XX. — Sì, le cose stavano a questo punto poco prima della catastrofe. Vivevamo apparentemente in pace e non v'era nessun motivo che potesse turbare questa pace: a un tratto cominciò un discorso su di un cane che all'esposizione aveva avuto una medaglia, dicevo io. Essa disse: Non una medaglia, ma un diploma d'onore. S'iniziò una discussione. Si cominciò a saltare da un argomento ad un altro, vennero i rimproveri: «Già, si sa da un pezzo, sempre così», «tu hai detto...», «no io non l'ho detto», «dunque io mentisco!...». Si sentiva che stava per nascere uno di quei tremendi litigi per i quali io volevo uccidermi o ucciderla. Tu sai che sta per nascere, ne hai paura come del fuoco, vorresti trattenerti ma l'ira s'impossessa di tutto l'essere tuo. Essa si trova nel medesimo stato, anche peggio; apposta essa ritorce ogni tua parola, dandole un falso significato: ogni parola di lei è impregnata di veleno; essa ti colpisce sempre nel punto più doloroso. Più si va oltre, peggio è. Io grido: Taci! o qualcosa di simile. Essa scappa via dalla stanza, corre nella camera dei bambini. Io tento di trattenerla per finire il discorso e spiegarmi, e l'afferro per un braccio. Essa finge che io le abbia fatto male e grida: «Ragazzi, vostro padre mi batte». Io urlo: «Non mentire!». «Già, non è la prima volta — urla lei. I ragazzi si slanciano verso di lei. Essa li ac191