Affari di Gola maggio-giugno 2022

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Anno XXII n. 2Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento PostaleD.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo€ 2,60 LA BUONA TAVOLA RACCONTATA DA affaridigola . it MAGGIO - GIUGNO 2022 Insalate d'estate IL GUSTO DELLA LEGGEREZZA
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Direttore

EDITORIALE

VOGLIA DI LIBERTÀ

Questa primavera un po’ speciale anticipa un’estate che sarà diversa dalle precedenti. I problemi, non lo possiamo negare, sono ancora molti ed alcuni, come la guerra in Ucraina, devastanti. Eppure vogliamo essere ottimisti, perché sentiamo forte il rinnovato desiderio di uscire, viaggiare e di trascorrere il tempo fuori casa.

L’arrivo del caldo primaverile fa anche da apripista al cambiamento dell’alimentazione, ci si orienta verso cibi diversi da quelli dei mesi freddi, più leggeri. Qualcuno goliardicamente chiama il cambiamento della dieta come la necessaria fase di attenzione che precede la “prova costume”. La battuta ci sta perché il cambio dell’armadio è sempre un momento di apprensione per la paura di non rientrare nei propri “panni”. Nella realtà è il nostro corpo e la natura che ci chiedono di cambiare. La primavera e l’estate portano in dono tanta ricchezza con cereali, verdura e frutta. Più fibre e carboidrati rispetto a proteine e grassi, direbbero i chimici, ma anche gusto diverso e prelibatezze delicate per gli amanti della buona tavola. La stagionalità aiuta ad affrontare i mesi più caldi e le giornate più lunghe, restando più leggeri ma dando altrettanta energia e vigore. Si cambia il menù e arrivano le novità che stimolano la curiosità dei commensali. Magari proponendo in tavola qualche cibo perduto o abbinamenti ai quali nessuno aveva fino ad oggi pensato. Alla ricerca di un nuovo mix equilibrato tra ricetta segreta e coraggio di osare. Con idee nuove che spesso vengono da paesi lontani ed esotici o magari semplicemente dalle tradizioni della nostra campagna, dalle nostre montagne che con l’arrivo della bella stagione tornano a vivere e a ripopolarsi. Insomma i nostri sensi sono pronti a farsi ammaliare e sarà un’altra bella stagione, nonostante la crisi dei consumi e il caro energia. Resta la speranza che la guerra possa terminare e la pace possa trionfare sull’umanità.

M aggio - Giugno 2022

Direzione e Redazione: Iniziative Ascom S.p.a. Via Borgo Palazzo 137, 24125 Bergamo tel. 035 4120322, fax 035 4120182, affaridigola@larassegna.it

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Registrazione Tribunale di Bergamo – n. 48 del 22 novembre 2001

Collaboratori: Lara Abrati, Sergio Cotti, Rosanna Scardi, Marco Offredi Progettazione grafica: Samanta Cattaneo, Mozzo, Bg Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

4. Insalate gourmet 8. La ristorazione guarda al futuro 12. Tajine, la cultura marocchina 16. Licheni, amari e intriganti 18. L'intervista a Gennaro Esposito 22. Le virtù della lentezza 26. Storie di una cucina dimenticata 28. Olio di girasole 30. La borragine 36. I vigneti eroici 39. Leggere di gusto S OMMARIO
Oscar Fusini In copertina “Insalata semplice” di Stefano Baiocco.

Insalate gourmet la passione dei grandi chef

Fresca, saporita e nient’affatto di stagione (nel senso che si può mangiare tutto l’anno). L’insalata in tavola è un must soprattutto d’estate, come contorno sfizioso o meglio ancora come piatto unico. Ma chi l’ha detto che l’insalata si mangia solo quando fa caldo? Nutrizionisti e grandi chef sono d’accordo: sarebbe buona abitudine renderla compagna di viaggio dei nostri pasti anche nei periodi più freddi dell’anno, non fosse che per scoprirne sapori e accostamenti inediti. Tavolozza di colori che appaga la vista, ancor prima che il palato – confermando il sempre attuale adagio secondo cui «si mangia prima con gli occhi, poi con la bocca» – l’insalata è da tempo fonte inesauribile d’ispirazione anche per gli chef più affermati, grazie ai quali abbiamo scoperto che in un orto si possono coltivare fino a 120 tipi d’insalate diverse. Sono loro i primi ad insegnare, e non potrebbe essere altrimenti, che una buona insalata all’inizio di ogni pasto, rende il processo di digestione più rapido, leggero ed efficace. Del resto, dopo la pizza, il sushi e l’aperitivo, non potevano mancare le insalate gourmet, vere e proprie esplosioni di tinte più o meno vivaci, in grado di catturare interesse e curiosità dei clienti anche nei ristoranti più affermati. Alcune di queste creature sono finite di diritto tra i “signature dishes” (locuzione inglese di tendenza per definire i “piatti-firma”, quelli di punta) dei più noti cuochi stellati italiani. La più celebre è senz’altro l’"Insalata 21-31-41" di Enrico Crippa, tre stelle Michelin del ristorante Piazza Duo-

5 maggio - giugno 2022
ALCUNE SONO FINITE DI DIRITTO TRA I “SIGNATURE DISHES” DEI PIÙ NOTI CUOCHI STELLATI ITALIANI CHE HANNO CREATO CONTENITORI APPOSITI PER POTERLE GUSTARE
©Letizia Cigliutti
Enrico Crippa

RICETTA

INSALATA DI GAMBERI CON MANDORLE E LAMPONE

mo di Alba (Cn). Gli ingredienti cambiano tutte le settimane e alla fine dell’anno il cuoco lombardo emigrato in Piemonte ne propone – tra germogli, fiori e foglie di stagione – circa 120 (ma soprattutto mai meno di 21 nello stesso piatto, che può arrivare a contenerne anche una cinquantina).

Di tutt’altra “pasta” è l’insalata di un altro tristellato nazionale, l’abruzzese Niko Romito del ristorante Reale di Rivisondoli (Aq). La sua "Misticanza alcolica" contiene pochi ingredienti, caratterizzandosi come una verticale

Ingredienti per 4 persone

3 4 ciuffi di insalata rossa

3 20 schie

3 20 gamberetti

3 4 mazzancolle

3 semolino qb

Procedimento

3 mandorle bianche 200 g

3 purea di lamponi 50 g

3 aceto di vino rosso 5 g

3 olio di arachidi 50 g

3 lamponi freschi qb

Per la crema di mandorle: lasciare le mandorle in acqua per 48 ore, scolarle e successivamente frullarle con 250 ml di acqua fino ad ottenere una crema liscia.

Per la salsa di lamponi: unire la purea di lamponi all’aceto di vino rosso e all’olio di arachidi, frullare tutto con un frullatore ad immersione.

Per la polvere di lamponi: lasciare essiccare i lamponi freschi in forno a 60°C per circa 13 ore e successivamente frullarli fino ad ottenere una polvere.

Arrostire solo da un lato, con olio extra vergine d'oliva, le mazzancolle e i gamberetti. Impanare le schie con il semolino e friggerle lasciandole croccanti. Impiattare con polvere di lamponi sul fondo, la mazzancolla centrale, spennellare con salsa di lamponi e crema di mandorle. Adagiare poi il ciuffo di insalata, aggiungere i gamberetti e completare con le schie fritte.

di insalatine diverse, condite con estratto di salvia, olio e aceto e una crema di mandorla alla base, tutto innaffiato con qualche goccia di gin.

Altro tristellato, altra insalata, questa volta con le erbe del maso Aspinger: è la creazione di Norbert Niederkofler (St. Hubertus, San Cassiano in Badia), che nel piatto sposa piccole lattughe, germogli di rapa e piselli, quadrifogli, ma anche shiso, rucola, spinacini, erba porro e carota, con rapanelli, fiori eduli, sedano rapa, cialda di amaranto e fondo di pomodoro. A Villa Crespi (due stelle Michelin

maggio - giugno 2022

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© www.altimmoceto.it

a Orta San Giulio, nel novarese) Antonino Cannavacciuolo propone invece la sua "Insalata liquida", con scarola, scampi, briciole di pane e acciughe, per un’esperienza quasi più marina che campestre. Insomma, non c’è grande chef che non si sia misurato, almeno una volta, con un piatto che troppo “volgarmente” releghiamo spesso a semplice contorno. «A me piace molto inserire un’insalata nella parte iniziale del menu, anche in considerazione del fatto che cominciare un pasto con qualcosa di crudo è sempre consigliato -spiega Enrico Crippa-. Siamo stati i primi a farlo, ormai tanti fa, e in molti ci hanno copiato». Un’insalata diventata iconica, la sua, un trionfo di colori e di gusto, con un numero esagerato di ingredienti, tutti (o quasi) coltivati personalmente dallo chef. «È il piatto che vendiamo di più e che ormai ci caratterizza -dice-. Abbiamo anche creato un contenitore specifico per assemblarla e degustarla in un certo modo, con apposite pinze. Parliamo di un piatto verticale, che si consuma dall’alto scendendo verso il basso. La parte superiore è fatta di fiori, germogli, getti freschi di erbe non condite. Man mano che si scende, si trovano insalate vere e proprie, condite con sesamo in grani, aceto di barolo e olio extravergine d’oliva». La ricetta cambia ogni due settimane: impossibile mangiarla due volte allo stesso modo. «In inverno -dice ancora lo chef- prevalgono le tonalità amare dell’indivia, la primavera riserva gusti più dolciastri e grassosi, grazie a soncino, rucole, asparagi e luppolo selvatico, mentre in estate i profumi sono più floreali, per via della presenza di fiori d’acacia e di sambuco». Né aperitivo, né contorno: per Stefano Baiocco, cuoco bistellato del ristorante Grand Hotel di Villa Feltrinelli a Gargnano (Bs) sul lago di Garda, l’insalata è un pre-dessert, da servire dopo il secondo e prima del dolce. La passione dello chef per l’insalata ha radici lontane e al suo approdo a Villa Feltrinelli ha “preteso” uno spazio tutto suo per coltivarne decine e decine di tipi: «Non è un orto, ma un giardino -racconta- e il lavoro più lungo non è quello di comporre il piatto, ma la raccolta giornaliera di tutte le foglie che ci servono. In compenso, la mia insalata fa parte dell’unico menu che propongo ai miei ospiti e così ogni giorno raccogliamo solo le foglie che utilizziamo». Anche la sua ricetta è tra quelle diventate famose in tutta Italia. Nata nel 2006 in occasione di una cena speciale, è ormai da tempo la firma dello chef e del suo ristorante. A dispetto del titolo, "Una semplice insalata", il piatto è composto da oltre 100 elementi, tra foglie e fiori eduli. È lui stesso a descriverlo: «È un piatto quasi piramidale: alla base sistemiamo lamelle di champignons tra due fogli sottilissimi e croccanti di pasta brick. Sopra adagiamo le foglioline dal gusto erbaceo, iniziando da quelle più grandi, e terminiamo con i fiori eduli». Anche l’insalata di Stefano Baiocco si assapora con pinzette da chirurgo. Il condimento? Solo un giro d’olio di mandorle siciliane e qualche cristallo di sale. «È un piatto democratico e anarchico -racconta-: democratico perché utilizzo una sola foglia di tutte le erbe; non mi interessa dare alla mia insalata un gusto preciso, ma mettere nel piatto la natura che raccogliamo ogni mattina.

Anarchico perché ha un gusto che non riesci a controllare, e che noi non vogliamo controllare. La stessa insalata, assaporata da due persone diverse o in momenti diversi, può assumere gusti totalmente differenti».

A Milano, nel moderno quartiere di Porta Nuova, anche Andrea Berton (una stella Michelin) propone sempre un’insalata nei suoi menù: «In passato -dice- ne ho ideato uno interamente a base d’insalate. È un piatto che soddisfa il palato, ma che purtroppo viene ancora spesso bistrattato. Ci sono molte aziende che coltivano le insalate e dunque molte opportunità da sfruttare. Le foglie sono belle da vedere e quando le propongo, mi piace mantenerne la forma originale, conservandone il ciuffo, che garantisce un tono di croccantezza. L’importante è che sia sempre fresca e viva». Attualmente nel menu Andrea Berton propone un’insalata composta da lollo rossa con crema di lamponi e mandorle, gamberi e schie fritte (gamberetti tipici della laguna veneta), condita con sale, pepe e olio extravergine.

7 maggio - giugno 2022

Stefano Baiocco

La ristorazione guarda al futuro

TRE IMPORTANTI CONSULENTI DEL SETTORE RACCONTANO QUALI SONO I NUOVI TREND DI BAR, RISTORANTI E ALBERGHI

Locali sempre più specializzati, menù hi-tech e sempre più fluidi. Tra ibridazioni e contaminazioni, la ristorazione guarda al futuro, oltre la pandemia e i rincari dei prezzi, dalle materie prime all’energia. Lo fa con ritrovato entusiasmo, dopo anni da dimenticare, confidando nei segnali di ripresa e voglia di uscire a pranzo e cena. Con cicatrici e ammaccature, ci si risolleva a colpi di marketing, strategie e competenze. La pandemia ha dato un’importante spinta verso la rivoluzione digitale, che si è tradotta in un proliferare di menù con Qr code, App, siti per ordini online, pagamenti contactless e chiamate wireless per i camerieri. La crisi economica, già in atto da anni, sommata all’emergenza Covid, ha esasperato la forbice tra locali di lusso e pop, gettando nello sconforto la ristorazione media, che rappresenta una fetta importante del comparto dei pubblici esercizi. Scricchiolano anche formule “all you can eat” e i buffet - sostanzialmente banditi durante la pandemia - non saranno più gli stessi. A vedere però decisamente in bilico la propria sopravvivenza in questa competizione evolutiva sono i locali senza specializzazione: per chi propone sia menù di terra che di mare e magari pure la pizza, sia a pranzo che a cena, la strada verso il futuro è davvero ripida e tortuosa, per non dire sbarrata. Non si arresta l’ascesa delle food court e dello street food, sempre però a caccia di autenticità, tipicità e di quel valore aggiunto che un’esperienza gastronomica deve ormai portare con sé. Sempre più attuale l’apertura di dark kitchen per far fronte alle crescenti consegne in delivery o asporto. La ristorazione in hotel diventa sempre più un asset importante, come lounge, bistrot e lobby bar. Sono queste alcune tra le principali tendenze rilevate da tre consulenti esperti del settore, che abbiamo intervistato per fare il punto sui nuovi trend che guideranno il futuro dei pubblici esercizi e del turismo.

GAP SEMPRE PIÙ ACCENTUATO TRA LUXURY E POP

Per Lorenzo Ferrari, fondatore e Ceo di Ristoratore Top, primaria azienda di marketing del settore, fare previsioni è sempre fuorviante, ma i macro trend del mercato sono abbastanza delineati ed evidenti. «Ogni volta che si fanno previsioni si toppa -afferma-. Si è parlato di sostenibilità e sembrava che non si potesse rinunciare alla svolta green, quando alla prova dei fatti risulta irrilevante nella scelta del locale». I conti si fanno soprattutto (ma, ovviamente non solo) con il portafoglio: «I cosiddetti locali accessibili per scontrino, ma percepiti come “cool”, spopolano, così come quelli “casual”. Penso all’osteria rimodernata, cui ci si affeziona sempre e comunque. È sempre più in voga concedersi ogni tanto anche il lusso di un ristorante stellato, una gratificazione per occasioni speciali, che per molti diventa quasi un hobby, da portare avanti con passione concedendosi gite gourmet. La forbice è sempre più larga tra luxury e pop: i locali inaccessibili ai più mantengono il loro appeal e continuano a essere attrattivi. Valga il dato record di sempre di fatturato nel 2021, anno disastroso per l’economia, per lo Champagne». Se c’è chi bada a etichette, ambiente e lusso esibito, c’è ancora chi punta

dritto alla sostanza: «I locali accessibili per prezzo, ma spartani e senza pretese, ottengono nuovi consensi. Basti guardare ai social: in pochi mesi dalla creazione del gruppo facebook “Mangiare bene spendendo poco” si sono ottenuti oltre 100mila iscritti in tutta Italia». A non tramontare sono i locali che restano impressi nel cuore: «Le occasioni di uscire e provare cibi diversi ed etnici si moltiplicano, ma ci sono indirizzi storici che servono intere generazioni di famiglie e che continuano a riportarci ai loro tavoli, insegnandoci il valore della fidelizzazione più spontanea e autentica». Il punto fermo per la ristorazione che verrà è che senza specializzazione non si va da nessuna parte: «Fino a dieci anni fa erano tanti gli appassionati ad aprire locali, magari investendo risparmi o liquidazione. Ora i ristoratori sono non solo professionisti ma sempre più imprenditori. La specializzazione è fondamentale anche nel format: per chi propone tutto senza specializzarsi in nulla, il futuro è in bilico. E ciò vale anche per il classico bar con espositori di prodotti industriali tutti uguali, dove si va più per reale necessità o vicinanza, che per convinzione o piacere».

9 maggio
- giugno 2022
© Nico Abbruzzese
Lorenzo Ferrari

Giacomo Pini, amministratore di Gp Studios, società di consulenza e formazione attiva nel mondo del turismo e della ristorazione, evidenzia come tutto ruoti attorno all’esperienza e all’identità: « Le food court proposte nei centri commerciali da decenni, tornano al cuore delle città, nelle piazze, nei city walk e nei punti panoramici. I mercati coperti diventano gourmet e attrattivi. Le occasioni di consumo si moltiplicano ma esaltano sempre l’identità dei luoghi, dal cartoccio di fritto gustato per le vie di Napoli al lampredotto al mercato di Firenze». Non mancano contaminazioni interessanti: «Nei bar si trovano colazioni sempre più simili a resort e hotel e, di contro, gli alberghi guardano finalmente alla ristorazione come ad un’opportunità interessante su cui puntare. Anni fa c’era una certa resistenza ad andare in hotel a mangiare, ora è diventato un plus. Gli hotel, specie in posizioni strategiche o panoramiche, catturano sempre più l’attenzione della clientela esterna». I menù si fanno più fluidi e snelli: «Scompare la canonica successione antipasto, primo e secondo. Si punta agli assaggi, “para picar”, che favoriscono la convivialità e rappresentano un’occasione di provare più piatti, oltre ad aumentare le possibilità di consumo. Ci sono i piatti principali, abbinati come nella tradizione anglosassone dei “main course” a contorni. E poi ci sono gli irrinunciabili, signature dish: le specialità della casa sono evidenziate ormai in tutti i locali». La carta dei vini diventa più smart: «C’è sempre un certo timore nella

consultazione, percepita per esperti, per non dire sommelier. I menù più innovativi abbandonano la divisione per regioni dei vini e propongono icone o etichette, di più facile consultazione, che magari suggeriscono abbinamenti. Non possono mancare i vini di pronta beva e quelli “genderless” con cui iniziare e finire quasi qualsiasi pasto». Quanto alla proposta, continua il momento felice di cibo salutare: «Pokè e sushi restano sempre attrattivi e ormai sono diventati quasi un appuntamento fisso settimanale per molti. Anche in virtù di questa popolarità, per effetto-traino, il crudo, dalle carni, alle verdure al pesce sta conquistando posizioni e si concilia alla perfezione con regimi dietetici anche restrittivi».

RISTORAZIONE, UN NUOVO ASSET PER L’HOTELLERIE

Mauro

«È l’eredità più evidente che ci lasciano questi due anni di pandemia, con effetti opposti per altro: per alcuni rappresenta un’importante integrazione di fatturato per assicurare delivery e asporto, per altri un’inevitabile perdita di denaro. Le cucine degli alberghi, per la maggior parte poco utilizzate, si prestano a questo tipo di utilizzo fino ad assumere valori importanti per volumi d’affari: a Dubai ci sono hotel che propongono anche quindici tipologie diverse di ristorazione per soddisfare le richieste esterne in delivery e assicurare il room service 24 ore su 24». L’hotel diventa in generale più accessibile e informale, proponendo spesso il concetto di spazi ibridi, introducendo l’all day dining, rivoluzionando la colazione e aprendo le proprie lounge e lobby bar all’esterno: «Gli spazi si moltiplicano e specializzano, con l’obiettivo di allungare la permanenza e attrarre anche una clientela esterna. Il mondo del lifestyle hotel è la tendenza attuale. Se la ristorazione ha vissuto

momenti critici in passato o è stata vista come un servizio da proporre perché necessario, ma senza passione, investimenti ed entusiasmo, ora è un vero e proprio asset. E non solo per i ristoranti stellati in hotel, che hanno fatto scuola in questo. Ora gli hotel sono un punto di riferimento per i quartieri, un posto dove concedersi un aperitivo, un drink dopocena, un business lunch o un buon caffè in giardino o terrazza». Il riposizionamento dei ristoranti degli alberghi è legato al loro stesso futuro: «Prima si cenava in hotel perché era comodo, ora accade quasi l’inverso: si sceglie l’hotel per la sua ristorazione di qualità. Si vendono camere perché abbinate a cene, colazioni e pranzi gourmet». Non mancano infine proposte curiose e insolite, perché in un mercato a sempre più elevata specializzazione, le nicchie assumono una posizione di crescente interesse. «Penso al ristorante per gatti nell’hotel specializzato nell’accoglienza dei felini. O, senza arrivare a questi estremi, a chi si specializza in cibo healthy, veg o a chi punta sulla sostenibilità, un tema particolarmente attuale anche per far fronte ai rincari energetici».

10 maggio - giugno 2022

Santinato, presidente di Teamwork, società di consulenza e formazione nell’hospitality, rileva un vero e proprio boom di dark kitchen e ghost kitchen.
MENÙ LIBERI E RISTORAZIONE SENZA ORARIO
Giacomo Pini © Salvatori Mauro Santinato
11 maggio - giugno 2022 3 SPOPOLANO I LOCALI COOL E CASUAL 3 È SEMPRE PIÙ IN VOGA CONCEDERSI OGNI TANTO IL LUSSO DI UN RISTORANTE STELLATO 3 LE FOOD COURT TORNANO NEL CUORE DELLE CITTÀ 3 I MERCATI COPERTI DIVENTANO GOURMET E ATTRATTIVI 3 GLI HOTEL CATTURANO SEMPRE PIÙ L’ATTENZIONE DELLA CLIENTELA ESTERNA 3 I MENÙ SI FANNO PIÙ FLUIDI E SNELLI E LA CARTA DEI VINI DIVENTA PIÙ SMART 3 LA SPECIALIZZAZIONE È L'ARMA VINCENTE Le tendenze MEMO

Tajine, in tavola la cultura marocchina

maggio - giugno 2022

IL RECIPIENTE IN TERRACOTTA SMALTATA E COLORATA RACCHIUDE TUTTA LA TRADIZIONE DI UN TERRITORIO. IL COPERCHIO DALLA FORMA CONICA ESALTA I SAPORI DEGLI INGREDIENTI

Se siete stati in vacanza in Marocco sicuramente avrete assaggiato il tajine, specialità di carne o pesce in umido, tipica della cucina maghrebina, che prende il nome dal caratteristico tegame in terracotta di origine berbera in cui viene cotta. Il termine al femminile indica, infatti, la pentola, al maschile le ricette. Spesso decorata, smaltata e colorata, la tajine è un manufatto artigianale, realizzata in terracotta e dalla grandezza variabile: è composta da un piatto abbastanza largo e con i bordi bassi e rialzati, dove sono riposti gli ingredienti da cucinare, e un coperchio a forma di cono con un foro centrale che viene appoggiato sopra durante la cottura e permette alla condensa che si forma all’interno di scendere verso il basso impregnando gli alimenti dei loro aromi. La tajine si porta direttamente in tavola: il coperchio viene rimosso e tutti i commensali si siedono davanti al piatto, mangiando con le mani, usando il pane arabo. Abbiamo chiesto a My Allal Eddarbali, 37 anni, cuoco italiano, originario di Marrakech, che per undici anni ha vissuto e lavorato a Treviglio, i segreti del perfetto tajine. Eddarbali è arrivato in Italia da ragazzino insieme al padre, dapprima stabilendosi nel Cagliaritano, dove si è formato alla scuola alberghiera come cuoco; poi è stato raggiunto dal resto della famiglia. Per due anni ha vissuto a Vailate, poi nella città della Bassa, trovando lavoro come cuoco al “Charleston” e al ristorante “Il Santuario” di Treviglio, a “L’Agua de Coco di Brignano” e presso ”Original Bierfest” di Stezzano. Nell’agosto del 2019 si è trasferito in Francia, a Thionville, dove vive insieme alla moglie e la loro bambina. Lavora in un ristorante nella città di Lussemburgo.

UNO STRUMENTO MAGICO

È grande in Marocco la produzione di questa antica e tipica pentola, così come di bicchieri e piatti in terracotta. Tutt’oggi nel Paese nordafricano è usata secondo la tradizione. «La vera tajine è posta sulle braci, a fuoco basso per una cottura lenta, mantenendo sempre il coperchio a cono, senza mai mescolare - afferma Eddarbali -. Alcune tajine sono prodotti d’artigianato fragili. Solo oggi i piatti hanno un fondo di metallo, così che la tajine si possa porre sui fornelli a gas di casa, il tegame può essere anche in ghisa e adattarsi alla piastra a induzione». Esistono poi anche le tajine in porcellana e quelle elettriche, che hanno meno fascino, ma sono comunque molto funzionali. Il prezzo è conveniente, purché sia acquistato sul posto. Una tajine in terracotta, in Marocco, può costare anche solo 5 euro. Oltre a creare pietanze gustose, per il suo aspetto orientaleggiante, è bella da mostrare.

IL SEGRETO? LA COTTURA LENTA

Il tempo di cottura del tajine varia a seconda delle pietanze che vengono cucinate. Ad esempio, le verdure cuociono prima, comunque mai meno di due ore. «La cottura è a fuoco lento, in questo modo le verdure si insaporiscono e la carne diventa molto tenera e profumata -aggiunge Eddarbali-. La differenza, rispetto ad altre pentole, è che la forma conica con foro centrale fa sì che i vapori si condensino e ricadano sui cibi che stanno cuocendo, mantenendo così all’interno della tajine gli aromi che di solito vanno persi e rendendo il gusto dei piatti ancora più intenso». La cottura così non prevede chissà quali condimenti e può essere anche definita leggera, perché unisce la stufatura al vapore, dunque è sana e gustosa. «La prima volta che si utilizza la tajine si può acquistare una retina frangifiamma che aiuterà a diffondere meglio il calore sul fondo della pentola», è il consiglio dell’esperto.

GLI INGREDIENTI PER UN PIATTO SPETTACOLARE

La tajine ben si presta per cucinare qualsiasi tipo di carne o pesce, accompagnati da verdure, cous cous e talvolta anche frutta. «Se si va in vacanza ad Agadir, dalla costa sull’Oceano Atlantico, il mio consiglio è di provare il delizioso tajine con seppie, patate e piselli, a Tangeri e Tetouan, che si affacciano sul Mediterraneo, con il pesce spada, la spigola, l’orata e le cozze, arricchito da gambe-

13 maggio
- giugno 2022
My Allal Eddarbali

roni e calamari con aglio, olio, cipolle, patate, peperoni e pomodorini - sono i suggerimenti del cuoco di origine marocchina -. Si può cuocere anche ogni tipo di carne (pollo, manzo, agnello). L’importante è che la cottura sia totale, mai media. Per velocizzare la preparazione, c’è chi cucina a parte la carne in una pentola a pressione». Vista la durata molto lunga delle cotture è importante assicurare l’umidità agli ingredienti che si desiderano preparare, aggiungendo una tazza di acqua prima di porre la pentola sul fuoco o scegliendo cibi che la rilasciano. È fondamentale la collocazione: al centro della tajine vanno messi i cibi dalla cottura più lunga, poiché è lì che il calore sarà massimo, mantenendo il fuoco sempre basso. Il vapore che esce dall’alto della pentola è la garanzia del giusto metodo di cottura.

DA PROVARE ALMENO UNA VOLTA

I piatti più famosi e conosciuti che si cucinano nella tajine sono il mqualli, a base di pollo tagliato a pezzi con limone e olive, il kefta, ovvero carne tritata, di agnello o manzo o di entrambi, aromatizzata con paprika e cumino e cipolla e trasformata in polpette con l’aggiunta di uova, e il mrouzia, carne di agnello addolcita con miele, prugne, uvetta, che viene servita con un spezie e mandorle tostate. C’è anche il tajine di carne e fichi con zenzero, cannella, miele, pepe e cipolla. Gli ingredienti fondamentali sono le spezie, come curcuma, zenzero, zafferano, pepe, aglio, che aggiungono molto sapore agli ingredienti. Anche le uova sono utilizzate spesso, come nel tajine bel-bayd, una sorta di stufato di agnello con mandorle, buccia di limone, zafferano, coriandolo fresco e uova sode divise a spicchietti.

PANE AL POSTO DELLE POSATE

Il tajine secondo la tradizione berbera è gustato dai commensali seduti su panche sistemate attorno alla tajine posta su una panca più alta. Le mani e il pane arabo sostituiscono le nostre posate. Il pane arabo ha origini turche: è molto morbido, schiacciato, può essere realizzato in casa con o senza lievito; l’impasto ricorda la piadina. Per prepararlo è necessario disporre la farina a fontana e mettere al centro il lievito sciolto nell’acqua e il sale. Si procede incorporando piano piano la farina fino a ottenere un impasto elastico e morbido. Quando il composto è omogeneo, lo si copre con uno strofinaccio e lo si lascia lievitare per due ore. A questo punto, si divide l’impasto in palline dalle dimensioni uguali che vengono stese, lasciandole alte circa un centimetro e mezzo. Nel frattempo, va preriscaldato il forno a 240°, lasciando all’interno la teglia in cui si cuocerà il pane arabo. Quando sarà caldo, si appoggeranno i dischi di impasto sulla teglia foderata con carta da forno, lasciandoli nel forno per una decina di minuti. Quando il pane comincerà a colorarsi, lo si toglierà dal forno. Potrà essere gustato farcito a proprio piacimento o come accompagnamento e “posata” per il tajine.

14 maggio - giugno 2022

MQUALLI

TAJINE DI POLLO CON OLIVE E LIMONE

Ingredienti per 4 persone

3 1,2 kg di cosce e sovracosce di pollo 3 2 limoni

3 150 g di olive verdi 3 2 cipolle 3 8 pomodorini

3 1 spicchio d’aglio 3 2 cm di radice di zenzero 3 1 cucchiaino di curcuma 3 4 chiodi di garofano

3 1/2 cucchiaino di zafferano

3 1 cucchiaino di paprika piccante 3 1/2 cucchiaino di cannella 3 500 ml di brodo di carne 3 prezzemolo fresco tritato 3 sale e pepe q.b. 3 olio extra vergine di oliva q.b.

Procedimento

Nella casseruola rosolare i pezzi di pollo fino a dorarli.

Affettare la cipolla sottilmente e metteterla nella tajine. Aggiungere aglio e zenzero tritati e due cucchiai di olio. Cuocere per 10 minuti circa. Poi unire i pomodorini e cuocere per altri 4 minuti. A questo punto aggiungere le cosce di pollo, unire tutte le spezie, il sale, la polpa di un limone (togliendo tutti i semi) e aggiungere il brodo.

Coprire il tutto con il coperchio e cuocere per 40 minuti. Trascorso il tempo aggiungere le olive, le fettine di un limone, il prezzemolo tritato e proseguire la cottura per altri 10 minuti. Servire in tavola con il pane arabo.

15 maggio - giugno 2022
RICETTA

I licheni amari e intriganti

Sono ormai alcuni anni che la cucina di montagna sta cercando di caratterizzarsi sempre più e non per gli usi tradizionali e i prodotti a cui siamo soliti fare riferimento, come salumi e preziosi tesori caseari. L’utilizzo infatti dei prodotti che si possono reperire direttamente nei pascoli e nei boschi, anche detto foraging, sta esplodendo nel mondo professionale, così come la tendenza a trasformare le materie prime utilizzando processi ancestrali e totalmente naturali, come le fermentazioni. Nonostante non si sia scoperto nulla di nuovo, si può affermare però sia nato un vero e proprio concetto nuovo: la cucina alpina, che pone le basi sulla cucina nordica. Pionieri in questo due chef di alto livello: lo chef pluristellato Norbert Niederkofler e il non meno valoroso Alessandro Gilmozzi,

16 maggio - giugno 2022
E
SULLE NOSTRE TAVOLE
OGGI SONO UTILIZZATI
ANCHE
DAGLI CHEF CHE GUARDANO AL FUTURO

anch’esso vanta la stella Michelin, con il suo ristorante in Val di Fiemme. Ecco che affumicature, cotture alla brace, pesci d’acqua dolce, muschi e altri prodotti “di montagna” caratterizzano la proposta, designando confini e stili. Uno dei prodotti che inizia a comparire in alcuni piatti è il lichene. Non è un prodotto nuovo, questo è certo, ma sono molte le persone che non l’hanno mai assaggiato e che poco sanno delle sue caratteristiche. Mea Tagliaferri, cuoca dell’Hotel Ristorante San Marco di Schilpario (Bg), in frazione Pradella, li propone da sempre nella sua cucina. Grande appassionata e conoscitrice di tutti i prodotti di montagna, da decenni raccoglie erbe, fiori e li utilizza con grande cultura nelle sue ricette. E così, da sempre, propone anche un classico delle cucine di casa della Val di Scalve: i licheni con le patate. «A Schilpario (e in tutte le zone alpine) i licheni si sono sempre mangiati: venivano raccolti, essiccati e poi, nelle serate invernali, messi a bagna e sbollentati» racconta ancora Mea. La tradizione era quella di servirli tiepidi con un’insalata di patate, mentre a volte con dello stoccafisso prima bagnato e poi cotto in acqua bollente. Ma come si utilizzano? Mea li raccoglie e poi li fa essiccare, al fine di conservarli al meglio. Prima dell’utilizzo, vanno messi in ammollo, poi si sbollentano. Il tocco che li rende golosi consiste nell’aggiungere una parte acida, come aceto di mele o balsamico, per smorzare la loro gradevole nota amara. La consistenza è croccante e piacevole per il palato. Se ci spostiamo un poco più verso la Valle Camonica, in provincia di Brescia, in particolare Al Resù di Lozio, anche la giovanissima Greta Gemmi li utilizza nella sua cucina. Sempre sorvegliata dalla nonna Angela, da cui ha assorbito passione e competenza, propone una cucina contemporanea, di ricerca, di studio. Dalla cucina legata alla tradizione di Mea, passiamo alla curiosità e alla voglia di fare di Greta, che nel suo ristorante punta a valorizzare gli

BACCHE, ERBE SPONTANEE, CENERE E RADICI SONO DIVENTATI PARTE IMPORTANTE DI UNA CUCINA CHE VALORIZZA MATERIE PRIME SEMPLICI E POVERE

elementi che le sue montagne le offrono con fermentazioni garbate e lavorazioni particolari, proprie di una cucina moderna che guarda al futuro. Ai suoi tavoli, in questa stagione i licheni vengono proposti in abbinamento alla tartare di capretto, con una spuma di tuorlo d’uovo, primule ed aceto di sambuco. Un piatto che valorizza la complessità aromatica della carne di capretto, unita alla dolcezza della spuma d’uovo, l’amaricanza del lichene e la freschezza dell’aceto di sambuco. Insomma, un piatto in grado di valorizzare per bene la montagna, la primavera e i prodotti che essa offre. Il lichene islandico è sostanzialmente un organismo vegetale nato dalla simbiosi tra un fungo e un’alga. Semplificando al massimo, si potrebbe affermare che è proprio questo il motivo per cui riescono a sopravvivere in luoghi poco ospitali, come le zone di montagna, le rocce o le zone polari. Le principali tipologie di lichene sono commestibili e possiamo affermare che la loro tendenza gustativa si rifà al sapore amaro. Un sapore che intriga sempre più e che, se ben utilizzato, può essere apprezzato da tutti. In realtà la natura ci spinge ad evitare i cibi amari: questo perché l’amaro in genere è sinonimo di tossicità, di pericolo. Per questo motivo, durante l’infanzia, viene preferito il sapore dolce. Poi, crescendo, si impara a distinguere e a apprezzare l’amaro nelle sue sfumature; a riconoscere quello che segnala un pericolo di avvelenamento dalla nota ricercata che aggiunge valore a un piatto o a una bevanda. Il lichene dunque è uno dei protagonisti della cucina nordica, che piace sempre più. Bacche, erbe spontanee, legno, cenere, radici e molto altro son diventati parte importante di una cucina che mira a valorizzare materie prime semplici, povere, che arrivano direttamente dalla natura. L’ambizione è quella di affinare la tecnica per imparare a utilizzarle al meglio, con creatività e rispetto, per l’ambiente e l’ospite che dovrà poi gustarle.

17 maggio - giugno 2022
Licheni con le patate di Mea Tagliaferri Tartare di capretto e licheni di Greta Gemmi © Germano Fedriga
18 maggio - giugno 2022 L’INTERVISTA Gennaro Esposito Nel cuore la tradizione Nel piatto la ricerca di
Rosanna Scardi
© Giuseppe Corsini

Èun rinomatissimo chef napoletano, diventato famoso al grande pubblico per la partecipazione a tanti programmi televisivi dedicati ai fornelli. Gennaro Esposito, classe 1970, si avvicina alla cucina da giovanissimo: dopo il diploma alla scuola alberghiera, comincia a studiare con Giancarlo Vissani, incontrato casualmente per i corridoi di Vinitaly. Lo chef umbro invita Gennaro a fare uno stage da lui: è la scoperta di un mondo nuovo, fatto di creatività. Poi il napoletano passa a lavorare nei ristoranti dell’alta cucina di Montecarlo e Parigi di Franck Cerutti e Alain Ducasse, imparandone i segreti. Decide di tornare nella sua terra per mettere in pratica gli insegnamenti acquisiti all’estero e, nel 1992, inaugura il ristorante La Torre del Saracino alla Marina di Seiano, frazione di Vico Equense, che conquista due stelle Michelin e tre forchette Gambero Rosso. Il suo talento è riconosciuto nel forte binomio tra veracità e innovazione. Ma Gennaro Esposito ha anche un passato e ricordi legati a Bergamo.

Esposito, quando ha vissuto a Bergamo e quali sono i suoi ricordi?

Io e la mia famiglia abbiamo vissuto nel cuore di Città Alta, quando allora era considerata un sobborgo e il sogno dei bergamaschi era vivere nei palazzi, nei condomini. Eravamo emigranti, io ero un bambino e mio papà lavorava all’Italcementi. Non era facile integrarsi nel tessuto sociale, ma poi ricordo che ce ne siamo andati piangendo. Si era creata una bellissima chimica. Mia mamma, armata di coraggio e amore, cucinava tanto, per lei era un modo per farci sentire il calore in un momento difficile lontano da casa e dai nostri cari. Ricordo i panini imbottiti che preparava a me e mio fratello e i panini dei nostri compagni.

riesce a farne nessuno. I prodotti ti danno tanti spunti, però la tecnica, la conoscenza, la sapienza ti aiutano a dipingere degli acquerelli fatti di sapori meravigliosi.

Veniamo all’eterno dilemma: pasta liscia o rigata e perché?

Viviamo nell’epoca delle percezioni e, a volte, questo porta a credere che la pasta rigata trattenga meglio il sugo. In realtà, la pasta rigata è imperfetta per sua natura perché il rigo, se lo guardiamo al microscopio, ha una punta e una base: quando le punte saranno cotte, la pasta all’interno sarà ancora cruda e quando le punte saranno perfettamente cotte, all’interno la pasta si sfalderà inevitabilmente nella salsa e appesantirà la magia dell’incontro con la pasta. È come andare a un incontro galante con una bella donna, riempiendosi di profumo. Il troppo storpia, l’eccessiva presenza di amido rende tutto greve, meno elegante e più pesante.

IO E LA MIA FAMIGLIA ABBIAMO VISSUTO IN CITTÀ ALTA, QUANDO ALLORA ERA CONSIDERATA UN SOBBORGO. NON ERA FACILE INTEGRARSI NEL TESSUTO SOCIALE, MA POI RICORDO CHE CE NE SIAMO ANDATI PIANGENDO

Però, negli scaffali dei supermercati abbonda la pasta rigata, la liscia è quasi introvabile… Il supermercato compra quello che il consumatore vuole. Si è perso il ruolo della gastronomia e della salumeria, luoghi dove il cliente comprava ciò che veniva selezionato; il salumiere, da persona esperta e competente, ti avrebbe consigliato la pasta liscia, mentre nella grande distribuzione il tempo è poco, si asseconda il gusto, se ti lasci trasportare dalla corrente non ottieni niente di interessante. Oggi comanda la pubblicità che non ha nulla a che vedere con la qualità. Gli investimenti riguardano il target più ammiccante, lo spot più divertente o che resti più impresso.

È stata sua mamma ad appassionarla alla cucina?

Era una bravissima cuoca, come tante mamme, che ti emozionano con poco, anche solo un uovo e una lattuga, con quelle piccole dotazioni che riescono a rendere grande la cucina italiana, caratterizzata da prodotti semplici e interpreti che la rendono incredibile. Bastano fagioli, patate, cipolle e tanta intelligenza e abilità. La nostra è la cucina dei due dopoguerra, del poco e del sacrificio. Oggi deve essere recuperata nel segno della sostenibilita, del rispetto degli ingredienti e contro lo spreco.

A proposito, secondo lei, contano di più gli ingredienti o la fantasia e le idee?

La buona tavola è una magia di tutte queste cose. C’è chi, con gli stessi ingredienti, prepara dieci piatti, chi non

Una influencer australiana ha scatenato una polemica per un menù “blind”, ovvero senza i prezzi per le donne in un ristorante a Venezia, bollandolo come sessista. Cosa ne pensa?

Abbiamo ereditato un catalogo delle buone maniere, lo stesso galateo oggi appare superato, anche se sono regole che hanno un loro fascino. Non ne farei una polemica, conoscere il prezzo è un’informazione che completa la visione di un ristorante, però, se invito una signora a pranzo o cena, vorrei farle capire che non voglio volgarmente mostrare quanto spenderò per lei, ma voglio semplicemente che si senta bene. Se andiamo io e lei a gustarci uno spaghetto in un locale la situazione è diversa e può starci che portino a entrambi il menù con i prezzi.

19 maggio - giugno 2022

20 maggio - giugno 2022 UFFICI DI TREVIGLIO E PIANURA OCCIDENTALE Siamo aperti lunedì, martedì, mercoledì e venerdì dalle 8.45 alle 12.00 e dalle 14.15 alle 17.00 Ascom Confcommercio è anche vicino a te. Vieni a trovarci! Treviglio via Madreperla 14/c tel. 0363 48404 / 302622 • treviglio@ascombg.it Le TUE ESIGENZE sempre in EVIDENZA

Non esiste un modo, ma esistono tanti modi, purché abbiano a che fare con intelligenza, coerenza e un proprio modo di vedere la vita».

Sappiamo che cucinerà per i Rolling Stones che suoneranno in Italia, in un attesissima tappa a San Siro il 21 giugno. Sì certamente, tutto è nato in occasione del concerto evento al Lucca Summer Festival del 2017, quando ci siamo occupati della parte “family and friends”. C’erano ospiti stravip come Madonna e Vasco Rossi che assaggiavano i piatti del nostro brunch (in particolare ci chiesero un pasticcio di carne o shepherd’s pie e della limonata). Mick Jagger, da divo quale è, non uscì dal camerino. A un certo punto, uno dei suoi assistenti gli portò, prima del concerto, un piatto con il mio risotto agli agrumi, zafferano, gamberi e salsa al finocchietto. Quando iniziò il live e i fan si scatenarono sotto le note della storica rock band inglese, mi avvicinò un collaboratore dei Rolling Stones, domandandomi se avessi cucinato io il risotto. Venne da me con un tegamino con il coperchio, tipo schiscetta, chiedendomi quanto ci volesse per ripetere il piatto, risposi 20 minuti. Allora mi disse: “Quando sentirai “I can’t get no satisfaction”, la quart’ultima canzone, vai a prepararlo perché il signor Jagger vuole portarselo via e gustarselo durante il viaggio”. Ha voluto una vaschetta da tre porzioni, la band era rimasta talmente soddisfatta che ha voluto, quest’anno, fortemente ripetere il servizio di catering.

Chi le piacerebbe avere come ospite nel suo ristorante? E cosa gli preparerebbe?

Avevo promesso a Gualtiero Marchesi di cucinargli uno spaghetto alle vongole in bianco e, quando ci sentivamo al telefono, continuavamo a fare tutta una serie di teorie su come andava fatto e cosa bisognasse evitare di fare, perché è un piatto di grande semplicità e di una raffinatezza estrema. Mi dispiace moltissimo non esserci riuscito. Sarebbe stata un’occasione piacevole. Resta, per me, un grande rimpianto.

Lei è stato giudice di “Junior MasterChef Italia”, “Cuochi d'’Italia”, “Piatto Ricco”, conquistando con la sua simpatia il grande pubblico. Quando la rivedremo in tv?

Dico solo che ci sono diversi progetti, ma mi va anche bene dedicarmi di più al mio ristorante.

Qual è il piatto di Gennaro Esposito da provare almeno una volta nella vita?

Adoro la ricerca, l’avanguardia, la tecnica. Mi piace provare accostamenti diversi, anche con gusti a volte estremi, non “diritti”. Ma ho anche un’anima tradizionale che mi scalda tanto, ho un posto nel mio cuore, dove conservo gelosamente le mie visioni di come si interpreta la tradizione, ho sempre provato a migliorarla anche di un millesimo perché mi diverte centrare il gusto primordiale di una ricetta. In tal senso, se pensiamo alla tradizione, potrebbe essere la genovese, il ragù con cipolla e stracotto di carne, piatti che mi ha divertito tanto recuperare. E poi vale la pena sicuramente provare la zuppa di pesce “minestra di pasta mista” con crostacei e diverse varietà di pesce di scoglio, che quando la mangi ti sembra di averla già incontrata nella tua vita. Racconta il territorio, il pesce, la zuppa. Conquista il palato di un bambino come quello di un ottantenne. E tutti sono felici.

21 maggio - giugno 2022

VALE LA PENA DI PROVARE LA MIA ZUPPA DI PESCE “MINESTRA DI PASTA MISTA” CON CROSTACEI E DIVERSE VARIETÀ DI PESCE DI SCOGLIO, QUANDO LA MANGI TI SEMBRA DI AVERLA GIÀ INCONTRATA NELLA VITA
Le virtù della lentezza
LA COTTURA A BASSA TEMPERATURA AUMENTA LA RESA DEI PRODOTTI, MIGLIORA L'ORGANIZZAZIONE IN CUCINA ED ESALTA LE MATERIE PRIME. LO CHEF GIOVANNI ROTA NE SPIEGA I VANTAGGI ANCHE ECONOMICI
di Laura Bernardi Locatelli

Agli inizi dell’età moderna erano i pentolini lasciati sulle stufe in ghisa dalle donne che uscivano per lavorare nei campi o in fabbrica per ore. Nella storia della cucina contemporanea tutto iniziò negli anni Settanta dal foie-gras: Georges Pralus del Troisgros a Roanne, in Francia, era in cerca di una tecnica che consentisse di ottimizzare conservazione, gusto e ridurre la perdita di peso in cottura di una materia prima così pregiata. Scoprì così che, cuocendolo a bassa temperatura e sottovuoto (sous-vide), a migliorare era non solo il sapore, ma anche la conservazione e gli aromi. Lo chef-scienziato Bruno Gossault e Juan Roca e Narcis Caner misero a punto la tecnica, creando un’attrezzatura ormai irrinunciabile per molti locali come il Roner (nome nato per crasi tra le iniziali dei cognomi dei fondatori Roca e Caner). Dagli albori del foie-gras la cottura a bassa temperatura ha conquistato un numero crescente di consensi e oggi i vantaggi del sous vide ad andamento lento tornano alla ribalta per ottimizzare la gestione del ristorante. E, in tempi in cui i rincari energetici diventano insopportabili, la tecnologia può ridurre – a sorpresa - nonostante le lunghe cotture, i consumi. Giovanni Rota, chef per professione e docente per passione, dall’Accademia del Gusto all’Accademia Gualtiero Marchesi, dal 2019 executive chef de La cucina italiana, invita a guardare alle vasche di cottura con una nuova prospettiva: «Il Roner come altri macchinari per la cottura in sottovuoto a bassa temperatura hanno consumi decisamente inferiori, attorno ai 2 kilowatt, rispetto a un forno professionale che ne richiede in media 18. È errato pensare che sia una tecnologia dispendiosa. Senza contare i vantaggi indiretti che porta con sé, a partire da quello più evidente di triplicare se non quadruplicare la vita dei prodotti». Con una buona organizzazione i costi si abbattono ulteriormente, per non parlare dell’annullamento pressochè totale degli sprechi: «Si possono concentrare gli acquisti, con un risparmio notevole sulla spesa e organizzare il lavoro in cucina in modo di avere pronte salse, porzioni di pesce o carne, basi per dolci... Non ci sono limiti alle preparazioni: dalla salsa alla carbonara alla base per gelati, dal pollo succulento al punto giusto per una Ceasar’s salad a un arrosto di vitello». Oltre al miglioramento della gestione di acquisti e dispensa, a trarre enormi vantaggi è la programmazione del lavoro: «Si possono ottimizzare i tempi, programmando la cottura quando la cucina non è operativa, oltre a sfruttare al meglio gli spazi -continua Rota-. Si migliorano i tempi di servizio grazie alla diminuzione dei vari passaggi se possiamo contare su una buona “scorta” di basi pronte o cotture solo da ultimare o, ancora, rigenerare. Non mancano i vantaggi indotti, dal minor quantitativo di attrezzature da lavare alla migliore salubrità dell’aria e dell’ambiente in cucina». La cottura avvenendo per conduzione e in sottovuoto, con un’ulteriore garanzia rispetto alla prevenzione di possibili contaminazione batteriche e in atmosfera

La tecnica

carni, verdure e aromi

sacchetti confezionamento sottovuoto vasca dell'acqua

controllo della temperatura

riscaldamento veloce lunga conservazione succulenza pochi grassi

23 maggio - giugno 2022

modificata, esalta in particolare le carni ricche di collagene o a muscolatura mista: «Tagli come la spalla o il reale stupiscono in morbidezza -continua-. La cottura lentissima fa coagulare lentamente le proteine e rende morbido il collagene. Si esaltano così anche tagli meno pregiati che, grazie a questa tecnica, nulla hanno da invidiare alle parti più nobili. Si possono quindi ampliare le scelte all’interno del menù con tagli desueti ed economici, difficili da lavorare con tecniche tradizionali». La cottura a bassa temperatura può essere sostitutiva e migliore rispetto alle tecniche tradizionali per arrosti o bolliti, alternativa per la preparazione di alcune verdure o ricette di mare, con i vantaggi però di una maggiore vita e conservazione perfetta: «L’ossidazione è azzerata e i colori risultano così vivi e brillanti, una vera gioia per gli occhi -continua lo chef-. Non si disperdono i profumi che sprigioneranno tutta la loro invitante carica quando si aprirà il sacchetto. A essere garantita è anche la compattezza degli alimenti. Il mantenimento dei succhi del pesce sorprende il palato e, tra i plus, c’è la possibilità di cotture confit o in liquidi di governo. Nel caso delle verdure si può andare a migliorare la texture, oltre al taglio e al colore; è particolarmente interessante anche l’aromatizzazione con l’osmosi». I vantaggi sono considerevoli sul fronte della sicurezza alimentare:«Viene totalmente inibita la proliferazione batterica aerobica e si azzerano anche i rischi di contaminazione incrociata». Per arrivare a ottenere il meglio da questa tecnica di cottura serve però investire tempo e risorse in sperimentazioni: «Il superamento del punto di cottura è difficile con questa tecnica, ma non impossibile -spiega il docente-. Può capitare più frequentemente con le carni bianche o grigie che in overcooking subiscono in modo deciso la denaturazione delle proteine, risultando spappolate al palato. La conoscenza della materia prima è fondamentale, penso all’età dell’animale, al tipo di allevamento e alla frollatura nel caso delle carni. Ad essere insostituibile è però la bilancia oltre al metro: va sempre valutata con cura la pezzatura che si va a cuocere, non solo in termini di peso, ma, ovviamente di spessore. Una volta messi a punto tempi e modalità non resta che vivere in un certo senso di rendita, perché si possono avviare con successo diverse preparazioni incrementando in modo considerevole l’efficienza in cucina». Molta attenzione va prestata nella preparazione che precede il tuffo in vasca in sottovuoto: via libera quindi a marinature, affumicature e all’utilizzo di grassi neutri o aromatizzati: «Un limite, se così lo si può definire, della cottura a bassa temperatura è che le spezie per esprimersi al meglio vanno tostate: un escamotage di successo può essere il ricorso a oli speziati -precisa Rota-. Anche vini e altri alcol vanno de-alcolati preventivamente tramite bollitura, per scongiurare il rischio di trasmettere aromi amari o sgradevoli. Vanno usati con cura anche succhi ricchi di

LA COTTURA IN SOTTOVUOTO A BASSA TEMPERATURA CONSUMA ATTORNO AI 2 KILOWATT, IL FORNO PROFESSIONALE NE RICHIEDE IN MEDIA 18

enzimi, in particolare zenzero, kiwi e ananas, che possono andare ad alterare o scomporre le fibre proteiche». La stessa cura della preparazione va posta nella conservazione: «Una volta che il nostro alimento è stato cotto se non viene consumato immediatamente si può scegliere se cuocere e abbattere a temperature positive (comprese tra 0 e 2 gradi), abbattere e freezare a 18 o 20 gradi sottozero oppure decidere dopo opportuna abbattitura di lavorare l’alimento a freddo e successivamente congelare (cook, chill and freeze)». Nonostante i benefit superino di gran lunga le difficoltà, non manca ancora una certa resistenza da parte della ristorazione: «Persuadere gli chef a volte non è semplice -allarga le braccia Rota. Sono comunque sempre più i cuochi ad annoverare la tecnica tra quelle insostituibili. Fatta eccezione per i cereali e i suoi derivati che non risultano così gradevoli cotti a bassa temperatura e tagli di carne che richiedono cotture rapide e ad elevate temperature, i plus sono davvero tanti. E non solo per il gusto, ma per la resa, l’azzeramento degli sprechi, il miglioramento di spesa e dispensa e un notevole risparmio sul combustibile».

GUIDA ALLA COTTURA DEL PESCE

PRODOTTO TEMPERATURA TEMPO

Anguilla 59°C 10 minuti

Calamaretto 55°C 7 minuti Calamaro 65°C 25 minuti Cernia 55°C 45 minuti Merluzzo 65°C 30 minuti Nasello 60°C 12 minuti

Pesce spada 50°C 12-15 minuti Rana pescatrice 60°C 12 minuti

Salmone 65°C 14 minuti

Seppia 64°C 10 ore

Sgombro 55°C 13 minuti Sogliola 56°C 20 minuti Spigola 60°C 12 minuti

Tonno 50°C 11 minuti

Triglia 55°C 5 minuti

24 maggio - giugno 2022

RICETTA

POLPO AL NATURALE

di Giovanni Rota

Ingredienti: 1 polpo da 1,5 kg

Procedimento:

Pulire il polpo e tagliarlo per separare i tentacoli e la testa. Eliminare la pelle dalla testa e fai arricciare i tentacoli tuffandoli per pochi secondi in acqua bollente e salata, dopodiché abbatterli in positivo. Una volta raffreddati, inserire i tentacoli e la testa nella busta da cottura e condizionare il sottovuoto. Cuocere a 72°C per 7 ore circa. A cottura ultimata aprire la busta, separare il polpo dal suo liquido di cottura e abbatterlo in positivo. Trasferire il liquido di cottura in una casseruola e farlo ridurre della metà, poi filtrarlo e abbatterlo di nuovo in positivo. Questa essenza di polpo potrà servire per altre ricette oppure potrà essere inserita nelle future cotture del polpo per infondere un gusto più ricco e profondo.

Nota: il peso del polpo è indicativo, il base alla pezzatura sarà sufficiente aumentare o diminuire il tempo di cottura e controllare con il tatto la consistenza. L’arricciatura dei tentacoli in acqua bollante è stata aggiunta solo per fini estetici.

25 maggio - giugno 2022

Storie di una cucina dimenticata

Alberto Capatti, è uno dei più noti storici della gastronomia italiana ed è stato il primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo: nel suo “Piccolo atlante dei cibi perduti, storie di cucina dimenticata” (Slow Food Editore, 16,50 euro) raccoglie 80 schede-racconto che riportano in vita cibi e ricette dagli anni ’30 in poi, attinti come da un negozio di antiquariato.

Capatti, questi piatti stravaganti sono arrivati ai giorni nostri?

Certo, ci sono piatti con la polenta e i fagioli che si sono trasmessi, ricette che mostrano una trasmissione continua e lenta, i cibi dimenticati e perduti sono per me, per definizione, approcci al cibo, alla preparazione e agli ingredienti anomali. Ne ho trovati di tutti i colori, Ilaria Rattazzi negli anni ‘80 consiglia di spalmare lo yogurt sulla

26 maggio - giugno 2022
di Rosanna Scardi
TANTE RICETTE RACCOLTE E RACCONTATE NEL RICETTARIO INCREDIBILE DI ALBERTO CAPATTI

faccia prima di dormire perché facilita il sonno e la bellezza, lo suggerisce anche come rimedio per una sbronza; in un ricettario d’alto profilo del 1938, ristampato nel ’70, come “La cucina pratica” di Mario Borrini, cuoco di transatlantici, si riportano i maccheroni all’inglese, bolliti e serviti nella fondina con accanto un piattino con riccioli di burro, da aggiungere a discrezione. Per la prima volta la pasta era all’italiana e non più versata su contorni e in margine alle verdure.

Ci sono ricette che si sono rivelate futuriste? Sì, come l’arrosto in casseruola vegetariano. Ne parla il libro “Cucina vegetariana” scritto nel 1932 dal duca Enrico Alliata di Salaparuta. È una miscela di lenticchie, fagioli, piselli, usato ancora oggi. La polpetta di carne o l’hamburger si possono imitare cuocendo legumi. L’autore mi dà un meraviglioso sistema di piatti vegetariani, aggiungendo un’appendice sul crudismo. Per quell’epoca era una singolarità.

Qual è il piatto più singolare?

Il cuor di bue alla comunista, trovato nel ricettario di Reggio Emilia “La cuciniera maestra”, quando il termine “comunista” non aveva il significato che avrà in seguito, ma voleva dire popolare. Il cuore è spaccato in due senza dividere le due parti per facilitarne la cottura, poi si mette in un bagno con acqua, molto vino bianco e un bicchiere di grappa; si lascia cuocere per quattro ore e garantisco che è delizioso. Pesa un chilo e mezzo e sfama una bella tavolata. Ma nessuno oggi si sognerebbe di chiedere al macellaio un cuor di bue.

E poi ci sono occhio, orecchie, sangue che per noi non esistono più.

L’occhio di vitello, lessato, raffreddato e cotto allo spiedo con fettine di lardo, oppure alle uova, fritto o alla parmigiana, è ripetibilissimo. Mio nipote, lo chef Momi, dal ristorante a Blevio, sul Lago di Como, me lo ha preparato e servito in una sorta di lungo bicchiere: l’occhio era in fondo e mi guardava. Le orecchie di maiale, lessate ai funghi o fritte, sono andate perdute, mentre le zampe di pollo le ritrovo, farcite, nei supermercati a Firenze. Il sangue del maiale macellato in casa è citato col cioccolato fondente, in un dolce napoletano, il sanguinaccio, ma oggi è interdetto, dunque un ricordo nostalgico.

Veniamo ad altre stranezze: cosa ci dice di lucertole e della sogliola al ferro da stiro? Le code di lucertola brodettate rappresentano una bizzarria. La sogliola al ferro da stiro è pura fantasia, che ho trovato in “Cuochifatui” di Pier Paolo Cornieti: suggerisce di mettere la sogliola lavata e preparata, dunque il filetto, dentro un panno e di cuocerla mettendo sopra il ferro. Poi la si “stira”. Bastano, a seconda della temperatura del vapore, 3-4 minuti.

E le rane?

La rana toro di origine asiatica ha soppiantato negli allevamenti la rana di fiume. “La pacciada” di Luigi Veronelli e Gianni Brera, nel 1973, ne menziona 15 ricette: fritte dorate, nel risotto, nella zuppa, in frittata; nella sua infanzia a Milano Veronelli ricorda il venditore con la sua borsa strapiena di rane che, nelle strade, richiamava l’attenzione dei clienti.

I cibi dimenticati cosa possono insegnarci oggi?

Ci fanno capire quanto la fantasia, in cucina, sia estremamente importante, anche nel linguaggio. Un esempio è la minestra col fischio, ovvero d’eccellenza, citata nel libro “Alla ricerca dei sapori perduti nell’Appennino Bolognese” del 1993 a cura di Giorgio Maioli e Giancarlo Roversi. Una minestra banale, preparata con sugo di pancetta a dadini e conserva di pomodoro. Se invito qualcuno a cena e gli propongo una minestra col fischio si chiederà dove e cosa sia. Allora, il gioco è fatto.

Il frigorifero come ha rivoluzionato la cucina?

La sua introduzione ha radicalmente cambiato il tempo in cucina, dal punto della conservazione e della disponibilità. Non ci sono stagioni con i piselli, che sono sempre in freezer. Il frigo del 1954 aveva solo una cassetta con ghiaccio ed era un contenitore con tanti allestimenti: i cibi con odori marcati come il formaggio o profumi intensi come la frutta andavano in alto; in basso, quelli che avevano bisogno di freddo intenso, come la carne cruda.

Le massaie di allora avevano sistemi e manutenzioni del frigorifero che sono andate perdute. Poi i surgelati hanno creato una nuova cucina.

Il capitolo finale è dedicato alle nonne. Cosa rappresentano?

Le nonne sono tradizione e trasmissione di un sapere perduto. Nella loro cucina si trova l’impossibile, come il gatto arrosto nelle province di Vicenza e Padova o l’olio autarchico prodotto ai tempi del duce, preparato in casa con i grassi disponibili. Le nonne vincono sempre.

27 maggio - giugno 2022

Alberto Capatti

Olio di girasole cercasi

SCARSEGGIANO LE SCORTE MA LE ALTERNATIVE NON MANCANO. ECCO I CONSIGLI DELLA BIOLOGA NUTRIZIONISTA ANNA VILLARINI

Anche il mondo agroalimentare soffre la guerra in Ucraina e molti prodotti sono diventati difficili da reperire. Uno fra questi è sicuramente l’olio di girasole che oltre a essere introvabile è anche molto caro. Ma più che ai consumatori, l’improvvisa mancanza dell’olio di girasole sta causando non poche preoccupazioni all’industria alimentare che ne utilizza una notevole quantità per la produzione di conserve, salse, maionese, condimenti. Stessi timori anche nel mondo Horeca e della ristorazione dove i consumi di olio di girasole sono importanti per le fritture. Quello di girasole è infatti da sempre l’olio più utilizzato per friggere ed è apprezzato in ogni cucina grazie al suo gusto meno marcato rispetto all’olio d’oliva e al buon punto di fumo, intorno ai 225°. Come fare? Se in questo periodo le scorte scarseggiano, le alternative all’olio di semi di girasole ci sono. E non devono spaventare. Basta conoscere i differenti oli e saperli utilizzare. La parola d’ordine è varietà, insito valore aggiunto del patrimonio enogastronomico italiano e dei tanti prodotti della Dieta mediterranea, a cominciare da sua “maestà” l’olio extravergine di oliva: «Di certo l’olio evo è il più adatto per le fritture ma non garantisce sempre risultati ottimali in termini di sapore, anche se senza dubbio è il migliore sotto il profilo nutrizionale e salutistico -spiega la biologa Anna Villarini, nutrizionista dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano-. L’olio extravergine d'oliva è ricco di acidi grassi monoinsaturi e ha una fondamentale funzione antiossidante, grazie soprattutto ai tantissimi polifenoli e alla vitamina E. A crudo è sempre il più appropriato».

sostituto dell'olio di girasole, soprattutto per la cottura al forno. Ha un aroma deciso ed è appunto indicato per le preparazioni di dolci e i grassi saturi che sono a catena corta e quindi decisamente più salutari dei grassi del burro».

SERVE CONOSCERE I DIFFERENTI OLI E SAPERLI UTILIZZARE. LA PAROLA D’ORDINE È VARIETÀ, INSITO VALORE AGGIUNTO DEL PATRIMONIO ENOGASTRONOMICO ITALIANO E DEI TANTI PRODOTTI DELLA DIETA MEDITERRANEA

Per gli chef che non vogliono rinunciare ai fritti, invece, via libera all’olio di arachidi, dal gusto leggero e altrettanto delicato come l'olio di girasole: «È un tipo di olio che ha un alto punto di fumo e si può utilizzare per friggere ma anche per cotture ad alta temperatura -prosegue Villarini-. Attenzione però che ha una quantità importante di acidi grassi omega 6 presenti anche nell’olio di girasole, e che possono causare infiammazioni e formare grassi trans tra i più pericolosi per il cuore. Quindi meglio non abusarne».

Anche per quanto riguarda la carta dei dolci le alternative non mancano. E in molte ricette il burro può essere sostituito dall’olio, in genere di semi. «Un ingrediente che rende gli impasti più leggeri, sani, consistenti e morbidi allo stesso tempo -prosegue Villarini-. L’olio, infatti, a differenza del burro permette al dolce di mantenere a lungo la sua fragranza. In assenza dell’olio di girasole si può ricorrere all’olio di mais che ha una composizione simile ed è ricco in vitamina E. Anche l'olio di cocco è un buon

Che sia per una frittura, un piatto o un dessert, la scelta dell’olio va comunque sempre ponderata: «Non esiste l’olio perfetto, dipende sempre dall’uso che vogliamo farne -sottolinea Villarini-. Ci sono oli, per esempio, che sono perfetti se usati a crudo. Penso all’olio di semi di lino che è ricco di omega 3 ma non è un olio che può essere utilizzato ad alte temperature e quindi non è adatto alle fritture. C’è poi l’olio di canapa che permette con un’alta qualità di grassi buoni. Il miglior modo di consumarlo è a crudo, per condire le pietanze e in piatti freddi o tiepidi: ha un sapore morbido quasi simile a quello dell’olio Evo ma con un leggero tocco nocciolato. Ma anche l’olio di avocado ricco di acido oleico, lo stesso grasso maggiormente presente nell'olio Evo. Se utilizzato nelle insalate, può aiutare l’assorbimento di carotenoidi, ideali per il benessere degli occhi e della pelle». E siccome l’alimentazione è soprattutto salute attenzione a distinguere un olio di spremitura da uno raffinato. «Il processo di raffinazione spesso non è indicato in etichetta ma se l'olio è di spremitura lo troviamo evidenziato -conferma Villarini-. È quindi necessario stare attenti a tutti gli oli di semi e dall’estrazione meccanica a freddo si ottiene l’olio di semi indicato in etichetta come “di prima pressione o spremitura”, che non viene secondariamente raffinato e permette di mantenere inalterate le proprietà nutritive: vitamine, sali minerali e acidi grassi polinsaturi. Con la raffinazione, invece, gli oli subiscono un processo che distrugge le vitamine e gli acidi grassi insaturi contenuti nell’olio naturale, oltre a contribuire alla formazione di acidi grassi trans, considerati potenzialmente nocivi per la salute e primo fattore di rischio di malattie cardiovascolari».

Raffinazione che è alla base dell’olio di palma il cui abuso può quindi essere dannoso per la salute: «Ricordiamoci che esce rosso dalla pianta ma poi lo troviamo in vendita semi trasparente -conclude Villarini-. Come tutti gli oli lavorati produce grassi trans che sono pericolosi alla salute come già evidenziato dalla stessa Efsa. Nel 2016, infatti, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha pubblicato un documento che indica come i processi di raffinazione sviluppino nell’olio di palma grassi trans, di cui alcuni potenzialmente cancerogeni, in percentuali più alte rispetto ad altri oli vegetali».

29 maggio - giugno 2022

La borragine quel gusto che sorprende

PUÒ ESSERE COLTIVATA IN VASO: FOGLIE E FIORI SONO FACILI DA PULIRE E DA USARE IN TANTE RICETTE

Èpoco conosciuta e, di conseguenza, poco utilizzata in cucina, soprattutto in quelle professionali, dove invece ha iniziato a spopolare l’aglio orsino. La borragine è un’erba davvero fantastica, che permette un uso creativo in molte ricette di stagione. Ma non è solo questo il motivo; c'è molto altro. Infatti possiamo affermare che cresce bene proprio ovunque: dall’orto di casa o nel vaso sul balcone (da prevedere un vaso dalle dimensioni non troppo piccole), ma anche spontaneamente in campo aperto. Insomma è un’erba spontanea che oggi riusciamo anche a coltivare, che cresce con facilità e non necessita di particolari cure e attenzioni. Il suo aspetto si caratterizza dall’avere dei bellissimi fiori di colore blu e delle grandi foglie verde scuro con della appena percettibile peluria superficiale. È proprio da quest’ultima peculiarità che ne deriva il nome: bŭrra in latino significa infatti lana grezza, ruvida e, toccandole le foglie è possibile sentirla. Le foglie, una volta raccolte, vanno consumate necessariamente cotte, mentre i fiori possono essere consumati anche crudi o per guarnire i piatti. È curioso il fatto che un tempo venivano pure utilizzati per dare colore all’aceto. La pianta, sia per quanto riguarda le foglie che i fiori, è molto utilizzata nelle cucine di alcune regioni d’Italia come la Liguria e la Campania, un po’ meno in altre zone.

Nell'Italia settentrionale cresce bene praticamente ovunque e può regalare grandi soddisfazioni anche ai professionisti della cucina. I fiori, come anticipato, si possono consumare anche crudi, sono infatti fiori eduli da utilizzare per dare colore ad esempio a golose insalate verdi primaverili o estive, ma anche per guarnire piatti a base di carne, pesce o di foglie di borragine come ravioli o frittate: procedendo con la classica ricetta e aggiungendo i fiori appena prima della fine della cottura, sarà possibile generare un effetto cromatico stupendo. Infine, i fiori possono anche essere utilizzati per decorare cubetti di ghiaccio (mettendoli nell’acqua prima del congelamento) da utilizzare durante il servizio di bibite estive o nella mixology. Quanto all’utilizzo delle foglie, va sottolineato che devono essere cotte prima di essere consumate. In Liguria, oltre alla preparazione dei tipici ravioli, sono fondamentali per la preparazione del prebuggiun (o preboggion) ligure, che fa pure parte dell’elenco dei P.A.T. (Prodotti Agroalimentari Tradizionali). È un misto di erbe che viene scottato e poi utilizzato per diverse preparazioni. Ogni zona si caratterizza per l’utilizzo di erbe diverse, tra cui potrebbero esserci

ad esempio il tarassaco, le ortiche, la cicoria, il dente di leone, la bietola da prato e così via. La miscela viene utilizzata poi per insaporire zuppe o minestroni, oppure saltata in padella come semplice contorno, ma anche come ripieno dei pansoti.

Le foglie di borragine possono essere anche ridotte a vellutata, da accompagnare con un buon filo d’olio extra vergine di oliva e a una spolverata di pecorino grattugiato. E ancora, sono l’ideale per la preparazione degli gnocchi, ma anche per le fritture, come la frittella di borragine: semplice e non banale, perfetta come guarnizione o da servire ad esempio come piccolo assaggio di stagione dalla cucina prima di iniziare un pasto.

31 maggio - giugno 2022

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Prima di essere cucinata, questa pianta va necessariamente pulita e mondata. Seppur non sia un’operazione complessa, è bene seguire alcuni passaggi per lavorarla al meglio prima di procedere alla sua cottura, fase obbligatoria per consumare la pianta. La prima cosa importante da fare consiste nello staccare le foglie dal gambo, soprattutto se molto grosso. Visto il suo portamento potrebbe arrivare anche a presentarsi un poco coriaceo. Una volta staccate le foglie, controllare che siano sane e non vi siano insetti. Questo è importante per tutte le verdure a foglia, soprattutto quelle verdi come coste, spinaci e così via. Per lavarla è sufficiente metterla in una ciotola con l’acqua e, dopo aver effettuato un primo risciacquo, lasciarla in ammollo aggiungendo se lo si vuole anche un cucchiaio di bicarbonato. In questo modo le impurità e l’eventuale terriccio si depositeranno velocemente sul fondo della bacinella. A questo punto è possibile procedere con altri due risciacqui e il gioco è fatto: la borragine è pronta per essere cotta e utilizzata in vari e diversi modi. I pansòti alla genovese: il prebuggiun, la borragine come protagonista

Nonostante siano davvero tantissime le ricette creative a cui la borragine si presta, dalla tradizione ligure, arriva un piatto localmente molto conosciuto che, appena fuori dai confini regionali (ma forse anche provinciali) si conosce appena. Sono i pansoti alla genovese, che sono golosi

ravioli con un ripieno preferibilmente di magro preparato con il misto di erbe tipico, il prebuggiun; in alternativa, durante la stagione estiva, è possibile utilizzare anche la sola borragine, secondo gusti personali e la sua disponibilità. Il prebuggiun secondo tradizione dovrebbe contenere almeno 7 erbe diverse che donano al ripieno una ricchezza unica. Il consiglio è quello di miscelare erbe con il sapore amaro a erbe più dolci che vanno a mediare e arrotondare la percezione. La pasta invece è molto povera e preparata senza l’utilizzo di uova, ma con l’aggiunta di poco vino bianco. Viene tirata molto sottile, questo perché il ripieno, di colore verde intenso, si deve vedere bene attraverso la pasta. Le erbe per il ripieno vanno unite alla ricotta vaccina che, in provincia di Genova viene in genere sostituita con la precinsêua o quagliata, detta anche cagliata genovese. Ha una consistenza a metà tra la ricotta e lo yogurt e si presenta con un sapore acidulo. A differenza della ricotta, che non è un formaggio perché prodotta a partire dal siero, la quagliata è invece prodotta a partire dal latte: per questo motivo secondo la legge è possibile considerarla un formaggio vero e proprio. La preparazione del ripieno si conclude con l’aggiunta di uovo e formaggio a grana grattugiato, noce moscata e sale. Una volta preparati i ravioli, che hanno una forma a tortellino, ma di dimensioni maggiori, si cuociono in acqua bollente e si condiscono con una crema a base di noci.

33 maggio - giugno 2022

Pansòti al prebuggiun

IN EVIDENZA

LE BIRRE DEI “BIRBANCH” CONQUISTANO IL LAGO

Si chiama Beer Bounch non per passione per gli anglicismi ma per rendere il suono del bergamasco “birbanch”, birbanti. La rivendita di birre, rigorosamente artigianali, a Villongo, che ha inaugurato a marzo, nasce dall’esperienza di cinque anni di prove e produzione amatoriale. Federico De Cristofaro, dopo una vita di alternanza di lavori stagionali in vigna e come istruttore, ha coronato il suo sogno di dedicarsi alla produzione di birre, partendo da un’accurata selezione delle materie prime, dall’acquisto di malti e luppoli da produttori locali, oltre al mais spinato di Gandino e al miele degli apicoltori dell’alta Val Seriana. Beer Bounch è un luogo di rivendita, ma anche di incontro perché è il progetto prevede l’organizzazione di mostre ed esposizioni artistiche. Non manca un mini impianto dimostrativo per mostrare come nascono le tre birre della casa (la cui produzione, come nelle beer firm, avviene all’esterno, sotto la supervisione del rispetto della ricetta originale). I nomi, scelti con il socio Davide Pagani, omaggiano le marionette bergamasche e il più celebre birbante della storia bergamasca: si parte dalla bionda indian pale ale “Giopì”, alla rossa ad alta fermentazione con aghi di abete “Margì” alla nera stout “Pacì Paciana” ad alta fermentazione, di ispirazione inglese. Alla selezione di birre si affianca quella di distillati e liquori. «Questa estate contiamo di portare la birra in riva al lago, con un mini furgoncino per una sorta di street beer» anticipa Federico De Cristofaro.

MACELLERIA LICINI LA STORIA VA AVANTI

BEER BOUNCH

V

Dopo 88 anni di servizio e tre generazioni di macellai sembrava che per la storica Macelleria Licini di Alzano non ci fosse più nulla da fare. E, invece, la voglia di mettersi in proprio e la passione per un mestiere - che di fatto ha perso appeal tra le nuove generazioni - hanno portato Angelo Ghilardi a raccogliere l’appello della famiglia Licini di portare avanti l’attività mantenendo lo stesso nome. Quello situato dal 1933 in via Salesiane, nei pressi dell’ospedale Pesenti-Fenaroli, è infatti un negozio particolarmente caro agli alzanesi, che da marzo possono contare sulla giovane ma già determinata esperienza di Angelo Ghilardi: «Non potevo rifiutare un’occasione simile – commenta Angelo, 28 anni, originario di Pradalunga -. Non sono un figlio d’arte ma lavoro in macelleria da quando ho 14 anni e per un lungo periodo ho lavorato anche nella Gdo. Sono partito come apprendista e sono diventato vice responsabile di reparto con anni di esperienza anche nel reparto di salumeria dove mi sono specializzato in salumi e formaggi». Oltre all’offerta tradizionale di carne bovina, suina e ovicola, la Macelleria Licini propone infatti anche salumi ricercati, “pronti a cuocere” per il banco – preparati da Angelo – e prodotti come vino, olio, sottoli e sottaceti di aziende del territorio o figli della produzione artigianale “made in Italy”.

MACELLERIA LICINI

Via Salesiane, 12 Alzano Lombardo (Bg)

Tel. 035 0141166

34 maggio - giugno 2022
ia Donizetti 12 A Villongo (Bg) Tel. 345 1356189
Angelo Ghilardi Federico De Cristofaro e Davide Pagani

TRE

ECCELLENZE BERGAMASCHE

NELL’OLIMPO DELLE GELATERIE

La Pasqualina di Almenno San Bartolomeo e L’Oasi American Bar di Fara Gera d’Adda hanno conquistato, anche quest’anno, i tre coni della guida Gelaterie d’Italia 2022, presentata da Gambero Rosso. Sono 461 gli esercizi segnalati. I prestigiosi tre coni sono 61: di questi locali, 14 sono lombardi, elevando così la nostra regione al vertice. La Pasqualina sceglie le materie prime, valorizzando produttori di prossimità per creare un gelato buono, ma anche sano e sostenibile. Uno dei traguardi della ricerca del titolare Riccardo Schiavi è l’assenza di additivi, scelta che contribuisce a esaltare al meglio il gusto del latte e della frutta e rendere il gelato più leggero e digeribile. Qualità, salute e un’esplosione di colori per il gelato dell’Oasi American Bar di Candida Pelizzoli che si distingue per i gusti con le verdure che si possono abbinare in cucina con insalate o altri piatti, come mela verde e sedano, mora e carote viola, fragola e pomodorini.

Per la sezione “Il gelato del pasticciere”, la mini guida che da Nord a Sud menziona a pari merito, senza graduatoria, i maestri pasticcieri che si cimentano col sottozero, sono 38 i maestri dell’arte bianca presenti con un gelato ricco, corposo, goloso. Sette in Lombardia. Anche tra questi, spicca un nome bergamasco, la pasticceria artigianale Morlacchi di Zanica. Il suo segreto è puntare sul classico, selezionando con pignoleria la materia prima. Non mancano le particolarità come i sorbetti al finocchio.

35 maggio - giugno 2022

IN EVIDENZA LA PASQUALINA Via Papa Giovanni XXIII, 39 Almenno San Bartolomeo (Bg) tel. 035 540040 OASI AMERICAN BAR Via Treviglio, 3461 Fara Gera D'Adda (Bg) Tel. 0363 399977 PASTICCERIA MORLACCHI Via Serio, 1 Zanica (Bg) Tel. 035 670074
COSÌ DEFINITI DAL TESTO UNICO DEL VINO DEL 2016 RENDONO CARATTERISTICI ALCUNI TERRITORI CHE SONO PIÙ DIFFICILI DA APPROCCIARE PER LA VITICOLTURA MODERNA I vigneti eroici di Lara Abrati maggio - giugno 2022

Ci sono luoghi molto affascinanti, belli da vedere, dove si susseguono terrazzamenti ripidi, con coltivazioni di viti antiche (e non). Panorami idilliaci che ci fanno sognare, ci fanno apprezzare la bellezza del territorio che ci circonda e ci fanno gustare ancor meglio i vini lì prodotti. Ma non sempre ciò che appare bello e affascinante risulta poi sempre facile. L’agricoltura di montagna ce lo insegna e ci racconta di grandi fatiche, piccole produzioni con tempi allungati. Attività che si possono oggi definire in un certo senso “eroiche”, totalmente in controtendenza con quella modernità e quella meccanizzazione che ha guidato lo sviluppo delle attività agricole degli ultimi decenni. E soprattutto quando si parla di viticoltura, il suo essere eroica, ha anche una connotazione riconosciuta dalla legge. Ecco che quindi il concetto di “Viticoltura eroica” prende forma, si definisce. Secondo il Cervim (il Centro di Ricerca per la Viticoltura Montana), i criteri necessari per rientrare nella definizione sono quattro e diversi. Ovvio che diventa impensabile rispondere a tutte le caratteristiche, infatti basta che i terreni si inseriscano in uno di questi contesti e li si può definire attori di questa viticoltura eroica. Il primo parametro riguarda la pendenza dei terreni, che deve essere superiore al 30%. Il secondo riguarda l’altitudine, che deve superare i 500 metri sopra il livello del mare; il terzo si riferisce al sistema di allevamento della vite, che deve svilupparsi su terrazzamenti oppure gradoni. Infine il quarto afferisce al luogo: il vigneto si deve trovare su piccole isolette. Caratteristiche che invece si ritrova quasi sempre, ma non risulta determinante per la legge, è il fatto di coltivare vitigni autoctoni: la

37 maggio - giugno 2022

maggior parte dei vini da agricoltura eroica sono prodotti con vitigni rustici, propri del luogo in cui vengono coltivati.

«Lo Stato promuove interventi di ripristino, recupero, manutenzione e salvaguardia dei vigneti delle aree soggette a rischio di dissesto idrogeologico o aventi particolare pregio paesaggistico, storico e ambientale, denominati vigneti eroici o storici», recita il Testo Unico del Vino, approvato nel 2016 dalla Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati.

Sono molti i territori italiani, in quasi tutte le regioni, in cui è possibile toccare con mano il contesto in cui si inserisce il concetto di viticoltura eroica, che di fatto è un vero e proprio marchio collettivo di appartenenza. A partire da alcuni vigneti in aree montuose della Valle d’Aosta ad esempio, ma anche l’Alto Piemonte oppure la conosciuta Valtellina, che presenta vigneti spesso non meccanizzabili, nemmeno per il trasporto delle uve dopo la raccolta. Ma anche a luoghi come la costiera amalfitana, le aree impervie e costiere della Liguria o la Val di Cembra in Trentino. Poi le isole come l’Elba, il Giglio, le Eolie, ma anche Ischia, Capri, Ponza, Ventotene, Pantelleria, Ustica, e così via. Il Cervim organizza anche un concorso dedicato a questi vini, che si svolge ogni anno in Valle d’Aosta ed è il Mondial des Vins Extrêmes, l’unico a livello mondiale dedicato a questa tipologia. Il concorso seleziona i migliori vini frutto della viticoltura estrema al fine di tutelare e promuovere la loro produzione e valorizzazione: sono autentiche isole della biodiversità viticola che, come ovvio che sia, anno dopo anno corrono il rischio di scomparire a causa degli alti costi di produzione, gestione e realizzazione dei vigneti.

maggio - giugno 2022

Piatti facili, stagionali e aperti alla condivisione e al cambiamento. Al cuoco lettore spetta la scelta: seguire alla lettera o improvvisare con qualche piccola variante. La cucina vegetale si colora grazie a cereali, verdure, frutti, spezie, erbe, frutta a guscio e semi. Spazio a bevande fermentate (kefir e kombucha), verdure fermentate (crauti, kimchi e giardiniere), fermentini (formaggi vegetali fermentati di frutta secca e semi), salse fermentate (miso e shoyu) e yogurt di riso, mandorla e avena. Cucina viva di Riccardo Astolfi Guido Tommasi Editore - 2022 23 euro

IL ROMANZO CHE RIPERCORRE I SURREALI GIORNI

DEL LOCKDOWN

I giorni più terribili della pandemia sono raccontati da Mario Cornali, chef del ristorante Collina di Almenno San Bartolomeo e scrittore, attraverso un romanzo dal sapore universale. La storia è quella di Alberto e Francesca (personaggi di fantasia), del loro ristorante e di come il blocco dell’attività abbia sconvolto le loro vite. L’ambientazione è volutamente imprecisata. Arriva la comunicazione con l’ordine di chiusura, senza sapere per quanto tempo. Ma poi, all’improvviso, tutto si ferma nel primo lunghissimo lockdown. In quel momento, la dispensa del giorno prima, dedicata a trasformare le materie prime in piatti gourmand per il cliente, diventa sopravvivenza nel corso della detenzione domestica, ma anche rifornimento per gli ospedali attraverso iniziative lodevoli. Le derrate sono il magazzino che permette di non fare lunghe code ai supermercati. Accogliente come un grande ventre materno, la dispensa di Alberto sostiene e accompagna una comunità forte, orgogliosa e pragmatica che scopre un’inedita fragilità. La storia tratta la drammaticità di quei giorni, il silenzio assordante, la natura che si riappropria dei propri spazi, i contagi, la malattia, i decessi, l’impotenza. Nulla sarebbe più stato come prima. Eppure, fuori, era primavera.

LA DISPENSA DEL GIORNO PRIMA DI MARIO CORNALI ALBATROS - 2022 - 13,90 EURO

Una raccolta di ricette che hanno a che fare con la storia. L’autrice va alla ricerca di fatti reali e leggendari. Il risultato è una sorta di rivista gossip con indiscrezioni dal passato che svelano di cosa era golosa Maria Stuarda o qual era il dolce di cui andava matto Francesco Giuseppe. Un aneddoto riguarda la Tarte tropezienne. La torta, resa celebre dal film con Brigitte Bardot, prese il nome dalla pasticceria vicina ai luoghi delle riprese. Il passato è servito di Lydia Capasso Guido Tommasi Editore – 2022 14 euro

Quiche, crostate, tartellette e ripieni rustici a base di salsiccia e lenticchie o classici con ricotta e spinaci o ancora a base di verdure di stagione e salumi e formaggi del territorio. Si trovano nel nuovo libro del maestro panificatore che, grazie anche alla collaborazione con la figlia Michela, non smette di entusiasmare con le sue creazioni che uniscono semplicità e creatività, tradizione e innovazione. Oltre 60 le ricette con vari tipi di impasto, dalla pasta brisée alla lievitata sfogliata. Le mie torte salate di Piergiorgio Giorilli Gribaudo – 2022 12,90 euro

39 maggio - giugno 2022

Un volume fondamentale per conoscere la storia della pizza. Tra indagine storica e curiosità antropologiche, gli autori ci riportano al clima che si viveva a Napoli dal ‘700 fino ai primi del ‘900, attraverso un lungo racconto basato su precise e accurate ricerche d’archivio e su fonti documentarie. Approfondimenti sono dedicati alla figura della pizzaiola. E ancora, sono stati aggiunti particolari inediti alla storia della famiglia Mattozzi che quest’anno festeggia i 170 anni ininterrotti di attività. Pizza. Una storia napoletana di Antonio e Donatella Mattozzi Slow Food Editore - 2022 16,50 euro

a cura di Rosanna Scardi
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