IX. La moglie tornò tardi nella notte. Entrò in punta di piedi, ma egli l'udì venire: aprì gli occhi e subito li richiuse. Essa voleva mandar via Gherassim e rimanere lei a vegliarlo. Ivan Ilijc riaprì gli occhi e disse: — No. Vattene. — Soffri molto? — Sempre lo stesso. — Prendi dell'oppio. Egli acconsentì e lo prese. La moglie se ne andò. Fino alle tre stette in uno stato di torpore affannoso. Gli pareva che lo mettessero a forza in un sacco stretto, nero e fondo, e ve lo spingessero senza riuscire a farcelo entrare del tutto. Ed egli aveva paura e voleva entrarci, ma tuttavia lottava e resisteva. A un tratto si liberò e cadde, e allora si svegliò. Gherassim era sempre lì, seduto ai piedi del letto, dormicchiando tranquillo e paziente, come al solito. Egli era sdraiato, con i piedi smagriti coperti dalle calze e appoggiati alle spalle di Gherassim: la solita candela, con l'abat-jour e lo stesso dolore che non dava mai tregua. — Vattene, Gherassim — mormorò egli. — No: resto qui. — No, vattene. Egli ritirò le gambe, si voltò su un fianco, appoggiandosi al braccio, e cominciò a compiangere sè stesso. Aspettò appena che Gherassim fosse andato nella camera accanto, e non potendo più trattenersi si mise a pian90