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LA CARENZA Parla il segretario nazionale di Uiltrasporti, Marco Odone

C’è il problema dell’accesso e quello della scarsa retribuzione degli autisti. Ma per il sindacalista della Uil pretendere di più dalle aziende sarebbe fuori luogo per tante ragioni. Piuttosto potrebbe essere utile creare un fronte comune, mettendosi al fianco dei loro rappresentanti al tavolo delle trattative con il governo

«N on mi stupirei se fossero in realtà anche più di 15 mila gli autisti mancanti». Marco Odone, segretario nazionale di Uiltrasporti, in mancanza di dati ufficiali, ipotizza una lacuna occupazionale maggiore di quanto si ipotizzi. «Lo percepisci quando vai nelle aziende – racconta – ma te ne rendi conto anche nel momento in cui entri in un’aula in cui si effettuano corsi di rinnovo per la CQC: il più giovane è sempre più vicino ai 50 anni». Proprio perché il problema è serio, però, il sindacalista non se la sente di addossare tutta la croce alle aziende e, anzi, quando gli si chiede di mettersi nei panni del novello ministro dei Trasporti per cercare soluzione a una tale criticità, lui prima sottolinea la necessità di tagliare i costi delle patenti e poi aggiunge concreto che «alla base di tutti i problemi del settore c’è la debolezza dell’impresa di autotrasporto nei confronti della committenza. Di conseguenza cambierei alcune regole, studierei un meccanismo molto simile ai costi minimi e tra i costi incomprimibili inserirei anche la retribuzione dell’autista. E poi cercherei tutte le modalità economiche, contrattuali e fiscali per mettere in atto questa piattaforma». In pratica, il ragionamento di Odone è questo: se gli autisti vivono una condizione difficoltosa, lavorano tanto e, almeno rispetto al tanto di cui si fanno carico, percepisco troppo poco, è inutile avanzare recriminazioni alle aziende, perché spesso queste non sono in condizione di soddisfarle, perché subiscono a loro volta da un committente. Proprio in virtù di tale considerazione il segretario di Uiltrasporti propone alle associazioni di categoria dell’autotrasporto di «giocare a carte scoperte e di partecipare tutti insieme, rappresentanze dei datori di lavoro e sindacati, alle trattative tra parti sociali. Invece cioè di gestirle su tavoli separati, tanto varrebbe riuscire a trovare soluzioni in maniera unitaria». Secondo Odone la contingenza è favorevole e «bisognerebbe cogliere l’opportunità della pandemia per lavorare tutti insieme e cercare di superare il problema una volta per tutte». Ma oltre al metodo, poi, c’è il merito. E – a suo vedere – la carenza di autisti andrebbe affrontata partendo proprio dalle dinamiche e dalle esigenze delle aziende: «Tutti fanno fatica a consegnare un veicolo da 150 mila euro a qualcuno non formato. E quindi sarebbe normale doverlo fare affiancare. Allora, sarebbe utile istituire una formazione iniziale obbligatoria con doppia presenza chiedendo al governo una forma di copertura di tale attività». In pratica un complemento alla patente e alla CQC che per un verso aiuterebbe le aziende a entrare in contatto con i neoconducenti e, per l’altro – sostiene Odone – «darebbe ai giovani una spinta nel prendere la CQC costituita dal fatto di avere una prospettiva futura di inserimento in azienda e di conquistare quindi un salario che consentirebbe di ripagare i costi sostenuti». A frenare i giovani nell’accesso, cioè, per il leader sindacale non è tanto la cifra – comunque considerevole – necessaria per accedere alla professione, quanto la mancanza di una prospettiva sicura o il rischio che questa non possa essere competitiva rispetto ad altre offerte presenti sul mercato. «Vedo tanti, per esempio, che oggi di fronte all’esplosione dell’e-commerce sono tentati di scendere dal camion e di andare a lavorare come corriere, visto che alla fine tornando tutte le sere a casa e lavorando al massimo 44 ore, finiscono per guadagnare come un camionista che spesso non torna a casa durante l’intera settimana». Considerazione che lascia intendere come il tempo del lavoro alla fine sia un fattore essenziale, quello che rende la professione di autista sicuramente penalizzata rispetto a tante altre. Odone su questo piano ammette alcune miopie da parte sindacale, almeno relativamente all’accettazione della deroga che, in nome della flessibilità richiesta dalle imprese e consentita da direttive europee, ha portato a 58 le ore settimanali,

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Per far fronte alla concorrenza estera, molte aziende italiane preferiscono convogliare una quota crescente della retribuzione verso la voce “trasferta” in quanto si hanno meno oneri rispetto a uno straordinario forfettizzato. Così l’autista percepisce una busta paga identica, ma troverà delle sorprese quando andrà in pensione

«AZIENDE E SINDACATI:

SOLTANTO UNITI RISOLVIAMO IL PROBLEMA»

La deroga prevista da direttive europee ha portato a 58 le ore settimanali, innalzabili fino a 61, partendo dalle 47 previste dalla contrattazione collettiva per i lavoratori discontinui. Però queste ore in più dovrebbero essere definite tramite accordo aziendale e quantificate con una forfettizzazione, perché sarebbero uno straordinario. Ma raramente viene concesso

in qualche caso innalzabili fino a 61, partendo dalle 47 previste dalla contrattazione collettiva per i lavoratori discontinui. «Però queste ore in più dovrebbero essere definite tramite un accordo aziendale e quantificate con una forfettizzazione, perché in ogni caso sarebbero uno straordinario. Non a caso molti agenti di polizia stradale – quelli più bravi almeno, e sono tanti – quando fermano un autista vogliono vedere anche la busta paga per verificare se esiste un accordo e una quota forfettizata per lo straordinario». Nei fatti, però, raramente viene concessa. E il perché è presto detto: «Per far fronte alla concorrenza di tanti autotrasportatori esteri, beneficiati da costi del lavoro inferiori, molte aziende italiane preferiscono convogliare una quota crescente della retribuzione verso la voce “trasferta” in quanto si hanno meno oneri rispetto a uno straordinario forfettizzato». In questo modo l’autista percepisce una busta paga identica, però è esposto a conseguenze critiche di cui si renderà conto quando andrà in pensione, in quanto sulle indennità di trasferta non si versano contributi previdenziali. «Mi è capitato di recente di incontrare un autista che mi ha salutato annunciandomi la decisione di andare in pensione. Poi, quando dopo qualche mese l’ho rivisto ancora sul camion, gli ho chiesto spiegazioni e lui mi ha risposto che non se lo poteva permettere. Perché lavorando prendeva più di 2.000 euro e come pensione avrebbe avuto meno di 1.200 euro al mese. E forse anche questa mancanza di prospettiva futura, dopo aver trascorso una vita di sacrifici, allontana i giovani dalla professione». Rimane da chiarire un quesito: se gli autisti sono pochi come mai quelli più bravi non vengono trattenuti dalle aziende, anche con condizioni retributive migliori? «In realtà – risponde Odone – sono sicuro che, almeno le aziende più stabili, concedano qualcosa agli autisti migliori. Spesso però lo fanno senza passare da un riconoscimento contrattuale, ma ricorrendo a forme non tracciate e che quindi non vediamo». Ma aziende di questo tipo, disponibili a pagare qualcosa di più, sono sempre meno nell’attuale contingenza. Una ragione di più per Odone di avvicinare il dialogo tra parti sociali. E il primo banco di prova in tal senso potrebbe essere proprio il rinnovo dello scaduto contratto collettivo. Per ora, però, da quel tavolo tutto tace…

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