La_morte di Ivan Ilijc

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XXV. Entrò il conduttore e, vedendo che la nostra candela era già tutta consumata, la spense, senza metterne una nuova. Di fuori cominciava ad albeggiare. Pozdnicev tacque, sospirando faticosamente, per tutto il tempo che il conduttore rimase nello scompartimento. Continuò il suo racconto soltanto quando il conduttore fu andato via, e nella penombra della vettura non si udiva altro se non il rumore dei vetri che il movimento del treno faceva tremare e il monotono russare dell'impiegato di commercio. In quella luce incerta dell'alba non distinguevo più Pozdnicev. Udivo soltanto la sua voce sempre più affannosa e agitata. — Dovevo percorrere 35 verste in carrozza e far otto ore di ferrovia. In carrozza si andava magnificamente. Era un tempo d'autunno, ghiacciato, con un sole splendido. Sapete? quel tempo quando i cerchioni delle ruote s'imprimono sulla strada che pare insaponata. Le strade erano lisce, la luce chiara e l'aria viva. Nel tarantass si stava bene. Quando fu giorno e mi misi in via, mi sentii più leggero. Guardando i cavalli, i campi, la gente che s'incontrava, mi dimenticavo dove andavo. A volte mi pareva di viaggiare semplicemente, senza scopo, e che tutto ciò che mi agitava non esistesse. E questa incoscienza mi dava una gioia tutta particolare. Quando mi ricordavo dove andavo, dicevo fra me: Allora si vedrà. Ora non ci pensare. A metà della via mi accadde un inci219


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