XIX. A un tratto si alzò e andò a sedere accanto al finestrino. — Perdonatemi — riprese, e fissando gli occhi al finestrino, rimase così in silenzio per qualche minuto. Poi sospirò faticosamente e di nuovo venne a sedersi di faccia a me. Il suo viso era diventato addirittura un altro, gli occhi facevano pena e una certa strana cosa, quasi un sorriso, gl'increspava le labbra. — Sono un poco stanco, ma seguiterò a raccontarvi. Abbiamo ancora molto tempo, non è peranco giorno. Già — cominciò di nuovo, accendendo una sigaretta. — Essa era ingrassata dacchè non aveva più figli, e quella sua malattia, il soffrire continuo per via dei bambini, era passata... non si può dire passata, ma pareva che essa avesse ripreso coscienza dopo un'ubriacatura e si ricordasse, e comprendesse che esiste tutto l'universo di Dio con le sue gioie, che essa aveva dimenticate, nel quale non sapeva più vivere, l'universo di Dio che essa non comprendeva affatto. «Purchè non sparisca tutto ciò! Il tempo passa e non torna indietro». Così mi pareva che essa pensasse o piuttosto sentisse, ed era impossibile che pensasse o sentisse diversamente; l'avevamo allevata nell'idea che una cosa sola conta nel mondo: l'amore. Si era sposata, aveva conosciuto qualcosa di questo amore ma non soltanto era lontano da ciò che si era promesso, da ciò che aveva atteso, ma era stata una delusione, una sofferenza: e poi qual tormento inatteso, i figli! Questo tormento l'aveva 186