La_morte di Ivan Ilijc

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XXI. — Sicchè eravamo in questi termini quando comparve quell'individuo. Quell'individuo giunse a Mosca — il suo cognome era Trukhacevsky — e si presentò a casa mia. Era di mattina. Io lo ricevetti. Una volta ci davamo del tu. Egli si provò a dir delle frasi un po' in tu, un po' in voi, appoggiando sul tu, ma io subito misi il discorso in voi ed egli immediatamente si sottomise. Fin dalla prima occhiata non mi piacque punto. Ma, strana cosa! una forza inesplicabile, fatale mi spingeva verso di lui, e invece di respingerlo, di allontanarlo, io mi sentivo avvicinare a lui. Sarebbe stato così semplice parlargli freddamente, congedarlo senza presentarlo a mia moglie. Ma no: io, come se lo facessi apposta, gli parlai dell'arte sua, gli dissi che mi avevano riferito che egli avesse abbandonato il violino. Mi disse che, al contrario, ora suonava più di prima. Si ricordava che anch'io suonavo una volta. Gli dissi che io non suonavo più ma che mia moglie suonava bene. Fatto soprendente! Le mie relazioni con lui nel primo giorno, nella prima ora del nostro incontro furono tali quali avrebbero potuto essere soltanto dopo ciò che è avvenuto. Nelle mie relazioni con lui, c'era qualcosa di teso: io tenevo conto d'ogni parola, d'ogni espressione sua o mia e vi attribuivo importanza. Lo presentai a mia moglie. Subito il discorso si avviò sulla musica ed egli offrì i suoi servigi per suonare con lei. Mia moglie, come sempre in quegli ultimi tempi, era 196


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