V. Così passò un mese, ne passarono due. Prima del capo d'anno giunse suo cognato e si fermò presso di loro. Ivan Ilijc era al tribunale, Prascovia Fedorovna era uscita a fare spese. Entrando nel suo studio, Ivan Ilijc vi trovò il cognato, uomo sano, sanguigno, che stava votando da sè la valigia. Al rumore dei passi di Ivan Ilijc alzò la testa e lo guardò un momento in silenzio. Quello sguardo rivelò tutto a Ivan Ilijc. Il cognato aprì la bocca ad un'esclamazione, ma si trattenne. Questo atto confermò la cosa. — Sono cambiato, eh? — Già... c'è un cambiamento. E per quanto poi Ivan Ilijc volesse ricondurre il cognato sul discorso della sua apparenza, il cognato serbò il silenzio. Venne Prascovia Fedorovna e il cognato la seguì nelle sue stanze. Ivan Ilijc chiuse la porta a chiave e andò a guardarsi allo specchio, prima di faccia, poi di profilo. Prese una sua fotografia, fatta con la moglie, e paragonò il ritratto con la figura che vedeva nello specchio. Il cambiamento era enorme. Poi si denudò il braccio fino al gomito, l'osservò, ributtò giù la manica, sedette sull'ottomana e si fece più scuro della notte. «Non si deve far così, non si deve», disse fra se stesso: si scosse, si avvicinò alla tavola, aprì un incartamento, si mise a leggerlo, ma non potè. Aprì la porta, andò nel salone. La porta del salottino era chiusa. Andò verso di 62