VOCI
DIAMO VOCE AI DIRITTI UMANI
i fatti e le idee
APRILE 2017
NUMERO 2 - ANNO 3
Dignità per tutti
SEMPRE «Quando ho acceso la prima candela di Amnesty avevo in mente un vecchio proverbio cinese: “Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità” Questo è oggi il motto per noi di Amnesty» (Peter Benenson)
VOCI Rivista del Centro di Documentazione per la Promozione e l’Educazione alla Tutela dei Diritti Umani “Peter Benenson”
IN QUESTO NUMERO Una parola di troppo
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Azerbaijan: Affari VS Diritti Umani
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Difendono la Terra con il loro sangue
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di Andrea Cuscona
di Giuseppe Provenza
COMITATO DI REDAZIONE Giuseppe Provenza Responsabile della Redazione Liliana Maniscalco Responsabile Regionale di Amnesty International Daniela Conte Responsabile del Centro di Documentazione per la Promozione e l’Educazione alla Tutela dei Diritti Umani “Peter Benenson” Andrea Cuscona Responsabile Relazioni Esterne e Comunicazione di Amnesty International in Sicilia Silvia Intravaia Grafica e D.T.P.
COLLABORANO Aurelio Angelini, Clelia Bartoli, Giorgio Beretta, Daniela Brignone, Paola Caridi, Marianna Castellari, Francesco Castracane, Giovanna Cernigliaro, Vincenzo Ceruso, Cissé Mouhamed, Coordinamento America Latina - Amnesty International Sezione Italiana, Marta D’Alia, Aristide Donadio, Vincenzo Fazio, Maurizio Gemelli, Javier Gonzalez Diez, Michele Iacoviello, Giuseppe Carlo Marino, Maria Grazia Patronaggio, Andrea Pira, Paolo Pobbiati, Rossella Puccio, Bruno Schivo, Daniela Tomasino, Fulvio Vassallo Paleologo
www.amnestysicilia.org ai.sicilia@amnesty.it Via Benedetto d’Acquisto 30 90141 Palermo
di Monica Mazzoleni - Coord. America Latina
Le periferie italiane e il ruolo delle imprese nel recupero del degrado
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Ritrovare le ragioni della speranza
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Diritti umani e scenari globalizzati: quale futuro occupazionale?
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Valenze psico-sociologiche nel processo educativo
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Buone Notizie
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di Marta D’Alia
di Vincenzo Fazio
di Maurizio Gemelli
di Aristide Donadio
di Giuseppe Provenza
TUTTI I GIORNI www.amnestysicilia.it /amnesty-sicilia /Amnestysicilia Amnesty In Sicilia /amnestysicilia /amnestysicilia /amnestysicilia Questa rivista non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornata senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001. Le informazioni contenute in questa rivista, pur fornite in buona fede e ritenute accurate, potrebbero contenere inesattezze o essere viziate da errori tipografici. Gli autori di “Voci“ si riservano pertanto il diritto di modificare, aggiornare o cancellare i contenuti della presente senza preavviso. Alcuni testi o immagini inserite in questo blog sono tratte da internet e, pertanto, considerate di pubblico dominio; qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d’autore, vogliate comunicarlo via email. Saranno immediatamente rimossi. Gli autori del blog non sono responsabili dei siti collegati tramite link né del loro contenuto che può essere soggetto a variazioni nel tempo. Le opinioni espresse negli articoli presenti in questo numero non necessariamente rispecchiano le posizioni di Amnesty International.
APRILE 2017 N. 2 / A.3 - Voci
Editoriale
UNA PAROLA DI TROPPO di Andrea Cuscona
“Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione; questo diritto include la libertà di sostenere opinioni senza condizionamenti e di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo ai confini” (articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – 1948). In queste poche righe si decreta, in senso universale, l’inviolabile diritto di cui gode ciascun essere umano, per nascita, ad esprimersi liberamente. “Attraverso ogni mezzo e senza riguardo ai confini”: ecco, sta qui l’eccezionale portata dell’assunto stesso, a mio avviso quasi avanguardista. Anche se una tale rivendicazione per il genere umano viene codificata soltanto nel 1948 e – dunque – tardi rispetto alla nostra storia evolutiva, porre l’accento sul fatto che un diritto debba esprimersi senza possibili barriere fisiche e immateriali ci fa capire quanto visionari e lungimiranti siano stati coloro che hanno vergato quella magna charta. Appare chiaro che in quegli anni, appena usciti dallo strazio della Seconda Guerra Mondiale e dal cannibalismo dei diritti che lo caratterizzò, l’esigenza di tutelare la libertà di espressione fu colta come cardine essenziale su cui far poggiare una nuova Umanità. Pochi decenni dopo, Peter Benenson lesse sulla pagine dell’Observer di quei giovani portoghesi arrestati per aver soltanto manifestato un pensiero: fu la sua indignazione, come sappiamo, a dare il via alla nascita del nostro movimento globale di difensori dei diritti umani. Questo excursus storico ci proietta, però, al presente, in un epoca in cui dovrebbe essere impossibile sopprimere le libertà di cui ogni individuo gode. Eppure, tristemente, i corsi e ricorsi storici ci schiacciano di fronte ad una realtà infarcita di gravissime violazioni ai danni di chi manifesta il proprio o altrui pensiero. Per il ruolo che svolgo, per sensibilità, per tanto altro ancora, trovo doveroso, quindi, tenere viva l’attenzione sulla delicata situazione in cui operano tanti, troppi giornalisti e operatori dell’informazione, così come blogger o videomaker in tutto il Mondo. Ogni giorno, chi scrive un articolo su un quotidiano online o cartaceo, chi mette la faccia o la voce, chi realizza anche un semplice video o racconta una storia sul proprio blog personale rischia davvero grosso quando si scontra con un sistema deviato. Quel che emerge è che di anno in anno, i governi stanno limitando sempre di più la libertà su Internet. Con il blocco degli indirizzi IP, in Turchia e Arabia Saudita hanno chiuso rispettivamente 50.000 e 3
400.000 siti, compresi portali di notizie e social media. Il “Grande firewall” voluto dalla Cina strozza l’accesso a Internet a oltre 800 milioni di utenti, quasi un sesto della popolazione mondiale. Sono sempre di più i governi che limitano l’accesso al web durante le rivolte e le proteste, come è successo in Etiopia lo scorso anno in più di un’occasione. Nel 2016 è accaduto ai sistemi Signal in Egitto e Whats App in Brasile. La censura online è un’arma impropria di cui si dotano certe autorità nazionali con al complicità di grandi colossi informatici, in barba alla privacy dei loro utenti. Basti pensare a Snapchat e Microsoft che non hanno ancora voluto dotarsi di opportune misure a garanza della privacy nei propri servizi di messaggistica; nella “Classifica della privacy dei messaggi” soltanto tre aziende prevedono la crittografia end-to-end di default su tutte le loro app di messaggistica. E che dire della fotografia scattata ogni anno da “Reporters without borders” in merito alla libertà di stampa nel Mondo? Un pericoloso sali e scendi di posizioni nel ranking, dentro cui si devono leggere i numeri di un sistema mondiale che sembra voler imbrigliare sempre più le voci libere e indipendenti. E si potrebbe continuare oltre. Tutto questo sembra quasi un’inezia se volgiamo uno sguardo ad uno dei più recenti episodi di violazione dell’articolo 19 della DUDU: dallo scorso febbraio, il giornalista turco-tedesco Deniz Yücel, corrispondente dalla Turchia del quotidiano tedesco Die Welt, resta detenuto in attesa del processo che lo vede accusato di “propaganda terroristica” e “istigazione all’odio“. Purtroppo, nel Paese di Erdogan, questo è soltanto l’ultimo di una serie agghiacciante di arresti e bavagli all’informazione. Sarebbe quasi stucchevole citare tutti i casi di cui Amnesty si occupa e si è occupata, ma vorremmo davvero che non si leggessero ogni giorno atrocità di questo ed altro genere. Dunque? Come sempre la migliore medicina è proprio l’informazione stessa, unita al coraggio, alla fame di verità, alla sete di giustizia, alla sana indignazione e all’attivismo. Perché un parola non sia mai di “troppo”.
Andrea Cuscona Responsabile Relazioni Esterne e Comunicazione di Amnesty International in Sicilia
APRILE 2017 N. 2 / A.3 - Voci
Europa
AZERBAIJAN: AFFARI VS DIRITTI UMANI di Giuseppe Provenza
SCPX TANAP TAP
L’Azerbaijan: un paese di circa 10 milioni di abitanti spesso ricorrente nelle cronache politiche ed economiche internazionali, capace di farsi assegnare grandi eventi, come l’edizione inaugurale del Giochi Europei nel 2015, o l’Eurovision Song Contest nel 2012, malgrado sia additato universalmente come uno stato in cui i Diritti Umani vengono pesantemente e costantemente calpestati.
potrà restare alla presidenza del suo paese fino al 2038 (quando avrà 77 anni). Le prossime elezioni presidenziali si svolgeranno nel 2018.
A base di queste contraddizioni stanno ragioni economiche che approfondiremo più avanti, dopo aver presentato storicamente e politicamente il paese.
Aliyev è anche a presidente del suo partito, YAP (Nuovo Partito dell’Azerbaijan), che detiene, da solo, la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento.
L’Azerbaijan è una delle tre “repubbliche caucasiche”, insieme alla Georgia e all’Armenia, paesi posti fra il Mar Nero ed il Mar Caspio e quindi geograficamente asiatici, ma che, per ragioni storiche, sono considerati politicamente europei, tanto da essere stati inclusi nel Consiglio d’Europa, l’organizzazione per la promozione della democrazia e dei Diritti Umani in Europa (da non confondere con l’Unione Europea). La Repubblica dell’Azerbaijan vi fu ammessa nel 2001.
L’Azerbaijan è un paese mussulmano a maggioranza sciita. Una influenza certamente rilevante sulla situazione socio-politica del paese è attribuibile all’ormai trentennale scontro con la confinante Armenia, scontro iniziato prima della caduta dell’URSS, e divenuto guerra armata dopo il 1991, determinato dalla situazione del Nagorno-Karabak enclave armena in territorio azero, reclamata dall’Armenia e in atto in stato di sostanziale indipendenza.
Dopo il crollo dell’Impero Russo entrò a far parte dell’Unione Sovietica fino alla dissoluzione di questa, divenendo quindi indipendente nel 1991.
Va notato che nel paese si contano circa 620.000 sfollati interni provenienti dal Nagorno-Karabak (6,2% della popolazione).
Capo dello Stato è oggi Ilham Aliyev, eletto con votazione diretta nel 2003, succedendo al padre Heydar. La carica presidenziale ha una durata di 5 anni. Nel 2016 una modifica costituzionale, votata con un referendum popolare, ha portato a 7 il numero massimo di mandati presidenziali. Aliyev, pertanto,
Il PIL pro-capite dell’Azerbaijan nel 2016 (a parità di potere d’acquisto) è stato di dollari 17.700 (in Italia è stato di dollari 36.300). Ciò è indicativo di un tenore di vita medio-basso, malgrado il paese disponga di due fonti di ricchezza in quest’epoca di grande importanza: il petrolio ed il gas naturale, ponendosi,
Voci - APRILE 2017 N. 2 / A.3
Le elezioni presidenziali in Azerbaijan sono state criticate dall’OSCE (Organization for Security and Cooperation in Europe) che le ha valutate non in linea con gli standard internazionali.
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Europa
pur essendo un piccolo paese, al 19° posto al mondo come esportatore di greggio ed al 24° posto al mondo come esportatore di gas naturale. Le esportazioni azere sono dirette sostanzialmente ai paesi europei, ed è questa circostanza che probabilmente si pone alla base della contraddizione precedentemente posta in evidenza fra le violazioni dei diritti umani denunciate dalle organizzazioni internazionali per i Diritti Umani, e gli atteggiamenti di politica internazionale degli altri paesi.
Va messo in rilievo che i reati per i quali gli oppositori ed i critici vengono arrestati e condannati sono sempre comuni e non politici, sulla base di accuse inventate di sana pianta da polizia e procure: frode, irregolarità finanziarie, evasione fiscale, droga, ecc. Alcune delle loro storie meritano di essere raccontate perché significative ed illuminanti sulla situazione politica del paese. I coniugi Leyla ed Arif Yunus sono due importanti difensori dei Diritti Umani di notorietà internazionale. 1
L’Italia, in particolare, è un paese con importanti rapporti d’affari con l’Azerbaijan, essendo destinatario del 26,3% delle esportazioni azere (sostanzialmente petrolio e gas), mentre l’Azerbaijan importa dall’Italia il 6,3% delle proprie importazioni (dati 2015).
Fin dagli inizi del conflitto con l’Armenia essi si sono messi in luce per aver perorato attivamente la pace con l’Armenia. Leyla fin dal 1995 è Direttrice dell’Institute of Peace and Democracy.
Tuttavia le esportazioni di petrolio e gas da parte dell’Azerbaijan verso l’Europa sono state da sempre condizionate dal passaggio attraverso la Russia.
A partire dal 2009 essi sono stati attivi nel protestare nei confronti dei comportamenti del regime e in particolare della polizia, fino a pubblicare nel 2014 un elenco dei prigionieri politici.
Per tale ragione il paese ha concluso una serie di convenzioni internazionali per la realizzazione di un oleodotto per il trasporto del gas naturale attraverso la Georgia, la Turchia asiatica, il Mar di Marmara, la Turchia Europea, la Grecia, ed il mar Adriatico, per giungere in Italia nella provincia di Lecce (vedi piantina geografica). Emerge chiaramente come l’interesse per i prodotti energetici azeri abbia indotto i paesi acquirenti a sorvolare sulle condizioni socio-politiche del paese, già messe in evidenza dallo strapotere politico del presidente e, come si vedrà, da quello economico dell’intera famiglia. Tuttavia ben altro avviene in quel paese in termini di violazioni dei diritti umani, infatti, come evidenziato da Amnesty International, da anni languono nelle carceri del paese decine e decine di “prigionieri di coscienza”, di molti dei quali si conoscono i nomi, i processi e le condanne: Leyla Yunus, Arif Yunus, Rasul Jafarov, Intigam Aliyev, Khadija Ismayilova, Orkhan Eyybzade, Elvin Karimov, Faraj Karimov, Siraj, Mammad Azizov, Rashad Hasanov, Rashadat Akhundov, Ilkin Rustamzade, Omar Mammadov, Hilal Mammadov, Abdul Abilov, Rashad Ramazanov, Ilgar Mammadov, Tofig Yagublu,Yadigar Sadigov, Anar Mammadli, Bashir Suleymanli. A favore di parecchi di questi prigionieri di coscienza Amnesty Italia ha predisposto appelli che, sottoscritti dai suoi sostenitori, sono stati indirizzati al presidente Aliyev. L’azione congiunta di Amnesty, e di altri organismi, sia governativi che non governativi, ha contribuito alla liberazione di una parte di essi nel marzo del 2016, con un successo parziale, visto che altri sono rimasti in prigione.
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Nel luglio del 2014 Leyla ed Arif furono arrestati con l’accusa, del tutto pretestuosa, di “spionaggio a favore dell’Armenia”. Tale arresto provocò l’immediata protesta di svariate organizzazioni, fra cui Amnesty International, Human Right Watch, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa ed altre. Amnesty Italia, fra l’altro, organizzò il viaggio in varie città italiane della figlia Dinara, che vive in Olanda, perché esponesse la grave situazione dei Diritti Umani nel suo paese, e raccontasse la vicenda dei genitori. Processati, i coniugi furono condannati nell’agosto 2015, Leyla ad 8 anni e 6 mesi, ed Arif a 7 anni, condanne aggravate dalle precarie condizioni di salute di entrambi (lei epatite cronica, calcoli biliari, ipertensione, diabete, lui ipertensione). In considerazione di tali condizioni di salute, ma verosimilmente in seguito alle pressioni pervenute da
Leyla e Arif Yunus 1 - I coniugi Yunus saranno ospiti di Amnesty Italia in occasione dell’Assemblea Generale che si terrà a Palermo dal 23 al 25 aprile 2017. APRILE 2017 N. 2 / A.3 - Voci
Europa
tutte le parti, i coniugi sono stati liberati, nel mese di novembre 2015 lui e nel mese di dicembre 2015 lei, e posti in libertà vigilata per 5 anni. Nell’aprile 2016 ai due coniugi è stato consentito di lasciare l’Azerbaijan e di trasferirsi in Olanda, dove vive la figlia. Khadija Ismayilova è una giornalista investigativa, conduttrice di Radio Free Europe/Radio Liberty. A partire dal 2010 iniziò la pubblicazione di una serie di articoli con cui accusava il Presidente Ilham Aliyev, la moglie ed i loro figli di essere fortemente implicati nella grave corruzione del paese, non in termini generici, ma citando con precisione dati e fatti, come la proprietà di imprese che si aggiudicavano i più importanti appalti pubblici del paese. Peraltro da più parti è stato messo in evidenza l’imponente patrimonio immobiliare, del valore di parecchie decine di milioni di dollari, in varie parti del mondo, riconducibile ai membri della famiglia del presidente. Il tentativo di fermare l’azione della giornalista si concretizzò nel marzo 2012 mediante il reperimento di un plico contenente istantanee ricavate da un filmato realizzato con microcamere che erano state collocate nella sua camera da letto che la riprendeva in momenti d’intimità con il fidanzato. Il plico conteneva una lettera con cui si minacciava la pubblicazione su internet del filmato. In seguito al rifiuto della Ismayilova di cedere al ricatto, il filmato fu pubblicato. Anche questo episodio suscitò le proteste di varie organizzazioni, fra cui Amnesty International, Human Rights Watch, l’Instutute for Media Rights (Azerbaigian), l’Institute for Reporters’ Freedom and Safety (Azerbaigian), il Committee to Protect Journalists, l’Association of Women Journalists (Azerbaijan), la sezione locale dell’Helsinki Committee for Human Rights, ed altre. Risultati infruttuosi I tentativi di persuaderla a desistere con le minacce e le vessazioni, il 5 dicembre 2014 veniva arrestata con l’accusa, senza senso, di aver istigato al suicidio un ex collega, e posta per due mesi in custodia cautelare. Dall’accusa fu successivamente assolta. Nel febbraio 2015 venne accusata di evasione fiscale ed abuso di potere. Ovviamente anche in questo caso si trattò di un pretesto per fermare la sua azione di denuncia. Il processo si concluse nel settembre dello stesso anno con la condanna a 7 anni e mezzo di carcere. Anche questa sentenza fu duramente contestata da numerosissime organizzazioni ed enti fra cui le più in vista sono Amnesty International, Human Rights Watch, Freedom House, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, Il Dipartimento Voci - APRILE 2017 N. 2 / A.3
Khadija Ismayilova
di Stato degli Stati Uniti d’America, e numerosissime altre. Il 25 maggio 2016, molto attendibilmente per le autorevoli proteste sollevate dalla condanna, Khadija Ismayilova, con provvedimento della Corte Suprema Azera, è stata liberata e posta in liberà vigilata. Questi riportati sono soltanto due esempi, particolarmente clamorosi anche per le reazioni internazionali che hanno suscitato, fra i tanti casi di persecuzioni in Azerbaijan contro chi dissenta nei confronti del regime di Aliyev. Recentemente un ex membro Italiano dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, Luca Volonté, è stato accusato dalla Procura della Repubblica di Milano di aver ricevuto nel 2013 e nel 2014 un totale di 2.390.000 euro da fonti vicine al governo azero come tangente per fare lobby a favore degli interessi dell’Azerbaijan presso l’Assemblea. Il processo è in corso. Si è in presenza, nel caso dell’odierno Azerbaijan, di un chiaro esempio di scontro fra affari e Diritti Umani. Affari sorti in violazione dei Diritti Umani e che su questi si accaniscono successivamente per mantenersi in essere, affari che inquinano la società all’interno del paese e che corrompono anche il mondo esterno che, pur manifestandosi a parole per la difesa dei principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nel momento di difendere anche i propri interessi, quando coincidono con quelli di chi viola quei principi, volge lo sguardo altrove fingendo di non vedere e non capire. Fortunatamente c’è chi lotta per le proprie idee contro ogni deformazione di quella corretta vita sociale così difficile da conquistare, organizzazioni non governative, governative e sovranazionali. Giuseppe Provenza Responsabile Gruppo Italia 243 di Amnesty International Sezione Italiana Membro del Coordinamento Europa di Amnesty International Sezione Italiana
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America Latina
DIFENDONO LA TERRA CON IL LORO SANGUE di Monica Mazzoleni - Coord. America Latina
Ogni giorno ci sono persone che rischiano la vita per difendere il nostro pianeta. Sono i difensori e le difensore dei diritti umani che si attivano per tutelare i diritti della terra e dell’ambiente. Per lo più si tratta di uomini e donne di comunità indigene che lottano con mezzi non violenti per il rispetto del territorio e delle sue risorse, e per la salvaguardia della loro cultura, che è intimamente legata alla terra e all’ambiente. Lo fanno per la propria sopravvivenza e per quella dei propri figli e nipoti. Ma anche per tutti noi. “Quando facciamo questo lavoro, non pensiamo ai nostri diritti, alla nostra acqua, al nostro paese, noi pensiamo a tutte le persone del pianeta, ovunque.” Afferma Martin Gómez, membro del Movimento Indigeno Lenca Indipendente di La Paz Honduras (MILPAH), una delle ONG che difendono la terra e l’ambiente. E’ passato un anno da quando hanno colpito a morte, nella sua casa in Honduras, Berta Cáceres, difensora indigena Lenca e vincitrice del prestigioso Premio 7
Ambientale Goldman 2015. Per il suo assassinio lo sdegno a livello nazionale e internazionale è stato molto forte. Berta Cáceres e il Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras (COPINH), di cui era Coordinatrice Generale, portavano avanti una campagna contro la costruzione della centrale idroelettrica Agua Zarca e l’impatto che essa avrebbe avuto sul territorio del popolo Lenca. Le indagini sulla sua morte sono iniziate senza tener conto del suo lavoro per i diritti umani. La mancanza di indagini su questa ipotesi ha avuto un impatto negativo sul suo diritto ad una pronta indagine efficace ed esaustiva. Inizialmente era stato detto che l’omicidio era la conseguenza di un furto. Alcune ore dopo il crimine il suo ex-compagno, anche lui membro del COPINH, era stato fermato; questo aveva fatto pensare che il Ministero Pubblico si stesse concentrando sull’ipotesi di un “assassinio passionale”. Con il trascorrere del tempo sono stati interrogati i colleghi del COPINH di Berta Cáceres. Solo a fine marzo il Ministero Pubblico aveva emesso APRILE 2017 N. 2 / A.3 - Voci
America Latina
Marcia a sostegno del diritto all’acqua, Città del Guatemala, 22 Aprile 2016 @Amnesty International / Anaïs Taracena
un comunicato in cui indicava che l’uccisione poteva essere una conseguenza del suo lavoro per i diritti umani. Si deve ricordare che la Commissione Interamericana dei Diritti Umani aveva riconosciuto il pericolo che Cáceres affrontava a seguito della sua attività e il suo nome era nella lista dei difensori che lo stato dell’Honduras avrebbe dovuto proteggere con misure di sicurezza. Meno di due settimane dopo l’assassinio di Berta Càceres, il leader della comunità COPINH, Nelson Garcia è stato ucciso a colpi di pistola da un individuo non identificato. Un’indagine è stata aperta per ora senza risultati. In maggio, il giornalista Honduregno Félix Molina, aveva subito un attentato dopo aver pubblicato un articolo sul caso di Cáceres. Nessuna inchiesta è stata aperta. L’ondata di omicidi è continuata in luglio con l’assassinio di Lesbia Urquía, difensora dell’ambiente, e a ottobre con l’uccisione di José Angel Flores, presidente del Movimento Unito dei Contadini e del suo collega Silmer Dionisio George. Il 9 ottobre Tomas Gòmez Membregno, che ha assunto coraggiosamente l’incarico di responsabile di COPINH, dopo l’omicidio di Berta Càceres, ha subito un attentato mentre stava lasciando una riunione di COPINH. Per fortuna è sopravvissuto all’attacco. L’assassinio di Berta Cáceres è uno dei rari casi che sono stati indagati. Sono state arrestate otto persone, molte delle quali hanno legami con l’esercito honduregno e con la Desarrollos Energético SA Voci - APRILE 2017 N. 2 / A.3
(DESA), la compagnia costruttrice della diga a cui Berta Cáceres si opponeva. Il messaggio degli assassini di Berta e di coloro che hanno dato l’ordine di ucciderla è chiaro: nessuno è al sicuro se difendendo i diritti umani si mettono in discussione potenti interessi economici. L’America Latina risulta essere il luogo più pericoloso per i difensori dei diritti umani legati all’ambiente. L’ONG Global Witness per il solo 2015 ha registrato 185 uccisioni di difensori della terra e dell’ambiente nel mondo, e 122 di questi sono avvenuti in America Latina. L’Honduras risulta essere il paese con il maggior numero di uccisioni di difensori della terra e dell’ambiente nel mondo: soltanto nel 2014 ne sono stati uccisi 15. Il colpo di stato del 2009 ha intensificato l’ostilità verso i difensori, la maggior parte delle comunità e dei movimenti hanno persone alle quali sono state garantite misure di protezione dalla Commissione InterAmericana dei Diritti Umani, ma lo stato dell’Honduras rimane inadempiente lasciando i difensori a rischio di morte. Amnesty International ha pubblicato nel settembre 2016 il rapporto “We are defending the land with our blood: Defenders of the land, territory and environment in Honduras and Guatemala” 1 nel quale si esamina la situazione che devono affrontare i difensori in diversi paesi delle Americhe. Il rapporto è il risultato di un’indagine compiuta a 1 - https://www.amnesty.org/en/documents/amr01/4562/2016/en/
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America Latina
gennaio e febbraio 2016 intervistando decine di ONG e comunità campesine e indigene in Honduras e Guatemala. Nel rapporto si denuncia che ogni giorno i difensori dei diritti umani sono attaccati per la loro attività: perché prendono parte a manifestazioni pacifiche, perché documentano e pubblicizzano gli abusi dei diritti umani e le loro violazioni, perché chiedono giustizia, verità riparazione e non ripetizione di queste violazioni; perché propongono educazione ai diritti umani o per qualsiasi altra attività avente lo scopo di ottenere rispetto e garanzia dei diritti umani. Nei casi più estremi i difensori dei diritti sono stati uccisi a causa del loro lavoro.
Ne segue che il diritto alla giustizia non è garantito. Nel 2013 l’80% delle uccisioni in Honduras sono rimaste impunite. L’impunità garantisce la ripetizione dei crimini nei confronti dei difensori dei diritti umani. Di fronte a questa situazione in tutte le Americhe i difensori continuano, ogni giorno, il loro lavoro per difendere i loro diritti dalle prevaricazioni dei grandi interessi economici.
I difensori sono spesso bersaglio di minacce, sorveglianza e controllo arbitrario, sono sottoposti a procedimenti processuali a causa della loro attività. Sono criminalizzati, stigmatizzati, dichiarati nemici dello sviluppo e anche accusati di terrorismo.
Esemplare è la resistenza di Maxima Acuña Chaupe, una contadina analfabeta di circa 45 anni, che nelle Ande Peruviane, a più di 4.000 metri, continua a fare fronte alle minacce, alle intimidazioni e anche alle persecuzioni della società statunitense Newmont Mining Corporation, che la vuole cacciare dalla sua terra e dalla sua casa in quanto collocate proprio nel bel mezzo del progetto di espansione minerario Conga promosso dall’impresa Minera Yabacicha, la miniera d’oro più grande dell’America Latina di proprietà della Newmont.
In Guatemala e Honduras i conflitti sociali sono esplosi in diverse località coinvolti in progetti di localizzazione, sviluppo e costruzione di impianti per esplorare o sfruttare risorse naturali.
Maxima Acuña, non vuole lasciare la sua terra, non solo per una questione di interesse personale, ma per la sopravvivenza dell’ecosistema andino, e per questo continua a subire violenze fisiche e psicologiche.
Tra i fattori più comuni che alimentano i conflitti c’è il diritto negato alle popolazioni indigene al libero consenso informato preventivo. Vale a dire che, secondo la convenzione 169 dell’OIL, le comunità indigene devono essere messe in grado, attraverso consulte convocate secondo protocolli ben specificati, di esprimere un giudizio su un progetto che colpisce il loro territorio dopo aver acquisito adeguate, vere e imparziali informazioni.
Nel 2016 Máxima Acuña ha vinto il premio Goldman per l’ambiente per l’America Latina e continua ad essere un esempio di successo per molti difensori dell’ambiente. 2
Un altro grave fattore di aggravamento dei conflitti è l’utilizzo delle forze militari in azioni di sicurezza pubblica, aspetto che caratterizza sia l’Honduras che il Guatemala. In entrambi i paesi sono state create forze speciali, con formazione militare, per combattere la violenza e il crimine organizzato e garantire la sicurezza pubblica. Questo modello non è appropriato per mantenere la pubblica sicurezza e l’utilizzo delle forze armate in operazioni di ordine pubblico aumenta il rischio di uso eccessivo della forza. Metà della popolazione in Honduras e in Guatemala vive sotto il livello di povertà e le popolazioni indigene sono quelle più povere. La precaria situazione economica dei difensori dei diritti umani rende loro difficile a volte, assumersi anche semplicemente il costo del viaggio per partecipare a proteste pacifiche, o avviare procedimenti legali per rivendicare i loro diritti, o per difendersi da procedimenti legali pretestuosamente aperti contro di loro. 9
Il primo obiettivo delle ONG che supportano il lavoro dei difensori del pianeta Terra è dare loro voce, difenderli dagli attacchi di denuncia di terrorismo e di altre forme di denigrazione. Ricordare ai governi che il lavoro dei difensori è essenziale, necessario e legittimo. Quindi richiamare i governi al riconoscimento del loro lavoro, al dovere di proteggerli e di garantire loro il diritto alla giustizia. A questo scopo Amnesty International ha creato, tra l’altro, la piattaforma digitale http:// speakout4defenders.com/, ancora in fase di sviluppo, per mettere a conoscenza del pubblico la gravità delle violazioni e raccontare le singole storie dei difensori. Così commenta Martin Gomez, attivista ambientalista: “Noi possiamo ancora alzare la nostra voce. Noi non abbiamo armi, non abbiamo soldi, non abbiamo potere, ma abbiamo una voce ed è quella che stiamo utilizzando. E così abbiamo fatti veri progressi”.
Monica Mazzoleni Coord. America Latina di Amnesty International Sezione Italiana
2 - http://www.aguasdeoro.org/ APRILE 2017 N. 2 / A.3 - Voci
Responsabilità d'impresa
LE PERIFERIE ITALIANE E IL RUOLO DELLE IMPRESE NEL RECUPERO DEL DEGRADO di Marta D’Alia di relazione. 2 Qualunque progetto di riqualificazione contemporaneo non può limitarsi alla riqualificazione fisica dei luoghi, ma deve puntare a mettere in atto meccanismi che introducano nuove funzioni ed attività in relazione tra loro, cosicché attraverso le identità che compongono una determinata zona urbana si possano creare attività culturali e sociali di forte impatto e opportunità economiche per i residenti.
La teoria urbanistica e antropologica che si è affermata negli ultimi anni afferma che ci sia bisogno di ripensare le periferie delle città. Il tema è stato oggetto di studi del Gruppo di Lavoro istituito presso il Senato, voluto da Renzo Piano, con l’obiettivo di ripensare al ruolo che queste zone della città rivestono nonostante la discriminazione sociale, culturale ed economica di cui sono vittime. Alla fine degli anni ’70, quando il problema principale era la riqualificazione dei centri storici italiani, si svilupparono delle esperienze proficue per il risanamento di questi con la nascita dei “Laboratori di Quartiere” ideati da Renzo Piano e con il sostegno dell’UNESCO, in favore del restauro, del recupero conservativo e della manutenzione dei centri storici. L’idea fu di coinvolgere gli abitanti dei centri storici in un processo partecipato di riqualificazione delle zone urbane. Questo fu possibile grazie all’adozione di tecnologie innovative di restauro e recupero degli immobili che non essendo molto invasive e traumatiche, permisero la convivenza tra i due interessi: da un lato, la permanenza degli abitanti nelle zone coinvolte e dall’altro, gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria necessari. Successivamente, si susseguirono altre esperienze di questo tipo, in cui con questo metodo della mediazione tra i due interessi coinvolti, si elaborarono prassi di interventi di riqualificazione che non fossero solo incentrati sugli aspetti architettonici ma anche sociali e urbani. Ai giorni nostri, la teoria prevalente per il recupero delle periferie prevede che queste debbano essere “rammendate” 1, o addirittura che sia l’idea stessa di periferia a dover essere cancellata a vantaggio di un approccio che ricollochi al cuore della città non uno spazio geografico ma l’uomo e le sue pratiche 1 - Renzo Piano
Voci - APRILE 2017 N. 2 / A.3
In questo contesto, una branca della teoria urbanistica sostiene che le aziende private debbano avere un ruolo attivo nel recuperare e vivificare i contesti urbani disagiati. Le aziende e le istituzioni imprenditoriali del nostro paese, infatti, ognuna con il loro know-how e le proprie competenze, hanno la responsabilità di organizzare le attività per diffondere e trasferire il sapere. In questo processo di recupero urbano e sociale delle periferie, le fondazioni che mirano alla diffusione della cultura dovrebbero assumere un ruolo fondamentale nel trainare questa rinascita. In passato, attività di questo tipo sono già state realizzate, per esempio l’adozione a Bari nel 1986 da parte dell’Impresa Dioguardi della scuola Lombardi situata in una zona disagiata della città, o la sponsorizzazione del restauro del Colosseo da parte di Tod’s Spa degli ultimi anni. In un contesto in cui le tecnologie digitali hanno invaso tutti i settori economici e culturali, le imprese di media, di tecnologie digitali e di informatica sono forse quelle più adatte a rivestire il ruolo di imprese per la città. Se i rappresentanti del sapere e della cultura hanno l’obbligo morale di impegnarsi in questo processo di recupero delle periferie del nostro paese, la classe politica ha l’obbligo di favorire questo processo in un rapporto di complementarietà, attraverso una de-burocratizzazione delle azioni. L’obiettivo è importante: il contrasto del degrado materiale e urbano strettamente legato ad degrado sociale e culturale. Senza una presa di coscienza del ruolo che le imprese devono avere in questa lotta, non ci potrà essere innovazione e non ci potranno essere nuove opportunità per i giovani. Marta D’Alia Esperta di Diritto Internazionale Umanitario. Assistente giuridico nella promozione degli investimenti di imprese italiane nell’Africa dell’Ovest
2 - Franco La Cecla, Contro l’Urbanistica, Einaudi, 2016
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Economia e sviluppo
RITROVARE LE RAGIONI DELLA SPERANZA di Vincenzo Fazio
“Ridare all’Italia una prospettiva nuova perché rinascano opportunità di lavoro per i giovani e i meno giovani” Da tempo viviamo in un clima di incertezze e profondo disagio, non soltanto per le difficoltà economiche ed occupazionali in cui vive il Paese, ma anche per il disordine morale che investe la classe politica e la mancanza di fiducia nelle Istituzioni. Questo orizzonte denso di dubbi si estende anche all’Europa e, forse, oltre l’Europa stessa. Eppure, bisogna ritrovare le ragioni della speranza, tornando a riflettere sulle radici della crisi attuale per trovare una via d’uscita. Non è più sufficiente, anche se è vero, addebitare a parte della cosiddetta classe politica, sperperi, immoralità, truffe ed egoismi di ogni genere. Bisogna certamente far piazza pulita di tutto ciò. Ma bisogna anche pensare a cosa fare per ridare all’Italia una prospettiva nuova, in cui possano rinascere opportunità di lavoro per i giovani e per i non più giovani che non trovano o hanno perduto il posto di lavoro e ridare ai più deboli, alla crescente massa di vecchi e nuovi poveri, quella dignità umana, sempre più travolta da una cultura fondata su un liberismo irresponsabile e da un individualismo sempre più miope, guardando alla ricerca di un benessere comunitario. 11
Anche se le questioni da affrontare sono in prima evidenza di carattere economico, più in profondità si tratta di problemi politici e culturali. Ma veniamo alle radici economiche dell’attuale crisi e alle possibili via d’uscita. Ci troviamo di fronte a una realtà in cui la classe produttiva (lavoratori e imprenditori) sono ostaggio della classe parassitaria e di quella speculativa, due categorie che bisogna combattere, attraverso un’alleanza forte dei componenti della classe produttiva. La battaglia è difficile perché gli interessi in campo sono forti. Pur essendo ancora la classe produttiva la stragrande maggioranza, risulta disorientata, spesso divisa, e avverte nella crisi il desiderio di liberarsi da ciò che in termini più immediati ed apparenti appaiono essere i nemici da abbattere. Così si pensa che la colpa sia dell’Europa o dell’euro o della politica di rigore nei conti pubblici. Certamente occorre un’Europa più forte, capace di imboccare con forza i sentieri nuovi dello sviluppo, APRILE 2017 N. 2 / A.3 - Voci
Economia e sviluppo
oltre a quelli del rigore; che sappia combattere la speculazione finanziaria; che sappia difenderci dalla concorrenza sleale, che oggi si manifesta a livello continentale, distruggendo posti di lavoro, laddove esistevano, per crearli altrove, senza curarsi della difesa dell’ambiente, sempre più in pericolo a livello globale, e della dignità del lavoratori, che si vedono da una parte privati del loro lavoro e dall’altra ingabbiati in orari e condizioni lesivi della dignità umana. Eppure, esistono, oggi più di ieri, accumulazioni di capitali, tecnologie e capitale umano in grado di affrontare i problemi dello sviluppo e dell’occupazione a livello globale, senza accettare l’assurdo di un sistema mondiale che si vorrebbe far reggere diviso in due parti: una che produce senza avere il potere d’acquisto per consumare, e una che consuma con un potere d’acquisto creato in maniera fasulla con la finanza speculativa o con l’immissione di liquidità creata a dismisura da istituti di emissione convinti che ciò possa proseguire oltre ogni limite.
particolarmente impegnati in attività usuranti e per supportare le donne impegnate nel duplice ruolo di lavoratrici e di madri. Inoltre, occorre approfondire la possibilità di introdurre criteri per migliorare l’ingresso e l’uscita dal mercato del lavoro: ad esempio pensare che nel mercato del lavoro si entra da giovani parttime e si esce da anziani part-time.
Cosa fare? La crisi è di natura reale, anche se si tenta di mascherarla in mille modi.
Occorre promuovere la micro imprenditorialità giovanile, non soltanto con agevolazioni finanziarie,
Primo, occorre rafforzare l’Europa per darle l’autorità di porre in atto politiche di sviluppo. I Bonds europei sono necessari per creare grandi infrastrutture onde agevolare la mobilità necessaria a favorire i nuovi sentieri dello scambio intercontinentale, per agevolare la circolazione delle intelligenze necessarie a promuovere lo sviluppo dei Paesi emergenti del Mediterraneo, creando le condizioni per valorizzare le loro potenzialità, per ridurre la mortalità infantile, per dar loro modo di incanalare le risorse idriche, energetiche e umane, verso una crescita che elimini la povertà e, con essa, la conflittualità disumana ammantata, spesso in malafede, da vestigia religiose.
consistenti nella riduzione del costo del credito e nella premialità per le idee, ma anche favorendo la fiscalità e le procedure per la nascita di nuove imprese.
Nel Paese è necessaria, innanzi tutto, una profonda revisione della Pubblica Amministrazione basata sui seguenti capisaldi: a) le procedure, b) le competenze, c) la responsabilità. Spesso, dietro le lungaggini e le farraginosità delle procedure, si annidano corruzione e collusione. In ogni caso, sono all’origine di ostacoli insuperabili all’operatività delle imprese esistenti e all’attrazione degli investimenti esteri. La Pubblica Amministrazione va arricchita di competenze in grado di affrontare il ruolo che è chiamata a svolgere nell’economia moderna, riducendo, nel contempo, le presenze inutili e inoperose. La responsabilità dei pubblici dipendenti va resa effettiva in tutti i campi e, nello stesso tempo, adottando forme di retribuzione commisurate, almeno parzialmente, alla produttività. Parallelamente, occorre ripensare il funzionamento del mercato del lavoro. Per tutelare i lavoratori Voci - APRILE 2017 N. 2 / A.3
In questo quadro è importante riqualificare la spesa pubblica, eliminando le diffuse forme di parassitismo e riorientandola nelle seguenti direzioni: a) impegnarsi per la realizzazione delle grandi infrastrutture per la mobilità e la logistica internazionale (il Mezzogiorno, specialmente, nella creazione di grandi piattaforme logistiche per il trasporto merci aereo internazionali per le quali ha le dotazioni e le vocazioni necessarie), pensare alle intercity di secondo livello (al riguardo il Mezzogiorno ha diritto a recuperare ritardi secolari); b) un impegno per la ricerca applicata in grado di sostenere il rapporto tra la formazione giovanile e la crescita della imprese; c) la tutela dei deboli e il supporto alla inclusione sociale, anche per agevolarne la utilizzazione produttiva. L’impegno va orientato anche all’esterno del Paese nel promuovere la cooperazione internazionale, ricercando la costituzione di rapporti che possano mettere insieme finanza islamica e finanza occidentale, allo scopo di realizzare progetti di cooperazione economica nel settore della pesca, della valorizzazione delle risorse naturali, nella ricerca ambientale e delle energie rinnovabili. Vincenzo Fazio Docente di Economia della Cultura presso l’Università di Palermo Consulente giudiziario del Tribunale di Palermo
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Globalizzazione
DIRITTI UMANI E SCENARI GLOBALIZZATI: QUALE FUTURO OCCUPAZIONALE? di Maurizio Gemelli
Il concetto di globalizzazione è andato assumendo nel tempo una importanza crescente persino per la riflessione sistematica sui diritti umani, provocando alcune trasformazioni nel loro processo di internazionalizzazione e innescando nuove istanze sul medesimo terreno. Esso si presenta come multidimensionale, nel senso che, ferma restando la prevalente connotazione economica, finisce per invadere gli ulteriori ambiti delle interazioni sociali, delle istituzioni politiche e del diritto. In termini più generali, possiamo provare a definirla come l’insieme dei processi legati all’accorciamento delle distanze e della loro rappresentazione sociale, scaturito dal parallelo, e spesso contestuale, sviluppo delle tecnologie della comunicazione e dalla conseguente circolazione dei differenti modelli culturali, dei servizi e dei capitali.
dinamiche neoliberiste, un simulacro per modulare le scelte regolative interne degli Stati alle esigenze del mercato globale, a quella dei favorevoli, i quali evidenziano come essa, al contrario, esprima cambiamenti strutturali, reali e positivi nella scala dell’organizzazione sociale, politica e giuridica contemporanea, a quella intermedia di coloro che riconoscono che la globalizzazione sta ridefinendo il potere, le funzioni e l’autorità dei governi nazionali, nonché l’organizzazione sociale ad essi interna ed individua in tali processi aspetti sia positivi sia negativi (Amarthya Sen). In tale prospettiva, lo Stato nazionale non può dirsi scomparso, ma sarà necessario avviare un processo di sua profonda trasformazione, riservando autonomia di movimento sempre più ampia alla c.d. governance, ovvero a meccanismi di regolazione e controllo non più accentrati a livello statale.
Rivisitata sotto il profilo squisitamente economico, la globalizzazione si esprime nella delocalizzazione delle funzioni produttive da parte delle imprese, nell’intensificarsi dell’integrazione fra i mercati (compreso quello del lavoro), nella diffusione dei flussi finanziari.
Sempre più frequentemente, essa diviene espressione di una disarmonia tra le componenti essenziali della cultura. Da una parte, un progresso accelerato della tecnica ed una intensa espansione delle attività economiche, dall’altra la difficoltà dell’etica, della politica e del diritto nell’affrontare gli scenari sempre nuovi determinati da tale sviluppo.
La valutazione del fenomeno ha sin qui scatenato nei più attenti osservatori reazioni di differente tenore: da quella dei contrari, che la considerano una mera costruzione ideologica, finalizzata a mascherare 13
Sotto il profilo sociologico, anche l’individuo nella età della globalizzazione finisce per essere delocalizzato, nel senso che viene separato dai contesti di APRILE 2017 N. 2 / A.3 - Voci
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appartenenza e proiettato in un universo sempre più grande, ma incapace di restituirgli una identità. La dimensione locale non si rivela più in grado di offrirgli adeguata protezione, anche a causa dell’obiettiva difficoltà di individuare le necessarie coordinate di riferimento (Baumann). La globalizzazione dall’alto svilisce il senso di comunità. Attraversando i territori, determina per l’élite del mondo una cittadinanza cosmopolitica, fondata su consuetudini indotte dal mercato e dai mass media (Sassen). Provoca in certa misura anche nuove forme di frammentazione giuridica, concorrendo a creare, al tempo stesso, nuove forme di diseguaglianza. Sul versante della distribuzione della ricchezza, ha aumentato il divario fra paesi ricchi e paesi poveri e questo ha certo contribuito a considerarla come un fenomeno che, già sul piano empirico, sembra lasciare poco spazio ad una riflessione intorno ai suoi rapporti con i diritti umani. è, però, la loro stessa idea che esige di essere situata entro una visione della giustizia necessariamente orientata in senso sovranazionale. L’obiettivo rimane quello di una società internazionale proteiforme, in cui istituzioni statali e sociali convivano con altre cosmopolitiche, abdicando alla pretesa di un centro di governo unitario. Nei primi anni novanta, il processo di globalizzazione subisce una ulteriore accelerazione, ponendo fine a molti sistemi politici ed economici, che definivano le economie di ieri. L’Unione Sovietica e i suoi stati satellite crollano. L’India avvia una serie di riforme per liberalizzare la propria economia, conducendo sul terreno dell’economia globale oltre un miliardo di persone. Nel trentennio 1982-2012 il tasso di povertà scende dal 60 al 22% della popolazione. L’aspettativa di vita sale da 49 a 66 anni, all’interno di un paese meglio definito dalla tecnologia, dai servizi Voci - APRILE 2017 N. 2 / A.3
globali e da un ceto medio in rapida crescita. La Cina crea una nuova forma di capitalismo ibrido, facendo uscire dalla povertà oltre mezzo miliardo di individui. Nello stesso periodo di cui sopra, il tasso di povertà si riduce dall’84 al 13%, corrispondente all’uscita dall’indigenza di circa seicento milioni di cinesi. Oggi la Cina rappresenta la seconda economia del mondo dopo gli Stati Uniti. In Sud Africa, l’apartheid finisce e Mandela viene eletto Presidente. Viene lanciato il World Wide Web e messo a disposizione del pubblico contemporaneamente ai browser, ai motori di ricerca e all’e-commerce. A fronte degli scenari del passato, anche recente, sin qui sommariamente evocati, il mondo oggi sta entrando in una nuova fase di innovazione, che darà il via a tutta una serie di attività industriali mai sperimentate prima (la genomica, l’intelligenza artificiale, la robotica etc…). Nella genomica operano grandi scienziati italiani, ma lavorano in Francia e negli USA. Ingegneri assai capaci sono impegnati nel campo della robotica, ma lavorano in Corea del Sud, Giappone, Svezia e Germania. Altrettanto brillanti matematici e informatici avrebbero le capacità per creare compagnie di Big Data da miliardi di euro, ma molti di loro non credono nella possibilità di avviare queste aziende in Italia, perché vedono quanto è difficile per gli imprenditori internet italiani sviluppare proprie attività nel paese d’origine rispetto a quanto fanno i loro colleghi in Germania, Regno Unito e negli Stati Uniti. Cosa deve cambiare per invertire questo trend negativo? Verosimilmente, occorre perseguire, tra gli altri, alcuni degli obiettivi, individuati da Alec Ross, esperto di tecnologia, già Consigliere del Dipartimento di Stato Usa di Hillary Clinton, docente della Columbia University, nel suo recentissimo libro “Il nostro 14
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non ci saranno abbastanza esseri umani disponibili a fare quel lavoro. I badanti sono assoggettati a frequenti turnover a causa delle basse retribuzioni e ad un notevole tasso di infortuni sul lavoro. Ed ecco allora arrivare in soccorso i robot, sin da ora in via di realizzazione in una fabbrica giapponese. La casistica, al riguardo, offre una serie di esempi tra i più disparati, secondo quanto ci riporta sempre Ross, nella sua interessantissima pubblicazione cui prima si faceva cenno. Toyota ha realizzato una aiutante infermiera, chiamata Robina, che è un robot di 60 kg. di peso e un metro e venti di altezza, capace di comunicare con parole e gesti. Ha due occhi distanziati, una chioma e un caschetto e persino una fluente gonna di metallo bianco. Ma c’è anche il fratello di Robina, Humanoid, che opera da assistente domestico multifunzionale, nel senso che sa lavare i piatti, occuparsi dei tuoi genitori quando non stanno bene e persino offrire un trattenimento improvvisato, suonando la tromba o il violino.
futuro. Come affrontare il mondo dei prossimi venti anni ”, Feltrinelli, e, segnatamente, quello di rendere più facile per una azienda nascere, crescere e fallire, eliminando le pastoie burocratiche, riducendo le barriere culturali e occupazionali, favorendo la piena partecipazione dei giovani e delle donne all’economia. La storia è ormai nota a tutti e passa attraverso tre ambiti fondamentali: tecnologia, automazione e globalizzazione. Forse non a tutti, però, è noto che esiste una robotica di ultima generazione in Corea del Sud, strumenti bancari assai evoluti in paesi africani, nei quali non c’erano banche, tecnologia laser utilizzata per incrementare la produzione agricola in Nuova Zelanda, studenti universitari in Ucraina capaci di trasformare il linguaggio dei segni in lingua parlata; che in Europa, i mercati del lavoro a più alta specializzazione stanno avviando start-up di notevole portata. Le industrie chiave del futuro verosimilmente saranno la robotica, le bioscienze avanzate, la trasformazione in codice del denaro, la cyber sicurezza, i Big Data. Il Giappone è il paese in cui vivono i cittadini più longevi e che ospita la popolazione di anziani più numerosa della terra, la cui aspettativa di vita è fissata agli 80 anni per gli uomini e agli 87 per le donne. Tutti questi anziani avranno bisogno di qualcuno che si occupi di loro, ma i bassi tassi di natalità giapponesi - per molti versi paragonabili a quelli di casa nostra - comprovano che non ci saranno nipoti a sufficienza e, grazie alle politiche persistentemente rigide sulla immigrazione, 15
Honda ha creato, invece, Asimo (Advanced Step in Innovative Mobility), un umanoide talmente sofisticato da s apere interpretare emozioni, movimenti e comunicazioni verbali degli umani. Dotato di telecamere che fungono da occhi, può obbedire a comandi vocali, stringere mani e rispondere a domande con un cenno del capo o a voce. Si inchina, persino, per salutare, esattamente come fa un giapponese ben educato! Rispetto ad un paziente anziano, è in grado di aiutarlo ad alzarsi dal letto, a sostenere una conversazione etc… D’altro canto, i robot stanno cominciando a svolgere un ruolo di primo piano anche in sala operatoria. Nei soli Stati Uniti, nel 2013, ne sono stati venduti 1300 chirurgici per un prezzo medio di 1,5 milioni di dollari ciascuno e il numero di procedure sanitarie robotiche cresce di circa il 30% all’anno. Con le pressioni esercitate sulle compagnie di assicurazione e i centri sanitari in vista della riduzione dei costi (la c.d. medicina difensiva negativa), il timore è che le forze del mercato spingeranno i robot nelle sale operatorie in circostanze in cui il paziente sarebbe meglio assistito da un essere umano. Per fortuna, ci sono esempi assolutamente positivi di ricorso ai robot in ambito medico che hanno prodotto risultati davvero sorprendenti. Nel mondo, pare che 70 milioni di persone soffrano di gravi problemi di udito e di parola, per i quali sostanzialmente non si è riusciti ad individuare una soluzione provocandone di fatto l’esclusione sociale. Ebbene, un gruppo di studenti di Ingegneria in Ucraina ha creato Enable Talk, un guanto robotico blu e nero, in cui i sensori flessibili presenti nelle dita riconoscono la lingua dei segni e la traducono in testo su uno smartphone via bluetooth. A APRILE 2017 N. 2 / A.3 - Voci
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sua volta, il testo viene convertito in parlato, mettendo la persona sordomuta in condizione di dialogare e di essere udita in tempo reale. In Francia, una azienda di robotica, l’Aldebaran, ha creato un automa umanoide, alto circa mezzo metro, chiamato Nao, che in 70 paesi funge da assistente del professore nei corsi di scienze ed informatica. è stato, inoltre, adattato per svolgere funzioni di sostegno in classe, capace di aiutare gli studenti autistici a comunicare più efficacemente. Pare che negli Stati Uniti siano già diventati una realtà concreta i cc.dd. legal robots. Si tratta di automi che fungono da archivio parlante, capaci di rispondere alle più svariate domande di clienti e superiori, così come di sbrigare le pratiche d’ufficio più noiose, tra cui la lettura di decine di dossier, articoli e scartoffie per cercare l’informazione desiderata relativa a un’udienza. In Corea del Sud, da tempo i pescatori non riuscivano a contrastare le meduse e l’impatto negativo (quantificato in miliardi di dollari all’anno) delle stesse sull’industria ittica mondiale. Ebbene, lo Urban Robotics Lab del Korea Advanced Institute of Science and Technology ha creato Jeros (Jellifish Elimination Robotics Swarm), una sorta di grande automatico frullatore a immersione, che rintraccia e distrugge meduse al ritmo di una tonnellata all’ora. Nel 2011, negli Usa, Obama ha lanciato la National Robotics Iniziative, al fine di promuovere lo sviluppo dei robots per l’automazione industriale, l’assistenza agli anziani e le applicazioni militari. Programmi di analogo contenuto sono stati contestualmente adottati in Francia e in Svezia. Oggi quasi tutte le maggiori case automobilistiche stanno studiando e costruendo proprie versioni di autovetture senza conducente. L’azienda che però sta investendo più di tutte in questo settore è Google, la cui autovettura prevede un radar, telecamere che mantengono l’auto all’interno delle corsie e un sistema luminoso di individuazione e distanziamento, sistemi a infrarossi, di imaging tridimensionale e GPS, nonché sensori collegati alle ruote. Ovviamente, Google ha interesse a liberare le mani dei consumatori per una maggiore quantità di tempo da dedicare ai suoi prodotti. Come accade in ogni altro sviluppo della robotica, molti guadagneranno, ma diversi altri finiranno fuori gioco. Le aziende della tecnologia hanno già sfidato il mercato dei servizi automobilistici. Uber, l’applicazione mobile che connette passeggeri e autisti a pagamento, ha rivoluzionato il mercato del taxi, un lavoro che, all’evidenza, comporta una altissima quantità di interazione umana. La conversazione con un tassista può aiutare a farsi un quadro dell’opinione pubblica, fare il punto sulle Voci - APRILE 2017 N. 2 / A.3
politiche in atto o semplicemente sapere che tempo farà. Ma siamo sicuri di essere disposti a perdere il contatto umano? E poi, ammesso che i passeggeri arrivino a preferire conducenti robot, che fine farà il tassista che perderà l’impiego, perché i posti di lavoro nel settore dei servizi saranno più a rischio che mai per effetto della prossima ondata di innovazione? E, si badi bene, che il problema non riguarda i soli tassisti! Si pensi, infatti, agli autotrasportatori, che saranno rimpiazzati dai droni aerei di Amazon o dai furgoni di consegna automatizzati. Ups e Google stanno sperimentando proprie versioni di droni di consegna. Foxconn, l’azienda di Taiwan che produce i nostri Iphone, più tanti altri gadgets insieme ad Apple, Microsoft e Samsung, e che impiega mezzo milione di addetti nelle varie unità produttive, già nel 2011 aveva preannunciato un piano di acquisto per un milione di robot nei successivi tre anni, destinati ad affiancare i lavoratori umani già impiegati nell’azienda, peraltro in pessime condizioni di lavoro. Il futuro prossimo vedrà attrezzature robotiche che permetteranno ai paraplegici di camminare, farmaci di sintesi capaci di cancellare determinate forme di cancro, codici informatici usati tanto come valute internazionali quanto come armi per distruggere infrastrutture, magari ubicate nell’altro emisfero del pianeta. Mentre ogni altra parte del corpo si sta aprendo alle incursioni della medicina, il cervello umano rimane ancora una sorta di mistero. Gli scienziati si propongono di forzarne il codice cominciando a fare ricorso alla genomica per trattare le malattie neurologiche e mentali. Per avere contezza minima delle ricadute del problema, basterà riflettere sulle conseguenze, in termini anche soltanto di disturbi psichici, che i diversi conflitti armati in Iraq e in Afghanistan, ma prima ancora quelli del Vietnam, hanno provocato nei militari e diplomatici statunitensi di ritorno da quelle zone di guerra. La sequenza genomica ci dirà se siamo predisposti alle malattie cardiache, quanto saremo alti, quanto peseremo, se saremo dei corridori veloci, se saremo predisposti per la matematica, se avremo i capelli ricci o lisci, gli occhi azzurri o castani, se perderemo i capelli da giovani e tutto questo riusciremo a saperlo probabilmente già dieci settimane dopo il nostro concepimento. Con i progressi della genomica, attualmente l’intera genetica del feto è accessibile e imporrà a tutto il mondo di affrontare la questione della selezione genetica. Possiamo esser certi che, una volta in possesso di tutte queste informazioni, in tanti non opterebbero per bambini progettati su misura, nel senso che, una volta venuti alla luce, presentino il corredo genetico corrispondente alle migliori aspirazioni di un genitore? Esiste il rischio concreto che, conoscendo 16
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in anticipo le predisposizioni e i talenti del proprio figlio, i genitori sarebbero influenzati nelle decisioni riguardanti la sua formazione? La paura di una futura malattia potrebbe impedire ai genitori di offrire al figlio un normale sviluppo sociale? Com’è noto, sin dall’ormai lontano 1998, il Congo è impelagato nel conflitto più letale (oltre cinque milioni di vite umane) registrato sulla terra dopo la seconda guerra mondiale, fomentato dalla competizione sulle risorse naturali, da divisioni etniche e dall’arroganza dei signori della guerra. Benché sia stata dichiarata la pace, in realtà le tensioni permangono, il mercato nero continua a diffondersi, in assenza di efficaci strumenti di contrasto, e il Congo rimane uno degli stati più poveri al mondo, con un tasso di analfabetismo che coinvolge un terzo della popolazione e l’aspettativa di vita fissata ad appena 46 anni. Alcune tra le più atroci sofferenze del Congo si sono registrate a Goma, una cittadina sul confine orientale con il Ruanda, devastata dai continui combattimenti, che hanno già costretto all’esodo più di due milioni di persone. Visitando il campo profughi di Mugunga, a nord di Goma, nel quale vivono centinaia di migliaia di rifugiati in baracche fatte di tele cerate e fogli di lamiera ondulata, con pesanti pietre che tengono ferme quelle precarie costruzioni e con i bambini che camminano a piedi nudi sulla roccia vulcanica grigionera, si può agevolmente constatare che i cellulari sono assai diffusi. I rifugiati li usano persino per mandare e ricevere denaro, o, più semplicemente, per mantenere i contatti familiari dopo essere stati evacuati dai vari campi profughi montati, e magari subito dopo abbandonati, a seconda delle esigenze specifiche delle milizie. Orbene, a proposito del lento, ma inesorabile, declino del lavoro, la dottrina scandinava (Brynjolfsson) lo ha etichettato come “il grande paradosso della nostra epoca”. La produttività è a livelli record, l’innovazione non è mai stata così rapida, eppure al tempo stesso registriamo una caduta del reddito medio ed un minor numero di posti di lavoro disponibili. La gente rimane indietro, perché la tecnologia avanza molto velocemente e le nostre capacità non ce la fanno a reggere il passo. Saranno molti quelli che rimarranno senza lavoro. A differenza della precedente ventata di globalizzazione e innovazione, trainata dall’informatica, che ha fatto uscire dall’indigenza una considerevole serie di persone, la prossima ondata metterà in difficoltà i ceti medi di tutto il mondo, minacciando per molti un ritorno alla povertà. Con il crescere dello spazio occupato dai robot, l’economia globale vivrà una rivoluzione alimentata da un’intelligenza artificiale e una capacità di apprendimento delle macchine tale da potere avere effetti sulla forza lavoro non meno pregiudizievoli della rivoluzione agricola, industriale 17
e digitale che l’hanno preceduta. Se prenderanno piede gli assistenti robot, potrebbero persino creare una frattura tra le generazioni più anziane e quelle più giovani. Non è solo questione che gli anziani siano più disponibili a parlare, ma che i giovani lo siano altrettanto nell’ascoltare. Ai nostri tempi, infatti, mostriamo uno scarsissimo interesse per le esperienze, anche semplicemente di vita, che i nostri anziani hanno da trasmetterci. In molte zone del pianeta, ci si sente nuovamente sotto l’assedio di crescenti disuguaglianze e di perturbazioni indesiderate ed è sempre più diffusa la sensazione che stia diventando difficile trovare il proprio posto nel mondo, o anche solo tirare avanti. E questo sta provocando lo scompiglio in molte società. L’innovazione porta con sé promesse e pericoli. Le forze che stanno generando progressi senza precedenti nell’ambito della ricchezza e della salute sono quelle stesse che possono permettere ad un hacker di rubarti l’identità o di violare casa tua. I social network possono tanto aprire a nuove connessioni quanto creare nuove forme di ansia sociale. La digitalizzazione dei pagamenti può facilitare il commercio, ma può anche permettere nuove frodi. La genomica avrà un impatto sulla nostra salute più consistente di qualsiasi altra innovazione del secolo scorso. Vivremo più a lungo, ma le nostre vite si faranno più complicate con l’aumento delle informazioni e delle scelte che avremo da gestire. Sulla biologia di quelli che siamo e di ciò che saremo, conosceremo più di quanto oggi possiamo anche solo immaginare. La combinazione di storia globale, competizione internazionale e numerose variabili politiche locali sta producendo una serie di sistemi ibridi in quasi tutti i paesi del mondo (il capitalismo di stato cinese, la complessa democrazia indiana, le economie di mercato sociali dell’Europa occidentale, il miscuglio delle strategie di sviluppo in Africa, America latina ed Asia). I problemi e le difficoltà sono comunque comuni e si lasciano individuare rispettivamente nel come equilibrare crescita e stabilità in un’epoca di profonde disuguaglianze; come prepararsi alle sfide sociali ed economiche della nuova ondata di globalizzazione e innovazione; quale, e quanto, controllo gli stati nazionali dovranno esercitare sulle società, reso ancor più arduo dal rilievo, ormai sotto gli occhi di tutti, che internet e i social media hanno già provocato una sostanziale perdita di controllo, ferma restando l’impossibilità oggettiva di tenere tutto sotto osservazione. L’informazione, com’è noto, non transita più ai giorni nostri dai media tradizionali e dai governi delle società, ma viaggia su una vasta rete di cittadini e consumatori, che interagiscono con fonti di informazione che un tempo erano dominanti. Ecco quindi che l’opzione fondamentale del XXI APRILE 2017 N. 2 / A.3 - Voci
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secolo diventa quella tra sistemi totalmente aperti e sistemi completamente chiusi. E un fattore cruciale di successo dei paesi sarà rappresentato dalla capacità di ciascuno di garantire i diritti a tutti i propri cittadini, soprattutto non ignorando il ruolo delle donne, e men che meno maltrattandole. Vicende come quella di Malala Yousafzai, la quale, com’è noto, il 10 ottobre 2014 è stata insignita del premio Nobel per la pace diventando, a 17 anni, la più giovane vincitrice di un premio Nobel, attribuito “per la sua lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione”, non dovranno più ripetersi, malgrado l’analisi statistica ci consegni ancor oggi i dati, niente affatto tranquillizzanti, che il 90% delle donne pakistane è vittima di violenza domestica e solo il 40% è alfabetizzato. Ciò che, ad ogni buon conto, dovremmo avere chiaro è che trattare bene le donne non è soltanto, e soprattutto, una questione etica, ma anche assai più materialmente economica, dal momento che rappresentano la metà della forza lavoro di ogni nazione e un paese che vuole realmente competere non può certo andare molto lontano se sceglie deliberatamente di privarsi della metà della sua forza lavoro! Secondo una stima della Banca Mondiale, anch’essa, manco a dirlo richiamata da Ross nel suo volume, il 93% dei paesi medio orientali e nordafricani prevede norme assai restrittive sui lavori che alle donne è consentito svolgere, con conseguenti rischi di emarginazione economica in futuro a tutto vantaggio dei paesi dell’africa sub sahariana, dell’America Latina e dell’Asia. Nella stessa Cina, il regime maoista, ispirandosi al noto slogan “le donne reggono la metà del cielo”, ha posto la parità come questione centrale, sollecitando le donne ad avviare piccole attività commerciali di quartiere, assicurando alle stesse impiegate in fabbrica salari quasi pari a quelli degli uomini, più sussidi per i figli e orari flessibili. Un quarto della popolazione femminile urbana frequenta il college, dove le donne ottengono risultati migliori di quelli degli uomini. Nel 2013, la Cina vantava il primo posto nel mondo per percentuale di donne in posizione di vertice, pari al 51% e la metà delle donne più ricche del mondo vive in Cina. Un quadro non altrettanto entusiasmante presenta invece il Giappone, dove le donne, malgrado siano quelle con la maggiore istruzione al mondo, negli anni successivi al college, e subito dopo l’inserimento nel mondo del lavoro, lo abbandonano al primo figlio, nel senso che il 70% di esse smette di lavorare, per una durata media di sessanta ore a settimana, dal momento che questi bioritmi non possono dì certo conciliarsi con le esigenze di una mamma che desideri dedicare un po’ del suo tempo alla prole! Una seconda condizione fondamentale di sviluppo futuro consiste – prosegue condivisibilmente l’arguta Voci - APRILE 2017 N. 2 / A.3
riflessione di Ross - nel disporre di giovani le cui idee vengano finanziate e ai quali siano riservati anche posti da dirigenti nell’ambito aziendale. La circostanza che nell’Europa mediterranea la grande quantità di giovani professionisti sia costretta ad aspettare decenni prima di vedersi affidare una reale autorità, ovvero prima di vedersi finanziati gli investimenti necessari, è una delle cause della stagnazione, soprattutto laddove si consideri che Google, Facebook, Microsoft ed Oracle e innumerevoli altre imprese dell’età dell’informazione sono state lanciate da soggetti poco più che ventenni. Ancor più paradossale si presenta il quadro nel nostro paese, all’interno del quale il giovane, nella fascia di età ricompresa fra i 20 e i 40 anni, dovrebbe reputarsi già assai fortunato a riuscire a spuntare un breve colloquio con un eventuale finanziatore, né tantomeno verrebbe mai ritenuto idoneo a dirigere un’azienda. In perfetta controtendenza, in Africa sono sempre più numerosi i giovani competenti in tecnologia che entrano nel mondo del lavoro e avviano una loro attività, o che lavorano in remoto per aziende asiatiche, americane o europee. Il tasso di imprenditoria femminile è pari a quello degli uomini, e, anzi, la Nigeria e il Ghana hanno più imprenditrici che imprenditori. Lo stesso Ruanda, vent’anni dopo il brutale genocidio del 1994, ha ricostruito la sua economia, fondandola sulla conoscenza e sulle infrastrutture, tipo la fibra ottica, che consente a quel paese di scambiare le merci con procedure ad alta tecnologia. Negli ultimi anni, la disuguaglianza si è molto attenuata, grazie all’attivismo del governo di Kagame, che ha fatto dell’uguaglianza di genere un principio chiave durante la ricostruzione del post-conflitto, varando una serie di riforme politiche e giuridiche che hanno garantito alle donne pari diritti, abbandonando, altresì, ogni forma di violenza di genere. Il Ruanda è l’unico paese al mondo nel quale si ritrova un organo parlamentare democraticamente eletto composto in maggioranza da donne, che si contano altrettanto numerose, del resto, anche nelle leadership dei settori pubblico e privato. A fronte degli scenari, sommariamente sin qui evocati, nascono spontanei gli interrogativi se potremo ragionevolmente sperare che le società moderne risponderanno a questo ormai crescente deficit di posti di lavoro, riservati agli esseri umani, rafforzando le reti di welfare, di sicurezza sociale, in maniera tale da consentire di reimpiegare questi lavoratori in altri settori? Saremo capaci di prendere una parte dei cospicui guadagni prodotti nel campo della robotica e di reinvestirli nell’istruzione e nella formazione professionale dei tassisti, dei camerieri, e di tutti gli altri rimasti senza occupazione? Si avrà sufficiente rispetto per la loro dignità umana? Saremo in grado di comprendere sino in fondo che il lavoro è un diritto e, ogni qual volta è fatto passare come una gentile concessione, ad essere lesa è la giustizia, 18
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senza la quale non è possibile costruire alcuna vera democrazia e promuovere il rispetto di ogni persona umana? Quando un lavoratore raggiunge la mezza età e ha figli, la necessità di sussidi cresce e, parallelamente ad essa, l’esigenza di implementazione di programmi di ammortizzatori sociali. Nonostante tutta l’efficienza dell’economia della solidarietà (c.d. sharing economy), verso la fine della vita del lavoratore, o in caso di malattia o infortunio, la responsabilità dei governi è destinata a crescere e il compito di tutelare il lavoratore a trasferirsi dal datore di lavoro ai programmi governativi finanziati dai contribuenti. è un costo irrinunciabile per consentire ad un mercato del lavoro flessibile di operare senza troppi lacci e lacciuoli, e, ogni qual volta esso assicurerà enormi guadagni ai proprietari delle piattaforme, questi dovranno essere chiamati a contribuire, sostenendone i relativi costi sociali ulteriori. Si potrebbe pensare, sulla scorta di quanto suggerito nei giorni scorsi da Bill Gates, Fondatore di Microsoft, in una recente intervista concessa al sito di informazione Quartz, di tassare i profitti delle aziende, che aumentano la produttività per effetto della introduzione dei robot, e poi reinvestire il relativo gettito fiscale in servizi per gli anziani, per l’istruzione e per le esigenze dei bambini che hanno bisogni particolari. E chissà che una scelta di questo tipo non finirebbe per allentare le tensioni intorno alla introduzione delle tecnologie, consentendo altresì di elaborare una strategia politica più efficace di gestione del cambiamento. L’urgenza di realizzare condizioni di equità diffusa nella distribuzione dei beni dovrà insomma, in ultima analisi, costituire un tarlo per l’ispirazione delle condotte non soltanto dei politici, magari
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talvolta persino a danno dei loro non pochi privilegi, ma altresì un ineludibile punto di partenza al quale conformare lo stile di vita e le scelte operative concrete di chiunque (imprenditori per primi, ma non solo loro) intenda contribuire al bene comune dell’intero pianeta con il proprio impegno quotidiano. Un traguardo così ambizioso sarà in concreto tanto più facilmente raggiungibile quanto più lo sviluppo verrà interpretato in termini di libertà. Come Amartya Sen ci ricorda spesso nei suoi scritti, è la libertà il coefficiente del progresso umano e il buon esito di ogni azione sociale ed economica consiste nel suo incremento. A condizione, però, che essa sia intesa come autentica possibilità di crescita, e non come deresponsabilizzazione o cedimento ad una mentalità edonistica ed individualistica. Per contribuire positivamente a tale processo, l’economia non deve dissociarsi dagli altri ambiti del vivere umano, né può dominarli, ma è chiamata ad integrarsi con essi. Ogni settore deve quindi collaborare con gli altri e tenere in grande considerazione il bene di tutte le persone, e non solo di alcune, e di tutta la persona, intesa come sommatoria delle sue varie dimensioni (economica e materiale, umana, relazionale e persino spirituale). La marginalità e le difficoltà delle esistenze in equilibrio precario si combattono anche attraverso applicazioni concrete del principio di sussidiarietà, da parte dei più fortunati e dei più acuti analisti della prospettiva futura. Maurizio Gemelli Docente a contratto di Diritti umani presso il DEMS dell’Università di Palermo
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Psicologia / pedagogia
VALENZE PSICO-SOCIOLOGICHE NEL PROCESSO EDUCATIVO di Aristide Donadio
Ovide Decroly, che può essere considerato il padre della pedagogia contemporanea, individua nella sua ricerca quattro principi basilari per un adeguato approccio educativo: l’unità, vale a dire la necessità di far convergere i contenuti attorno ad un interesse centrale del soggetto che apprende, l’individualizzazione dell’apprendimento, per cui l’insegnamento deve adeguarsi alle caratteristiche mentali dei singoli soggetti, l’adattamento all’ambiente, che presuppone la trasmissione di conoscenze che consentano al soggetto d’inserirsi attivamente nella vita, ed infine il principio l’integralità dello sviluppo, per cui va promosso lo sviluppo di tutti gli aspetti della vita e della personalità del soggetto. Un’impostazione, questa di Decroly, indubbiamente di ampio respiro, che dovrebbe ispirare qualsiasi approccio didattico-pedagogico per lo sviluppo di personalità, e quindi di comunità, sane, armoniche e solidali, ponendo le basi d’una cittadinanza attiva ma anche di un’efficace educazione. Vorrei soffermarmi sul principio dell’integralità sopra menzionato, i cui contenuti e le cui conseguenze sono forse meno intuitivi degli altri. Lungi dall’essere un monolite, la persona umana è composita ed Voci - APRILE 2017 N. 2 / A.3
articolata. Diverse le sue componenti, fra le quali spiccano quella cognitiva, emotivo-affettiva, corporea, sociale e spirituale. Anche il concetto di personalità è complesso e rivela la straordinaria molteplicità dell’essere umano, che presuppone un approccio olistico per ogni attività che ne contempli la cura, la tutela e la formazione. Allport definisce la personalità un’unità dinamica in cui si integrano armonicamente fattori biologici, psicologici e sociali per formare un’individualità unica e irripetibile, mentre Guilford la considera come un insieme unico di tratti: morfologici, fisiologici, temperamentali, di bisogni, interessi, atteggiamenti, attitudini, il cui funzionamento è durevole e distinguibile da una persona all’altra. Ma Guilford ci ha anche insegnato a distinguere fra il pensiero convergente, teso a riprodurre l’esistente, donde la possibilità di concepire una singola soluzione ad un problema seguendo una regola; e il pensiero divergente, in grado di generare più soluzioni allo stesso problema, pensiero alla base della creatività. A questo punto è necessario considerare in che fase storica ci troviamo circa l’applicazione di principi come il rispetto delle esigenze della persona e della personalità umane. In questo senso può darci una mano un affermato pedagogista contemporaneo, 20
Psicologia / pedagogia
Ken Robinson 1 che, partendo dal presupposto per cui l’educazione e l’apprendimento dovrebbero consistere in un’esperienza estetica, che coinvolga pienamente le persone coinvolte nella dinamica insegnamento-apprendimento, denuncia invece la progressiva alienazione di milioni di soggetti in età evolutiva all’interno di esperienze anestetiche nelle istituzioni scolastiche occidentali. Robinson cita studi 2 che dimostrano quanto siano nocive le istituzioni scolastiche particolarmente riguardo lo sviluppo del pensiero divergente e principalmente a causa dell’uso indiscriminato di test standardizzati (pensiamo all’INVALSI), ma mette sotto accusa anche il processo di aziendalizzazione della scuola pubblica in corso ormai da diversi decenni, per cui prevale un insegnamento standardizzato che privilegia competenze spendibili all’interno del mercato del lavoro a danno dello sviluppo integrale della persona umana e della costruzione d’una cittadinanza attiva e solidale. Chi scrive trova sorprendete come, a fronte d’una mole di studi e conoscenze impressionanti in campo sociopsico-pedagogico, la struttura delle scuole occidentali, tranne felici eccezioni come quella finlandese, sia esattamente la stessa della “Casa delle tavolette” dell’antica Mesopotamia, difatti, tranne che per il materiale con cui erano costruiti banchi, cattedra e “quaderni”, il resto risulta identico: file di banchi disposte in ordine davanti ad una cattedra, come se 5.000 anni di studi e sperimentazioni non fossero valsi a nulla. Normalmente (Fromm distingueva saggiamente fra normalità e sanità), quando si tenta di disporre i banchi a cerchio accanto alla sedia del docente (a poco valgono le esperienze del “circle time” quando sono sporadiche e occasionali) l’obiezione che viene opposta da colleghi e presidi è che, con tale disposizione, si violerebbero le famose (famigerate) “norme sulla sicurezza”, dimenticando almeno due cose: che sarebbe sufficiente, certo, porre un piccolo spazio ogni due o tre sedie; ma soprattutto che, allorché si nomina il concetto di sicurezza, non si tiene conto che questo attiene al concetto di salute che l’O.M.S. considera sotto tre profili, non solo quello fisico, ma anche quelli psicologico e sociale. Il timore è che si sia allora in cerca, più o meno consapevolmente, di facili alibi o razionalizzazioni per non cambiare schemi e abitudini consolidate e quindi per non dover affrontare la ben più complessa gestione di situazioni cooperative e non-direttive. Efficaci potrebbero essere, invece, lezioni all’aperto, in giardino o comunque in luoghi informali. Le ultime normative sulla scuola pubblica italiana,
oltre a snaturare il senso stesso della comunità educante e della collegialità (in ottemperanza alla temperie politico-culturale in corso, già preannunciata come necrofila da Eric Fromm 3) per instaurare la pericolosa cultura dell’ “uomo solo al comando”, privilegia competenze in luogo delle conoscenze, per indurre abilità immediatamente spendibili sul mercato del lavoro e mortificando proprio quelle molteplici componenti della persona e della personalità di cui parlavamo, a partire dalle emozioni, il cui ruolo viene rivalutato anche da recenti studi 4: non a caso si parla ormai da tempo, per noi occidentali, del preoccupante fenomeno dell’analfabetismo affettivo 5. Anche l’abuso di tecnologie ha contribuito, accanto ad una scuola sempre più anestetica, al diffondersi di ciò che Robinson definisce la “peste bubbonica del XXI secolo”: il Disturbo da Deficit Attentivo, per far fronte al quale anche in Italia si sta diffondendo in modo preoccupante l’uso-abuso di psicofarmaci 6, evitando di andare all’origine psicologica e culturale del fenomeno. Come esposto altrove 7, l’educazione formale, in quanto gerarchica, frontale, razionalistica, burocratica, individualistica e competitiva, corrisponde all’esatto contrario di quanto richiesto per una sana impostazione didattico-pedagogica, per cui bisognerebbe tendere verso l’approccio olistico che solo l’educazione informale consente; ma il deterioramento, attualmente in corso, dei luoghi formativi (anche in considerazione della frantumazione dello status del docente a causa dei demansionamenti previsti dall’attuale normativa e del moltiplicarsi di non ben definite figure professionali) destabilizza le basi stesse del patto formativo, proprio a partire dal riconoscimento socio-culturale e istituzionale del ruolo e dello status dell’insegnante, del destrutturarsi dei compiti e dei ruoli ad esso assegnato, del venir meno di ciò che definirei lo statuto epistemologico su cui dovrebbe fondarsi la comunità educante. In tal modo, non solo viene impedito ai luoghi formativi istituzionali di svolgere il loro compito educativo per diventare meri luoghi di addestramento alla precarietà e flessibilità aziendalistica, ma si va in direzione opposta rispetto ai dettami dell’art. 3 della nostra Costituzione, che recita, al secondo comma: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva 3 - Cfr. E. Fromm, Anatomia della distruttività umana, Mondadori, Milano, 1995; 4 - T. Chemi, Dealing with emotions, ed. Sense, Rotterdam, 2015; 5 - Cfr. anche Cfr. D. Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 2015;
1 - Cfr. Ken Robinson, Changing education paradigms, you tube;
6 - A proposto dell’abuso incoraggiato, anche da professionisti, di psicofarmaci, cfr. A. Ehrenberg, La fatica di essere se stessi, Einaudi, Torino, 1999;
2 - G. Land-B. Jarman, Breackpoint and beyond: mastering the future today, op. cit. in Changing education paradigms;
7 - Cfr. “Educazione informale”, ed. Amnesty International Sezione italiana, Roma, 2009, disponibile on-line;
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partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”; la scuola nella quale ci troviamo ad operare si trova, di fatto, ad essere a mio parere incostituzionale, in quanto non rimuove affatto quegli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la sua -effettivapartecipazione all’organizzazione del Paese, anzi li rafforza, creando ulteriori sperequazioni, a partire dai docenti di serie A e B che si troverebbero ad essere diversamente distribuiti sul territorio nazionale, e scuole di serie A e B, in base ai risultati delle prove INVALSI e della conseguente asimmetrica allocazione delle risorse che premierebbe le scuole “migliori” anziché investire in quelle “peggiori”, ma anche per le persistenti e peggiorate sperequazioni su base regionale e macroregionali ancora tristemente attuali nel nostro Paese. La scuola non dovrebbe essere luogo di scorrerie per ceti politici in cerca di facili consensi, né di oligarchie con disegni mercantilistici, ma la diretta emanazione di una intellighenzia, espressione delle migliori menti del campo educativo e degli studi di intellettuali di settore a stretto contatto con chi la scuola la vive sul serio: da questo campo semantico dovrebbero partire le indicazioni imprescindibili che la politica dovrebbe poi declinare in campo socio-educativo, ma non pare sia questo il clima culturale che si respira in Italia da almeno cinque lustri a questa parte. Urge un’inversione di tendenza, che metta al centro la persona in età evolutiva con i suoi reali bisogni e interessi, le conoscenze in luogo delle mere competenze, la creatività e la capacità di problematizzare in luogo
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dei quiz dell’INVALSI, la relazione nel continuum insegnante-allievo/insegnante-allievi, fatta di complicità e alleanze che devono saper sopravvivere alle necessarie frustrazioni 8; il gruppo classe, in grado di gestire, progressivamente, i necessari conflitti interni in modo costruttivo 9; una valutazione che possa essere realmente formativa e non appiattita su banali test standardizzati 10 studiati a tavolino da precise oligarchie per ottenere generazioni “flessibili” e prive di pensiero critico; una didattica finalmente orientata verso l’educazione informale. Mettere al centro relazioni, comunità, pensiero critico, educazione informale. Desidero cercare di spendere, se me ne verrà data l’opportunità, gli spazi futuri proprio per proporre metodologie e tecniche didattico-pedagogiche che vadano, appunto, verso il campo semantico dell’educazione informale, con la convinzione che sia proprio tale campo la bussola di riferimento per rifondare la scuola pubblica del nostro Paese, guarendola dalle tante offese ricevute.
Aristide Donadio Psicosociologo e docente di Scienze umane presso i licei
8 - Cfr., M. Recalcati, L’ora di lezione, Einaudi, Torino, 2014; 9 - Cfr. U. Morelli, Conflitto, Meltemi, Roma, 2006; 10 - Cfr. V. Pinto, Valutare e punire, Cronopio, Napoli, 2014.
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Buone Notizie Il 17 gennaio 2017 il Presidente Obama, con uno dei suoi ultimi provvedimenti, ha concesso l’indulto ad Oscar Lopez Rivera, leader indipendentista di Porto Rico.
Nel 1981, accusato di “sedizione cospirativa”, era stato condannato a 55 anni di carcere, elevati a 70 anni nel 1988 in seguito ad un tentativo di fuga. Rivera è stato un veterano della guerra in Vietnam, e medaglia di bronzo al valor militare. Già la prima condanna, e a maggior ragione la seconda, era stata considerata del tutto inadeguata, considerato che non è stato mai accusato di aver commesso reati di sangue. Porto Rico è un protettorato degli Stati Uniti, utilizzato come base dalla marina militare USA.
Il 4 febbraio 2017, in occasione del 69° anniversario dell’indipendenza, il presidente dello Sri Lanka Maithripala Sirisena ha commutato 60 condanne a morte in ergastolo. Dopo 20 anni di carcere, i 60 prigionieri potranno chiedere la grazia.
L’8 marzo 2017 il presidente sudanese al-Bashir ha graziato 259 prigionieri. Si trattava di ribelli catturati negli scontri con le forze governative. Decine di essi erano stati condannati a morte. Qualche giorno prima, il 5 marzo, anche forze ribelli avevano liberato 125 soldati governativi. Contro il presidente sudanese al-Bashir (al potere dal 1989) è pendente dal 2009 un ordine di arresto del Tribunale Penale Internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel Darfur.
Il 19 marzo 2017 sono stati liberati gli inviati di Report Luca Chianca e Paolo Palermo, fermati in Congo il 15 marzo dai servizi di sicurezza dello stato africano.
I due inviati si trovavano in Congo per un servizio su presunte tangenti ENI in Nigeria. Chianca e Palermo, come si legge nel sito di Report “sono stati tenuti segregati due notti in una stanza di due metri quadrati piena di animali e costretti su una traballante sedia di plastica”.
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«Qui ad Atene noi facciamo così. La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.» (Pericle – Discorso agli ateniesi – 461 a.c.) www.amnestysicilia.org
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i fatti e le idee