare vuol dire avere a che fare con sensibilità, limiti, sfide, capacità, emozioni, delusioni, dinamiche di gruppo, fatica. Tutta questa è materia che sta dentro ad ogni atleta e non averne cura sul campo, come in classe, può diventare determinante per l’immagine che un ragazzo o una ragazza costruisce di sé e delle proprie capacità, per l’attitudine che avrà nei confronti delle difficoltà durante la sua vita, per la sua capacità di rispettare contesti, persone, indicazioni e impegni. Chi pensa di dover solo insegnare le basi della tecnica e della tattica, senza curarsi di altro, ha davvero frainteso il ruolo. Ci sarà una ragione per cui è nata la Psicologia dello Sport, che già negli anni ’20 aveva mosso i suoi passi a Berlino e nel 1929 negli Stati Uniti. Nel nostro Paese dovremo aspettare il 1965 per il 1° convegno sul tema, il 1972 per la nascita del Registro Italiano degli Psicologi dello Sport, e vediamo oggi come la materia sia diventata oggetto di studi, corsi di laurea, master e specializzazioni universitarie. «L‘atleta, così come l’allenatore, prima di essere uno sportivo è, una “persona funzionante” che esisteva prima dell’ingresso nel mondo dello sport e che esisterà anche al termine della carriera agonistica. L’ambiente sportivo dovrebbe dunque comprendere, assistere e sostenere lo sviluppo dell’intera persona focalizzandosi non solo sul raggiungimento dell’eccellenza prestativa, ma facendosi carico anche dell’insieme di dimensioni psicosociali che vanno al di là della performance sportiva e che includono lo stile di vita, lo sviluppo personale, la gestione delle dinamiche di gruppo» (Contributo della Dott.ssa Anna Venturini –Psicologi dello Sport Italia). È chiaro, no? Abbiamo tutto a disposizione per capire quanto prendersi cura della persona atleta sia fondamentale prima ancora che prendersi cura della performance, soprattutto tra i bambini, i giovanissimi e gli adolescenti, e anche qui fare il parallelo con la scuola viene quasi naturale. Dunque, cosa aspettarci per il futuro? Innanzitutto, significativi investimenti della spesa nazionale sul comparto sportivo, affinché i luoghi di aggregazione attraverso lo sport siano sempre maggiori e diffusi in tutta la nostra penisola. In secondo luogo, che lo sport venga integrato nelle scuole in maniera sistematica e in aggiunta alle ore canoniche di attività sportiva. Non si può pretendere che avvenga un mutamento culturale significativo se le Istituzioni non dettano un iter concreto da percorrere, fatto di esempi chiari che testimonino l’importanza dello sport nella gestione del Paese. Che i giovani siano in difficoltà è un dato di fatto, che lo sport possa aiutarli anche, che lo sport non sia in antitesi con la scuola è altrettanto vero. Ora serve convincersene.