XXIII. — Credo superfluo il dire che io ero molto vanitoso: se non si fosse vanitosi nella vita abituale che meniamo non ci sarebbe scopo a vivere. Sicchè, quella domenica, mi occupai con piacere a disporre tutto per il pranzo e per la serata musicale. Andai io stesso a comprare alcune cose per il pranzo e a invitare gli ospiti. Verso le sei gli invitati erano riuniti, ed egli comparve, in frack e con dei gemelli di brillanti di cattivo gusto. Aveva un contegno disinvolto, rispondeva a ogni domanda in fretta, con un sorrisetto di acquiescenza e d'intesa: sapete, con quella particolare espressione che significa che tutto quello che voi fate o dite è proprio quello che si aspetta. Tutto ciò che c'era in lui di sconveniente io lo notavo con particolare piacere perchè tutto ciò doveva tranquillizzarmi e mostrare che, per mia moglie, egli era tanto al disotto che lei, come mi aveva detto, non poteva abbassarsi fino a quel punto. Io ora non mi permettevo più d'esser geloso. Prima di tutto, m'ero già tormentato abbastanza e avevo bisogno di riposo: secondo, volevo credere alle assicurazioni di mia moglie e ci credevo. Ma, quantunque non fossi geloso, ero tuttavia impacciato con lui e con lei, e durante il pranzo e la prima metà della serata, finchè non cominciò la musica, io seguii gli sguardi e i movimenti di loro due. Il pranzo fu come suole essere un pranzo, noioso, convenzionale. Abbastanza presto cominciò la musica. Oh! 209