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I GIOVANI A colloquio con Elisabetta Gualmini
MIGLIORE IMMAGINE E DUE OPPORTUNIT
Mettiamo subito in chiaro una cosa: l’invecchiamento non è un’esclusiva dell’autotrasporto. «Nel settore pubblico – ricorda subito Elisabetta Gualmini, europarlamentare e membra della commissione per l’Occupazione – l’età media è superiore ai 50 anni». E quando mancano i giovani spuntano diversi problemi. Tra i tanti ricorda «la difficoltà a promuovere innovazione o la ricerca di nuove energie e soluzioni, in quanto è assodato che chi lavora in modo routinario tende a replicare modelli occupazionali, mentre ogni settore ha bisogno di nuove creatività». Autotrasporto compreso, aggiungiamo noi. Ma a proposito, cos’è che frena il ricambio generazionale tra gli autisti? Comprendere perché i giovani siano refrattari a varcare i cancelli dell’autotrasporto è fondamentale e per certi versi paradossale, visti gli alti tassi di disoccupazione giovanile e vista quindi la necessità, per l’equilibrio di un paese, di sfruttare tutte le opportunità lavorative, non soltanto quelle intellettuali. Invece, in Italia c’è un po’ il pregiudizio che tutti debbano fare gli insegnanti, gli avvocati, i notai, come se dei lavori manuali non ci fosse più bisogno. Quindi esiste da una parte un problema culturale, dall’altra è probabile che i giovani abbiano paura nel misurarsi con una professione come l’autista di veicoli pesanti, vuoi per gli orari, vuoi per la fatica che comporta. Una condizione lavorativa, questa, che l’Europa ha cercato di migliorare con l’approvazione del nuovo pacchetto mobilità. Questa normativa riuscirà a rettificare quella visione, comune a molti autotrasportatori, secondo cui l’inizio del degrado per il settore sia coinciso con l’ingresso in Europa e sul mercato di lavoratori provenienti da Est? C’è da dire che lo sguardo dell’autotrasportatore non soltanto “ci azzecca”, ma è anche in linea con quello di tanti cittadini e lavoratori che ritengono l’Unione un complesso di istituzioni a volte arzigogolato e difficile da capire. È vero che l’ingresso di tanti paesi orientali ha cambiato gli standard lavorativi, con fenomeni di dumping sociali e con una corsa al ribasso dei salari. È quindi evidente che l’allargamento ha portato squilibri a cui l’Unione ancora oggi non è riuscita a porre rimedio. Il problema delle diverse condizioni di lavoro e retributive è alla base di questo pacchetto che ha, tra gli obiettivi, quello di migliorare le condizioni lavorative dell’autotrasportatore, di accrescere il sollievo prodotto dal riposo notturno da consumare lontano dal camion, di introdurre maggiore flessibilità nei riposi settimanali. E questi miglioramenti potranno rendere il lavoro anche più attraente per i giovani. Ma il pacchetto mobilità va anche oltre, perché dice che deve esserci un’armonizzazione delle condizioni salariali e contributive e che non si può scendere sotto al salario minimo dei diversi Paesi. Tra l’altro l’Unione europea sta marciando in questa direzione e presto sarà varata una direttiva sul Un paese vecchio, un po’ come un’impresa, perde capacità di innovare. Anche per questo l’autotrasporto ha bisogno di giovani. Ma a tenerli distanti ci sono pregiudizi culturali, legati alla superiorità del lavoro intellettuale, e la prospettiva di un lavoro difficile. Oggi, però, la pandemia produce alcuni cambiamenti. E altri ne produrrà il pacchetto mobilità approvato in Europa. Da Bruxelles ci spiega come un’eurodeputata, membra della commissione per l’Occupazione e gli Affari sociali
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salario minimo proprio con l’obiettivo di coordinare e spingere verso l’alto il livello retributivo dei diversi paesi. Anche perché le differenze attuali – con i 300 euro di salario mensile in Bulgaria e i 2.000 del Lussemburgo – non possono essere tollerate. Aldilà delle differenze retributive, il fatto che tanti lavoratori distaccati siano occupati in un paese e versino contributi previdenziali in un altro,
PACCHETTO MOBILITÀ: À ATTIRA-GIOVANI
non rischia di creare scompensi nelle casse dei nostri istituti pensionistici? La problematica è importante. Perché alla lunga occorre che lavoratori attivi nello stesso comparto, anche tra distinti paesi europei, ricadano sotto lo stesso regime previdenziale e contributivo. C’è un provvedimento in corso di approvazione da parte della commissione per l’Occupazione sull’armonizzazione dei sistemi contributivi e di welfare. Il punto delicato è che le competenze, soprattutto rispetto ai sistemi previdenziali, sono nazionali e quindi l’azione delle istituzioni europee può essere soltanto di impulso e di raccomandazione, ma non può incidere direttamente sui diversi regimi contributivi dei vari paesi. C’è sempre il problema di chi è responsabile rispetto alle competenze. Bisogna però controllare che i trasportatori e le imprese che vengono a lavorare nel nostro paese operino sotto una veste legale, legittima e trasparente. Ritiene che l’ingresso di un numero maggiore di donne alla guida possa costituire una soluzione? In generale il problema dell’occupazione femminile è gigantesco e condiziona la ricchezza e la visione di un intero paese. Se le donne lavorassero di più ne guadagnerebbe moltissimo il prodotto interno lordo e il sistema paese in termini di capacità di crescita e di innovazione. Questo principio vale ovviamente anche per l’autotrasporto, in cui il divario di genere è molto elevato e quindi è ancora maggiore l’urgenza di correre ai ripari. Ho consultato i dati che anche voi mettete a disposizione sul sito e penso che andrebbero sicuramente valorizzati: penso per esempio al fatto che la presenza femminile possa essere in grado di ridurre la sinistrosità o di contenere i costi di manutenzione. Anche se, all’atto pratico, non è scontato per una donna pensare di entrare in questo settore, soprattutto se deve conciliare esigenze lavorative con quelle di cura dei figli, della famiglia, di genitori anziani. Quindi, occorre costruire servizi alla persona e di welfare dedicati, in grado di andare incontro a tali esigenze. L’offerta in tal senso è già comunque nutrita: esistono asili nido che adottano servizi iperflessibili, con aperture serali, nei fine settimana, durante le vacanze canoniche. Quindi, magari con qualche salto acrobatico – a cui le donne sono comunque abituate – già esiste la possibilità di organizzarsi. In più serve un’attività di informazione, di formazione e di promozione. Ricordo che nel 2017 la Commissione Europea lanciò il programma Women in transport, una petizione finalizzata ad abbattere i pregiudizi e gli stereotipi sulla cultura maschilista, come quello di pensare – appunto – che guidare un camion sia un lavoro da soli uomini. Non ritiene che la distanza dei giovani dal settore derivi anche dalla sua pessima immagine? In realtà stiamo assistendo a un cam-
Presto sarà varata una direttiva sul salario minimo proprio con l’obiettivo di coordinare e spingere verso l’alto il livello retributivo dei diversi paesi. Anche perché le differenze attuali – con i 300 euro di salario mensile in Bulgaria e i 2.000 del Lussemburgo – non possono essere tollerate
La pandemia ha rivoluzionato lo scenario della nostra vita quotidiana. E tutti hanno percepito come i trasportatori si siano assunti maggiori rischi di contagio rispetto a chi restava protetto in casa. Ma soprattutto tutti hanno toccato con mano che l’importanza di queste persone risiede nel fatto che consentono alle altre di vivere meglio L’autotrasporto è menzionato nel grande contenitore della transizione ecologica: bisognerà incentivare l’utilizzo di mezzi sostenibili a livello ambientale integrandoli al trasporto su ferro. La sfida del settore sarà ora di organizzarsi e di battersi unito. È importante che le associazioni rappresentative degli autotrasportatori parlino tramite una sola voce
bio di paradigma. È vero che il settore dell’autotrasporto è stato a lungo accompagnato da qualche pregiudizio e stereotipo negativo, legato soprattutto all’inquinamento prodotto dai suoi veicoli. In realtà la pandemia ha rivoluzionato lo scenario della nostra vita quotidiana e ha offerto anche opportunità. Perché tutti ci siamo trovati a incrementare il commercio on line e quindi la distribuzione di merci a domicilio e il traffico dei corrieri. E tutti hanno percepito come, per assecondare questa domanda, i trasportatori si siano assunti maggiori rischi di contagio rispetto a chi restava protetto in casa. Ma soprattutto tutti hanno toccato con mano che l’importanza di queste persone risiede nel fatto che consentono alle altre di vivere meglio. Questo è un capitale su cui bisogna insistere. Io ritengo che lo sviluppo dell’e-commerce produrrà sicuramente nuove opportunità al trasporto, chiamandolo al tempo stesso a essere più moderno e sostenibile. E in questo processo ritengo ci sia spazio per un totale cambio di mentalità, anche perché si sta facendo spazio sempre maggiore sensibilità per le professioni dotate di una funzione sociale. E l’autotrasporto è tra queste. La pandemia ha migliorato anche l’immagine dell’Europa sotto vari punti di vista. Non ultimo quello di rendere disponibili tanti soldi per la ripartenza. Quali opportunità ci potranno essere per il trasporto? È vero: l’Europa nell’emergenza sanitaria ha saputo mostrare un volto più solidale e più vicino ai propri cittadini. La gigantesca mobilitazione di risorse messe a disposizione dalle istituzioni, superando in poco tempo tutte le lungaggini burocratiche, va sottolineata con forza. Risorse che non si esauriscono con il Next Generation EU, ma interessano pure il programma di aiuto per la disoccupazione Sure, grazie al quale l’Italia ha già incamerato oltre 15 miliardi per integrare la cassa integrazione, lo scudo della Banca Europea e tanto altro. Alla fine abbiamo costruito un pacchetto di 2.400 miliardi, una cifra enorme, mai vista nella storia dell’integrazione europea. Ma mobilitare risorse è solo il primo passo. La palla passa ora ai governi nazionali e ai territori chiamati a dare risposte precise su come utilizzare le risorse stesse. Bruxelles ha fornito qualche indicazione, chiedendo che il 37% dei sostegni che spettano all’Italia, quindi 209 miliardi, siano dedicati alla transizione ecologica a 360 gradi, quindi alla creazione di un nuovo modello di sviluppo economico che preveda l’utilizzo di energie alternative, la creazione di posti di lavoro nella rigenerazione verde e anche di città e quartieri a emissioni zero nei prossimi decenni. Oppure che il 20% delle risorse sia dedicato alla digitalizzazione, attraverso la formazione e l’immissione di personale giovane. E che le restanti risorse vadano alla coesione sociale, con investimenti su scuola, sanità, servizi alla persona. L’autotrasporto è menzionato nel grande contenitore della transizione ecologica: bisognerà incentivare l’utilizzo di mezzi sostenibili a livello ambientale integrandoli al trasporto su ferro. La sfida del settore sarà ora di organizzarsi e di battersi unito. È importante che le associazioni rappresentative degli autotrasportatori parlino tramite una sola voce con gli interlocutori istituzionali, soprattutto in questa fase in cui non si sa bene dove le risorse saranno allocate, in modo da attirare a sé investimenti che rispondono alle priorità del settore.